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Cenni di dialogo mediterraneo attraverso la storia antica"


26-12-2019


                                                                      Cenni di dialogo mediterranei attraverso la storia antica

       Moltissimi sono gli argomenti che costituiscono oggetto di studio della storia antica, medievale, moderna e contemporanea del Mediterraneo. Tra quelli di maggiore interesse oggi notoriamente trattati sono “Le mille vie della seta”, il Mediterraneo neoprotagonista nel continente euroasiaticoafricano, la belt and road Initiative, la tratta di esseri umani attraverso le rotte del Mediterraneo. Il mio interesse primario resta l'Africa e di conseguenza il rapporto che oggi esiste tra l'Italia, il mio Paese, e questo continente attraverso il Mare nostrum, da sempre ponte indissolubile tra i popoli che abitano le sponde opposte dello stesso mare, senza distinzione di razza.
       A dimostrazione di ciò, ho inteso ripercorrere brevemente la storia antica di Roma, ed il suo rapporto con l'Africa. Vale a questo punto fare un breve excursus sugli antichi rapporti storici che legano la nostra storia a quella del Nord Africa al tempo dei Romani e con i Paesi del Sud Sahara nel Medio Evo.
        La cultura afroromana risale all'814 a.C., anno della fondazione di Cartagine, con la fine dell’esplorazione del Maghreb orientale l’avvio della colonizzazione.
       La nascita della città punica, chiamata Qart Hadasht (ossia «città nuova») da cui poi il nome Cartagine, è tramandata anche da una leggenda, secondo la quale la principessa Didone, a causa delle discordie politiche maturate a Tiro in Fenicia, si allontanò dalla patria con parte della popolazione e, approdata al lago di Tunisi allora navigabile, vi fondò una nuova città. Quando, infine, riuscì a impadronirsi di Messina (270), si trovò a contatto diretto con Roma: l'incontro con la città laziale, già allora in piena espansione, si tradusse presto in un lungo conflitto armato che, nonostante le eroiche gesta prima di Amilcare e poi di Annibale, la vide alla fine soccombere per opera di Scipione l'Africano nel 146 a.C. Per la moderna Tunisia l'età cartaginese non fu solo l'affermarsi di una civiltà di mercanti sensibili al gusto ellenico, ma anche l'avvento di un'epoca cruciale grazie alla quale la regione dei Berberi fu definitivamente integrata nel mondo mediterraneo. Il predominio di Roma su quella che fu denominata «Africa proconsolare» si risolse, almeno agli inizi, in uno sforzo di contenimento militare delle pressioni provenienti dalla Numidia: la costruzione di una fossa regia tra le attuali Tabarka e Sfax ebbe lo scopo di proteggere la Sicilia. 
      Lo sviluppo economico dell'Africa romana divenne florido specialmente sotto gli imperatori Flavi e Severi, quando alcune regioni si caratterizzarono per la produzione di grano (attorno a Dougga e Ammaedara) e di olio (nei pressi di Hadrumetum), favorendo la nascita dì numerose città, porti e mercati. La stessa Cartagine ne subì un influsso benefico: già favorita nella rinascita da Caio Gracco, Cesare e Augusto, nel corso del III sec. d. C. divenne un porto tanto importante da trasformare la città nel secondo centro urbano dell'Impero. Si sviluppò allora una corrente artistica «afro-romana» che si affermò in particolare nelle composizioni decorative e nei mosaici che possiamo rinvenire ancora oggi nella maggior parte dei siti archeologici dei Paesi del Nord Africa. 
     Il Medioevo non fu affatto un periodo buio, ma al contrario fu un'epoca in cui i commerci, soprattutto marittimi, ebbero uno sviluppo eccezionale e non fu certo l'Islam a bloccare la continuità commerciale del Mediterraneo. Possiamo infatti considerare in parte errata la teoria di Henri Pirenne riguardo la stagnazione dei commerci tra le sponde del Mare Nostrum dopo l'affermazione dell'Islam nel suo massimo splendore. Importantissimi furono i contatti che ebbero le principali città marinare (Genova, Pisa, Venezia, Barcellona) con la costa dell'Africa settentrionale e con il Medio Oriente. I principali porti islamici (importanti per la loro posizione strategica per le rotte commerciali e per ricchezza di prodotti) erano Ceuta, Tunisi, Algeri, Bugìa e Alessandria. E dal Sudan Occidentale proveniva la maggior parte dell'oro che il vecchio continente importava grazie al controllo dei porti sulla costa magrebina. Le testimonianze riguardo a questo Impero Africano le abbiamo da un grande geografo musulmano del XI secolo El-Bekrì; ed è grazie a lui che si è potuti risalire alla derivazione del nome del regno: Ghana, o Kana nella lingua Malinke significa Capo. Il Geografo musulmano ci dice che la Capitale del regno, che prende il nome dello stato stesso, era abitata da musulmani convertiti abbastanza recentemente.
      La forza dell'Impero africano si basava quasi esclusivamente sull'estrazione di oro che veniva ridotto in polvere e trasportato attraverso tutto il deserto del Sahara fino ai porti della costa settentrionale africana per essere caricato in navi mercantili dirette verso i porti europei. Ma vendevano anche il sale, la frutta secca (aveva un valore altissimo nel Medioevo e addirittura veniva usata per scambiarla con l'oro), il corallo e le tinte per tingere i vestiti. Numerosissimi erano i mercanti che raggiungevano il Sudan Occidentale per trattare direttamente accordi per scambi commerciali e accaparrarsi i migliori prodotti da poter rivendere poi nei mercati europei. El-Bekrì ci dice anche che l'oro estratto dalle miniere dell'Impero del Ghana era il più puro che lui avesse mai visto. La maggior parte via carovaniera, detta anche via dell'oro, aveva come inizio appunto il Ghana e arrivava fino alla città di Sijilmassa (e poi a Fez e poi Tangeri o Ceuta) dove fu stabilita una zecca fatimide, coniando monete d'oro contro il potere abbaside.
La qualità della moneta era talmente alta e di ottima fattura che venne richiesta fino in Oriente; il successo dei dinar fatimidei di Sijilmassa persero la loro importanza quando la dinastia in Spagna degli Omeiade produssero una nuova moneta che soppiantò quella dei fatimidi.
El-Bekrì ci parla anche della società ghanese, e ci dice che la potenza economica dell'Impero veniva manifestata con splendidi edifici, in primis il palazzo reale costruito sul Niger, che sottolineavano la grandezza del sovrano e di tutto il regno.
     Un altro geografo musulmano sempre dell'XI secolo fu al-Idrìsì, che chiamò il territorio del Ghana il "paese dell'oro". Le descrizioni sul"paese dei Neri" e sull'Impero e sulla sua collocazione geografica (Sudan Occidentale), vennero a conoscenza del mondo cristiano grazie all'opera Kitab, di Al Idrisì, in cui si scopre che la popolazione del Ghana era dedita anche all'agricoltura e alla razzia.Dopo il 1077-1078, la capitale dell'Impero subì un saccheggio distruttivo da parte degli Almoravidi che portarono ad un declino del Regno inarrestabile, fino al punto che il regno del Mali lo soppiantò completamente. Bisogna aspettare il XII secolo per veder riprendere l'economia di tutta l'Europa, perché ritorna presente l'oro, e di conseguenza si sviluppano i commerci a lungo raggio che erano scomparsi dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Ho voluto evidenziare questi due particolari fasi della storia antica che ci legano all'Africa per dimostrare come in realtà il legame del Mediterraneo è molto antico, molto di più del pensare comune che riduce tutto in termini di immigrazione clandestina e colonialismo, la cui analisi attenta e meticolosa lascio agli studiosi del settore.
Per guardare alla situazione attuale, vorrei ricordare la OUA, l'Organizzazione dell'Unione africana, le sue funzioni e la sua evoluzione, nel processo di autodeterminazione dei popoli dei Paesi del Nord Africa in evoluzione, che stanno realizzando il passaggio da regime totalitario a democratico. Auspico che questa Organizzazione oggi più che mai sia potenziata di contenuti e di autorità per accompagnare il processo di modernizzazione, in base ad autogoverno, democrazia, frutto del processo di globalizzazione dovuto ai nuovi mezzi di comunicazione di massa quali Internet ed all'avvicinamento sempre più massiccio degli Africani all'Europa.
      Auspico che l'Italia possa, posizionata come è al centro del Mediterraneo, condurre pertanto una funzione guida, tesa a promuovere la cooperazione e lo sviluppo di questi Paesi vicinissimi, capovolgendo il fenomeno di immigrazione clandestina e trasformandolo in un vantaggio per l'Italia, interrompendo questo processo - che sembra irreversibile - di migliaia e migliaia di disperati che rischiano la vita nell'attraversamento del mare con imbarcazioni disagiate, promuovendo in questi Paesi progetti di sviluppo del territorio che possano finalmente rendere vivibili le zone più aride, con l'apporto dei nostri tecnici e scienziati di ogni settore, su cui certamente si può contare.
Emanuela Scarponi

