20-03-2021


                                                                                                                                   La Namibia e la sua flora
         La Namibia è unica e diversa da qualsiasi altra regione africana. I suoi ambienti e paesaggi sono estremi. Lungo la Skeleton Coast (Costa degli scheletri), famosa per gli mai rugginosi relitti di navi, unico approdo naturale è la Baia di Walvis, che ospita la più numerosa colonia di fenicotteri dell'Africa australe. Proprio a causa delle freddi correnti dell'Atlantico prosperano in grandissime quantità colonie di pinguini e di foche. I fenomeni climatici, assolutamente unici della Namibia, sono causati dalla corrente fredda del Benguela, proveniente dall'Antartide. Le dune mobili del deserto del Namib trasportate dal vento giungono fino al mare e creano paesaggi unici al mondo.
        La Namibia è il Paese più secco, situato a Sud del Sahara. La flora è caratterizzata da specie tipiche delle regioni aride africane. Tra le particolarità floristiche vi è il kokerboom, albero delle faretre, una specie di aloe che cresce soltanto nella Namibia meridionale. Il suo tronco può arrivare a 7 metri e presenta una superficie coperta da scaglie estremamente taglienti. I rami sono lisci e resi biancastri da una polvere prodotta dalla pianta, che ha lo scopo di proteggerli dal calore solare. I rami si biforcano ripetutamente, da cui il nome Aloidendron dichotomum, "diviso in due", e danno luogo ad una corona complessivamente tondeggiante. Le foglie, di colore verde e blu marino, si trovano alle estremità dei rami, e sono strette e appuntite. All'inizio dell'inverno, tra giugno e luglio, produce fiori di un colore giallo acceso.
          Nelle pianure ghiaiose, a Est della Skeleton Coast, cresce la bizzarra welwitschia mirabilis, una gimnosperma, a seme nudo, che si sviluppa lentamente a terra e vive più di 1000 anni. Friedric Martin Joseph Welwisch, medico e naturalista austriaco, scoprì la Welwitschia mirabilis vicino a Cabo negro in Angola il 3 settembre del 1859 e Charles Darwin la definì poi l’ornitorinco del regno vegetale.
            Gli Herero, come altri numerosi gruppi etnici africani, utilizzano numerose piante per il trattamento di un ampio spettro di malattie. Nei secoli infatti hanno imparato a conoscere le proprietà medicinali di erbe, piante e altri elementi.
Nonostante la scienza abbia fatto passi da giganti e le medicine occidentali siano facilmente reperibili sul territorio Herero, i guaritori tradizionali, gli stregoni e gli indovini continuano ad utilizzare la medicina tradizionale che ricopre un ruolo importante nella loro società. Una delle piante utilizzate dagli Herero è l’aloe, il cui nome scientifico è aloe littoralis.
            Di questa pianta si utilizzano le foglie, omazo in lingua herero, per curare alcuni problemi tra cui l’herpes labiale, il mal di stomaco e le infezioni del tratto urinario. Ci sono due modi per utilizzare le foglie: il primo prevede che le foglie vengono fatte essiccare al sole per alcuni giorni e poi ridotte in polvere. Queste vengono successivamente setacciate e riposte in un contenitore, pronte per essere utilizzate. Un modo alternativo di utilizzare l’aloe è quello di tagliare le foglie in pezzi, farle bollire fino a quando l’acqua non diventa acida. A quel punto, si rimuovono le foglie e si lascia raffreddare il liquido; una volta freddo tutto è pronto per l’utilizzo.
            Nel deserto del Kalahari è tipica la presenza dell'acacia: l'acacia mellifera si trova sia nelle secche ed aride aree dell’Africa ma anche nella penisola arabica.
           Essa cresce in forma di cespugli a forma di corona o in tronchi d’albero che arrivano fino a 7 metri di altezza o da uno solo, che può raggiungere l’altezza di 9 metri. In alcune aree dell’Africa è considerata una specie invasiva e non è molto amata. E' utilizzata come materiale per costruire i recinti, a difesa dei villaggi, e come materiale per realizzare le capanne. Il suo legno è molto utile per accnedere il fuoco. Le sue foglie contengono una alta percentuale di proteine e sono prezioso nutrimento per gli animali domestici allevati sia per gli animali selvatici della zona, specialmente nelle aree secche dell'Africa. I suoi fiori sono ricolmi di nettare per le api che producono il miele e contengono un’alta percentuale di proteine. Sono spesso mangiati dai kudu ma anche dagli elefanti, dai rinoceronti e dalle giraffe. Anche se le loro spine sono un po' pericolose e bisogna stare attenti a toccarle, con i rami delle acacie si costruiscono trappole per cacciare i “Grandi uccelli”, la specie dei più grandi uccelli al mondo in grado di volare che vivono indisturbati in Namibia.
Vi è poi l'”acacia erioloba”, una specie della famiglia delle mimosaceae diffuse in Sudafrica, Botzwana e Namibia, in passato famosa come acacia giraffae in uso già dal XVIIIesimo secolo, molto importante per la sopravvivenza degli uccelli ma anche dei nostri Boscimani.
        Ed ecco perché: i picchi producono dei buchi in questi alberi per fare i loro nidi Durante il periodo delle piogge, gli uccelli devono lasciare il nido che si riempie di acqua. Quindi i Boscimani si dissetano, infilando delle cannucce fatte, per esempio, di piuma di struzzo in queste riserve di acqua. Utilizzano anche le uova di struzzo come contenitori e ci mettono dentro l'acqua avanzata dai nidi che sotterrano sotto la sabbia per oltre tre mesi, senza ovviamente segnalarne la presenza.
In questi ultimi tempi si stanno ipotizzando progetti di coltivazione di aloe, che può essere utilizzata in diverse applicazioni e settori.
Emanuela Scarponi

