20-11-2019

                                                                                        Vinoforum
      I maggiori rappresentanti del panorama enologico d’Italia e del mondo si riuniscono a Roma per assaggi, esposizioni e nuove scoperte. La Francia, con le più importanti aziende dello champagne del Paese, la Germania, il Regno Unito e l’Austria, ma anche gli Stati Uniti e persino i Paesi Caraibici sono tra gli espositori tradizionali del Vinoforum a Roma.
     Il panorama delle etichette italiane sarà, ovviamente, molto più capillare: nomi da ogni Regione della penisola, ma anche produttori eccelsi di olio, liquori e distillati, insieme a operatori dell’import-export e ad alcune selezioni gastronomiche. L’aspetto più interessante dell’evento? Che con il biglietto d’ingresso si ha diritto a ben 10 degustazioni tra gli stand del villaggio. Ed inoltre, previa prenotazione, sarà possibile accedere a degustazioni guidate di whisky, vini speciali e oli.
Ogni sera alle ore 21 c’è la possibilità di gustare piatti di maestri pizzaioli e chef stellati abbinati durante le “Cene a 4 mani”: 3 o 4 portate arricchite da altrettanti vini, preparate da un pizzaiolo e da uno chef in collaborazione. Cosa volere di più? In alternativa, provate “Cucine a vista”, in cui chef di fama internazionale vi proporranno i loro migliori piatti in abbinamento a celebri champagne. E se volete cenare in allegria con musica di sottofondo, Vinoforum propone “The night dinner”.
Mentre visitiamo i vari padiglioni e cominciamo a degustare i vini del mondo tanto da annebbiarci la vista, c'imbattiamo inaspettatamente nel padiglione dei vini sudafricani.... mi sono venuti in mente subito i vigneti di Stellenbosch vicino a Città del Capo, che appaiono da lontano come infinite macchie verdi intervallate da viottoli verde scuro, sparse sulle colline attorno a Città del Capo, dove hanno messo radice molti Sudafricani bianchi e neri, dediti a coltivare le varie tipologie di uva, esistente nel vecchio continente. Stellenbosch è la regione più celebre del Sud Africa: possiede il maggior numero di produttori in termini di produzione qualitativa.
Rappresenta la zona per eccellenza dei rossi prodotti: da Shiraz, Cabernet Sauvignon, Cabernet franc e Pinotage, un incrocio tra Pinot nero e Cinsault, creato dalla Facoltà di Enologia della regione.
     Il clima di tipo mediterraneo favorisce la coltivazione della vite. Oggi la superficie vitata copre 102 mila ettari, con 66 cooperative, 484 cantine e 17 rivenditori. I vitigni più diffusi sono Chenin blanc e Colombard per i bianchi, e Cabernet Sauvignon e Shiraz per quelli a bacca rossa. Difatti il clima di quella area del Sudafrica è identico al nostro, che produce la cosiddetta “macchia mediterranea”, come quella che possiamo ammirare in piccolo presso la nostra spiaggia romana di Castelporziano, Parco naturale presidenziale, che quindi è riuscita a sopravvivere alle intemperie degli uomini.
    Oggi il Sud africa risulta essere grandissimo ed importantissimo produttore ed esportatore di vini pregiati in tutto il mondo.
Quindi, come Paese all'avanguardia tra tutti gli altri del continente africano, si presenta al Vinoforum di Roma ogni anno, a promuovere i suoi pregiati prodotti nel suo originale padiglione, caratterizzato sia dalla particolare scultura artigianale di donna africana stilizzata in costume tipico sudafricano sia dalla bandiera del Sud Africa che ancora conservo come souvenir.

Emanuela Scarponi


18-11-2019

                        La funzione dell'artista nell'Africa odierna: dalle parole di Wole Soyinka

    Lasciata la Nigeria nei primi mesi del '67, per recarsi in Europa, Wole Soyinka rivive attraverso il filtro dell'esule quei momenti drammatici, componendo alcune poesie, che saranno poi comprese nella sezione "October 1966" della raccolta Idanre and Other Poems (1967). Opere poetiche quali "Massacro", "Harvest of Hate", "Malediction" e "Civilian Soldier" riflettono nelle immagini di sangue e di morte, pur risolte all'interno di schemi mitici universalizzanti, l'inanità della lotta e l'atrofia della mente umana: I borrow seasons of an alien land in brotherhood of ill, pride of race around me, strewn in sunlit shards. borrow alien lands to stay the season of a mind.
    Nel febbraio dello stesso anno - il 1967 - Soyinka partecipa alla conferenza letteraria di Stoccolma; in questa sede egli esprime, sulla scia degli eventi che lo hanno visto direttamente coinvolto, il suo dissenso per la guerra e l'anarchia. Inoltre, in una lucidissima analisi condotta con spietata onestà, egli analizza il ruolo dello scrittore africano nel contesto di una realtà storica di disillusione:“The third stage, the stage at which we find ourselves is the stage of disillusionement, and it is this which promts an honest examination of what has been the failure of the African writer, as a writer. The African writer has done nothing to indicate that this awful collapse has taken place. For he has been generally without vision (…). Reality was ignored by the writer and resigned to the new visionary, the polititian. The African writer needs an urgent release from the fascination of the past. Of course the past exists now, this moment, it is co-existent in present awareness. It clarifies the present, and explains the future, "but it is not a flashpot for escapist indulgence, and it is vitally dependent on the sensibility that recalls it (...). The artist has always functioned in African society as the record of experience of his society and as the voice of vision in his own time. It is time for him to respond to this essence of himself.”. SOYINKA, Wole, "The writer in a Modem African State" in TRANSITION, 1° giugno 1967, Uppsala Scandinavian Institute of African Studies" 1968.
     “Lo scrittore africano non ha fatto nulla per rivendicare la propria esistenza, nulla per indicare che questo terribile crollo ha avuto luogo. Poiché generalmente egli é stato privo di visione (...). La realtà, la sempre presente realtà, è stata ignorata dallo scrittore e rimessa al nuovo visionario, all'uomo politico. Lo scrittore africano ha bisogno di un’urgente liberazione dal fascino del passato. Naturalmente il passato esiste ora, in questo momento, e la coscienza africana reale stabilisce che il passato esiste ora, ed è coesistente nella consapevolezza del presente. Esso chiarisce il presente e spiega il futuro, ma non è luogo per una facile evasione e dipende vitalmente dalla sensibilità di chi lo ricorda...). L'artista ha sempre svolto nella società africana il ruolo di colui che registra l'esperienza della sua società ed è la voce della visione in tempo reale. E' tempo che l'artista risponda a quella che è la sua stessa essenza”.
     In questo discorso, Soyinka manifesta tutta la sua disillusione e la sua critica verso quelle forme di pseudo-cultura nera che si rifanno, in modo acritico, ad un passato lontano ed il cui risultato, nostalgico ed accademico, è del tutto estraneo alle vicende attuali della storia africana.
Per Soyinka, infatti, la ricerca delle proprie radici culturali non significa un ritorno pedissequo all'antico, ma costituisce piuttosto un mezzo per interpretare il presente e soprattutto per interrogare il futuro. La rivalutazione delle tradizioni serve quindi a "chiarificare il presente ed a spiegare il futuro", rifacendosi al tema fondamentale della religione yoruba, dove si ritrova la convivenza contemporanea della condizione passata, presente e futura. Partendo da tale interpretazione della vita, Soyinka tenta di riscattare la posizione dell'artista, considerato non come "tecnico" dell'arte, ma come interprete e vate, profeta del suo mondo. Da notare, a vent'anni di distanza, l'attualità di questo discorso anche per la cultura occidentale, avviata ormai ad un mero revanscismo pervaso da una prodigiosa modernità, tecnologica, ma concettualmente povera e priva di qualsiasi valore universale.
Emanuela Scarponi


