07-12-2019

                          Il limes africano della Roma antica e la cultura afro-romana rinvenibile nel Museo del Bardo

        Il predominio di Roma su quella che fu denominata «Africa proconsolare» si risolse, almeno agli inizi, in uno sforzo di contenimento militare delle pressioni provenienti dalla Numidia. Lo sviluppo economico dell'Africa romana divenne florido specialmente sotto gli imperatori Flavi e Severi, con la produzione di grano (attorno a Dougga e Ammaedara) e di olio (nei pressi di Hadrumetum), che favorirono la nascita di numerose città, porti e mercati. La stessa Cartagine divenne un porto tanto importante da trasformare la città nel secondo centro urbano dell'impero. Siamo nel corso del III sec. d. C.
      Si sviluppò allora una corrente artistica «afro-romana» - come ho scoperto nel corso del mio viaggio in Tunisia, visitando dapprima il Museo del Bardo di Tunisi, la cui collezione più importante è costituita da un'enorme quantità di mosaici romani del II-IV secolo, tutti di eccezionale fattura e conservazione, che di fatto sono il simbolo del museo stesso. A Tunisi è possibile visitare inoltre le Terme imperiali di Antonino che costituivano uno stabilimento balneare dove gli Afro-Romani coltivavano il gusto della pulizia fisica, dello sport salutare e degli scambi culturali. Tale cultura si affermò in particolare nelle composizioni decorative e nei mosaici che possiamo rinvenire ancora oggi nella maggior parte dei siti archeologici dei Paesi del Nord Africa. In questi luoghi si possono ancora ammirare i resti delle ville romane, adornate da bellissimi mosaici, ben conservati, in mezzo al deserto sabbioso fino al Grande Erg...
       Mano a mano che l'Africa cresceva in opulenza, i suoi predoni si moltiplicavano. E poiché i Berberi e gli altri abitanti dell'interno erano naturalmente attirati dalle città costruite nei deserti dai colonizzatori, fu necessario mandarvi guarnigioni sempre più numerose: ricalcando e allargando una pista punica e prolungandola gradualmente a Ovest fino a Tangeri (Tingi) e a Sud fino a Rabat, gli ingegneri romani gettarono dall'Atlantico al Nilo una strada costiera ininterrotta, lunga 2800 miglia o 4.480 chilometri; a Sud del limes africano c'era il deserto del Sahara, impenetrabile per il suo clima.
In lingua egizia si usava il termine “Desher” per identificare il deserto e analogamente si usava la parola “Desheret” per identificare il colore rosso, a rappresentare l'inospitalità del luogo; di qui il nome deserto.
In questo senso il deserto è stato sempre un ostacolo grande da superare, sin dall'epoca degli Antichi Romani, che non ritennero importante penetrarlo, considerandolo la fine del mondo. La più occidentale delle metropoli del Nord Africa era Volubilis, una città punico-romana - da me visitata - attualmente ricadente nell'odierno Marocco che continuò a svilupparsi nei secoli raggiungendo il suo apogeo sotto i Severi. Tra le altre si annovera Caesarea, oggi un povero villaggio di pescatori a cento miglia all'incirca a Ovest di Algeri.             