15-04-2021                                                                                                           Il frottage e la civiltà Kmer in Cambogia

 

 

                                                                                                         

 

 

 

        Grandi produttori di riso ed abili scultori della pietra, gli artigiani cambogiani sono bravissimi nel produrre carta con il riso, tradizionalmente preparata mescolando amido, acqua e tapioca o farina di riso. Su di essa sono soliti imprimere con un gessetto nero i bassorilievi che raffigurano eventi bellici, vita di palazzo, miti e, in alcuni casi, anche la vita di tutti i giorni.
Negli anni Venti questa tecnica fu denominata frottage da Max Ernst che la riscoprì in maniera singolare ed ottenne il primo esempio di frottage appoggiando un foglio sul pavimento in legno del suo studio e ricalcandone le venature a matita. Ma prima di lui Leonardo da Vinci la riprese, osservando casualmente come un’impronta su una parete si poteva trasformare in immagine. Evidentemente pero già nell’antica Cina e nella Grecia classica si sperimentava questa tecnica, utilizzando carta di riso o pergamena per ricalcare i bassorilievi.
       I bassorilievi dei templi di Angkor, come quelli di Bayon, descrivono la vita quotidiana dell'antico regno Kmer, comprese scene di vita del palazzo, battaglie navali sul fiume o sui laghi e
scene comuni del mercato e costituiscono quindi un’enciclopedia e fonte indelebile della storia e della civiltà Kmer. I palazzi all’interno sono rimasti invariati nei secoli, protetti ed avvolti dalla natura verde imponente che si riprende il suo spazio radicando i suoi alberi secolari alla pietra, diventando una unica opera d’arte dell’uomo e della natura, ormai indissolubile.
In questo quadro le piccole donne cambogiane restano nascoste sotto i loro cappelli di paglia in silente posizione di preghiera per ore ed ore all'interno dei palazzi della città-stato di Angkor, offrendo in voto agli dei una candela accesa che crea giochi d’ombra e luci nell’oscurità delle stanze del tempio.
Emanuela Scarponi