Il Tempo delle Donne
Ieri alle 17:25 ·
Il film dominicano partecipa al
XVI Festival Internazionale del Film di Roma
Il film dominicano “Un film sulle coppie”, diretto e scritto da Natalia Cabral e Oriol Estrada, è stato selezionato per concorrere alla Selezione Ufficiale del 16° Festival Internazionale del Film di Roma.
L'Ambasciatore della Repubblica Dominicana in Italia, Tony Raful, ha accompagnato i registi alla prima ufficiale, nella Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica di Roma. dove si sono incontrati esponenti dell'industria cinematografica italiana e internazionale.
Va notato che il film "Un film sulle coppie" ha recentemente vinto il Premio della critica francese e una menzione speciale per la performance alla 30a edizione del Festival di Biarritz.
La Repubblica Dominicana e il Messico sono gli unici paesi dell'America Latina
Nella fotografia: Ambasciatore Raful, Natalia Cabral e sua figlia,
Oriol Estrada, Louisa Auffant
rappresentati in questo Festival Internazionale, uno dei più importanti al mondo.
Critica nei confronti della "Negritudine"
Soyinka, proseguendo in quel periodo la sua critica sul ruolo dell'artista nell'Africa moderna, si pone in contrasto anche con tutto quel movimento culturale che aveva avuto origine nel quartiere latino di Parigi all'epoca delle lotte indipendentiste in Africa e il cui fondatore, Senghor, diventerà presidente della repubblica del Senegal, Soyinka condanna infatti tale corrente ideologica-letteraria, detta della "Negritudine", che proprio nella acritica glorificazione di un passato, identificato con l'immagine "coloniale" del "bon sauvage", ritrovava l'essenza negra.
Questa dottrina, elaborata come pensiero filosofico da Senghor e dal martinicano Aime Cesaire negli anni '40 alla Sorbona, mal si adatta al pensiero più moderno e populista di Soyinka mentre tale dottrina si confronta infatti con le tecniche e, più in generale, con la mentalità globale del mondo occidentale, la dottrina soyinkiana rifiuta il paragone, attestandosi su posizioni completamente nuove ed ancorate profondamente nella filosofia africana» Mentre la "Negrìtudine" si preoccupa di rispondere alle accuse della cultura europea, trovandosi a"combattere" in campo avversario, Soyinka non accetta alcuna discussione di stampo tipicamente occidentale, riportando la disputa in terra africana. A proposito di tale posizione, è fondamentale la frase chiarificatrice dello stesso Soyinka:
"A tiger does not shout its tigritude, it acts it", da "The Writer in an African State", in Transition
Mentre quindi la Negritudine cercava una definizione collettiva dell'identità dell'uomo nero, Soyinka ribadisce l'importanza delle culture locali (in primis la cultura yoruba), considerate non dal punto di vista esclusivamente emozionale ed anti-intellettuale, ma ben coscienti della propria dignità e della propria tradizione, cioè intellettualmente capaci. Soyinka rifiuta quindi l'immagine di Senghor che,desideroso"di affermare la sua africanità in terra europea, finisce invece per "sbiancarsi" gradualmente. Il concetto base di tale rifiuto, tipicamente radicale e rivoluzionario, permette a Soyinka di concepire l'Africa come un continente completamente autonomo, dove la colonizzazione appare solo come un momento storicamente determinato che è necessario superare. Anche per questo, quindi, egli si scontra con la "Negritudine" che, implicitamente, vede invece l'indipendenza nazionale come il giusto riconoscimento per l'apprendimento di schemi e di modi di vita tipicamente occidentali.