17-02-2021

 


                                                                                                                  La bicicletta in Africa


Il mio primo pensiero è andato al film di Bernardo Bertolucci "Il the nel deserto" del 1990, che credo abbia dato il via all'idea di girare il Nord Africa in bicicletta:" nessuno potrà mai dimenticare l'immagine dei due protagonisti, Port e Ki, che si recano in bicicletta su un'altura limitrofa, e lì ritrovano l'armonia dello stare insieme".
Pensare, però, alla bicicletta in Africa appare a prima vista arduo. Ma di certo i tempi cambiano ed oggi vediamo gli immigrati africani che giungono in Italia fare prevalentemente uso di biciclette. Nel 2018 è stata infatti istituita la Giornata mondiale della bicicletta, che ricorre ogni 3 giugno. È stata approvata, in un Risoluzione del 12 aprile 2018, come giornata ufficiale delle Nazioni unite per la consapevolezza dei benefici sociali derivante dal suo uso.
La bicicletta viene, infatti, usata dagli Africani per trasportare merce (mattoni, pacchi, animali), essendo spesso l'unico mezzo di trasporto economico, di cui possono avvalersi, sena sostenere altre spese.
Ma chi va in bicicletta in Africa? Le strade asfaltate sono pochissime e spesso si snodano nel mezzo della savana: è riuscito nell'impresa Obes Grandini, un italiano, che ha scritto un libro sul suo difficile viaggio dal titolo:“Due ruote attraverso l’Africa”. In questo libro, racconta il passaggio attraverso il continente africano iniziato il 24 maggio del 2010 da Città del Capo in Sud Africa, attraversando Sud Africa, Zambia, Malawi, Tanzania, Burundi, Ruanda, Uganda, Sudan del Sud, Sudan ed Egitto, completando il rientro passando per Giordania, Siria, Turchia, Grecia, Albania, Montenegro, Croazia e Slovenia. Il 27 maggio 2011 ha appoggiato la bicicletta al muro di casa dopo circa 20450 km percorsi.
Ci sono a ben vedere una infinità di vantaggi nel percorrere le strade su una bicicletta, si apprezza meglio il paesaggio che non passa come un film dal finestrino, si é vicini alla popolazione locale (che usa la bicicletta spesso come principale mezzo di locomozione) si ha un impatto negativo inferiore sull’ambiente. Si può ricevere un passaggio in camion, in barca, in aereo senza grossi problemi. Di contro si può spesso essere troppo “vulnerabili all’ambiente esterno”, alcune tappe risultano impossibili da realizzare in un continente come quello africano, si ha una autonomia ridotta, il clima lo si sperimenta sulla propria pelle (polvere, sabbia, sale, sole..). Il problema principale è che spesso le distanze sono notevoli e se non si ha un mezzo d’appoggio non è pensabile percorrere cosi grandi spazi a meno di ricevere un passaggio. Queste limitazioni hanno rilegato le pedalate spesso in limitate aree (Marocco, Tunisia, Togo, Benin) dove l’autonomia e le distanze sono più alla portata dei ciclisti.
Ebbene, per una viaggiatrice come me sarebbe plausibile utilizzare i propri piedi per girovagare, senza sosta, per il mondo. Ma non avrei mai immaginato che potesse esistere qualcuno in grado di attraversare l'Africa con le due ruote come mezzo di trasporto. Per me l'impresa sarebbe impossibile, ma di certo può rappresentare un modo nuovo ed economico per viaggiare, con grande tranquillità e serenità interiore, alternandolo magari all'utilizzo del treno o degli autobus in un continente enorme come l'Africa. Specialmente in terre sconfinate e senza traffico viaggiare su due ruote è effettivamente una esperienza unica. E forse oggi con l'energia solare si può pensare di utilizzare la bicicletta con meno fatica.
Ho viaggiato in bicicletta per brevi tratti in Paesi del Nord Africa ed in Medio Oriente e funziona. Anzi, il clima è perfetto per le due ruote. La sensazione più bella è quella di sentire il rumore del vento del deserto, nel totale silenzio delle terre antiche africane. In questi panorami mozzafiato, come l'altura rinvenibile nel film il “The nel deserto” del Nord Africa pensare di percorrere le strade per lo più sterrate su due ruote significa imparare ad ascoltare l'essenza della vita, della natura, significa diventare parte della stessa natura ancestrale e silente dell'Africa, il vento tra i capelli, la sabbia che assume forme diverse sotto le ruote, i versi di piccoli esseri viventi nascosti sotto un ciuffo d'erba, silenti agli occhi dei più ma pur vitali. Laddove ci si accosta in punta di piedi a questi fenomeni, essi rendono assolutamente nuovo il tutto: è come entrare in un mondo sconosciuto con la lente di ingrandimento.
In Africa il rapporto uomo-ambiente è molto più forte che da noi in Europa. È questo che gli Europei cercano quando esplorano l'Africa. Ebbene, la possibilità di avvicinarsi in punta di piedi ed entrare negli anfiteatri naturali africani, dove micromondi s'incontrano in una pace senza tempo ed in un silenzio totalizzanti, fanno il viaggio di per sé, che acquisisce così di significato filosofico.
Questo è il momento a cui l'Uomo deve tendere quando viaggia perché la mente si apra alla bellezza ed all'armonia della vita naturale. Prende vita la dimensione più profonda del nostro essere, nascosta, che nella routine quotidiana purtroppo non percepiamo più.
Emanuela Scarponi 