Mi limito ad annoverare le città esistenti lungo il limes africano:Tingis,Tamouda,AquaeDacicae,Volubilis,Banasa,Tocolsida,Sufasar,Auzia,Zuccabar,CastraNova,Mina,Albulae,Regiae,Tasacora,Mascula,Theveste,Bogha,rHiberna,Tingurtia,Tagremaret,Altava,Pomaria,NumersSyrorum,Tucca,BullaRegia,Cirta,Sicca,Admedara,Sufes,Mactaris,Tipasa,Cuicul,Zoui,Lambaesis,Thelepte,Capsa,Gemellae,Thiges,Tabalati, Thalalati, Mesphe, Cidamus, Carthago, Acholla, HippoRegius, Caesarea, Saldae, Rusadir, Leptis Magna, Oea, Hadrumetum. Esse sono le metropoli allora fiorenti in Nord Africa e di cui ancora oggi è possibile visitare le rovine. Ciò dimostra la grande fioritura della cultura afro-romana, le cui tracce invero vanno via via perdendosi, lasciando al loro posto un pregiudizio stolto e pericoloso sulle genti d'Africa.
     Il limes africano dell'Impero romano si estese per i 4.000 chilometri dall'Oceano Atlantico al Mar Rosso e consistette in una strada militare romana affiancata da fortezze legionarie, forti e fortini, burgi, di cui oggi sono numerosi i resti antichi rinvenuti in varie località; tra questi nell'odierno Marocco è visibile l'avamposto militare romano posizionato più a Sud prima del deserto del Sahara, all'epoca Provincia della Mauretania. Si annoverano i fronti delle Mauretanie, della Fossa Regia, della Numidia, dell'Aurès, di Tripolitanus, della Cirenaica e quello egiziano, che è posizionato ad oltre 1000 chilometri a Sud del Cairo ed il suo percorso da qui fino all' Oceano Atlantico non era per nulla rettilineo.
     Il limes in questione era, a sua volta, composto da numerosi sub-settori, che partivano dalle province occidentali fino a quelle orientali, vedi la fossa regia, visitabile nella attuale Tunisia, risalente al 146 a.C.
     La fossa Regia fu il primo tratto di limes africanus. Rappresentò per almeno un quarantennio il confine meridionale della Provincia romana d'Africa, con fini più che altro amministrativi, piuttosto che militari. Essa fu costruita, al momento della dell'annessione di Scipione Emiliano (nel 146 a.C.), con un semplice fossato. Il limes Mauretania Caesariensis creato dall'imperatore Claudio nell'anno 42 con l'annessione della Provincia romana di Mauretania; il limes della Numidia creato al termine delle guerre giugurtine nel 105 a.C. con l'annessione dei territori della Numidia orientale a quelli della Provincia romana d'Africa.
    Il limes dell'Aures (o fossatum Africae come definito da Jean Baradez), a Sud dell'omonimo massiccio montuoso, si trovava tra quello poco sopra citato di Numidia ed il successivo Tripolitanus; il limes Tripolitanus della omonima regione si estendeva a Sud delle due Sirti; seguono il limes della Cirenaica, creato a partire dall'epoca repubblicana nel 74 a. C. , quando la regione fu annessa. Più tardi (nel 27 a.C.) essa fece parte insieme a Creta di un'unica Provincia; infine, il limes egiziano creato dall'imperatore Augusto nel 30 a.C.. con l'annessione della Provincia romana d'Egitto. Desta scalpore il silenzio di codeste testimonianze storiche ed artistiche, risalenti all'antica cultura afro-romana, le cui radici sono nella nostra stessa città e, a maggior ragione, debbono far parte del nostro retaggio culturale.
Emanuela Scarponi