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26 Dicembre 2019

La città di Antrodoco e la sua posizione naturale, strategica anche religiosa.


24-06-2021


                                                                                                 La città di Antrodoco e la sua posizione naturale, strategica anche religiosa.

           Durante la mia infanzia e poi nella mia fanciullezza ero solita trascorrere le vacanze in questo piccolo centro di montagna, posto sulla Via Salaria con un’altitudine di circa 550 metri e poche migliaia di abitanti. Mentre nel passato, fino all'anno 1927 apparteneva all’Abruzzo, poi è diventata Provincia di Rieti e fa parte dell’Alta Sabina.
Da anni è zona termale, grazie alle sue acque solfuree, dislocate un po’ dappertutto e quindi è tuttora rinomata come zona di villeggiatura.
Antrodoco si trova proprio al centro dell’Italia in una posizione naturale, strategica ed anche religiosa, da tutti riconosciuta: naturale perché situata tra le alte montagne dell’Abruzzo, sugli Appennini tra la Salaria da cui viene attraversata e la Sabina ed entrambe le vie si addentrano in scabrose gole.
Infatti a monte del paese lungo la Salaria, la valle corre tra le pareti precipiti del Terminillo e del Monte Giano, mentre lungo la strada dell’Aquila tra le gole del Monte Giano e del Monte Nuria.
            Lungo entrambe le vie si incontrano svariati paesaggi di monti, con alberi di alto fusto come castagni, pioppi, abeti e larici; colline con olivi e frutteti e tanta vegetazione, con ricchezza interminabile di acque che compaiono in rii e cascatelle che poi scompaiono in profondi inghiottitoi. Antrodoco è un importante centro storico e strategico, conosciuto da tutti.
Tra i primi insediamenti ritroviamo l’antico popolo dei Sabini: questi dalle aree del Gran Sasso occupano prima dell’era Cristiana un tracciato di comunicazione che conduce dall'Appennino abruzzese al Lazio centrale ed alla costa tirrenica.
Lungo questo tracciato sorge ad opera di Mario Curio Dentato la Via consolare denominata “Via Salaria”, cioè come scritto in tutti gli annali storici “la famosa “Via del sale” che congiungeva le saline adriatiche “il campus salinarunm“ con Roma e, attraverso la Via Campana, con i porti commerciali dell’Urbe.
             La via consolare usciva attraverso la Porta Salaria verso la Sabina, costeggiava il fiume Turano ed arrivava a Cotilia “vicus reatinum“ e quindi a Borgo Velino ed Androdoco, dove qui si dipartiva in due rami: in direzione Nord-Est per giungere ad Ascolum “Ascoli Piceno” e quindi alla costa adriatica presso “Castrum Truentinum“ cioè Martinsicuro; l’altra diramazione verso Amiternum, uno dei centri sabini più antichi e meta di visitatori.
Di Antrodoco, città di origine osca, “ocre” in latino, cioè montagna aspra, sassosa, ricca di cime, ne parlano molti poeti romani ed anche il geografo greco Strabone del I secolo a.C. che narra quanto segue: “Tra Amiterno e Reate trovasi il borgo di Interocrea, le acque fredde di Cotilia, buone da bere e anche da bagnarsi per guarire da certi mali“. Successivamente Antonino Pio registrò le tappe e le distanze tra una località e l’altra ed “Interocrio“ viene segnalato al LXIV miglio della Salaria.
Lungo l’itinerario, Antrodoco funge fino al tardo Medioevo da importante “Mansio”, cioé stazione di posta e di cambio.
            I Romani costruirono importanti ville, grazie alle acque termali, presenti nella zona. Tra gli imperatori vengono ricordati Vespasiano ed i suoi figli, Tito e Domiziano. Le rovine delle loro ville sono visibili e visitabili in quanto molto interessanti, con guide esperte.
Tutta la zona e quindi la Salaria diventa anche la via attraverso cui la nuova religione, il Cristianesimo, si diffonde nella Sabina. Sono significative le testimonianze di questo processo religioso, avvenuto a partire dal II e III secolo in poi.Chiese, aree cimiteriali, lapidi, pilastri,e miriadi di iscrizioni sono visibili in molte zone.
Nei dialoghi di Papa Gregorio Magno vengono menzionati uomini santi per la loro vita e per i miracoli da essi compiuti; Tra essi troviamo “Severo” che insieme ai cosiddetti “uomini di Dio” godeva fama di santità grazie alla sua vita esemplare di amore e di aiuto verso gli altri.
          Si racconta che venne chiamato presso un malato per la confessione, mentre era intento a lavorare nella vigna. Volle finire il lavoro ma, mentre lo raggiungeva, seppe che oramai era morto. Recatosi nel luogo, cominciò a pregare e a piangere disperatamente, attribuendosi la fine del poveraccio. Però, grazie alle preghiere di Severo, il defunto risuscitò e narrò come fosse stato liberato dai demoni.
Detto questo, si confessò e dopo sette giorni di penitenza morì, ma in grazia di Dio. Un’altra attestazione di cristianità ad Antrodoco proviene da un testo letterario di Sant'Eusonio, martire che fece sosta nella Chiesa della Beata, Vergine e Maria, dove sono molti corpi di santi. Nell’Alto Medioevo il territorio antrodocano fa parte del Ducato di Spoleto, poi diventa sede di uno dei cinque castaldati minori della Regione. Divenne anche possesso dell’Abbazia di Farfa e, dopo svariate conquiste, perdite e sconfitte, fu acquistato dalla regina Giovanna II di Napoli.
         In epoca moderna Antrodoco e le sue gole ricordano la prima battaglia del Risorgimento tra il 7 e il 9 marzo del 1821, capeggiata da Guglielmo Pepe contro l’esercito austriaco. Fu un grande scontro dove trovarono la morte molti giovani antrodocani. Dai documenti pervenuti risultano combattenti e morti, anche alcuni miei antenati.
Emanuela Scarponi