 25-10-2019

                                                                               INTERVISTA A ROBERTO ZANDA

 


SCARPONI. Buongiorno, Roberto. Sono venuta a sapere del tuo progetto di attraversare il deserto del Namib e, poiché ho scritto un libro sulla Namibia, da qui il mio interesse per il tuo progetto. Vorrei chiederti innanzitutto che cos'è per te lo sport.

ZANDA. Lo sport è vita, lo sport è salute, lo sport è aggregazione, lo sport è tante cose. Senza lo sport penso che uno non riesca ad assaporare bene il concetto di vita: lo sport per me è stato anche un riscatto verso la vita perché provengo da un quartiere povero di Cagliari, sono il settimo di nove figli e dunque ho vissuto la mia infanzia all'interno di un collegio e non con i miei genitori ma l'ho vissuta. Dunque per me è stato anche un riscatto appunto orientato verso quella che è stata la mancanza di una famiglia e tanto altro. Sarebbe lungo da spiegare, però lo sport per me è stato veramente un mezzo di aggregazione: vuol dire avere dei compagni, perché provengo anche dal Triathlon - sono anche presidente di una società di Triathlon Survival - e dunque vuol dire compagni vuol dire amicizie e tante altre cose; mentre quand'ero piccolo un po' ho sofferto questa mancanza di compagnia.

SCARPONI. Qual è l'esperienza più bella che hai provato nella tua vita facendo il corridore?

ZANDA. Se parli delle maratone di esperienze bellissime ne ho fatte tantissime, ma quella che ricordo meglio e che mi è dentro il cuore è il deserto del Niger, quando si poteva andare perché adesso è un po' pericoloso. Ricordo benissimo queste carovane di Tuareg, carovane composte da 50-60 cammelli che attraversavano il deserto per 600 km, per andare a prendere il sale e poi rivenderlo al mercato. Questa era una gara, un'ultramaratona, un non-stop di 600 km che ho fatto nel 2006.
Poi ricordo benissimo anche la notte in cui con i Tuareg facemmo il campo e io me ne stavo un po' lontano per motivi di sicurezza; però è stata un'esperienza bellissima e affascinante, a parte il deserto, incontrare questi famosi uomini dagli occhi blu.

SCARPONI. Hai attraversato altri deserti?

ZANDA. Sì, ho attraversato molti deserti. Ho attraversato il Marocco, l'Oman, l'Australia, l'Arizona, diciamo che ho toccato tutti e cinque i continenti. Ho attraversato il deserto dell'Iran; insomma li ho attraversati quasi tutti.


SCARPONI. Adesso quindi ti avvicinerai al deserto più antico del mondo.

ZANDA. Sì, mi avvicinerò al deserto della Namibia con una condizione fisica diversa ormai, come sai benissimo, avendo io due protesi al posto delle gambe e senza mani. Dunque sarà una grandissima esperienza per me, ma soprattutto anche per tutte le persone che hanno dei problemi come ce li ho io, ma che poi sono problemi che io non considero tali. Mi considero una persona abbastanza normale, però è forse la prima volta che una persona diversamente abile potrà fare una gara in autosufficienza alimentare di 250 km nel deserto forse più affascinante del mondo, che è quello della Namibia.
È sempre stato il mio sogno. Adesso mi si potrebbe dire che sono un pazzo, perché in queste condizioni fisiche sarebbe difficile farlo, ma ho fiducia nei miei mezzi, ho fiducia nella mia testa, ho fiducia nella tecnologia e penso senz'altro di riuscire a percorrere questo bellissimo deserto, anche con il supporto dell'organizzazione che mette a disposizione lo staff.

SCARPONI. E quale sarebbe questa organizzazione?

ZANDA. Racing the Planet. La trovate anche su internet.