 

 

20-01-2021


                                                                                                                                                       Diritti umani in Africa

        L'Africa è diventata di attualità in Italia a causa dell'immigrazione clandestina improvvisa che ha suscitato molteplici problematiche in tutto il Paese e in tutta Europa. È un fenomeno assolutamente nuovo rispetto agli anni in cui tutti noi ci interessavamo di questo Continente per motivi di studi.
        Tra i vari diritti non meno importante degli altri è il diritto all'informazione, senza il quale non si riesce ad avere contezza di quello che questo Continente porta con sé. Questo diritto all’informazione deve essere quindi considerato pienamente un importante filone che la stampa deve promuovere e sviluppare per dare voce all'Africa.
         L'Africa è gigantesca. E la carta geografica che ci accompagna sempre ne dà conto con tutti i suoi confini politici e fisici. In questa maniera riusciamo ad avere un'idea anche dell’immensità di questa terra e della piccola Italia situata nel Mediterraneo, in contatto con tutto il Nord Africa, e quindi punto di approdo per molteplici persone che scappano e fuggono da molti Paesi in guerra. Ecco l'importanza di riportare le problematiche di questi Paesi ma al contempo di evidenziare i valori positivi che questi Paesi portano con se'.
         Purtroppo non arrivano notizie positive da questo Continente che, in realtà, agli occhi di coloro che lo conoscono offre grandissime bellezze, oltre che naturali anche storiche, che appartengono alla storia dell'Uomo. Sappiamo tutti che l'Uomo nasce in Africa dai ritrovamenti paletnologici effettuati. Sappiamo che nell'antichità esisteva la cultura afro-romana e la conoscenza e la cultura mescolatesi hanno dato vita ad una nuova cultura mista. Questo è alla base di tutti gli incontri/scontri nella storia del mondo. Da qui la decisione di cominciare a scrivere su queste tematiche.
        Quanto al tema di oggi, che tratta dei diritti umani in Africa, ecco appunto il collegamento con la stampa: da molti Paesi non riceviamo informazioni. Da qui l'esigenza di individuare persone provenienti da vari Paesi dell'Africa, che possano fornirci informazioni dirette di quanto succede realmente. A tale iniziativa debbono essere affiancate conferenze che possano dare l'opportunità di comprendere a fondo il perché di tanti accadimenti, per esempio del perché esiste il fenomeno dell'immigrazione clandestina, del perché le persone rischiano la vita, attraversando prima il deserto del Sahara, poi cavalcandole onde del Mar Mediterraneo su mezzi di fortuna, che spesso causano terribili naufragi e la morte di questi disperati, pur di arrivare in quella che considerano la terra promessa, cioè l'Europa, dove c'è la ricchezza e dove si può vivere bene.
        Arriviamo quindi a trattare il tema dei diritti umani in Africa: il problema della fame, delle guerre, della distruzione di massa e così via.
      Nella scuola italiana si studia la storia della schiavitù. Ho fatto un punto fermo sulle date in cui questi fenomeni nel mondo hanno fine: la schiavitù finisce in America nel lontano 1865, ed è veramente folle pensare che fino a 150 anni fa ci fossero persone che venivano incatenate e trasportate per farne degli schiavi.
      Ovviamente questi uomini, nati schiavi, si sono poi riscattati e successivamente sono diventati uomini liberi, fino ad arrivare al grande momento in cui il Presidente degli Stati Uniti d'America è un nero, un uomo di origine africana. Penso che questo sia stato un grandioso momento nella storia dell'umanità. Gli Stati Uniti sono arrivati a questo importantissimo evento, che resterà sui libri come il più grande momento della storia americana e mondiale.
     Questa è la motivazione per cui nasce la rivista scientifica Africanpeople, che conta sull'ausilio di appassionati ed esperti d'Africa, per cercare proprio di garantire informazione, che non deve essere di parte. Anche grazie ai mezzi informatici, oggi è, infatti, possibile garantire notizie.
      Quindi credo che questo sia il momento di invertire il punto di vista e di voltare il nostro sguardo verso il Mar Mediterraneo per comunicare con persone in grado di gestirsi. Ci sono stati dei momenti in cui i diritti umani sono stati violati perché appunto era difficile raggiungere questi Paesi, per motivi naturali (cioè per gli ostacoli naturali come il deserto, la foresta pluviale, eccetera), ma soprattutto per assenza di collegamenti per cui l'Africa è stata considerata da sempre "terra di nessuno".
     Oggi vi è la globalizzazione che vede tutti collegati tramite Internet: questo è un mezzo di comunicazione che, se usato bene, ha dell'incredibile e ti conduce dall'altra parte del mondo nel giro di un secondo. Questo permette la comunicazione anche in Africa.
Per cui credo che sia opportuno che l'Italia si metta a guardare l'Africa positivamente per creare un ponte, o rapporti culturali e di cooperazione allo sviluppo in questi Paesi, che chiedono solo di essere ascoltati. In Italia non tutti parliamo la lingua inglese, ma in questi Stati tutti comunicano in doppia lingua, sia quella degli ex colonizzatori che la loro. Quindi è arrivato il tempo di superare il pregiudizio e cambiare l'idea che abbiamo di questo Continente.
Emanuela Scarponi

 