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24 Giugno 2021

Emanuela Scarponi incontra l'Africa day

21-06-2021

                                                                                                                                       Emanuela Scarponi incontra l'Africa day

         Il 25 maggio 1963, viene firmata la Carta che istituisce l'Organizzazione per l'Unità Africana al fine di promuovere la comprensione reciproca tra i popoli dell'Africa ed una maggiore cooperazione tra gli Stati africani in un'unità più grande che trascende le differenze etniche e nazionali. Con l’Africa day si celebra la pietra miliare della storia dell'Africa nell’ambito della organizzazione continentale. Nata come ricorrenza istituzionale, essa è oggi comunemente celebrata in tutto il mondo dagli Africani con spettacoli, danze, sfilate di moda, rappresentazioni teatrali, film ed iniziative culturali in generale: essa evidenzia così la storia e il patrimonio comuni, la unità e diversità del continente, nonché le sue enormi potenzialità ed il destino comune.
Mentre si celebra l'anniversario dell'OUA/UA, si ripercorre il cammino intrapreso negli anni dalla Organizzazione per trarre insegnamenti dai risultati ottenuti e segnare, le sfide future e tracciare la strada da seguire.
Inutile dire che ci sono stati sicuramente alti e bassi lungo il percorso. Per quanto siano chiari a tutti i successi conseguiti, le insidie che hanno contribuito al nostro stato attuale delle cose sono numerose. È in considerazione di questo fatto che è stato scelto il tema "Panafricanismo e Rinascimento Africano" per avere l'opportunità di guardare al passato, al presente e al futuro dell'Africa.
          Quando nel 1963 è stata fondata l'OUA, c'era davvero molta euforia e molto ottimismo per il ringiovanimento dell'Africa. Quelli erano i giorni esaltanti in cui trentadue Stati africani avevano appena iniziato a godersi la loro libertà e indipendenza guadagnata con fatica e aspirare a un futuro migliore. La Carta dell'OUA è stata l'espressione delle aspirazioni collettive per promuovere l'unità e la solidarietà tra i popoli africani, nonché per coordinare e intensificare la loro cooperazione ed ottenere una vita migliore per i popoli dell'Africa.
           Negli ultimi dieci anni, è incoraggiante che molte economie africane abbiano preso una traiettoria di crescita elevata. I conflitti che devastano il continente africano sono stati lentamente placati se non completamente debellati. Inoltre, stiamo assistendo ad una migliore governance con l'introduzione di una distribuzione democratica in molti Paesi africani. Man mano che andiamo avanti, abbiamo bisogno di riconvertire gli sforzi per assicurare una pace e una stabilità durature, accelerare la crescita economica e approfondire le riforme della governance, con l'obiettivo di definire una solida base per la trasformazione socio-economica dell'Africa.
            Con una leadership lungimirante impegnata a portare avanti il cambiamento, uno stato di sviluppo in grado di giocare un ruolo attivo e dinamico e la mobilitazione di tutte le sezioni del popolo africano, non vi è alcun dubbio sulla piena realizzazione della agenda continentale già nei prossimi decenni. L'auspicio è che quando l'Africa celebrerà nuovamente il centenario dell'OUA nel 2063, avremo un continente libero dal flagello dei conflitti e dalla povertà, dove molti Paesi africani avranno raggiunto uno status di reddito medio-alto e lo standard di vita di grandi popolazioni africane sarà stato notevolmente migliorato. Come le generazioni precedenti sono state ispirate dagli ideali di panafricanismo a combattere per la loro libertà e la dignità, le generazioni attuali e future dovrebbero quindi essere guidate dallo stesso spirito panafricano di lotta per 1'emancipazione socio-economica dell'Africa e realizzare il rinascimento africano. I giorni di festeggiamenti dell'Africa day avvengono con volti, voci, sussurri, invitati, danze, balli e sfilate che si rinnovano di anno in anno.
            Sullo sfondo l'austera Sala Aldo Moro della Farnesina che fa da cornice ai vari interventi.
E così allo Sheraton medesima meravigliosa serata all’insegna dell’Africa: resto seduta accanto ai rappresentanti diplomatici d'Etiopia tra cui l'indimenticabile ambasciatrice Amsalu Alena Adela.
Sono rimasta l’ultima di un gruppo ormai dissolto. Non ci sono più gli africanisti, dispersi nel nulla della disinformazione. Nuovi volti,nuove mode, nuove musiche.
             Questa particolarissima Giornata dell'Africa fa sempre sognare ad occhi aperti per il sapore antico che contiene in sé sia per i lunghi abiti e copricapo dai colori sfavillanti e variopinti indossati dalle imponenti donne africane presenti alla manifestazione, tali da rendere assolutamente autentica l'atmosfera, propria di questo meraviglioso continente. Le signore in rappresentanza delle ambasciate africane indossano meravigliosi vestiti africani colorati e partecipano attivamente alla mostra-conferenza ed ai preparativi culinari per i festeggiamenti della grande soirée che, oltre ad essere ricchissima di degustazioni culinarie di tutti i Paesi africani partecipanti, contempla una bellissima sfilata di moda africana realizzata da bellissime donne e fanciulle. Il programma è stato integrato con la proiezione di tutto il materiale audiovisivo dei documentari "la Namibia e i suoi popoli", "I San del Kalahari" e il "dibattito-conferenza" tenutosi presso la Farnesina il 23 aprile scorso alla presenza del giornalista Yossef Ysmail del Nile News.
             Nel bellissimo Hotel Sheraton di Roma si è pertanto dato avvio a quel tipo di collaborazione attiva tra Italiani e Africani, auspicata nella giornata di stamani alla Farnesina dai rappresentanti diplomatici africani e dai politici italiani. Ebbene, la Giornata dell'Africa si è pertanto sviluppata in tre bellissimi giorni ricchi di spunti e fatti nuovi, che contribuiranno a far crescere l'amicizia tra Italia ed Africa.
Emanuela Scarponi

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21 Giugno 2021

Egitto on air

20-06-2021


                                                                                                                     Egitto on air
                                                                                          L’Inverno arabo a dieci anni dalle primavere arabe