02-12-2019


                                                                                                  CARTAGINE INCONTRA ROMA

           L'Africa deve tornare a crescere: queste le parole di Gilbert F. Houngbo, presidente dell'Ifad, che cita Scipione l'Africano e Cartago: si apre così il primo capitolo di un nuovo libro tutto da scrivere tra Italia ed Africa, in occasione dell'incontro istituzionale che si è tenuto per il secondo anno presso la Farnesina. Di grande rilevanza storico-politica, questo incontro segna le linee-guida del neonato Governo italiano in continuità in realtà con il recente passato, pur con problematiche nuove e diverse da affrontare.
            L’Africa è in continua evoluzione e le movimentazioni dei migranti ne sono la diretta conseguenza. Quindi il problema si deve affrontare superando le differenze culturali e cavalcando a ritroso le onde del Mare Mediterraneo per disegnare assieme ai Paesi che in particolare si affacciano sul Mar Mediterraneo i processi politici, culturali e di promozione allo sviluppo in corso, che vedono il nostro Paese attore di primo piano, soprattutto per la sua posizione geografica e geopolitica.
Nel corso degli interventi si è ovviamente affrontato il problema del traffico illecito di esseri umani che si consuma nel Mare Nostrum, e che avviene contro ogni rispetto per gli inviolabili diritti dell’uomo. Ed è là che bisogna intervenire per combattere questa piaga. Le modalità sono tutte da decidere ma dalla condivisione dei problemi - auspicata dal presidente del Consiglio, Conte, che lo ha ribadito più volte - si giungerà ad una soluzione. Sulle orme quindi della I conferenza Italia-Africa salutata da Mario Giro, la tradizione prosegue.
         Si riportano i fatti ed i passi avanti che l'Italia sta facendo in Africa e con l'Africa. A tal fine, e per amore di verità, la conferenza è stata trasmessa in diretta radiofonica.
        Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha aperto i lavori di questa seconda "Conferenza ministeriale Italia-Africa" che vede riuniti a Roma le delegazioni (oltre 50) di Paesi africani, i vertici dell'Unione Africana e i rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali. Egli ribadisce che i lavori di questa Conferenza si svilupperanno, dunque, nel segno della continuità del nostro impegno, intensificatosi in misura significativa in questi anni.
Seguono gli interventi del ministro degli affari esteri, Enzo Moavero Milanesi, il quale ribadisce l'importanza di cooperazione tra Italia e Africa, in linea con la politica estera italiana in Africa del Governo precedente. Sono presenti 46 Paesi africani ed anche i Capi africani parlano dell’opportunità di garantire un rapporto istituzionale tra Italia ed Africa al fine di promuovere lo sviluppo culturale, economico ed industriale grazie alla cooperazione allo sviluppo, anche per risolvere il problema della immigrazione clandestina.
Il ministro Moavero invece si propone di dare ampio spazio alla economia italiana nel continente, mettendo a disposizione le forze imprenditoriali e scientifiche del nostro Paese e dell'Europa. Parla anche dell'elemento culturale, come strumento indispensabile per parlare al cuore delle persone. La ricchezza culturale del continente africano è tale che la si può condividere con la ricchezza culturale italiana. Il suo auspicio è pertanto quello di conoscersi meglio. L'intervento di Emanuela Del Re, viceministro, deputato agli affari esteri e alla cooperazione della Repubblica italiana, ha espresso l'opportunità di "creare un rapporto di amicizia" tra i popoli italiano e africano, ricordando i molteplici scrittori africani quale tra gli altri il Premio Nobel Wole Soyinka e lo scrittore Chinua Achebe che hanno fatto grande l'Africa; per parlare poi dei Paesi che hanno raggiunto la libertà e l'indipendenza dal 1960 ad oggi.
        Si parla del Sud Africa e la fine dell'apartheid e l'avvento di Nelson Mandela a Presidente, ricordato più volte, di cui quest’anno si festeggia il centenario della nascita; parla ancora della Namibia che ha raggiunto la sua indipendenza dal Sud Africa nel 1990, con il grande Sam Nuyoma, dando così fine all'apartheid proprio in quegli anni. Ricorda infine il progetto Erasmus da effettuare in Italia per gli studenti africani, progetto da concretizzare entro il 2020.