 06-02-2021

                                                                                                                       Santa Maria extra moenia ed il suo Battistero ad Antrodoco

        Provenendo dalla Salaria, se si percorre la via parallela, che passa per il piccolo borgo sul Velino, dal nome appunto di Borgovelino, ci appare il maestoso complesso della chiesa di Santa Maria extra moenia ed il suo Battistero.
È situata al centro del grandioso prato con alle spalle la parte cimiteriale e le montagne dell’Appennino abruzzese con l’austero Monte Giano e Monte Nuria.
Sono evidenti i rifacimenti fatti nel passato.
       Edificata sembra nel V secolo, costituiva un punto di riferimento per i Cristiani della valle, guidati da Severo che presumibilmente fu il suo primo parroco, come ricorda Gregorio Magno nei suoi scritti.
Nella primitiva chiesa sono stati utilizzati materiali presi dagli edifici di epoca imperiale: colonne, capitelli, cornici di marmo, lastre sepolcrali; una seconda fase di lavori tra l’ottavo, il nono ed il decimo secolo, è riconoscibile grazie a frammenti scultorei, murati sia all’esterno che all’interno della chiesa. Risale invece al 1051 l’atto ufficiale della rinascita della medesima e si fa menzione della stessa in due bolle papali: l’una con Anastasio IV e la seconda col Papa Lucio Terzo. Nel frattempo, essendo costruita una nuova chiesa all’interno delle mura nell’abitato di Antrodoco, Santa Maria assume la denominazione di “extramoenia“ cioè fuori le mura per distinguerla dall’altra. La facciata è a capanna semplice, asimmetrica per la presenza del campanile; al centro di essa c’è un elegante portale proveniente forse da una chiesa aquilana, ornato di colonnine lisce e tortilì, in cima due sculture di animali ed un tralcio di uva con due uccelli che beccano gli acini.
        Al centro campeggia l’“agnus dei“ con una croce, vessillo di vittoria. Alzando gli occhi, vediamo il bel campanile con monofore centinate, bifore, trifore, con l’inserzione di mattoni rossi ed anche un eccellente affresco che ricorda la figura del Cristo “pantocrator“ sulla parete che dà sulla Via Salaria. L’abside, piccolo esempio di costruzione romanica, è ispirata ai modelli benedettini, ed è di forma semicircolare con tre monofore, ed una finestrella a forma di croce per l'illuminazione.
Le tre finestre vogliono richiamare i misteri fondamentali della fede cristiana: la Trinità e il mistero pasquale di Cristo  Nell’interno l’edificio è a tre navate; nella parte destra ci sono due porticine che facevano parte di un pulpito più ligneo che marmoreo mentre nella parte sinistra ci sono colonne sormontate da semplici blocchi di pietra.
        Gli affreschi sono molti ma ridotti in pessime condizioni: si notano figure di profeti, il Cristo giudice e salvatore, tondi con figure di pontefici e “velarium” decorato con animali e piante. Ci sono poi l’affresco con la Santa Vergine, quello di Santa Caterina d’Alessandria, quello di San Giovanni Battista, quello con il matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, quello con il Cristo in gloria e molti altri, di cui alcuni databili. Accanto alla Chiesa si trova il Battistero, un edificio a pianta esagonale, collocato nella parte destra della medesima; molti studiosi hanno rilevato una particolare originalità, sia per la collocazione sia per la struttura, sia per i suoi affreschi.
Sono rari i battisteri a pianta esagonale. Ce ne sono alcuni nella zona Nord-centro-adriatica; forse anche questo proviene da modelli adriatici arrivati dalla Salaria fino ad Antrodoco.
Il Battistero antrodocano rappresenta una rarità e potrebbe risalire all’epoca paleocristiana: forse fondato dal presbitero Severo che divenne anche Papa, anche la sua porticina laterale, ben visibile all’interno, non ha neppure traccia all’esterno, quindi è difficile datare il tutto.  Il numero dei lati va rintracciato nei testi biblici: Dio creò il mondo e l’uomo in sei giorni, anche Sant’Agostino interpreta così i brani biblici e così via.
Questo edificio divenne in seguito un oratorio frequentato dalla Confraternita di San Giovanni Battista ed, entrando, si scopre che tutte le pareti erano ricoperte di affreschi.
        I più recenti restauri hanno ripristinato gran parte delle immagini, alcune databili alla prima metà del 400, altri nel 500 come La Fuga in Egitto, La Strage degli Innocenti, Il giudizio di Erode, Le storie del Battista, Il battesimo di Cristo, Il giudizio finale, Cristo giudice, San Michele, le rappresentazioni dell’Inferno e del Paradiso, San Giovanni Battista e la pietà, l’affresco dei Santi, Santa Caterina d’Alessandria, San Martino, Santa Lucia, Santa Apollonia e Santa Margherita, San Cristoforo, San Leonardo e San Giuliano, la crocifissione e la salita al Calvario; gli altri due attribuiti a Bartolomeo Torresani, importante pittore dell'epoca.
        Al “Maestro di Antrodoco“ l’anonimo artista del Trittico si deve l’opera più importante della decorazione ad affresco del Battistero, forse commissionata dalla Confraternita di San Giovanni Battista, pertanto egli merita di essere ricordato anche se a volte emerge la sua limitata capacità nella prospettiva e nelle proporzioni. Guardando entrambi gli edifici, si nota alla sinistra del portale della Chiesa una colonna sormontata da una sfera metallica con una lapide: esse ci ricordano che ci troviamo presso l”Umbilicus Italiae”, “Centro d’Italia”, titolo attribuito dai cartografi al paese nel passato.