SCARPONI. Da parte nostra intanto ti chiediamo di fare una foto con la nostra maglietta e poi speriamo di averti come nostro ospite d’onore nei primi giorni di settembre in occasione della presentazione del mio libro sulla Namibia alla presenza del Console di Namibia, che ha scritto un libro sull'Africa australe sulle tracce del suo avo Amundsen, l'esploratore dell’Artico. Hai scritto un libro sulla tua vita, parlamene.

ZANDA. Sì, il libro tratta la storia della mia vita dall'infanzia fino alla “tragedia” ormai famosa. Sono ancora vivo e dunque contentissimo e soddisfatto di aver portato a casa la pelle, come si suol dire, perché anche vivere in queste condizioni è bellissimo.

SCARPONI. Che cosa hai provato in quella giornata in cui ti sei perso nei ghiacci a 50° sotto zero?

ZANDA. Ho provato delle emozioni fortissime e difficili da spiegare ad una persona. E’ stata un'esperienza, non dico neanche traumatica, lì ho toccato con mano la morte perché l'ho vissuta e mi è stata compagna per tutta la notte e per tutta la giornata successiva sino alle 15 perché nelle condizioni in cui ero, scalzo e senza guanti, sapevo benissimo che se avessi avuto fortuna avrei perso gambe e piedi; altrimenti avrei perso proprio la vita, come dicono i medici che dicevano che al mio posto - nove su dieci - sarebbero morti. Forse tutto quello che mi sono portato sin dall'infanzia, la mia preparazione mentale e fisica mi hanno portato ad uscire da questo dramma.

SCARPONI. Che cosa pensi di trovare nel deserto del Namib oltre ad incontrare i bushmen invece?

ZANDA. Intanto voglio trovare molta serenità, quella che mi dà il deserto e molta pace. È sempre una scoperta all'interno di me stesso. Poi io amo i silenzi e dunque per me sarà un'esperienza che mi riporterà ai sogni che ho sempre desiderato, perché lì sognerò tantissimo, avrò tanto tempo per sognare e soprattutto per ritornare un po' indietro e ripercorrere la mia vita sin dall'infanzia. Sarà un bel viaggiare!

SCARPONI. Quale è il percorso?

ZANDA. Quello ancora devo deciderlo insieme all'organizzazione. Ancora non ho visionato bene le carte. Ho fatto solo la prescrizione e dunque adesso comincerò ad informarmi bene su quelli che sono i percorsi e poi, al limite, ti farò sapere bene qual sarà il percorso.

SCARPONI. Io sono stata fino alla prima oasi del deserto del Namib ed è stato meraviglioso perché c'era un silenzio incredibile e camminare all'alba tra la sabbia è bellissimo, si sente il proprio respiro ovattato all'interno di un mondo sconosciuto e silenzioso.

ZANDA. È quello che cercherò di riprovare, perché l'ho provato in quasi tutti i deserti.

SCARPONI. Il deserto del Namib è unico al mondo perché le sue dune arrivano sino al mare.

ZANDA. Sì, è vero! Sono sempre stato affascinato da quel deserto e purtroppo per questioni di sponsorizzazione non l'ho potuto fare e questa volta, anche in termini di sponsor che mi ci porteranno per questa gara, sarà veramente emozionante.
Cercherò di tenermi sempre in contatto con te anche per avere qualche info sul deserto.

SCARPONI. Molto volentieri. Se potremo, cercheremo pure di essere presenti in qualche modo, perché abbiamo parecchi corrispondenti in Namibia. Se posso vengo anch'io perché il deserto del Namib è meraviglioso. Esso ospita i Boscimani che probabilmente costituiscono la popolazione più antica del mondo, anche se non lo si può dire con certezza. Se hai fortuna li incontrerai: mi piacerebbe sapere quali emozioni proverai, perché io sono rimasta positivamente colpita e per poco non svenivo dall'emozione.

ZANDA. Ti invidio perché l'hai già provata e mi auguro di provarla anch'io.

SCARPONI. Ho faticato già ad arrivare sulle prime dune.

ZANDA. Pensa un po' che io ci dovrò arrivare con due protesi al posto delle gambe, con delle ghette che mi proteggeranno le protesi che sono di alta tecnologia per la sabbia; però intanto mi allenerò qui in Sardegna sulle dune più alte d'Europa nella zona di Piscinas. Dunque mi allenerò lì dove veramente tasterò le mie nuove protesi, che lo sponsor mi offrirà.

SCARPONI. Queste protesi quindi funzionano molto bene sulla sabbia morbida?

ZANDA. Sì, funzionano bene! Io, con queste protesi, che ho da circa due mesi e mezzo (forse sono io che sono un miracolo, sono testardo e avevo voglia di rimettermi in gioco) mi trovo benissimo, cammino benissimo e non appena i monconi saranno definitivi cambierò l'invaso e potrò anche correre. queste protesi hanno una specie di calzettone e silicone che le tiene ferme al quadricipite.

SCARPONI. Quando pensi di poter fare quest'esperienza nuova nel deserto del Namib?

ZANDA. In aprile prossimo e dunque non ho molto tempo per prepararmi. Adesso sto cominciando a camminare, perché è importante che riprenda il funzionamento delle articolazioni e soprattutto del quadricipite, dei glutei e di altri muscoli che mi servono per la corsa. Mi sto allenando qui alla spiaggia del Poetto; sto facendo anche un po' di allenamento sulla sabbia; sto percorrendo circa 10 km al giorno. Quando avrò un'autonomia di circa 40 km giornalieri vorrà dire che sarò pronto per la Namibia.

SCARPONI. Sai che il deserto del Namib cambia continuamente aspetto perché il vento trasporta i granelli di sabbia?

ZANDA. Non lo sapevo questo, ma mi affascina quello che mi stai dicendo.