     Non ci sono solo luci in Africa, ma anche ombre. Le transizioni nei Paesi del Nord Africa sono irte di ostacoli e dense di incognite. Esiste anche il rischio che le proteste di piazza siano strumentalizzate da forze regressive che perseguono la destabilizzazione. Che ne è del vento che animò le piazze di Tunisia, Egitto, Libia e tanti altri Paesi dell'area? Le tensioni nel Nord Africa si ripercuotono sui Paesi del Sahel, come il Mali, che ha già subito i contraccolpi della guerra civile libica. Preoccupa la fascia di instabilità che si estende dall’Atlantico al Mar Rosso.
In un territorio a noi molto vicino, la Tunisia, il 17 dicembre 2010 un ambulante tunisino si dette fuoco per protestare contro i soprusi delle autorità. Quelle fiamme accesero le proteste che partendo dalla Tunisia percorsero anche l'Egitto, la Libia, la Siria, l'Iraq, lo Yemen, il Bahrein… Il mondo battezzò quelle proteste “Primavere arabe”.
     La goccia che fece traboccare il vaso fu la salita dei prezzi dei generi alimentari che finì con il generare uno spirito di affermazione delle libertà contro l’oppressione dei regimi totalitari al governo da oltre trent’anni.
Seguì senza sosta la rivolta in Egitto. Il 12 febbraio Mubarak si dimise ed il potere restò in mano militare, con il tripudio della folla. Continuò il governo del Vice Presidente Suleiman. Il Consiglio Supremo impose il rispetto di tutti gli accordi internazionali e sciolse le Camere.  Tuttora, Tunisia ed Egitto sono accumunati da un medesimo fattore, due Stati poveri, oppressi da regimi pluridecennali, autoritari con l’aggravante di una forte densità demografica e da presenze fondamentaliste ben piantate che convivono con i cristiani copti dal 451 d.C.
      Si era ipotizzato che la rivoluzione in Egitto dovesse svolgersi in modo quasi pacifico ed al contrario delle previsioni ha visto forze inarrestabili contro il passato regime che, ha contato numerosissime vittime. Sono emerse delle richieste a sostegno dei diritti umani, la fine dell’autoritarismo, la cessazione dei comportamenti polizieschi e del sistema corrotto e clientelare. L’unione di nuovi aneliti di libertà e diritto ad una pacifica esistenza induce e fa riflettere sull’avvenire democratico dei popoli arabi. La convivenza di cristiani copti e musulmani nel medesimo Paese è fonte di tensione sociale e politica che di certo non fa bene alla stabilità del Paese.Le rivolte a schiera investono, come un evento disastroso, tutta la parte meridionale ed orientale del Mediterraneo.
In Egitto il colpo di Stato militare avviene poco dopo le dimissioni di Mubarack: il ministro della difesa del suo successore, generale Abdel Fattah al-Sisi, si fa confermare al potere nelle elezioni presidenziali del maggio 2014. Il suo mandato verrà rinnovato con un nuovo voto plebiscitario del 2018.
Velocemente il nuovo raìs corre verso la restaurazione di un potere in cui l’Egitto verrà governato da una sola classe di governo, quella dei militari. Il ritorno al passato è compiuto. Partita nel 2011, già con l’elezione di Sisi nel 2014 la rivoluzione è stata cancellata.      Tutto il resto è consolidamento del nuovo/vecchio regime.
      E’ fortemente criticata la politica del regime di al-Sīsī, a causa della frequente brutalità con la quale le forze dell'ordine reprimono le manifestazioni di dissenso provenienti soprattutto da parte dei Fratelli Musulmani, dichiarati fuorilegge dopo il colpo di Stato del 2013 e da allora fatti oggetto di arresti arbitrari, torture e condanne a morte di massa irrogate da una magistratura spesso ligia ai voleri presidenziali e che, con il pretesto della lotta al terrorismo "fondamentalista", non evita di avviare all'occorrenza pesanti azioni giudiziarie contro i più attivi critici del modo di operare del governo.
In questo quadro di grave tensione politica e religiosa, Giulio Regeni viene rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di Piazza Tahrir, e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
     Dopo tutti questi anni di reticenza, si è tenuta in questi giorni la prima udienza preliminare sul caso dell’omicidio di Giulio Regeni, che ha visto coinvolti i 5 agenti appartenenti ai servizi segreti egiziani accusati del sequestro, della tortura e dell’uccisione del giovane ricercatore italiano, trovato senza vita il 3 febbraio 2016 sul ciglio della statale che dal Cairo porta ad Alessandria.
Il 25 maggio 2021 è arrivato il rinvio a giudizio per gli 007 egiziani, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate per l’omicidio di Giulio Regeni. Il processo è stato fissato per il prossimo 14 ottobre davanti alla Corte d’Assise di Roma. (La Stampa 25 maggio 2021).
I venti di primavera sono ormai un ricordo quasi del tutto dimenticato e la stabilizzazione dei Paesi del Nord Africa è andata morendo in questi dieci anni passati reprimendo di volta in volta i giovani rivoltosi, di idee e nazionalità diverse.
Emanuela Scarponi

