20-06-2021


                                                                                                                     Egitto on air
                                                                                          L’Inverno arabo a dieci anni dalle primavere arabe

     Non ci sono solo luci in Africa, ma anche ombre. Le transizioni nei Paesi del Nord Africa sono irte di ostacoli e dense di incognite. Esiste anche il rischio che le proteste di piazza siano strumentalizzate da forze regressive che perseguono la destabilizzazione. Che ne è del vento che animò le piazze di Tunisia, Egitto, Libia e tanti altri Paesi dell'area? Le tensioni nel Nord Africa si ripercuotono sui Paesi del Sahel, come il Mali, che ha già subito i contraccolpi della guerra civile libica. Preoccupa la fascia di instabilità che si estende dall’Atlantico al Mar Rosso.
In un territorio a noi molto vicino, la Tunisia, il 17 dicembre 2010 un ambulante tunisino si dette fuoco per protestare contro i soprusi delle autorità. Quelle fiamme accesero le proteste che partendo dalla Tunisia percorsero anche l'Egitto, la Libia, la Siria, l'Iraq, lo Yemen, il Bahrein… Il mondo battezzò quelle proteste “Primavere arabe”.
     La goccia che fece traboccare il vaso fu la salita dei prezzi dei generi alimentari che finì con il generare uno spirito di affermazione delle libertà contro l’oppressione dei regimi totalitari al governo da oltre trent’anni.
Seguì senza sosta la rivolta in Egitto. Il 12 febbraio Mubarak si dimise ed il potere restò in mano militare, con il tripudio della folla. Continuò il governo del Vice Presidente Suleiman. Il Consiglio Supremo impose il rispetto di tutti gli accordi internazionali e sciolse le Camere.  Tuttora, Tunisia ed Egitto sono accumunati da un medesimo fattore, due Stati poveri, oppressi da regimi pluridecennali, autoritari con l’aggravante di una forte densità demografica e da presenze fondamentaliste ben piantate che convivono con i cristiani copti dal 451 d.C.
      Si era ipotizzato che la rivoluzione in Egitto dovesse svolgersi in modo quasi pacifico ed al contrario delle previsioni ha visto forze inarrestabili contro il passato regime che, ha contato numerosissime vittime. Sono emerse delle richieste a sostegno dei diritti umani, la fine dell’autoritarismo, la cessazione dei comportamenti polizieschi e del sistema corrotto e clientelare. L’unione di nuovi aneliti di libertà e diritto ad una pacifica esistenza induce e fa riflettere sull’avvenire democratico dei popoli arabi. La convivenza di cristiani copti e musulmani nel medesimo Paese è fonte di tensione sociale e politica che di certo non fa bene alla stabilità del Paese.Le rivolte a schiera investono, come un evento disastroso, tutta la parte meridionale ed orientale del Mediterraneo.
In Egitto il colpo di Stato militare avviene poco dopo le dimissioni di Mubarack: il ministro della difesa del suo successore, generale Abdel Fattah al-Sisi, si fa confermare al potere nelle elezioni presidenziali del maggio 2014. Il suo mandato verrà rinnovato con un nuovo voto plebiscitario del 2018.
Velocemente il nuovo raìs corre verso la restaurazione di un potere in cui l’Egitto verrà governato da una sola classe di governo, quella dei militari. Il ritorno al passato è compiuto. Partita nel 2011, già con l’elezione di Sisi nel 2014 la rivoluzione è stata cancellata.      Tutto il resto è consolidamento del nuovo/vecchio regime.
      E’ fortemente criticata la politica del regime di al-Sīsī, a causa della frequente brutalità con la quale le forze dell'ordine reprimono le manifestazioni di dissenso provenienti soprattutto da parte dei Fratelli Musulmani, dichiarati fuorilegge dopo il colpo di Stato del 2013 e da allora fatti oggetto di arresti arbitrari, torture e condanne a morte di massa irrogate da una magistratura spesso ligia ai voleri presidenziali e che, con il pretesto della lotta al terrorismo "fondamentalista", non evita di avviare all'occorrenza pesanti azioni giudiziarie contro i più attivi critici del modo di operare del governo.
In questo quadro di grave tensione politica e religiosa, Giulio Regeni viene rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di Piazza Tahrir, e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
     Dopo tutti questi anni di reticenza, si è tenuta in questi giorni la prima udienza preliminare sul caso dell’omicidio di Giulio Regeni, che ha visto coinvolti i 5 agenti appartenenti ai servizi segreti egiziani accusati del sequestro, della tortura e dell’uccisione del giovane ricercatore italiano, trovato senza vita il 3 febbraio 2016 sul ciglio della statale che dal Cairo porta ad Alessandria.
Il 25 maggio 2021 è arrivato il rinvio a giudizio per gli 007 egiziani, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate per l’omicidio di Giulio Regeni. Il processo è stato fissato per il prossimo 14 ottobre davanti alla Corte d’Assise di Roma. (La Stampa 25 maggio 2021).
I venti di primavera sono ormai un ricordo quasi del tutto dimenticato e la stabilizzazione dei Paesi del Nord Africa è andata morendo in questi dieci anni passati reprimendo di volta in volta i giovani rivoltosi, di idee e nazionalità diverse.
Emanuela Scarponi