SCARPONI. Cambia anche colore da un momento all'altro.
Ho realizzato un documentario che ti manderò non appena sarà pronto con immagini del deserto del Namib in cui si può persino sentire il vento del deserto. Ne ho realizzato un altro sui Boscimani e sulle meravigliose popolazioni locali. Le Himba sono bellissime! Speriamo di averti a settembre all'Isola Tiberina con il tuo libro.

ZANDA. Speriamo di fare questa bellissima sorpresa. La mia è una vita molto intensa, non è un libricino da quattro pagine, perché ho tante di quelle esperienze di vita che veramente il giornalista che mi ha seguito è affascinato da tutto quello che gli ho raccontato della mia storia.

SCARPONI. Sei un eroe oltretutto, oltre che un grande sportivo.

ZANDA. Eroe no! Sono una persona normale che una notte ha dovuto combattere contro la morte per sopravvivere e penso che altre persone l'avrebbero fatto. Tra l'altro sono sardo e i sardi sono molto cocciuti. Rappresento un popolo, la mia Nazione e dunque quella notte ho pensato tanto anche agli amici che erano qui in Sardegna che mi seguivano in continuazione. C'è stato un momento in cui mi stavo lasciando andare e poi c'è stato uno scatto, non so cosa mi sia scattato in testa, ma anche scalzo mi sono alzato e ho cominciato a girare tutta la notte per restare possibilmente vivo. Non ci speravo perché neanche ci pensavo; pensavo solo a muovermi perché ero un po' fuori di testa, però l'indomani ho realizzato che forse sarebbe stato bello vivere, che poi è quello che è successo, e nonostante mi manchino i piedi e le mani sono contentissimo di essere vivo e felicissimo. Mi godo la vita giorno per giorno ed è un insegnamento che voglio dare a tutti e che sto dando qui in Sardegna a tutte le persone che giornalmente mi fermano e vedendo me si rincuorano. Magari qualcuno ha dei problemi e qualcuno è riuscito anche a risolverli, seguendo la mia storia.

SCARPONI. Penso che la tua vita sia un esempio di grande uomo italiano che non si ferma mai di fronte a nessun ostacolo.

ZANDA. Non lo so, però vedo che tante persone veramente mi hanno mandato migliaia di messaggi. Alcune persone mi hanno raccontato di aver risolto i loro problemi seguendo la mia storia e prendendo ad esempio quello che ho fatto io per sopravvivere. Dunque questo mi riempie di gioia e quando sento queste persone dico tra me che ne è valsa la pena combattere la notte ed essere vivo in questo momento.

SCARPONI. Sei stato, oltre che coraggioso, veramente anche forte di carattere e non ti sei lasciato andare mai, neanche nei momenti più difficili e per questo sei un eroe.

ZANDA. Ho sempre combattuto.

SCARPONI. Poi conoscerai Petter Johannesen, che è il Console onorario di Namibia e che è il nipote di Amundsen, un esploratore anche lui. Purtroppo la sua vita è finita sull'Artico.

ZANDA. Sì, conosco la storia! Sarà veramente una bella esperienza.

SCARPONI. Ti ritroverai tra persone che amano oltrepassare i limiti.

ZANDA. Ci sono anche persone che tutto sommato stanno lì a criticare l'operato di noi atleti, perché alcuni dicono “Ma chi te l'ha fatto fare, forse era meglio che ti fermassi” e così via del genere. Ci sono tanti alpinisti che sono morti cercando di arrivare in cima; tanti atleti, paracadutisti che conosco e che sono morti portando avanti la loro idea dello sport, il loro piacere di fare sport a modo loro. E questo è il mio approccio verso le maratone e verso il Canada, esperienze del freddo. È un approccio che ho sempre desiderato avere. È andata come è andata, però in tutto questo il freddo mi ha, sì, sconfitto ma in parte ho vinto anche il freddo, restando vivo.

SCARPONI. Riceverai il mio libro che domani ti spedisco insieme alla maglietta, perché l'indirizzo tuo me l'ha dato Giovanna.

ZANDA. Mia moglie, sì!

SCARPONI. Sì. Nel mio libro alla fine troverai una frase che riguarda gli uomini in generale e dice che proprio, anche nel mio piccolo, scrivo per arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima. I miei libri terminano sempre con questa stessa frase, che è esattamente quello che spinge ognuno ad arrivare ad un ulteriore supplemento di conoscenza della vita.

ZANDA. Va bene, aspetterò il tuo libro e sono veramente curioso di leggerlo.

SCARPONI. Ci manda la foto con la tua maglietta?

ZANDA. È il minimo che possa fare. Lo faremo senz'altro dalla Spiaggia del Poetto e sarà molto bello farla.

SCARPONI. Grazie e ci sentiamo presto.

ZANDA. Un abbraccio. Ciao!

Emanuela Scarponi

 