In altre parole ed in un contesto socio-politico più ampio si produce, tra Soyinka e Senghor, uno scontro che deriva dal diverso modo di affrontare il problema coloniale delle due "superpotenze" dominanti nel mondo africano, la Francia e l'Inghilterra. Mentre l'una,infatti,col suo enorme bagaglio storico, filosofico e religioso, cerca di conquistare profondamente il mondo africano, inculcando le proprie idee fino a radicarle completamente nelle nazioni domi_ nate, l'altra non si propone,consapevole della propria superiorità, lo stesso risultato finale, permettendo così il mantenimento di quella carica nazionale e di quella capacità intellettuale insite in ogni popolo africano. Proseguendo ancora sul tema della "Negritudine", è opportuno ricordare un'affermazione particolarmente significativa di Soyinka:
"la Negritudine, successivamente, è diventata un tema fine a se stesso, ed i seguaci vi si sono adagia-ti senza dare spazio alla vera creatività artistica. Bisogna quindi lasciare tale retroterra, per dare una ritrovata immagine letteraria africana (1), Tuttavia, quando si parla di immagine letteraria afri-cana, bisogna sottolineare che il problema è molto complesso e riguarda lo stesso termine di "letteratura", proveniente dà "lettera",; intesa come segno scrittoC2). Infatti, l'unica tradizione culturale scritta africana è quella dei Suahili e degli Hausa, che si era sviluppata sotto la spinta islamica. Da sempre, l'arte letteraria africana e caratterizzata da una tradizione orale, e si manifesta quindi in forme diverse nel rispetto
(1), da "From a Common Back Cloth, di Wole Soyinka, in The American Scholar, voi. 32, giugno 1963,pag. 387-396, New York.
(2), da "Le solide radici yoruba di una cultura cosmo-polita" in II Mattino, 17.11.1986, di Toscano, M.
dei suoi modi di produzione e di fruizione, che sono molto più collettivi e diretti se paragonati alle tecniche della letteratura scritta, nota come letteratura d'elite, espressione del potere politico e religioso. E' pertanto l'avventura coloniale che diffonde la scrittura a caratteri latini e che fa sorgere letterature in lingua francese, inglese o locale. In conclusione, data la complessità della situazione culturale africana, e la varietà dei modelli e delle forme adottate, spontanee o imposte che siano, Soyinka ribadisce che gli scrittori africani devono operare contro la Negritudine. In tale ottica Soyinka volge la sua ironia verso i più comuni canoni estetici della critica occidentale, che si accosta alla produzione africana con un atteggiamento che egli definisce "tarzanismo" (1).
(1), da "From a Common Back Cloth, di Wole Soyinka, in The American Scholar, voi. 32, giugno 1963, pag. 387-396, New York.
Il nostro autore afferma infatti di non credere nella creazione artificiale di un'estetica, perché all'in-terno di ogni cultura è già inserita un'estetica le-gata all'organizzazione di quella stessa cultura e quindi inseparabile da essa.
I critici occidentali sono incapaci di esaminare le culture africane, perché sono portati ad analizzarle secondo schemi e somiglianze con le culture occidentali; in ogni modo, essi non debbono far perdere di vista la specificità africana, I nostri critici sono incapaci di giudicale un'originale opera africana, perché ragionano in base ad analogie. On romanzo, secondo loro, assomiglia a Kafka, a Joyce, o a Proust; in sostanza, essi vedono nella produzione letteraria africana un frutto derivato dal mondo europeo.
Tale critica giunge a definire "europei" gli scrittori africani, che si esprimono con vocaboli tipicamente occidentali, come aeroplano, bicicletta o treno; e giunge altresì a "consigliare" gli stessi africani di usare un linguaggio più propriamente indigeno, con equivalenti termini "folcloristici" ed "hollywoodiani" come "uccello di ferro", "cavallo d'acciaio" o "serpente fumante" (1). Si dimostra così la tendenza a giudicare un'opera non in "base ai contenuti, ma in "base all'uso dei termini linguistici, che invece sono considerati da Soyinka come semplice "involucro" struttura esterna in cui il contenuto viene forzato" (2).A proposito del contenuto e del suo significato più profondamente filosofico, Soyinka si rifà quella che egli chiama la "memoria muta", che è "più antica della memoria parlata ed ancor più della memoria"scritta" (3). Quest'ultima frase rivela, nello stesso tempo, la grandezza spirituale di Soyinka e della sua cultura.(1), da " Wole Soyinka: romanziere, poeta e drammaturgo nigeriano" di Vivan Itala in II Messaggero, 17.10.1986.