di Emanuela Scarponi


18-11-2019

                        La funzione dell'artista nell'Africa odierna: dalle parole di Wole Soyinka

    Lasciata la Nigeria nei primi mesi del '67, per recarsi in Europa, Wole Soyinka rivive attraverso il filtro dell'esule quei momenti drammatici, componendo alcune poesie, che saranno poi comprese nella sezione "October 1966" della raccolta Idanre and Other Poems (1967). Opere poetiche quali "Massacro", "Harvest of Hate", "Malediction" e "Civilian Soldier" riflettono nelle immagini di sangue e di morte, pur risolte all'interno di schemi mitici universalizzanti, l'inanità della lotta e l'atrofia della mente umana: I borrow seasons of an alien land in brotherhood of ill, pride of race around me, strewn in sunlit shards. borrow alien lands to stay the season of a mind.
    Nel febbraio dello stesso anno - il 1967 - Soyinka partecipa alla conferenza letteraria di Stoccolma; in questa sede egli esprime, sulla scia degli eventi che lo hanno visto direttamente coinvolto, il suo dissenso per la guerra e l'anarchia. Inoltre, in una lucidissima analisi condotta con spietata onestà, egli analizza il ruolo dello scrittore africano nel contesto di una realtà storica di disillusione:“The third stage, the stage at which we find ourselves is the stage of disillusionement, and it is this which promts an honest examination of what has been the failure of the African writer, as a writer. The African writer has done nothing to indicate that this awful collapse has taken place. For he has been generally without vision (…). Reality was ignored by the writer and resigned to the new visionary, the polititian. The African writer needs an urgent release from the fascination of the past. Of course the past exists now, this moment, it is co-existent in present awareness. It clarifies the present, and explains the future, "but it is not a flashpot for escapist indulgence, and it is vitally dependent on the sensibility that recalls it (...). The artist has always functioned in African society as the record of experience of his society and as the voice of vision in his own time. It is time for him to respond to this essence of himself.”. SOYINKA, Wole, "The writer in a Modem African State" in TRANSITION, 1° giugno 1967, Uppsala Scandinavian Institute of African Studies" 1968.
     “Lo scrittore africano non ha fatto nulla per rivendicare la propria esistenza, nulla per indicare che questo terribile crollo ha avuto luogo. Poiché generalmente egli é stato privo di visione (...). La realtà, la sempre presente realtà, è stata ignorata dallo scrittore e rimessa al nuovo visionario, all'uomo politico. Lo scrittore africano ha bisogno di un’urgente liberazione dal fascino del passato. Naturalmente il passato esiste ora, in questo momento, e la coscienza africana reale stabilisce che il passato esiste ora, ed è coesistente nella consapevolezza del presente. Esso chiarisce il presente e spiega il futuro, ma non è luogo per una facile evasione e dipende vitalmente dalla sensibilità di chi lo ricorda...). L'artista ha sempre svolto nella società africana il ruolo di colui che registra l'esperienza della sua società ed è la voce della visione in tempo reale. E' tempo che l'artista risponda a quella che è la sua stessa essenza”.
     In questo discorso, Soyinka manifesta tutta la sua disillusione e la sua critica verso quelle forme di pseudo-cultura nera che si rifanno, in modo acritico, ad un passato lontano ed il cui risultato, nostalgico ed accademico, è del tutto estraneo alle vicende attuali della storia africana.
Per Soyinka, infatti, la ricerca delle proprie radici culturali non significa un ritorno pedissequo all'antico, ma costituisce piuttosto un mezzo per interpretare il presente e soprattutto per interrogare il futuro. La rivalutazione delle tradizioni serve quindi a "chiarificare il presente ed a spiegare il futuro", rifacendosi al tema fondamentale della religione yoruba, dove si ritrova la convivenza contemporanea della condizione passata, presente e futura. Partendo da tale interpretazione della vita, Soyinka tenta di riscattare la posizione dell'artista, considerato non come "tecnico" dell'arte, ma come interprete e vate, profeta del suo mondo. Da notare, a vent'anni di distanza, l'attualità di questo discorso anche per la cultura occidentale, avviata ormai ad un mero revanscismo pervaso da una prodigiosa modernità, tecnologica, ma concettualmente povera e priva di qualsiasi valore universale.
Emanuela Scarponi