15-11-2019

                                                                                  Recensione di “Corpi, numeri, distanze” di Gaia Spera
"Corpi, numeri e distanze" di Gaia Spera nasce come testo teatrale ed è fonte di ispirazione dell'opera "Il qui e l'oltre" già messa in scena al Teatro Trastevere di Roma nell’ambito della Rassegna EXIT e promossa da Fed.It.Art, con la drammaturgia e regia di Emilio Genazzini ed interpretato da Francesca Tranfo.
I personaggi principali sono Bashaar, giovane africano che lascia il suo villaggio e morirà in mare; sua madre, il tenente che tenta il salvataggio in mare, Ashia,sua sorella, che racconterà la realtà dei centri di accoglienza in Italia e Coscienza, che è la stessa Gaia che si fa personaggio; il tutto intervallato da alcune ninna nanne africane di grande splendore, tramandante oralmente da padre in figlio, riprese dalla cosiddetta tradizione orale africana, e da alcune poesie dell'autrice.
Il tema trattato è la tragedia che si consuma ormai quasi quotidianamente nelle acque del Mar Mediterraneo tra la sponda africana e quella europea che fanno da palcoscenico del teatro umano.
I corpi sono quelli dei poveri migranti, i numeri quelli dei cadaveri annegati nel mare nel primo naufragio avvenuto nella notte del 3 ottobre 2013 cui il testo si ispira, come spiega la stessa autrice in una intervista; le distanze sono quelle che ci dividono dall'Africa: le chete acque del Mare Nostrum conosciuto sin dall'antichità divengono nel mezzo della rappresentazione teatrale della vita umana, letto di morte, per una moltitudine inesatta di esseri umani che provano ad attraversarle su mezzi di fortuna, nella speranza di una vita migliore.
In questo nostro piccolo grande Mare si rispecchiano le due facce opposte dell'Uomo che Gaia vuole far incontrare: sulla sponda europea vive l'uomo ricco, bianco, occidentale, che trascorre il tempo a scurirsi la pelle sotto i raggi del sole ed a lasciare il superfluo, frutto del consumismo, sulle splendide spiagge delle coste della Sicilia, delle isole greche, di Malta e Cipro, culla dell'uomo sin dall'era paleolitica e culla delle civiltà mediterranee, oggi ultimo avamposto occidentale.
Sulla sponda africana del Mare Nostrum vive l'uomo povero, nero, africano, intento a pensare alla sola sopravvivenza, mentre si protegge dai raggi cocenti del sole africano, coprendosi il capo ed il corpo, indossando scarpe da ginnastica impolverate ai piedi quando è fortunato, dimenticate da qualche turista, per proteggersi dalla sabbia del deserto che avanza...
Ma la globalizzazione arriva pure nella polvere della sabbia: internet mostra il mondo occidentale come fosse un miraggio del deserto e gli africani sognando ad occhi aperti partono, inconsapevoli di quanto accadrà loro...
Gaia Spera, dal nome estremamente significativo, si spinge nel cuore della tragedia umana e lo fa suo, immedesimandosi nei vari personaggi, recitandone le parti, esprimendone i sentimenti, la disperazione e la sua sensibilità si fa, di quando in quando, poesia; dalla Sicilia Gaia cavalca le onde del mare a ritroso e viaggia verso l'Africa nella speranza di incontrare vivi i suoi fratelli, nella speranza di salvarli, davvero, questa volta, per sempre dal mare in burrasca, da morte certa.
Ignari di ciò che potrà loro succedere, infatti, giovani uomini e donne in attesa di bambini abbandonano i loro luoghi di nascita, spesso dilaniati dalle guerre oltre che dalla fame e dalla sete, si avventurano disperati su barconi fatiscenti, inconsapevoli di cosa sia il mare, nella speranza di approdare finalmente in terre sicure e ricche. Ma i pochi fortunati che riescono ad approdare dall'altra parte trovano i centri di accoglienza gremiti, dove sono costretti a vivere in attesa di tornare indietro perché non c'è posto per loro in Europa.
Ormai tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo dal Medio-Oriente all'Africa sono interessati a questo fenomeno migratorio, ormai un esodo biblico di persone che fuggono oltre che dalla fame e dalla sete, anche dalle guerre di religione.
I focolai delle guerre sono sempre più numerosi; gli incidenti si stanno moltiplicando e, giorno dopo giorno, il fenomeno del terrorismo è sempre più vicino alle nostre case. Prima ci rendiamo conto di quanto sta accadendo, prima riusciremo a porre rimedio a questo genocidio, tendendo la mano ai nostri fratelli più poveri e derelitti - dice Gaia - tendendo loro la mano sulle acque del mare....

Emanuela Scarponi

 