Emanuela Scarponi

 

13-12-2020


                                                                                                                                                 La Dama bianca della Namibia


       La Namibia, che ha recentemente raggiunto l'indipendenza, non può essere trattata distintamente dal Sud Africa, da un punto di vista storico, geografico ed etnico. Particolarmente attraente e misteriosa appare la cosiddetta White Lady, una delle più affascinanti pitture rupestri dei San, conosciuti da noi come Boscimani, la più antica popolazione dell'Africa australe. In passato, la Dama Bianca ha suscitato molte controversie e sono state formulate numerose teorie contrastanti per spiegare la sua presenza nel Brandberg. Tra le figure umane emerge chiaramente differente una figura umana di pelle bianca, che 1.800 anni fa, data cui sembra risalire la pittura rupestre, non era possibile riscontrare nell'area. Nel Brandberg si contano circa un migliaio di pareti rocciose dipinte, per un totale di oltre 45.000 figure, soprattutto di uomini e animali. Il complesso pittorico della Dama Bianca si trova in una grotta chiamata "Maack Shelter" ("rifugio di Maack") dal nome del cartografo che per primo trovò il dipinto in epoca coloniale tedesca. Il complesso pittorico della Dama Bianca comprende numerosi soggetti, sia umani che animali (probabilmente orici) e misura approssimativamente 5,5 x 1,5 m. La Dama Bianca (in inglese The White Lady, in tedesco Weisse Dame) è un celebre dipinto rupestre situato in Namibia, sui monti Brandberg, nella zona del Damaraland. L'archeologia moderna attribuisce in genere il dipinto ai Boscimani (San), ma altri dettagli della sua origine non sono noti.
        Il dipinto si trova nel cuore del Brandberg, grosso modo sulla strada fra Khorixas e Henties Bay, nei pressi della cittadina di Uis. Il sito è raggiungibile solo a piedi, al termine di un percorso di circa 40 minuti che segue una stretta valle nota come Gola di Tsisab (Tsisab Gorge. Il dipinto venne scoperto nel 1918 dall'esploratore e topografo tedesco Reinhard Maack, che stava cartografando il Brandberg per conto delle autorità coloniali tedesche. Maack fu impressionato dal disegno, e ne fece diverse copie, che in seguito inviò in Europa. Egli descrisse la figura con l'arco come un "guerriero", e annotò nei suoi appunti che "lo stile mediterraneo ed egizio di queste figure è sorprendente". Nel 1929, gli appunti di Maack giunsero nelle mani dell'abate francese Henri Breuil, antropologo e archeologo (ricordato tra l'altro per i suoi ritrovamenti nelle grotte di Lascaux), che era in visita a Città del Capo.