21-11-2019

                                                         Rassegna “cinema e libri” e l'Isola Tiberina


     L’Art Culture Festival Cinema&Libri, ideato da Giovanni Fabiano (editore) e Maria Castaldo (scrittrice e attrice), si inserisce nel quadro artistico dell'Isola del cinema, il cui direttore artistico è Giorgio Ginori. L’evento si svolge a Roma ogni estate da 25 anni nella location d’eccezione dell’Isola Tiberina nell'ambito dell'Estate Romana, celebre manifestazione culturale organizzata dal Comune di Roma in diversi luoghi monumentali della capitale a partire dal 1977, sotto la guida dell'architetto Renato Nicolini, all'epoca assessore alla cultura, fino ad oggi.
      Quasi a ricordare “l'isola che non c'è” di Edoardo Bennato, l'Isola Tiberina diviene punto di incontro di varie forme d'arte: visiva innanzitutto, ma anche letteraria e fotografica. Situata al centro della città, l'isola del fiume Tevere è raggiungibile a piedi dal Lungo Tevere alberato.
      Tra i progetti dell’ACF Cinema&Libri segnaliamo “Ce la siamo cercata”, rassegna dedicata al mondo femminile, curata da Maria Castaldo, e “Fuori dal buio, la mafia non è luce” una serie di incontri per discutere su quanto male fanno al nostro paese le mafie.
Nell’edizione autunnale, dell’ACF Cinema&Libri, che si svolge nel teatro del Trionfo di Cartoceto in provincia di Pesaro e Urbino, l’ospite d'onore è stata Maria Badalamenti, divenuta scrittrice pubblicando il libro: Sono nata Badalamenti. A presentarla due personaggi di spicco del mondo del giornalismo, Paolo Di Giannantonio del TG1 e Giommaria Monti, autore della trasmissione Carta Bianca su Rai3 e del libro Falcone e Borsellino: 10 anni di solitudine che raccoglie testimonianze importanti (tra le quali quelle di Ajala, la sorella di Falcone e la moglie di Borsellino) e un CD con le musiche del maestro Stefano Fonzi e brani letti da Luca Ward e Fabiana Sera. La prefazione del libro è a cura del giornalista Franco di Mare.
      L’ACF Cinema&Libri ha l’obiettivo di coniugare la letteratura con il mondo cinematografico. All’Isola si incontrano libri, cinema e foto.
     In questa occasione viene presentata la mostra multimediale“Kathmandu, la valle incantata”, di Maria Paola Santopinto, costituita da un réportage che interpreta, attraverso il resoconto di viaggio, le caratteristiche dei popoli e delle civiltà incontrate, e proiettato il documentario proiettato sull'austera Isola Tiberina, che dà una visione completa di questo Paese e dei costumi. È un modo diverso di interpretare il senso della conoscenza museale. Una mostra multimediale permette infatti di percepire maggiormente varie sfaccettature di una realtà, utilizzando tipologie diverse non solo tramite le parole scritte, ma anche con film e fotografie.
Il suono della campana tibetana chiude la serata, quasi a ripetere le tecniche di meditazione degli antichi popoli nepalesi e tibetani, che oggi vengono utilizzate in Occidente e si ispirano invero alle tradizioni ed alle culture buddhiste praticate quotidianamente da 2.000 anni, da queste persone, in modo molto semplice e naturale.

Emanuela Scarponi

 