22-10-2019

                                                                                                Il Festival della diplomazia

     Oggi 22 Ottobre, nell’ambito della 10° edizione del “Festival della diplomazia”, organizzato dalla “Rubbettino Editore”, si è svolto l’incontro intitolato “Scriviamo di Cina: incontro con gli autori”.
       In particolare, nella cornice della Sala Italia presso la sede dell’ “UNAR” (Unione Associazioni Regionali di Roma e del Lazio) e promossa dall’“Associazione dei Piemontesi a Roma” in via Aldrovandi, sono intervenuti Antonio Malaschini e Marco Lupis, autori rispettivamente dei volumi “Come si governa la Cina – Le istituzioni della Repubblica Popolare Cinese” ed “I cannibali di Mao – La nuova Cina alla conquista del mondo”.
Moderati dal noto economista e sinologo Romeo Orlandi, vice presidente di “Osservatorio Asia”, gli autori hanno dato vita ad un incontro che ha permesso di approfondire da punti di vista assai diversi l’attualità cinese nelle sue dinamiche politiche, economiche e culturali.Se infatti da una parte Malaschini ha privilegiato attraverso il suo lavoro un approccio alla conoscenza della cultura cinese basato prioritariamente sugli aspetti “strutturali” del sistema organizzativo politico cinese, Lupis ha invece percorso la direzione della conoscenza “on the road” (“sulla strada” come dallo stesso sottolineato).
       D’altra parte Malaschini ha mantenuto un approccio degno di una conoscenza assai approfondita della materia “tecnica” organizzativa, economica e giuridica, maturata sin dalla formazione culturale e dalla pluridecennale attività, ai più alti livelli, presso le nostre istituzioni, mentre Marco Lupis ha tenuto l’approccio giornalistico che lo caratterizza da sempre nella sua attività di corrispondente ed inviato speciale per conto delle più importanti testate giornalistiche italiane.
       Di certo colpisce la conoscenza dettagliata dei sistemi istituzionale e partitico cinesi descritti nel testo da Malaschini, che analizza non solo l’evoluzione storica recente della Cina moderna (dalla generazione di Mao a quella di Xi, passando per Deng, Jiang Zemin ed Hu Jintau), ma anche e soprattutto l’attuale funzionamento del potere reale che controlla ogni aspetto della vita cinese. Un’analisi dei parallelismi e delle connessioni tra la struttura del partito comunista e quella dell’Istituzione, nell’ottica di una sovrapposizione che consente la gestione diretta dell’economia, della finanza, della cultura, dello sviluppo e comunque di ogni aspetto organizzativo del paese da parte del Comitato centrale.
      Una organizzazione fortemente verticistica oggi impersonata da Xi che, attraverso la selezione dei gruppi dirigenti (certamente caratterizzati dalla assoluta ortodossia al pensiero dominante, ma anche da specifiche competenze) e l’azione di gruppi ristretti di guida e dipartimenti organizzativi con speciali poteri, controlla i risultati soprattutto economici e ne guida lo sviluppo. Il tutto, come sottolineato dall’autore, nell’ottica di un pensiero che affonda le proprie radici nel confucianesimo e che si contrappone indiscutibilmente alle origini occidentali basate sulla “democrazia” greca classica. In altre parole, una logica che vede prevalere gli interessi del gruppo d’appartenenza rispetto a quelli individuali e che predilige i risultati (“output”) rispetto ai processi.
     L’autore non dà conclusioni in merito ad un eventuale modello da confrontare; si sofferma solo sul termine “autoritarismo”, che certamente continua a contraddistinguere la Cina oggi, pur nella consapevolezza di un’evoluzione che sta permettendo a milioni di persone di affrancarsi dalla loro condizione di povertà assoluta. Ed ancora non affronta il problema del futuro della Cina che, secondo le previsioni di molti, dovrà certamente fare i conti con i diritti politici, civili, economici e sociali. Forse nel solco dell’antica tradizione.
     Concludendo, un lavoro di notevole spessore che, impostato su solide basi “tecniche” che evidenziano l’estrema competenza specifica dell’autore, si pone sempre all’interno di una linea di pensiero culturale, storica e filosofica, che permette di descrivere lo sviluppo cinese secondo un’analisi complessivamente ampia ed un taglio certamente “colto”.
Del tutto capovolto l’approccio di Lupis che, attraverso l’esperienza diretta vissuta per anni in Cina (ma anche in molte altre parti del mondo), cita evidenze narrate da un tipico giornalismo di cronaca riferito ai cambiamenti ravvisati dal 1975 ad oggi ed ai confronti con la cultura cristiana.
Lupis si sofferma sul problema di un’espansione militare violenta, che non ritiene però tipica della cultura cinese, caratterizzata invece da metodi espansivi soprattutto economici ispirati da “calma e pazienza”. Con il metodo del “prenditi tempo e nascondi la tua forza” la Cina è infatti già penetrata commercialmente in Africa e si appresta a consolidare la propria economia in Europa attraverso la nuova “via della seta”.
    Nella parte finale dell’incontro, il moderatore ha introdotto la questione chiave oggi forse più dibattuta, ovvero se nel modello cinese, emerso tra la fine del modello socialista reale e la grave crisi che attanaglia il capitalismo liberista, è possibile individuare una “terza via” che garantisca uno sviluppo economico ed una ricchezza sociale diffusa, pur nella limitazione delle libertà e dei diritti individuali e ed in generale della partecipazione democratica.
Gli autori, pur nel ritenere impossibile nelle condizioni attuali, per l’occidente, condividere uno sviluppo sulla base del modello cinese (nessun occidentale rinuncerebbe ai diritti acquisiti grazie all’adozione dei principi tradizionalmente democratici), modello di cui peraltro si cominciano ad evidenziare incrinature sempre più evidenti, hanno comunque convenuto sull’innegabilità dei risultati economici raggiunti conseguenza dell’efficienza dei metodi organizzativi adottati in Cina.
Rimandando i lettori a prossimi convegni, ricordo che la “Silk Street press” (di APN publisher-UNAR) ha patrocinato l'evento.
Emanuela Scarponi