(2) da "Il mago della pioggia", di Vivan Itala,in _I1 Messaggero, 18.10.1986. (3), da "Tante Memorie", di Costantini C, in II Messaggero, 18.10
In contrapposisione alla superficialità della critica occidentale nei confronti dell'Africa, considerata ancora come "la foresta di Tarzan, di Jein e di Cita, all'ombra del Kilimangiaro!". Per concludere comunque la discussione su questo "basilare argomento, ritengo giusto e doveroso ascoltare le parole, dure ma chiarissime, dello stesso Soyinka: Negritude was a creation by and for a small a small élite.The search for a ratial identity was conducted by and for a minuscle minority of uprooted individuals, not merely in Paris "but in the metropolis of French colonies.At the same time through the real Afric among the real populace of the african world would have revealed that these millions had never at any time had cause to question the existence of their Negritude. La negritudine fu una creazione di una sparuta élite destinata alla stessa élite.La ricerca di un'identità razziale fu condotta da e per una minuscola minoranza di individui sradicati, non solo di Parigi, ma nelle metropoli delle colonie francesi.Allo stesso tempo,fra la vera popolazione del mondo africano si sarebbe rivelato che questi milioni di persone non avevano mai assolutamente avuto motivi di porre in discussione l'esistenza della propria negritudine.
Emanuela Scarponi
30-07-2021
Riforma dell’Onu e futuro del multilateralismo
in periodo post-covid
L'Organizzazione delle Nazioni Unite, in sigla ONU, abbreviata in Nazioni Unite, è un'organizzazione intergovernativa a carattere mondiale. Tra i suoi obiettivi principali vi sono il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, il perseguimento di una cooperazione internazionale e il favorire l'armonizzazione delle varie azioni compiute a questi scopi dai suoi membri. L'ONU è l'organizzazione intergovernativa più grande, più conosciuta, più rappresentata a livello internazionale e più potente al mondo. Ha sede sul territorio internazionale a New York, mentre altri uffici principali si trovano a Ginevra, Nairobi e Vienna.
Istituita dopo la Seconda Guerra Mondiale con l'obiettivo di prevenire futuri conflitti, ha sostituito l'inefficace Società delle Nazioni.
Il sistema delle Nazioni Unite comprende inoltre una moltitudine di agenzie specializzate, come il Gruppo della Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale della sanità, il Programma alimentare mondiale, l'UNESCO e l'UNICEF. Il direttore amministrativo delle Nazioni Unite è il segretario generale, attualmente è il politico e diplomatico portoghese António Guterres, che ha iniziato il suo mandato quinquennale il 1º gennaio 2017. L'organizzazione è finanziata da contributi volontari e valutati dei suoi Stati membri.
In occasione dell’apertura della 75esima Assemblea Generale del 29 Ottobre 2020, il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres ha dichiarato: “[…] Ci troviamo oggi di fronte a un passaggio fondamentale. Coloro che settantacinque anni fa fondarono le Nazioni Unite erano sopravvissuti a una pandemia, a una depressione globale, a un genocidio e a una guerra mondiale. Conoscevano bene il costo della discordia e il valore dell'unità. Perciò misero a punto una risposta visionaria, incarnata nella nostra Carta costitutiva, che mette al centro le persone. Stiamo vivendo oggi il nostro 1945. […] Il populismo e il nazionalismo hanno fallito. […] In un mondo interconnesso, è tempo di riconoscere un fatto: la solidarietà va nell'interesse di ciascuno di noi. Se non riusciremo a cogliere questa semplice verità, perderemo tutti […]”. E non è un caso se uno dei temi posti all’attenzione dell’Assemblea Generale quest’anno è “La Carta delle Nazioni Unite compie 75 anni: il multilateralismo in un mondo frammentato”.