15-11-2019

                                                                                  Recensione di “Corpi, numeri, distanze” di Gaia Spera
"Corpi, numeri e distanze" di Gaia Spera nasce come testo teatrale ed è fonte di ispirazione dell'opera "Il qui e l'oltre" già messa in scena al Teatro Trastevere di Roma nell’ambito della Rassegna EXIT e promossa da Fed.It.Art, con la drammaturgia e regia di Emilio Genazzini ed interpretato da Francesca Tranfo.
I personaggi principali sono Bashaar, giovane africano che lascia il suo villaggio e morirà in mare; sua madre, il tenente che tenta il salvataggio in mare, Ashia,sua sorella, che racconterà la realtà dei centri di accoglienza in Italia e Coscienza, che è la stessa Gaia che si fa personaggio; il tutto intervallato da alcune ninna nanne africane di grande splendore, tramandante oralmente da padre in figlio, riprese dalla cosiddetta tradizione orale africana, e da alcune poesie dell'autrice.
Il tema trattato è la tragedia che si consuma ormai quasi quotidianamente nelle acque del Mar Mediterraneo tra la sponda africana e quella europea che fanno da palcoscenico del teatro umano.
I corpi sono quelli dei poveri migranti, i numeri quelli dei cadaveri annegati nel mare nel primo naufragio avvenuto nella notte del 3 ottobre 2013 cui il testo si ispira, come spiega la stessa autrice in una intervista; le distanze sono quelle che ci dividono dall'Africa: le chete acque del Mare Nostrum conosciuto sin dall'antichità divengono nel mezzo della rappresentazione teatrale della vita umana, letto di morte, per una moltitudine inesatta di esseri umani che provano ad attraversarle su mezzi di fortuna, nella speranza di una vita migliore.
In questo nostro piccolo grande Mare si rispecchiano le due facce opposte dell'Uomo che Gaia vuole far incontrare: sulla sponda europea vive l'uomo ricco, bianco, occidentale, che trascorre il tempo a scurirsi la pelle sotto i raggi del sole ed a lasciare il superfluo, frutto del consumismo, sulle splendide spiagge delle coste della Sicilia, delle isole greche, di Malta e Cipro, culla dell'uomo sin dall'era paleolitica e culla delle civiltà mediterranee, oggi ultimo avamposto occidentale.
Sulla sponda africana del Mare Nostrum vive l'uomo povero, nero, africano, intento a pensare alla sola sopravvivenza, mentre si protegge dai raggi cocenti del sole africano, coprendosi il capo ed il corpo, indossando scarpe da ginnastica impolverate ai piedi quando è fortunato, dimenticate da qualche turista, per proteggersi dalla sabbia del deserto che avanza...
Ma la globalizzazione arriva pure nella polvere della sabbia: internet mostra il mondo occidentale come fosse un miraggio del deserto e gli africani sognando ad occhi aperti partono, inconsapevoli di quanto accadrà loro...
Gaia Spera, dal nome estremamente significativo, si spinge nel cuore della tragedia umana e lo fa suo, immedesimandosi nei vari personaggi, recitandone le parti, esprimendone i sentimenti, la disperazione e la sua sensibilità si fa, di quando in quando, poesia; dalla Sicilia Gaia cavalca le onde del mare a ritroso e viaggia verso l'Africa nella speranza di incontrare vivi i suoi fratelli, nella speranza di salvarli, davvero, questa volta, per sempre dal mare in burrasca, da morte certa.
Ignari di ciò che potrà loro succedere, infatti, giovani uomini e donne in attesa di bambini abbandonano i loro luoghi di nascita, spesso dilaniati dalle guerre oltre che dalla fame e dalla sete, si avventurano disperati su barconi fatiscenti, inconsapevoli di cosa sia il mare, nella speranza di approdare finalmente in terre sicure e ricche. Ma i pochi fortunati che riescono ad approdare dall'altra parte trovano i centri di accoglienza gremiti, dove sono costretti a vivere in attesa di tornare indietro perché non c'è posto per loro in Europa.
Ormai tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo dal Medio-Oriente all'Africa sono interessati a questo fenomeno migratorio, ormai un esodo biblico di persone che fuggono oltre che dalla fame e dalla sete, anche dalle guerre di religione.
I focolai delle guerre sono sempre più numerosi; gli incidenti si stanno moltiplicando e, giorno dopo giorno, il fenomeno del terrorismo è sempre più vicino alle nostre case. Prima ci rendiamo conto di quanto sta accadendo, prima riusciremo a porre rimedio a questo genocidio, tendendo la mano ai nostri fratelli più poveri e derelitti - dice Gaia - tendendo loro la mano sulle acque del mare....