Sulla base dei disegni di Maack, Breuil osservò che il dipinto aveva forti analogie con alcune figure di atleti ritrovate a Cnosso, e suggerì che potesse essere opera di un gruppo di coloni provenienti dal Mediterraneo orientale. Fu ancora Breuil a interpretare il soggetto del dipinto come "dama", lettura da cui deriva il nome attuale con cui l'opera è nota. Breuil riuscì a visitare il sito nel 1945, e negli anni successivi pubblicò le sue osservazioni e congetture prima in Sudafrica e poi in Europa.
        Il lavoro di Breuil diede origine a una serie di teorie che attribuivano il dipinto a una misteriosa presenza di popoli di origine europea o mediorientale in Namibia in tempi antichi. Alcuni autori sostennero in particolare che esso poteva risalire a un'antica colonia fenicia, teoria che è stata ripresa anche da autori recenti come lo storico zulu Credo Mutwa. Nella seconda metà del XX secolo la maggior parte delle teorie sulle influenze mediterranee nello sviluppo dell'Africa subsahariana vennero gradualmente abbandonate. La paternità del dipinto della Dama Bianca venne quindi attribuita più semplicemente ai boscimani (che popolavano l'area fin dalla preistoria, e a cui erano già stati attribuiti in modo meno controverso gli altri dipinti del Brandberg e l'arte rupestre presente in altri siti del Damaraland, come Twyfelfontein).
Alle diverse teorie sulla paternità dell'opera sono state associate nel tempo ipotesi molto diverse sulla sua datazione. L'analisi cromatografica ha determinato che il dipinto non può avere meno di 1800 anni, in quanto risulta totalmente privo delle proteine originariamente presenti nei pigmenti utilizzati per dipingerlo. Si ritiene che il gruppo della Dama Bianca rappresenti complessivamente una danza rituale, e che la figura predominante - la "Dama" - sia in realtà uno sciamano.
Lo sciamano indossa coperture decorative alle braccia, ai gomiti, alle ginocchia, al bacino e al petto, e forse anche un indumento decorativo al pene. In una mano regge un arco, e nell'altra quello che potrebbe essere un sonaglio o una specie di calice. Tutte le altre figure umane indossano qualche tipo di calzatura, e uno degli orici è stato rappresentato con gambe evidentemente umane. Un'altra interpretazione è che la Dama sia un giovane col corpo cosparso d'argilla bianca secondo una procedura rituale, forse connessa alla circoncisione.
       I materiali usati per realizzare il dipinto sono probabilmente quelli tipici della pittura boscimane, ovvero principalmente polveri di pietra ferrosa ed ematite, ocra, carbone, manganese, e carbonato di calcio, miscelati con bianco d'uovo e altri liquidi di origine organica come aggreganti. Tutto il complesso pittorico ha subìto un notevole deterioramento dai tempi del suo ritrovamento. In passato, i turisti talvolta bagnavano la roccia per far risaltare meglio i colori nelle fotografie, e l'immagine si è rapidamente sbiadita. Oggi l'intero sito è un'area protetta, con lo status di "patrimonio nazionale" della Namibia, e può essere visitato solo insieme a guide autorizzate.
Emanuela Scarponi