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20 Giugno 2021

Il cinema in Africa

07-06-2021

                                                                                                          Il cinema in Africa: Festival Panafricain de Cinéma de Ouagadougou

      Il cinema è giunto in Africa fin dalla fine del XIX secolo ma la produzione cinematografica africana ha iniziato a svilupparsi solo dopo la Seconda guerra mondiale, nel periodo immediatamente precedente la progressiva decolonizzazione del continente.
Anche il Niger lega la nascita del suo cinema alla storia europea.
In Niger gli sviluppi della produzione cinematografica, seppur affrontati con grandi difficoltà soprattutto di ordine economico, portano alla nascita nel 1969 del FESPACO (Festival Panafricain de Cinéma de Ouagadougou) e nel 1970 della FEPACI (Federation Panafricaine des Cinéastes) che riuniva 33 dei Paesi del continente, promuovendo misure governative di protezione per la distribuzione e attività di incremento della produzione cinematografica africana.
     Il Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou (abbreviato in FES.PA.C.O), veniva allestito ogni due anni a Ouagadougou, in Burkina Faso. Il premio fu istituito nel 1969 ed è stato probabilmente l'evento principale della storia del cinema africano. La visibilità internazionale dell'evento ha permesso a molti giovani registi africani di farsi conoscere nel mondo.
Il Burkina Faso vive dunque la sua âge d'or cinematografica negli anni di presidenza del compianto Thomas Sankara (1983-1987) che sostiene e promuove le attività del Fespaco; dunque è a partire da questi anni che il cinema burkinabé si sviluppa ad opera di illustri esponenti come Gaston Kaboré e Idrissa Ouédraogo.
Wênd Kuuni di Kaboré e i corti di Moustapha Dao si ispirano ai racconti popolari, ma è il genere della commedia grottesca che rende moltissimo in questi autori, che raccontano l'abbandono delle campagne del 1987 per la regia di Emmanuel Sanon, co-produzione Burkina Faso-Cuba.
     Negli anni '90, l’espansione delle cinematografie nazionali dell’Africa ha subìto una serie di colpi di arresto nello sviluppo di alcune industrie cinematografiche nazionali e nella chiusura definitiva di altre, a causa dei cambiamenti nelle politiche implementate dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca Mondiale nei Paesi in via di sviluppo nei Pas (Programmi di aggiustamento strutturale).
Naturalmente, il settore privato è stato depauperato dei fondi dello Stato, ma ad oltre 20 anni dall’accaduto, dobbiamo ammettere che l'assenza della politica nazionale non ha favorito lo sviluppo di un ambiente propizio all’esercizio dell’attività cinematografica.
La situazione in cui si trova il cinema africano è soprattutto segnato da una produzione estremamente povera, dalle sovvenzioni sempre più rare, da una ridotta offerta nella formazione, dall’inesistenza o la chiusura delle sale cinematografiche, dalla debole presenza di produzioni africane sul mercato ed, infine, dalla pirateria.
     L’obiettivo è, dunque, quello di impegnarsi per far uscire il cinema africano da questa situazione, attivando le risorse pubbliche tramite leggi, finanziamenti, governance, politiche nazionali, accordi, convenzioni, misure ed incentivi ai privati.
     Quali strategie sarebbe necessario adottare per spingere le istituzioni e le amministrazioni pubbliche al fine di sviluppare l'evoluzione del cinema africano?
Questa è la riflessione che fa la Fespaco, fedele ai suoi impegni, sul tema “Cinema africano e politiche pubbliche in Africa”. La riflessione si deve fare attraverso un colloquio internazionale che raggruppa i professionisti, ma anche le ong delle istituzioni internazionali, oltre che gli altri attori della vita politica e della società civile africana. La penultima edizione del Festival si è tenuta il 3 marzo 2007.
Il XXesimo compleanno del FESPACO ha ospitato dibattiti, un workshop per i giovanissimi cineasti africani, due speciali retrospettive sul cinema del Mali e su quello marocchino, un convegno sul tema "Cinema africano e diversità culturale", e tre atelier di approfondimento dedicati rispettivamente ad archivi cinematografici, diritti d'autore e cinema digitale. In totale sono stati selezionati 207 film, di cui 20 ufficialmente in concorso. Il vincitore dell'edizione è stato il film Ezra di Newton Aduaka, storia di un ex bambino-soldato in Sierra Leone, che cerca di sopravvivere alla fine della dolorosa guerra civile. Lo "Stallone d'argento" (il secondo premio) è andato a Les Saignantes del camerunese Jean-Pierre Bekolo, e lo "Stallone di bronzo" a Daratt di Mahamat-Saleh Haroun, che ha vinto anche il cospicuo premio stanziato dell'Unione europea. L'edizione del 2009, XXIesima edizione del Festival, si è tenuta dal 28 febbraio al 7 marzo, col titolo “Cinema africano: turismo e patrimoni culturali”. Sono stati presentati 128 fra lungometraggi, cortometraggi, documentari, fiction e serie televisive.
    La XXIesima edizione ha enfatizzato più delle precedenti la produzione televisiva del continente africano. Fra i titoli più apprezzati dalla critica si segnalano Mah saah-sah del regista camerunese Daniel Kanwa, Fantafanga dei maliani Adama Drabo e Ladji Diakitè, Behind the Rainbow dell'egiziana Jihan El-Tahri e La Traversèe della tunisina Nadia Touijer.
Ad essere premiato come miglior lungometraggio del Festival è stato il film Teza del regista etiope Hailé Gerima, già vincitore del Gran Premio della Giuria al precedente Festival di Venezia. Secondo classificato è stato Nothing but the Truth del sudafricano John Kani, e terzo Mascarades, dell'algerino Lyes Salem. Come miglior cortometraggio è stato selezionato Sektou di Benaissa Khaled (Algeria); secondo e terzo posto sono andati rispettivamente a C'est dimanche! di Samir Guesmi (Algeria) e Waramutseho dei camerunesi Kouemo Yanghu e Bernard Auguste.
    Il premio per il miglior documentario è andato a Nos lieux interdits, della regista marocchina Kilani Leila.L'edizione del 2011, XXIIesima edizione del Festival, si è tenuta dal 26 febbraio al 5 marzo con il titolo: Cinéma africain et marchés.
Nell’era della globalizzazione l’Africa, attraverso la tradizione orale, il griot, la danza, la musica ed i suoi ritmi, la sua arte in genere, oltre ai suoi meravigliosi paesaggi, flora e fauna così differenti dai nostri, deve divenire protagonista di se stessa nelle sue differenti sfaccettature, promuovendo, pertanto, i suoi film in Europa e nel resto dei continenti. Restiamo in attesa che ciò avvenga il più presto possibile.
Emanuela Scarponi

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07 Giugno 2021

Panafricanismo e Rinascimento Africano


24-05-2021

 

                                                                                                                                 Panafricanismo e Rinascimento Africano

    Come da vecchia tradizione panafricanista, la Giornata dell'Africa, celebrata in tutto il mondo dagli Africani e dalla popolazione di origine africana che vive nella diaspora evidenzia la storia e il patrimonio comuni, la sua unità e diversità, nonché le sue enormi potenzialità e il destino comune.
     La celebrazione della Giornata dell'Africa è davvero speciale, in quanto segna una pietra miliare nella storia della Organizzazione continentale.
Il 25 maggio 1963, i Padri Fondatori africani, ispirati dagli ideali di Panafricanismo, firmarono la Carta che istituisce l'Organizzazione per l'Unità Africana per promuovere la comprensione reciproca tra i popoli dell'Africa e promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati africani in un'unità più grande che trascende le differenze etniche e nazionali.
In occasione dell'anniversario dell'OUA/UA, si traggono gli insegnamenti dei risultati e delle sfide per tracciare la strada da seguire. Inutile dire che ci sono sicuramente alti e bassi lungo il percorso. Per quanto vi sia l'orgoglio e la soddisfazione dei successi negli anni, si sente l'insoddisfazione dalle insidie che contribuiscono allo stato attuale delle cose in Africa.
      È in considerazione di questo fatto che è stato scelto il tema "Panafricanismo e Rinascimento africano" per dare l'opportunità di guardare al passato, al presente ed al futuro dell'Africa.
     Quando nel 1963 è stata fondata l'OUA, c'era davvero molta euforia e molto ottimismo per il ringiovanimento dell'Africa. Quelli erano i giorni esaltanti in cui trentadue Stati africani avevano appena iniziato a godersi la loro libertà e indipendenza, guadagnata con fatica e ad aspirare ad un futuro migliore.
      La Carta dell'OUA è stata l'espressione delle aspirazioni collettive per promuovere l'unità e la solidarietà tra i popoli africani, nonché per coordinare e intensificare la loro cooperazione ed ottenere una vita migliore.
Negli ultimi dieci anni è incoraggiante notare che molte economie africane abbiano preso una traiettoria di crescita elevata. I conflitti che devastano il continente africano sono stati lentamente placati, se non completamente debellati.
Inoltre, stiamo assistendo ad una migliore governance con l'introduzione di una distribuzione democratica in molti Paesi africani.
Man mano che andiamo avanti, bisogna riconvertire gli sforzi per assicurare una pace ed una stabilità durature, accelerare la crescita economica ed approfondire le riforme della governance, con l'obiettivo di definire una solida base per la trasformazione socio-economica dell'Africa.
      Con una leadership lungimirante, impegnata a portare avanti il cambiamento, uno stato di sviluppo in grado di giocare un ruolo attivo e dinamico e la mobilitazione di tutte le sezioni del popolo africano, non vi è alcun dubbio che l'Africa sarà in grado di realizzare pienamente l'agenda continentale già nei prossimi decenni.
      È fervida speranza della OUA che quando l'Africa celebrerà nuovamente il suo centenario nel 2063, il continente africano sarà libero dal flagello dei conflitti e dalla povertà, e molti Paesi africani avranno raggiunto uno status di reddito medio-alto e lo standard di vita di grandi popolazioni africane sarà notevolmente migliorato. Come le generazioni precedenti sono state ispirate dagli ideali di Panafricanismo a combattere per la libertà e la dignità, le generazioni attuali e future dovrebbero quindi essere guidate dallo stesso spirito panafricano di lotta per 1'emancipazione socio-economica dell'Africa e realizzare il Rinascimento africano.
Emanuela Scarponi