11-11-2019

                                                                           Terre d’Oriente: Kathmandu 25 aprile 20215
               Terre d’Oriente, Kathmandu, frutto d’immagini scelte, vogliono essere un tributo a Subash, la nostra guida nepalese, rimasta miracolosamente incolume con la sua famiglia e suo figlio, al terremoto di Kathmandu del 25 aprile 2015, in cui hanno perso la vita più di 8.000 persone; alla città di Kathmandu, che resta un mito per tutti noi viaggiatori; ai musicisti ed ai danzatori nepalesi che ci hanno accompagnato durante il viaggio con manifestazioni artistiche sacrali, in un vertiginoso carosello di feste tradizionali medievali, che celebrano rituali e danze in maschera per esorcizzare i demoni del male; infine ai miei coraggiosi compagni di viaggio, con i quali ho condiviso questi unici ed indimenticabili momenti; al nostro capogruppo.
        L'obiettivo di questo articolo è di rivisitare la mia esperienza in queste Terre d'Oriente, cercando di meditare sugli insegnamenti di Subash ed Agit, le nostre guide locali, cogliendo il significato più profondo delle filosofie induiste e buddhiste, evidenziando le sensazioni provate “strada facendo” e meditandoci su, nella consapevolezza che "pochi sono gli attimi decisivi ed importanti nell'arco di una vita".
          Il mio viaggio a Kathmandu tra questi, indelebile nella mia memoria, dimostra che il destino guida la nostra esistenza, indipendentemente dalla nostra volontà: "La vita scorre come l'acqua del torrente verso il suo destino e noi uomini non possiamo fare altro che assecondarlo, pur consapevoli dei pericoli che s’intravedono all'orizzonte, delle difficoltà delle strade insinuose, strette e buie, intraprese a volte in modo inspiegabile.
          Tramite queste parole proverò a far rivivere la mia medesima esperienza di viaggio e di vita ripercorrendo secondo flash e déjàvu il percorso, traslato dalle immagini che di quel mondo surreale e di quella mia vita errante, ho scelto di conservare e che porterò per sempre vivo nel mio cuore ora che non c'è più.
         Il tragitto del viaggio prevede la risalita del fiume Gange e dei suoi affluenti fino a raggiungere le sue sorgenti in Nepal, situate sulle cime della catena montuosa più imponente della Terra, l'Himalaya, che conta la più alta vetta del mondo, l'Everest di 8.000 metri.
        Pochi realizzano infatti che le sorgenti del Gange nascono dallo scioglimento dei ghiacciai eterni dell'Himalaya: uno scintillante blocco bianco azzurro, a 3900 metri sull'Himalaya scende tumultuoso tra burroni e picchi e le acque fredde e gelide si gettano impetuose nella antica Valle di Katmandu, ai piedi delle sottostanti montagne, e formano il fiume sacro Bagmati che bagna la mitica città-Stato, campo base di tutte le spedizioni alpinistiche. Ci troviamo nella terra delle leggende e della scienza (lo Yeti), della religione e meditazione (Induismo e Buddhismo), della natura e dell'uomo che si mescolano in un unico afflato, secondo una visione globale dell'esistenza umana; laddove gli uomini lasciano traccia, issando una bandierina sulle vette più alte mai raggiunte, intraprendono un viaggio per affrontare le più difficili sfide che la natura pone loro davanti come ultimo traguardo oltre l'impossibile…
         Le antiche filosofie buddhiste ed induiste sono sopravvissute al disastroso terremoto dell'aprile 2015, che ha raso al suolo l'antica città-Stato di Kathmandu. Con esse, sono sopravvissuti i monaci che continuano a pregare nei monasteri isolati sulle montagne, di cui si narrano misteriose e mitiche leggende in ogni angolo del nostro Pianeta Terra.
Ancora oggi la meditazione viene praticata come modo di vita: s'incontrano lungo il cammino uomini piccoli e magri con le mani giunte, le gambe incrociate e gli occhi chiusi in posizione yoga, a meditare immobili sotto l'albero sacro della Bhodi, antico fico sacro. Con la sola forza del pensiero - spiega il Buddhismo - i monaci in meditazione si distaccherebbero dal corpo, fuoriuscendone e viaggiando per il cosmo in un'altra dimensione, priva di barriere temporali o spaziali, confondendosi in un unicum pluridimensionale e perdendo cognizione della realtà circostante. 
       Emanuela Scarponi

 

 07-10-2019

               La primavera di Belgrado

        La penisola balcanica è un punto nevralgico e strategico d’Europa. Incontro di
civiltà europea ed ottomana, è sempre stata luogo di guerre e scontri per la conquista
una volta degli uni ed una volta degli altri nei secoli.
      La ex Iugoslavia ne ricomponeva il quadro geografico e politico, fino alla sua
disgregazione avvenuta a seguito della morte di Tito, da tutti ricordato con grande
stima ed affetto. La disgregazione della ex Jugoslavia ha condotto alla formazione di
6 Paesi oggi indipendenti: la Slovenia, la Croazia, la Bosnia Erzegovina, la Serbia, la
Macedonia, il Montenegro, mentre il Kossovo è ancora oggi territorio conteso.
La Serbia si sta riaprendo al turismo internazionale da pochissimo tempo.
     E così non ho voluto mancare a questa bellissima e sorprendente occasione -
prospettatami nella prima settimana di settembre, alle porte del nostro autunno - di
conoscere, o meglio, riconoscere un territorio non frequentato dal turismo italiano.
Nella nuova mappa geopolitica la Serbia, un tempo regione geografica e parte
della Jugoslavia, è infatti oggi un Paese europeo situato nel Sud-Est della penisola
balcanica, caratterizzato a Nord da altipiani e a Sud da montagne e località sciistiche.
Nella capitale Belgrado si trovano numerosi edifici di epoca comunista e il parco
Kalemegdan. Qui sorge la fortezza di Belgrado, usata prima dall'Impero romano, poi
da quello bizantino e infine da quello ottomano. La città vecchia, chiamata Stari
Grad, ospita non solo diversi palazzi del XIX secolo, ma anche il teatro nazionale
Narodno Pozorište, dove è possibile assistere a opere e balletti.
Stupisce parlare di Serbia in questo modo: nel nostro immaginario collettivo
non risalgono a tanto tempo le notizie di guerra che attanagliavano la vecchia
Jugoslavia ed i bombardamenti della NATO sulla città di Belgrado.
Ma c’è una nuova Belgrado.
     È tornata la primavera dopo circa 20 anni e le nuove generazioni oggi
passeggiano indisturbate per i suoi viali alberati, mentre sognano e progettano un
prospero futuro per il loro Paese. La città di Belgrado è stata quasi interamente
ricostruita anche se conserva qua e là ferite di guerra, testimonianza di
bombardamenti pesanti sulla città.
Ma le nuove generazioni sembrano non accorgersene più. C'è un grande entusiasmo:

promuovono ed investono in turismo, cultura, arte, religione.
     La primavera di Belgrado si sente nell'aria: felici di incontrare turisti italiani, gli amici serbi

vedono il nostro Paese come una meta di buona vita, conoscono le
nostre canzoni e ne condividono le parole, lungo il
percorso di viaggio, imitando i cantanti che hanno debuttato a San Remo,
trasmissione che possono seguire direttamente in tv grazie ad un accordo stipulato con l'Italia,
Mitteleuropea, paragonabile alla attuale vita berlinese, viennese, di Budapest, con
lunghi viali alberati dove i giovani prendono il caffè seduti ai tavolini posizionati
nella grande zona pedonale e sui larghissimi marciapiedi sparsi fino alla piazza
principale di Belgrado, dove si attardano fino a notte ad ammirare gli spettacoli di
giochi di luci e colori che illuminano i palazzi tutt'attorno. Chiacchierano tra loro
mentre rivolgono uno sguardo divertito a quanti di noi proiettano le
sagome sulle luci dei palazzi…
      I Serbi mantengono vive le loro tradizioni musicali, pittoriche e culinarie
mentre seguono una vita moderna. Si visita il museo di Nikola Tesla, famoso per
aver inventato la corrente elettrica alternata, il teatro Opera Madlenianum ed il museo dell'arte contemporanea.
E così a circa 20 anni di distanza dai tumulti, la Serbia riparte.
Godersi la Serbia è il massimo che si possa prospettare ad un turista: suite accoglienti,