 


24-01-2021                                                                                                                          Gonarezliou National Park, the elephant refuge in Zimbabwe 

 

           In Eland kingdom, about 150 kilometres from Mutare, near Chimanimani village, along the slopes of the Nyamzure hill (commonly called Pork Pie Hill, Hill of the Pie Pie), there is the Chimanimani Eland Sanctuary & Nyamzure, where many specimens of alkine antelope are used to live. Extraordinary powerful and majestic animal, the eland is the largest antelope in Africa: it has a light brown coat, can weigh up to 600 kilograms and 2 meters tall. The park, 8 square kilometres large, is also inhabited by jumping antelopes, duikers, swamp cobe, zebras and baboons and is also a paradise for botanists, with giant ferns, orchids and six varieties of proteins.
Gonarezliou National Park is the elephant refuge.
           The name means "elephant refuge", because more than 7,000 pachyderms lived in the 5,000 square kilometres Gonarezliou National Park, covered by trees and savannah. The connection with the etymology may not be so evident. Starting from the 70s, in fact, the delicate and precious ecosystem of the park was tested and largely compromised by the reckless action of unscrupulous people: by the Mozambican guerrillas, for example, who used it as a source of fresh meat supply, or by the groups of poachers, looking for ivory, the white gold paid at a very high price.
           Between 1990 and 1994, a terrible drought swept the country: a lot of Loxodonta Africana - whose this area was so populated that Harare government did not subscribe the international ivory bloc- died of thirst and destroyed the few areas with water and food. It was only with Ele-evacuation - operation availed of a loan of $ 20,000, the surviving specimens could be saved: the 750 surviving elephants were asleep and transferred to protected areas (essentially converted farms to wild conditions).The park was then reopened in the late 1990s and the elephants today are among the largest number in Africa.

Emanuela Scarponi

 

 

 