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24 Maggio 2021

Warzone universities network: Simona Lanzellotto on air di Emanuela Scarponi


23-05-2021

                                                             Proteggere i Bambini in Conflitto Armato:
                                                             Mission dell'Universities Network For Childreen in Armed Conflict:
                                                             Intervista all'avvocato Simona Lanzellotto, Rappresentante del Network



Emanuela SCARPONI. Buongiorno, Avvocato Lanzellotto. Siamo qui per parlare dei bambini che vivono in situazioni di conflitto armato e dell'Universities Network for Children in Armed Conflict, di cui lei è autorevole esponente. Ci spieghi dunque meglio in cosa consiste questo progetto.


SIMONA LANZELLOTTO. Anzitutto, colgo l'occasione per ringraziare le Università e gli enti di ricerca, italiani ed internazionali, che hanno portato alla formazione del Network, che nasce con lo scopo diffondere e analizzare il tema della protezione dei bambini nei conflitti armati. Il Network è stato lanciato nel novembre del 2020 durante la conferenza di apertura della settimana accademica dedicata proprio al tema, a cui hanno partecipato tutti i rappresentanti delle Università e Centri di ricerca del Network.


Emanuela SCARPONI. Come conducete il vostro lavoro, specie con Università dei Paesi in war zone, come ad esempio, l'Università di Kufa?

SIMONA LANZELLOTTO. Noi, in quanto Network di Università ed enti di ricerca, abbiamo l’obiettivo di promuovere la formazione sociale e giuridica sulla tematica dei bambini coinvolti in conflitti armati tramite lo studio di casi e mediante un'attività di ricerca multidisciplinare. Il nostro obiettivo, è quello di accrescere la sensibilità e la conoscenza delle conseguenze di tale fenomeno, grazie anche all'organizzazione di conferenze internazionali che vengono tenute proprio dalle Università coinvolte. Le conferenze diventano un'occasione di riflessione e di denuncia degli abusi e delle violenze subite da questi minori durante i conflitti armati.
Ribadisco che lavoriamo per la protezione di minori di ogni Paese in situazioni di conflitto; le Università coinvolte provengono da Europa, Africa, America del Nord, America Latina e Paesi del Medio Oriente. Vi sono anche università italiane.

Emanuela SCARPONI. In Italia dove operate?

SIMONA LANZELLOTTO. Ci sono diverse Università che fanno parte del Network. Siamo presenti come Network nell'Università di Perugia, ma anche a Milano, Roma, Napoli, Genova e in altre città.
Mano a mano che cresce la nostra Rete, le richieste di adesioni di Università proveniente da diverse parti del mondo avanzano. Infatti, più il Network è ampio, più la nostra azione diventa concreta, con il contributo delle nuove realtà.

Emanuela SCARPONI. Avete un ufficio o una sede dove operate?

SIMONA LANZELLOTTO. C'è un gruppo operativo, del quale faccio parte, che tiene i contatti ed i rapporti con le altre Università, le Istituzioni e coordina le varie attività.
Ci stiamo muovendo per creare una sorta di Consorzio di Università Internazionale, in modo da avere una struttura più solida.

Emanuela SCARPONI.Quindi voi, al momento, operate su computer, virtualmente, sulla Rete?

SIMONA LANZELLOTTO. Allo stato attuale, operiamo organizzando conferenze, lezioni, studi e spiegando le normative e le giurisdizioni che riguardano questa tematica.
Per quanto riguarda le conferenze, tutto si svolge online, soprattutto in questo momento particolare che stiamo vivendo.


Emanuela SCARPONI. Le persone che si dedicano a quest'attività specifica come lei, quante sono?

SIMONA LANZELLOTTO. Ci sono delle collaborazioni che però sono difficili da quantificare. Dipende molto dal lavoro. C'è chi si occupa dell'aspetto legale, chi dell'organizzazione delle conferenze e i seminari di studio, chi dei social. Cerchiamo di suddividerci il lavoro.

Emanuela SCARPONI. In questo progetto vi patrocina il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in Italia?

SIMONA LANZELLOTTO. Sì, è fondamentale il supporto del Ministero, soprattutto per quanto riguarda i rapporti diplomatici con i vari Paesi.

Emanuela SCARPONI. Non vorrei entrare in tematiche piuttosto delicate in questo periodo, ma operate anche nel Congo?

SIMONA LANZELLOTTO. Sì, certo, operiamo anche nel Congo e siamo anche abbastanza attivi.

Emanuela SCARPONI. Malgrado gli attentati?

SIMONA LANZELLOTTO. Quella della morte dell'Ambasciatore Attanasio, è stata purtroppo una notizia terribile, però evidenzia anche un estremo bisogno della nostra attività per il Congo, dove sussistono varie forme di violenza anche nei confronti dei bambini.

Emanuela SCARPONI. Quando è nata l'idea di fondare il Network?

SIMONA LANZELLOTTO. È nata nel 2020, poi è stata presentata in Italia e in Europa e da lì si è tentato a novembre del 2020 di lanciare il Network attraverso le prime teleconferenze. Sono state promosse anche altre attività - come dicevo prima – una settimana accademica, seminari e studi per sensibilizzare su questo dramma. Da novembre ad oggi abbiamo organizzato e partecipato ad almeno sei teleconferenze. Anche i social sono fondamentali per promuovere il Network.
Adesso dovremmo, entro ottobre prossimo, organizzare un’altra settimana accademica e delle attività di formazione che prevedono videolezioni, studi e approfondimenti a cura dei docenti delle Università del Network e con il coinvolgimento di diverse organizzazioni internazionali. Le attività sono tante, stiamo procedendo molto velocemente e di questo siamo molto felici; speriamo di poter riuscire a continuare così.

Emanuela SCARPONI. In cosa consisteranno queste lezioni online. Sono corsi di formazione di carattere sociale?

SIMONA LANZELLOTTO. Si tratterà di lezioni che approfondiscono l'aspetto giuridico e normativo relativo al tema dei bambini coinvolti in conflitti armati.

Emanuela SCARPONI. Quanto durerà questa attività formativa?

SIMONA LANZELLOTTO. Due settimane.