eleganti, dotate di tutti i confort possibili ed "inimmaginabili" rendono la permanenza in questo Paese

estremamente confortevole, senza alcun ombra di dubbio dove si coniugano tradizioni culinarie serbe

con quelle dei Paesi vicini.
    Nel percorso di viaggio lungo il Danubio, si possono ammirare i meravigliosi e
numerosi cigni bianchi che vi abitano da tempi immemorabili.
Visitiamo la casa che ha ospitato il più grande scienziato dei nostri tempi Albert
Einstein, all'epoca sposato con Milena Maric, fisica serba, nella cittadina Novi Sad
lungo il Danubio. Vengono i brividi dall'emozione...forse là tra le pareti di quella
casa, mentre aspettavano la nascita dei loro figli, Albert Einstein e sua moglie
studiavano la teoria della relatività... ponendo le basi di quella che oggi è la ultima
frontiera scientifica... la scoperta dei buchi neri, dove la luce viene inghiottita dal
buio più profondo, dove le linee dello spazio e del tempo (passato e futuro) si
confondono...assottigliandosi sempre più...
Durante la cena, ascoltiamo ottima musica, di giorno incontriamo cormorani lungo il fiume Drina

mentre ci si addentra nel Parco naturale

Tara, sulle cui montagne si possono ammirare gli orsi bruni. Il fiume Drina segna il confine naturale

tra Serbia e Bosnia.
La crociera è splendida: si effettua nel silenzio armonioso del fiume tra le
montagne ricoperte di alberi sempreverdi: sembra di volare sospesi a mezz'aria
insieme agli uccelli acquatici che si divertono a saltellare sulla superficie delle acque
chete del fiume, sfiorandole: esse ospitano pesci di piccole dimensioni che i
cormorani si accingono ad acchiappare mettendo d'improvviso il becco in acqua...per
poi scappare vibrando nell'aria, creando le onde che raggiungono la riva del fiume...
Lungo il fiume Drina si giunge al confine con la Bosnia Erzegovina dove
vivono in maggior parte popolazioni di religione musulmana, ma vi sono ancora oggi
monasteri cristiani ortodossi.
Entrare in Bosnia è sicuramente emozionante: a testimonianza di quanto ci
viene spiegato, ci attende la visita di un monastero Cristiano ortodosso posizionato
proprio sul confine lungo il fiume Drina, vicino ad un monumento ai caduti in guerra
dell’una e dell’altra parte. I monaci parlano in bosniaco. Infatti si
considerano bosniaci cristiani ortodossi.
Oltrepassato nuovamente il confine, raggiungiamo la stazione di Mokra Gora.
Non capita tutti i giorni, viaggiando a bordo di un treno, di provare le stesse
emozioni che regala il treno di Šargan. Un breve tratto della antica ferrovia che un
tempo collegava Belgrado a Sarajevo, quindi la Serbia alla Bosnia-Erzegovina, è oggi
riservato ai turisti, per un autentico ritorno al passato. Inaugurato nel 1925, fu
dismesso nel 1974 perché considerato obsoleto e poco economico. Soltanto nel 2000,
l’intero impianto è stato rinnovato e rimesso in funzione per dar luogo all’attrazione
turistica così come la vediamo oggi.
Dalla stazione di Mokra Gora a Šargan-Vitasi il percorso è della durata di
circa due ore, e vi si accede acquistando presso la
caratteristica stazione ferroviaria di Mokra Gora il biglietto che permette di salire a
bordo del treno Nostalgija o più comunemente Ćira (nome con il quale i Serbi
indicano il treno di Šargan.
Lungo il percorso si ammirano bellissimi villaggi in legno, in perfetto stato di
conservazione ed in perfetta sintonia temporale con l'antico treno che - a dir la verità -
fa fare un balzo indietro nel tempo e tale da immaginare le dame dell'800 vestite in
abiti dell'epoca mentre guardano dal finestrino il panorama circostante e si dirigono
verso la loro destinazione lontana.
Negli hotel come del resto in tutta la Serbia la serata in musica è cosa
scontata: nelle splendide sale abbellite, per servire la cena agli ospiti, le donne si
dilettano ballando. A ben vedere la cultura turca si fa sentire nelle danze... Infatti
l’influenza dell'Impero ottomano è rimasta, testimoniata non solo dalla presenza
delle moschee visibili...al di là del fiume ... che sicuramente fanno un certo effetto in
mezzo all’Europa...si sente anche nel cibo e nei dolci tipici della Turchia e del Nord
Africa, nel caffè turco, versato nei tipici bicchierini dorati turchi. I riti e le movenze
tipici della danza del ventre si risentono nei balli attuali, con cui tutte le donne serbe -
alte e chiare di carnagione - si muovono...E così noi italiane cerchiamo di imitarle
ripetendo i loro movimenti sensuali e cercando di farli nostri...
La loro passione e la grande accoglienza ci commuovono nel profondo. Tanto
calore e tanto affetto riempiono la nostra esperienza di viaggio in esperienza di vita,
di amicizia, di scambio. Ancora una volta il viaggio si fa sacro, creativo; la conoscenza uno

strumento di approfondimento e di legame profondo tra persone di diverse nazionalità.

Emanuela Scarponi