Emanuela Scarponi

 

  20-11-2019

                                                                                        Vinoforum
      I maggiori rappresentanti del panorama enologico d’Italia e del mondo si riuniscono a Roma per assaggi, esposizioni e nuove scoperte. La Francia, con le più importanti aziende dello champagne del Paese, la Germania, il Regno Unito e l’Austria, ma anche gli Stati Uniti e persino i Paesi Caraibici sono tra gli espositori tradizionali del Vinoforum a Roma.
     Il panorama delle etichette italiane sarà, ovviamente, molto più capillare: nomi da ogni Regione della penisola, ma anche produttori eccelsi di olio, liquori e distillati, insieme a operatori dell’import-export e ad alcune selezioni gastronomiche. L’aspetto più interessante dell’evento? Che con il biglietto d’ingresso si ha diritto a ben 10 degustazioni tra gli stand del villaggio. Ed inoltre, previa prenotazione, sarà possibile accedere a degustazioni guidate di whisky, vini speciali e oli.
Ogni sera alle ore 21 c’è la possibilità di gustare piatti di maestri pizzaioli e chef stellati abbinati durante le “Cene a 4 mani”: 3 o 4 portate arricchite da altrettanti vini, preparate da un pizzaiolo e da uno chef in collaborazione. Cosa volere di più? In alternativa, provate “Cucine a vista”, in cui chef di fama internazionale vi proporranno i loro migliori piatti in abbinamento a celebri champagne. E se volete cenare in allegria con musica di sottofondo, Vinoforum propone “The night dinner”.
Mentre visitiamo i vari padiglioni e cominciamo a degustare i vini del mondo tanto da annebbiarci la vista, c'imbattiamo inaspettatamente nel padiglione dei vini sudafricani.... mi sono venuti in mente subito i vigneti di Stellenbosch vicino a Città del Capo, che appaiono da lontano come infinite macchie verdi intervallate da viottoli verde scuro, sparse sulle colline attorno a Città del Capo, dove hanno messo radice molti Sudafricani bianchi e neri, dediti a coltivare le varie tipologie di uva, esistente nel vecchio continente. Stellenbosch è la regione più celebre del Sud Africa: possiede il maggior numero di produttori in termini di produzione qualitativa.
Rappresenta la zona per eccellenza dei rossi prodotti: da Shiraz, Cabernet Sauvignon, Cabernet franc e Pinotage, un incrocio tra Pinot nero e Cinsault, creato dalla Facoltà di Enologia della regione.
     Il clima di tipo mediterraneo favorisce la coltivazione della vite. Oggi la superficie vitata copre 102 mila ettari, con 66 cooperative, 484 cantine e 17 rivenditori. I vitigni più diffusi sono Chenin blanc e Colombard per i bianchi, e Cabernet Sauvignon e Shiraz per quelli a bacca rossa. Difatti il clima di quella area del Sudafrica è identico al nostro, che produce la cosiddetta “macchia mediterranea”, come quella che possiamo ammirare in piccolo presso la nostra spiaggia romana di Castelporziano, Parco naturale presidenziale, che quindi è riuscita a sopravvivere alle intemperie degli uomini.
    Oggi il Sud africa risulta essere grandissimo ed importantissimo produttore ed esportatore di vini pregiati in tutto il mondo.
Quindi, come Paese all'avanguardia tra tutti gli altri del continente africano, si presenta al Vinoforum di Roma ogni anno, a promuovere i suoi pregiati prodotti nel suo originale padiglione, caratterizzato sia dalla particolare scultura artigianale di donna africana stilizzata in costume tipico sudafricano sia dalla bandiera del Sud Africa che ancora conservo come souvenir.