Dal 1945 ad oggi la Carta costitutiva delle Nazioni Unite ha subìto poche riforme significative mentre nel mondo si sono verificati alcuni fatti assai importanti: negli anni Sessanta la decolonizzazione, quando di fatto il pianeta disegnato da Yalta finì di esistere, nel 1989 la caduta del muro di Berlino, nel 2004 un Trattato costitutivo dell’Unione europea che le attribuiva personalità giuridica, rendendo l’Europa un soggetto politico e non più l'obsoleto feticcio sopravvissuto a Yalta.
Non c’è soltanto il problema di una diversa ingegneria istituzionale all’interno delle Nazioni Unite, ma anche la necessità di restituire all’ONU credibilità.
Ritengo importante che si possa assicurare, proprio in questi anni post covid, un multilateralismo ragionevole. Solo il multilateralismo infatti potrà essere accettabile per tutte le regioni e per tutti i popoli. Vi sono molte motivazioni alla base di tale orientamento. Le Nazioni Unite rappresentano un forum decisivo del multilateralismo, ma ritengo che proprio le Nazioni Unite abbiano bisogno di essere ammodernate affinché, in relazione ai loro compiti e alla loro composizione, possano avere un maggiore grado di accettabilità.
Se vogliamo fare in modo che le Nazioni Unite tornino ad essere il punto di riferimento di un nuovo multilateralismo, questo non passa soltanto attraverso la nostra capacità di incidere sul loro assetto istituzionale. Di fatto il multilateralismo, che vorremmo vedere affidato alle Nazioni Unite, in questi anni è stato sconfitto nella prassi. Infatti molto dipende dai rapporti di forza economica dei Paesi membri.
Il problema è capire se noi come consesso politico internazionale, e anche l’Unione europea, vogliamo conferire questa funzione, questo recupero di multilateralismo, questa governance mondiale sulla pace e sui diritti dell’Uomo alle Nazioni Unite. In questo è importante il ruolo dell’Unione europea.
Ciò riguarda anche il processo decisionale dell'ONU che deve essere in grado di agire. Non serve, infatti, avere un'organizzazione internazionale senza un'adeguata capacità di agire.
Ebbene, dobbiamo fare in modo che in futuro sia possibile fare affidamento sulle decisioni dell'ONU proprio perché sappiamo che le sue posizioni possono essere realizzate. Ritengo che questo aspetto così come quello della riforma della composizione e delle procedure decisionali siano molto rilevanti.
Sullo sfondo c'è anche la dimensione politica unitaria dell’Unione Europea, che ha ripreso ad essere un punto di riferimento per gli Stati europei, proprio a causa della pandemia di covid 19 che ha richiesto una lotta unanime su scala umanitaria che potesse sconfiggere questo nemico invisibile in grado di annientare gran parte del genere umano.
Questa è la prima pandemia che ha colpito il pianeta Terra a livello globale. E la risposta deve essere globale. Non vi è scelta. Nessuno può restare indietro. Ebbene, l’Onu può di nuovo svolgere un ruolo super partes atto ad intervenire.
La pandemia covid 19 ha fatto tornare indietro la civiltà umana economicamente, socialmente e culturalmente, con ripercussioni forti sui continenti più poveri. L’Onu può tornare ad essere il soggetto che abbia un proprio ruolo sullo scenario internazionale.
Le Nazioni Unite hanno grande importanza per le loro Agenzie (l’UNICEF e le altre istituzioni hanno esercitato un ruolo importante. Si può condividere in tutto o in parte l’azione delle Nazioni Unite, ma hanno la loro importanza.
Tuttavia l'ONU non deve essere eurocentrico bensì modellarsi un po’ su quella che si va prospettando come la governance globale del mondo, cioè sulle organizzazioni regionali.
Allora la prima cosa da chiedere è: lo Statuto dell’ONU è adeguato quando stabilisce che membri dell’ONU sono solo gli Stati nazionali? È ancora adeguata questa idea di governance, oppure nello Statuto dell’ONU deve entrare non più l’idea geografica dei continenti, bensì l’idea insieme giuridica e geografica delle regioni multi statali del mondo?