Traduzione

Nel regno degli Eland

A circa 150 chilometri da Mutare, nelle immediate vicinanze del paesino di Chimanimani, lungo i versanti dell'altura Nyamzure (chiamata comunemente Pork Pie Hill, Collina del Pasticcio di Maiale), si apre il Chimanimani Eland Sanc tuary & Nyamzure, dove vivono numerosi esemplari di antilope alcina. Straordinario animale, possente e maestoso, l'eland è l'antilope più grande di tutta l'Africa: ha il mantello marrone chiaro, può raggiungere i 600 chilogrammi di peso e i 2 metri di altezza. Il parco, che si estende per 18 chilometri quadrati, è abitato inoltre da antilopi saltatrici, duiker, cobi di palude, zebre e babbuini e costituisce un paradiso anche per i botanici, con felci giganti, orchidee e sei varietà di protee.
Il Gonarezliou National Park è il rifugio degli elefanti. Il suo nome significa “rifugio degli elefanti”, perché nei 5.000 chilometri quadrati di alberi e savana del Gonarezliou National Park vivevano fino alla metà del secolo scorso più di 7000 pachidermi. A dire il vero, però, a leggere la sua storia negli ultimi decenni, il collegamento con l'etimologia può non risultare così evidente. A cominciare dagli anni 70, infatti, il delicato e prezioso ecosistema del parco venne messo alla prova ed in gran parte compromesso dall'agire sconsiderato di gente senza scrupoli: dai guerriglieri mozambicani, ad esempio, che lo utilizzarono come fonte di approvvigionamento di carne fresca, o dai gruppi di bracconieri affamati di avorio, l'oro bianco tanto ricercato e pagato ad un prezzo salatissimo. A questo si aggiunse, tra il 1990 e il 1994, una terribile siccità in tutto il paese: i Loxodonta Africana, questo è il nome della razza che contava nel paese numerosissimi esemplari talmente numerosi che il governo di Harare non reputò necessario aderire al blocco internazionale dell'avorio - in gran parte morirono di sete e distrussero le poche aree che offrivano acqua e cibo. Fu solo con quella che venne definita l'operazione Eieevacuazione, avvalsasi di un finanziamento di 20.000 dollari, che gli esemplari superstiti poterono essere salvati: i 750 elefanti sopravvissuti vennero addormentati e trasferiti in aree protette (essenzialmente fattorie riconvertite a condizioni di natura selvaggia). Il parco venne poi riaperto alla fine degli anni Novanta e gli elefanti che oggi lo abitano sono fra i più grandi dell'Africa.

 

 

 

02-12-2020
                                                                                                                                               La danza e la marimba
     Attualmente vi sono molti complessi africani che trasferiscono anche sui palcoscenici di città di tutto il mondo le proprie esperienze musicali, anche se la tradizione continua, inalterata e genuina, in tutti i Paesi del grande continente africano. I Namib Marimbas sono un gruppo musicale della Namibia. Tutti i componenti del gruppo dei Marimbas provengono dall'Odjupa Art-Creation & Music CC. Alcuni di loro sono ancora studenti: provengono da Walvis Bay e Swakopmund, altri studiano o lavorano a Windhoek, la capitale della Namibia. I Marimbas namibiani operano nel Dipartimento musicale statale sotto la direzione di Ferdinand Hengombe e del suo assistente, Anrich Geingob.
     Nelle tradizioni popolari di tutti i Paesi e popolazioni del mondo la danza, così come il canto, rappresentano un momento importante di socializzazione e di celebrazione. Danza e canto, a loro volta, sono intimamente legati all'uso degli strumenti musicali. In Africa, fin dai tempi più remoti, la danza, insieme alle altre espressioni di musicalità dei popoli africani, ha avuto molte funzioni: da quella di accompagnare cerimonie religiose a quella di festeggiare particolari avvenimenti (matrimoni, nascite, cerimonie di iniziazione, feste per il raccolto, conflitti eccetera) ed è stata praticata anche nei villaggi più sperduti e nascosti tra le immense foreste o gli altipiani. La musica gioiosa è piena di energia prodotta dalla marimba infatti ha le sue radici nella musica dello Zimbabwe e del Sud Africa.
    I modelli ripetitivi caratteristici producono melodie e ritmi che insieme evocano emozione e divertimento nel cantarli. Lo studio di questo unico stile di musica offre molti benefici, ivi incluso una forte focalizzazione del ritmo, della capacità di ascolto e di riproduzione. Le basi sono facili da imparare, quando le bacchette sono grandi e sono battute da un martello di legno. Una volta che le conoscenze di base sono apprese, i pezzi possono essere abbelliti ed arricchiti per creare ritmi interscambiabili, melodie che rendono divertente suonare, riprodurre e ascoltare la musica. Mentre si studia questa musica, si prende coscienza di una cultura e del suo popolo. Alcuni pezzi suonati con la marimba sono basati sulla musica mbira. Questo strumento è molto antico e appartiene alla tradizione Shona. È composto di una tavola di legno sonante che si tiene mano alla quale sono attaccate bacchette di metallo, ed è suonata dentro una grande zucca per l'amplificazione. Molta della musica suonata con questo strumento è stata a lungo utilizzata nelle cerimonie tradizionali. Recentemente è stata utilizzata anche per intrattenimento, e molti pezzi tradizionali sono stati arrangiati per la marimba o altri strumenti. I ritmi tendono ad essere complessi, ed il sentimento dei canti va dal meditativo e triste in crescendo fino all'esuberante.
Emanuela Scarponi