Emanuela SCARPONI. Come vi trovate a interagire con i Paesi musulmani?

SIMONA LANZELLOTTO. Non è assolutamente un problema. Al Network può aderire qualunque Università che abbia a cuore il tema della tutela dei bambini nei conflitti armati.

Emanuela SCARPONI. Vediamo il caso della vicenda recentissima che è avvenuta in Turchia. A livello diplomatico per i rappresentati europei è stato un po' difficile interagire, soprattutto in questo momento storico, con certe realtà.

SIMONA LANZELLOTTO. Certamente! Ci sono realtà locali in cui è necessaria la presenza di un soggetto che faccia da tramite con il Governo locale per confrontarsi e affrontare in modo pragmatico queste tematiche.

Emanuela SCARPONI. L'iniziativa è tutta italiana?

SIMONA LANZELLOTTO. No, nel senso che - come dicevo - sono coinvolte Università di diversi Paesi.

Emanuela SCARPONI. Sì, ma l'iniziativa personale è sua? È lei che ha ideato questo Network?

SIMONA LANZELLOTTO. No, l'idea è nata dalla collega Laura Guercio che poi ha coinvolto me ed altre persone. Poi, pian piano si è allargata, interagendo con nostri contatti e professori in varie parti del mondo ai quali abbiamo proposto l’idea di creare un Network e nel giro di pochi mesi ci siamo ritrovati di fronte a una realtà che fino a luglio dello scorso anno non esisteva.

Emanuela SCARPONI. Il vostro obiettivo dunque è smuovere l'opinione pubblica, garantire la tutela dei bambini in conflitto. Proteggerli! Creare una rete di protezione scientifica e giuridica.

SIMONA LANZELLOTTO. Sì, sicuramente! L'obiettivo è anche quello di accrescere le conoscenze.
La questione fondamentale è quella di creare rapporti tra le nazioni, anche con i mezzi di comunicazione, con l'interazione delle ONG e delle Istituzioni internazionali, parlavamo prima delle Nazione Unite, sicuramente fondamentali, come anche i rapporti tra le Nazioni e la società civile.
Alle nostre conferenze partecipano sempre rappresentanti di ONG e delle Nazioni Unite, oltre che i rappresentanti delle Università di altri Paesi.

Emanuela SCARPONI. Lei sa che Africanpeople è una ONG, siamo un'organizzazione non governativa, e la prima cosa che ha fatto è quella di creare un'agenzia di stampa per l'Africa e un mass media che potesse fare da traino all'Africa. Quindi, siamo ben contenti di fare questo tipo d'interviste e vi garantiamo dello spazio su questo.

SIMONA LANZELLOTTO. Questo è fondamentale per noi, per quello che facciamo con la gente. Più persone conoscono le nostre attività e i nostri obiettivi e più diventa una forza. Lavorando voi in Africa sicuramente manterremo i contatti.

Emanuela SCARPONI. Intanto la ringrazio per questa intervista e spero di risentirla presto. A presto e grazie ancora.

Emanuela Scarponi

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23 Maggio 2021

Great Zimbabwe

20-05-2021
                                                                                                                                                         Great Zimbabwe

       The name of Great Zimbabwe appeared for the first time in some Portuguese documents only in 1522, but the first settlements in this wonderful place began already around the year 1000.
Two hundred years later, Swahili merchants made their way here from the coast of Mozambique to exchange Chinese porcelain, Persian crockery, Indian jewellery and gold and ivory objects, of which the city was very rich. During this period the inhabitants of Great Zimbabwe, in contact with other cultures, assimilated new habits.
      Around 1500 a sort of ecological collapse caused Dan Shona to abandon the city: the forest disappeared, the water tables and the land depleted, the gold mines ended; the population and quantity of cattle, considered more precious than gold and a symbol of power and high social status, dramatically grew. From that moment the city was used as a residence and refuge until 1800.
      In 1871, Cari Mauch, the first westerner who came to these places, developed a fascinating theory that would shortly become a legend. Having found fragments of wood in some beams which he believed to be cedar of Lebanon, Mauch gave substance to the thesis that the city must have been an outpost of the reign of the Queen of Sheba, extraordinarily rich in precious mines, from which King Solomon extracted the its gold.
      Fifty years of studies and research had to pass on the territory, to understand the true origins of the city. In fact, between 1911 and 1914, the archaeologist Curator Wallace began the excavation campaign and the restoration of the archaeological site. But it was not until 1932 that Gertrude Caton Thompson, after having carefully studied the ruins for three years, scientifically demonstrated that the city had been founded by Bantu populations and the subsequent dating of the finds found by radiocarbon confirmed the deductions of the English archaeologist.  Thus, the fanciful theses supported by the Rhodesian government until independence were confirmed, according to which the origins of Great Zimbabwe were not African but Phoenician, Greek, Egyptian, Arab and Jewish, and its foundation dates back to the pre-Christian era.
     What about the alleged Lebanese cedar? Two decades later, in 1950, the wood found inside the archaeological area was classified as tamboti wood, a local tree, and not as Lebanese cedar, differently from it was supposed. Thus the hypotheses on the Mediterranean and European origin of the city definitively was definitively abandoned. The restoration continued and was completed in 1982. Four years later, UNESCO included Great Zimbabwe on the World Heritage list.

Emanuela Scarponi

 

(Il nome Great Zimbabwe comparve per la prima volta in alcuni documenti portoghesi solo nel 1522, ma i primi insediamenti in questo luogo meraviglioso ebbero inizio già intorno all'anno 1000. Duecento anni dopo, i mercanti swahili si spinsero fin qui dalla costa del Mozambico per scambiare porcellane cinesi, terrecotte persiane, gioielli e tessuti indiani con oro e avorio, di cui la città era molto ricca e fu in questo periodo che gli abitanti di Great Zimbabwe, a contatto con culture di altri popoli, assimilarono nuovi usi e abitudini.
Intorno al 1500 una sorta di collasso ecologico provocò l'abbandono della città da parte dei Dan shona: le foreste erano scomparse, le falde d'acqua e i terreni si erano impoveriti, le miniere d'oro erano state esaurite; la popolazione e la quantità di bovini, considerati più preziosi dell'oro e simbolo di potere e di elevato status sociale, era cresciuta a dismisura. La città da quel momento venne usata come dimora e rifugio fino al 1800. Nel 1871, Cari Mauch, il primo occidentale che giunse in questi luoghi, elaborò un'affascinante teoria che di lì a poco sarebbe divenuta leggenda. Avendo rinvenuto in alcune travi dei frammenti di legno che ritenne essere cedro del Libano, Mauch diede corpo alla tesi secondo cui la città doveva essere stata un avamposto del regno della regina di Saba, straordinariamente ricco di miniere preziose, dalle quali il re Salomone estraeva il suo oro. Dovettero trascorrere cinquant'anni di studi e ricerche sul territorio, per capire quali fossero le vere origini della città. Tra il 1911 ed il 1914, infatti, l'archeologo Curator Wallace iniziò la campagna di scavi ed il restauro del sito archeologico. Ma fu solo nel 1932 che Gertrude Caton Thompson, dopo aver studiato accuratamente le rovine per tre anni, dimostrò scientificamente che la città era stata fondata da popolazioni bantu ed anche la successiva datazione con il radiocarbonio dei reperti rinvenuti confermò le deduzioni dell'archeologa inglese. Furono così confutate le tesi fantasiose sostenute dal governo rodesiano fino all'indipendenza, secondo cui Great Zimbabwe avrebbe avuto origini non africane bensì fenicie, greche, egizie, arabe ed ebraiche, e la sua fondazione sarebbe risalita all'era precristiana. E il presunto cedro del Libano? Due decenni più tardi, nel 1950, il legno rinvenuto all'interno dell'area archeologica venne classificato come legno di tamboti, un albero locale, e non come cedro del Libano, contrariamente a quanto fino a quel momento si era supposto. Caddero così definitivamente le ipotesi sull'origine mediterranea ed europea della città. Il restauro proseguì e nel 1982 fu completato. Quattro anni più tardi, l'Unesco inserì il Great Zimbabwe nell'elenco dell’ World Heritage.).