Ovvio perciò che, parlando di governance globale, si finisca a parlare dell’ONU e delle sue agenzie specializzate.
Tornando per esempio al caso del Covid-19, le recenti critiche mosse da più parti all’Organizzazione mondiale della sanità (che, nel caso di Trump, hanno assunto le dimensioni di vere e proprie accuse di collusione con la Cina, e che hanno portato lo scorso luglio all’annuncio del ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione) sono state molteplici, soprattutto riguardo alla tempistica e ad una certa contraddittorietà dell'informazione.
Il successo sarebbe maggiore se pensassimo di assegnare potere alle regioni multi statali che, seppure non sviluppate nei loro rapporti come l’Unione Europea, tuttavia rappresentano istituzionalmente, giuridicamente e politicamente un superamento dello Stato nazionale. È necessario cominciare da questo elemento di base.
Il sistema di voto, il cosiddetto one-country-one-vote, certo non è in grado di annullare, o almeno di controbilanciare adeguatamente, il peso politico ed economico dei grandi blocchi geopolitici (Usa, Cina, Ue, Russia e gli altri cosiddetti BRICS), che possono esercitare pressioni sui budget per indirizzarne i programmi e gli obiettivi.
Si rileva quindi l’opportunità di allargare la rappresentanza ad aree regionali, quindi non soltanto all’Unione europea, non soltanto alle grandi aree geografiche, ma anche ad aree territorialmente omogenee che hanno la necessità di essere attori.
Accanto all’attenzione ai passaggi di ingegneria istituzionale nella riforma democratica e verso una maggiore rappresentatività delle Nazioni Unite, credo che il problema resti politico, resti un problema di volontà.
Dobbiamo dunque lavorare per un multilateralismo efficace perché nessun Paese, neppure la più grande superpotenza mondiale, può garantire l’ordine mondiale da solo ed essere “efficace” perché deve essere in grado di produrre decisioni che vengano rispettate, altrimenti è un multilateralismo impotente che diventa alibi dell’unilateralismo.
Infine c’è la grande questione del coordinamento delle politiche economiche e sociali: si parla di un Consiglio di sicurezza economico e sociale che sovrintenda e dia un indirizzo politico anche ad Agenzie multilaterali importanti, le quali non sempre, tuttavia, hanno avuto un ruolo di progresso, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale.
Bisogna essere capaci di agire a livello multilaterale, concordando le posizioni a livello delle Nazioni Unite e adottando soluzioni concrete e non soltanto ideali che all’atto pratico non consentono di agire. Dal punto di vista pratico, partecipazione o membership di organizzazioni regionali, e’ questione complicata sia dal punto di vista del diritto internazionale che da quello della prospettiva dell’importanza politica.
Le Nazioni Unite, però, hanno sempre trovato una soluzione per tener conto di una determinata situazione contingente.
Si ribadisce quindi la necessità di riformare l’Onu, anche rispetto al problema degli immigrati, come lo stesso Kofi Annan evidenziò rispetto alla questione delle guerre e pose a noi Europei problemi estremamente forti ed importanti sulle contraddizioni della nostra democrazia, legate, ad esempio, alla questione degli immigrati e così via.
Ritengo, quindi, sia estremamente importante continuare tale confronto per riuscire a costruire delle relazioni tra il Parlamento europeo e quelli nazionali, affinché si possa veramente fare delle Nazioni Unite e dei nostri Parlamenti istituzioni vive e democratiche e che possano davvero fornire risposte globali a problemi globali.
http://www.silkstreet.it/administrator/index.php?option=com_content&view=article&layout=edit&id=922#Emanuela Scarponi
27-07-2021
Johannesburg, città dimenticata
Situata sull'altopiano del Witwatersrand, è la più grande città del Sudafrica e la terza di tutta l'Africa per numero di abitanti (circa cinque milioni).