Emanuela Scarponi


11-11-2019

                                                                           Terre d’Oriente: Kathmandu 25 aprile 20215
               Terre d’Oriente, Kathmandu, frutto d’immagini scelte, vogliono essere un tributo a Subash, la nostra guida nepalese, rimasta miracolosamente incolume con la sua famiglia e suo figlio, al terremoto di Kathmandu del 25 aprile 2015, in cui hanno perso la vita più di 8.000 persone; alla città di Kathmandu, che resta un mito per tutti noi viaggiatori; ai musicisti ed ai danzatori nepalesi che ci hanno accompagnato durante il viaggio con manifestazioni artistiche sacrali, in un vertiginoso carosello di feste tradizionali medievali, che celebrano rituali e danze in maschera per esorcizzare i demoni del male; infine ai miei coraggiosi compagni di viaggio, con i quali ho condiviso questi unici ed indimenticabili momenti; al nostro capogruppo.
        L'obiettivo di questo articolo è di rivisitare la mia esperienza in queste Terre d'Oriente, cercando di meditare sugli insegnamenti di Subash ed Agit, le nostre guide locali, cogliendo il significato più profondo delle filosofie induiste e buddhiste, evidenziando le sensazioni provate “strada facendo” e meditandoci su, nella consapevolezza che "pochi sono gli attimi decisivi ed importanti nell'arco di una vita".
          Il mio viaggio a Kathmandu tra questi, indelebile nella mia memoria, dimostra che il destino guida la nostra esistenza, indipendentemente dalla nostra volontà: "La vita scorre come l'acqua del torrente verso il suo destino e noi uomini non possiamo fare altro che assecondarlo, pur consapevoli dei pericoli che s’intravedono all'orizzonte, delle difficoltà delle strade insinuose, strette e buie, intraprese a volte in modo inspiegabile.
          Tramite queste parole proverò a far rivivere la mia medesima esperienza di viaggio e di vita ripercorrendo secondo flash e déjàvu il percorso, traslato dalle immagini che di quel mondo surreale e di quella mia vita errante, ho scelto di conservare e che porterò per sempre vivo nel mio cuore ora che non c'è più.
         Il tragitto del viaggio prevede la risalita del fiume Gange e dei suoi affluenti fino a raggiungere le sue sorgenti in Nepal, situate sulle cime della catena montuosa più imponente della Terra, l'Himalaya, che conta la più alta vetta del mondo, l'Everest di 8.000 metri.
        Pochi realizzano infatti che le sorgenti del Gange nascono dallo scioglimento dei ghiacciai eterni dell'Himalaya: uno scintillante blocco bianco azzurro, a 3900 metri sull'Himalaya scende tumultuoso tra burroni e picchi e le acque fredde e gelide si gettano impetuose nella antica Valle di Katmandu, ai piedi delle sottostanti montagne, e formano il fiume sacro Bagmati che bagna la mitica città-Stato, campo base di tutte le spedizioni alpinistiche. Ci troviamo nella terra delle leggende e della scienza (lo Yeti), della religione e meditazione (Induismo e Buddhismo), della natura e dell'uomo che si mescolano in un unico afflato, secondo una visione globale dell'esistenza umana; laddove gli uomini lasciano traccia, issando una bandierina sulle vette più alte mai raggiunte, intraprendono un viaggio per affrontare le più difficili sfide che la natura pone loro davanti come ultimo traguardo oltre l'impossibile…
         Le antiche filosofie buddhiste ed induiste sono sopravvissute al disastroso terremoto dell'aprile 2015, che ha raso al suolo l'antica città-Stato di Kathmandu. Con esse, sono sopravvissuti i monaci che continuano a pregare nei monasteri isolati sulle montagne, di cui si narrano misteriose e mitiche leggende in ogni angolo del nostro Pianeta Terra.
Ancora oggi la meditazione viene praticata come modo di vita: s'incontrano lungo il cammino uomini piccoli e magri con le mani giunte, le gambe incrociate e gli occhi chiusi in posizione yoga, a meditare immobili sotto l'albero sacro della Bhodi, antico fico sacro. Con la sola forza del pensiero - spiega il Buddhismo - i monaci in meditazione si distaccherebbero dal corpo, fuoriuscendone e viaggiando per il cosmo in un'altra dimensione, priva di barriere temporali o spaziali, confondendosi in un unicum pluridimensionale e perdendo cognizione della realtà circostante. 
       Emanuela Scarponi