 

 

 

 

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20 Maggio 2021

Antica civiltà kmer

04-05-2021

 

                                                                                                                                                                     La civiltà Kmer

      Documenti e testimonianze del regime dispotico dei Kmer sono giunti a noi tramite i pochissimi sopravvissuti. Ne è un documento storico il film Urla del silenzio (The Killing Fields) del 1984 diretto da Roland Joffé, pellicola britannica ispirata alla vicenda della guerra civile in Cambogia e alla susseguente presa del potere da parte degli Kmer rossi e il loro leader PolPot che racconta l’incredibile esperienza di un giornalista cambogiano riuscito a raggiungere la Thailandia, attraversando la Cambogia di fiume in fiume, nascosto dal verde intenso della foresta. Oggi il carcere di Phnom Pen è un museo a cielo aperto, nel centro città.
“Le strade sono dissestate e non è consigliabile andare via terra” ci dice la guida. Si sale su un aereo cambogiano da PhnomPen ad Angkor Wat, sorvolando la foresta pluviale sottostante, interrotta solo dal corso del fiume Mekong e da tratti di strada sterrata, bianca, polverosa che di tanto in tanto fa capolino.
      E' una emozione unica giungere, dopo il volo aereo, alle rovine della città-Stato di Angkorwat, costruita dagli antichi Kmer, tra i pochi siti archeologici risparmiati da Polpot, che rase al suolo tutto quanto potesse lontanamente ricordare o far riaffiorare l’idea di Occidente e che impedisse la sperimentazione della nascita del nuovo regime di stampo comunista di tipo cambogiano, di cui era l’ideologo.
Oggi da Phnom Penh è possibile raggiungere via fiume Siem Reap, la città che custodisce il sito archeologico più particolare al mondo, Angkor Wat. Il tragitto dura circa 8 ore e le barche partono presso il porto cittadino.
La mia vuole essere una breve disquisizione sulla civiltà degli antichi Kmer, di cui si sa pochissimo per mancanza di fonti.
Siamo nella pianura alluvionale a Nord del lago Tonlé Sap, ove giace l'eredità più grande che ci ha lasciato questa antica civiltà: Angkor, nell'odierna provincia di Siem Reap appunto.
     Il sito archeologico, uno dei più vasti ed importanti dell'Asia, ospitò diverse capitali del regno e testimonia lo splendore e la ricchezza dell'impero Kmer.
Le uniche tracce scritte a noi pervenute sono, infatti, iscrizioni su pietra. L'odierna conoscenza storica della civiltà Kmer deriva quindi principalmente da scavi archeologici, ricostruzioni ed indagini; iscrizioni su stele e su pietra nei templi, gli unici edifici sopravvissuti, in quanto costruiti in pietra.
    L'inizio dell'era angkoriana della storia Kmer è fissata nell'anno 802, quando Jayavarman II viene proclamato monarca universale e la sua fine nel 1431, data di un'invasione Thai, che fece il centro politico ed economico verso Sud-Est, lungo il Mekong.
    Gli unici resoconti scritti sono le cronache di Zhou Daguan, diplomatico cinese sotto l'imperatore Chengzong della dinastia Yuan, che visitò nel 1296 la città-Stato di Angkor, fornendo informazioni sulla Cambogia del XIIIesimo secolo e prima.
Le descrizioni di Zhou Daguan riguardano anche la vita delle donne del mercato di Angkor. Esso era all’aperto ed i mercanti sedevano per terra su stuoie di paglia intrecciate e vendevano le loro merci. Alcuni commercianti si proteggevano dal sole con semplici parasole, ricoperti di paglia. Un certo tipo di tassa o affitto veniva prelevato dai funzionari per ogni spazio occupato dai commercianti nel mercato. Il commercio e l'economia nel mercato di Angkor erano principalmente gestiti da donne.
    Quindi, quando un cinese va in questo Paese, la prima cosa che deve fare è prendere una donna, con l'intento di trarre profitto dalle sue capacità commerciali. Le donne invecchiano molto velocemente, senza dubbio perché si sposano e partoriscono quando sono troppo giovani. Quando hanno venti o trenta anni, sembrano donne cinesi che hanno quaranta o cinquanta anni. Il loro ruolo nel commercio e nell'economia suggerisce che godevano di diritti e libertà significativi, grazie alle loro capacità.
    La loro pratica di sposarsi presto potrebbe aver contribuito all'alto tasso di fertilità e all'enorme popolazione del regno, narra Zhou Daguan.
Riso, pesce ed acqua sono, dunque, alla base della prosperità dell’impero Kmer, fondato su vaste reti di comunità agricole dedite al riso. Infatti, fuori delle mura vivevano i contadini che piantavano il riso sulle rive dei fossi, tutti attorno alla città-Stato, raggiungibile attraverso imponenti ponti.
   Il re ed i suoi funzionari vivevano all’interno della città-Stato ed erano al comando della gestione dell'irrigazione e della distribuzione dell'acqua, fatta da una un'intricata serie di infrastrutture idrauliche, come canali, fossati ed enormi serbatoi chiamati barays, bacini idrici artificiali.
    Il riso era il principale alimento insieme al pesce, lavorato come pasta di pesce essiccata al vapore o arrostita o al vapore ,avvolta in foglie di banana. Era importante anche l'allevamento dei maiali, dei bovini e del pollame, tenuti sotto le case dei contadini, posizionate su palafitte.
    Palme da zucchero, alberi da frutta e ortaggi fanno da cornice a questo meraviglioso quadro naturale, mentre forniscono lo zucchero di palma, il vino di palma, il cocco, i vari frutti tropicali e le verdure. All’orizzonte si intravede il mercato dove i contadini sono ancora oggi soliti scambiare prodotti e vendere souvenir ad Angkor.
Raggiungiamo le imponenti mura della città, in cima alle quali emergono profili di re Kmer, che testimoniano la grandezza e la maestosità della loro civiltà: in basso si sentono le voci dei bambini che, ignari dei turisti, si divertono a giocare assieme in acqua.


Emanuela Scarponi

 

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04 Maggio 2021

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