Johannesburg, il cui sviluppo va fatto risalire alla fine dell'Ottocento, è oggi considerata il centro finanziario del Paese. Dopo la scoperta della formazione aurifera più ricca del mondo, diventò principale centro sudafricano; nel 1892 venne costruita la ferrovia da Johannesburg a Città del Capo e questo diede ulteriore impulso all'arrivo di stranieri nelle miniere.
Arrivando nel centro di Johannesburg, di aspetto moderno e occidentale, ci scontriamo subito con le sue contraddizioni urbanistiche, frutto della sua storia molto complessa: grattacieli ultramoderni accanto a case poverissime, parchi favolosi che si alternano alle montagne di rifiuti estrattivi delle miniere d'oro; i pochi edifici di inizio secolo sono sovrastati da modernissime costruzione, rinnovate o ricostruite. Anche lo sviluppo urbanistico intorno al nucleo centrale, quello che ospita gli uffici direzionali ed amministrativi, porta i segni di due tappe storiche dello sviluppo: prima e dopo gli anni Cinquanta. Nella prima fase, infatti, nacquero gli eleganti quartieri residenziali dei bianchi come Houghton, Rosebank, Illovo, Parktown, Forrest Town e a nordest quelli più popolari come Hillbrow e Yeo ville. A ovest, invece, si concentrò la popolazione di colore. Gli anni successivi furono segnati da una razionale espansione urbanistica: al di là dei suburbs nacquero eleganti quartieri residenziali sul modello americano, come Sandton, Randburg, Bedfordview e Edenvaie, contraddistinti dalla funzionalità e dall'organizzazione degli spazi, con parcheggi e grandi shopping centre.
Il centro resta il polmone finanziario del Paese e si sviluppa intorno alle vecchie strade di fine Ottocento quali Market Street, Rissik Street ed Eloff Street.
Ed è qui, nell'area centrale, che si trovano interessanti esempi di architettura moderna. Dal cinquantesimo piano del Carlton Centre, in Commissioner Street, ad esempio, si apre uno scorcio su importanti palazzi, grattacieli, uffici, fontane e, scivolando con lo sguardo verso ovest, possiamo ammirare l'atmosfera di Hollard Street, il cuore finanziario della città, una via pedonale abbellita da alberi e fontane, dove si trovava un tempo la vecchia Borsa, oggi in Diagonal Street.
In fondo ad Eloff Street, presso la stazione ferroviaria costruita agli inizi del Novecento, fino a pochi anni fa la via dello shopping, c'è il Railway Museum, che ospita numerosissimi modellini di locomotive e raccoglie la storia delle ferrovie sudafricane. Uscendo dalla stazione, superata la cattedrale anglicana di St. Mary, costruita nel 1926 su progetto dell'architetto Herbert Baker, incontriamo il Joubert Park, il più centrale ed antico parco cittadino, al cui ingresso c'è la Johannesburg Art Gallery: l'edificio, di inizi Novecento, ospita collezioni di pittori dell'Ottocento e Novecento Inglesi, Francesi, Olandesi, fra cui Picasso e Van Gogh.
Dal centro, spostandoci verso Nord Ovest, altri quattro teatri, due gallerie d'arte, ristoranti, negozi, cui si aggiunge, il sabato, il mercato delle pulci.
Tutt'intorno al centro, si sono sviluppati i quartieri residenziali, molto diversi l'uno dall'altro per atmosfera, architettura e popolazione. Come Brammfontein, con il suo Bensusan of photography, dove abbiamo trovato macchine fotografiche e foto di fine secolo sulla Johannesburg delle origini e sulla guerra angloboera; Parktown, uno dei quartieri residenziali più belli, con giardini e ville del primo Novecento, fra cui Stonehouse, la splendida villa di Herben Baker; Hillbrow, il quartiere popoloso e cosmopolita della J.G. Strjidom Tower, alta m. 269; Yeoville il mitico punto di incontro di artisti ed intellettuali, ideale per lo shopping di giorno. E poi Saxonwold: qui si trova il vasto Hermann Eckstein Park con il Geological Garden, dove gli animali, anziché essere rinchiusi in gabbia, vivono liberi in spazi circondati da fossati.
Emanuela Scarponi