27-04-2021
Nucleo centrale delle tematiche di fondo di Wole Soyinka basato sull'intervista rilasciata ad Emanuela Scarponi
Come si è potuto rilevare dall'analisi di The Road, le tematiche di cui Soyinka s'è fatto portatore sono molteplici, ma possono essere ricondotte ad un fondamentale conflitto tra due protagonisti: l'uomo ed il destino.
I protagonisti delle sue opere teatrali possono presentarsi sotto vari aspetti nelle diverse occasioni; ma, sotto qualsiasi forma si presentino, l'uomo non potrà sfuggire alla morte, che il destino gli riserva. La sola certezza che l'uomo ha è quella di diventare un nulla; egli è come un condannato che aspetta la sentenza capitale e vive nell'attesa della morte. Questa consapevolezza prende forma, come già abbiamo visto, nella simbologia della strada, elemento centrale dell'opera di Soyinka. Qui si riportano le parole dello stesso Wole Soyinka in tema di cannibalismo, estrapolate dall'opera Madmen and specialist: L'uomo è un viaggiatore senza meta, lungo la strada che conduce ad un'unica destinazione: la morte. Infatti, torna spesso nelle sue opere il concetto della strada affamata di vite umane, della strada che esige il suo tributo di sangue umano e dalla quale bisogna difendersi, evitando di percorrerla in determinati momenti. Tuttavia, l'uomo è un pellegrino che deve viaggiare, quindi tali esortazioni sono futili: la strada è dunque il simbolo di un mostro che divora gli uomini senza possibilità di scampo.
Il progresso, quindi, non ha aiutato l'uomo a vincere il destino, ma lo ha esposto a forme ancora più terribili di morte. Il trionfo della morte è certo, ma tale consapevolezza è ancora più triste nei casi in cui si vede che l'uomo si allea con la morte stessa e va contro i suoi simili.
Questo avviene in particolare nelle guerre, dove, oltretutto, i soldati muoiono spesso senza neppure sapere per quale motivo sacrificano la loro vita.
Nelle opere di Soyinka c'è la presenza continua della morte come elemento costante e comune denominatore dell'esperienza umana. Essa si presenta sotto vari aspetti, ma il più evidente e caratterizzante è quello che si ricollega alla figura di "Abiku", personaggio derivante dalla religione e dai miti della gente yoruba. Secondo Idowu, Abiku è un fenomeno generato dagli spiriti maligni chiamati Elere o Onere." Gli Yoruba credono che essi siano spiriti di bambini errabondi, che si divertono ad inserirsi nelle donne incinte e a nascere solo per morire, per il sottile piacere del male. Abiku è quindi l'incarnazione della mortalità del genere umano che può vincere qualsiasi altra lotta, ma non la morte.
E' vero che tutti gli esseri viventi sono condannati a morire; ma nessuna creatura come l'uomo, sperimenta una cosi drammatica angoscia nei confronti della morte, perché egli è il solo essere consapevole della sua perduta "battaglia contro il destino,del suo inesorabile viaggio. L'unica consolazione per il genere umano è che la morte è imparziale. Tuttavia essa, secondo Soyinka, oltre ad essere inevitabile, può assumere un valore particolarmente importante per coloro che rimangono. Ci sono infatti degli uomini eletti che sono spinti da un impulso interiore a trasmettere la propria energia agli altri, o mediante gesti particolari o con la loro stessa morte, sacrificando, comunque, la propria vita (tema del sacrificio -The Strong Breed). In tal caso la morte assume un significato e serve come momento di riflessione per una crescita interiore. Nelle opere di Soyinka, questi eroici personaggi cercano di andare contro il destino. Essi appartengono naturalmente alla famiglia della razza forte, il cui "Blood is strong like no other" debbono sopportare la croce della comunità ed espiarne i peccati. Essi fanno parte di un'aristocrazia spirituale e diventano i capri espiatori dei gruppi a cui appartengono: "The Whole forest stinks of human obscenities ", dice il protagonista Eschoro in A Dance of the forests.
Lo spirito eletto a causa della sua più acuta sensibilità, sente più drammaticamente la situazione di tutti gli uomini, l'angoscia di essere moralmente deboli. Egli agonizza a causa della sua consapevolezza dolorosa che gli fa prendere coscienza di essere un'immagine distorta dell'uomo perfetto. Egli sa che, malgrado la sua buona volontà, ed il suo onesto sforzo, il tentativo di ridurre la discrepanza tra ciò che egli è e ciò che dovrebbe essere è futile.
E' solo un raggio di luce che rischiara le tenebre in cui l'uomo si dibatte; ma esso è sufficiente per dargli la consapevolezza della sua nullità di fronte al destino. Intorno a tali uomini "forti", ne esistono tanti altri che, invece, si disperdono attirati da falsi valori, quali: sesso, alcool, corruzione, superficialità, vigliaccheria. L'eroe deve lottare contro tali pericoli con i mezzi che la sua natura individuale gli mette a disposizione.
Nasce così il concetto dell'artista che, per mezzo delle sue realizzazioni, invia messaggi ed indica al genere umano le strade da percorrere, al fine di combattere contro tutto ciò che frustra i tentativi dell'uomo tesi alla conquista della felicità. L'artista nella concezione yoruba, proprio per l'importante ruolo che svolge, è stato sempre protetto dal dio Ogun.
Infatti, con le sue opere, rinnova continuamente il primo atto di volontà del dio stesso; questi, secondo il mito, attraversò l'abisso tra gli dei e gli uomini,con la precisa volontà di riunire il cosmo in un unico insieme. In ogni tempo, l'artista prende quindi a modello Ogun per le scelte che compie e per gli impegni sentiti come urgenti, soprattutto nei periodi di crisi.
L'uomo,tuttavia, non può sperare nell'aiuto degli esseri superiori; gli dei sono indifferenti di fronte al suo destino, anzi, sono addirittura ostili. E' inutile pregarli, offrire loro sacrifici; essi non cambiano il corso degli eventi:
"The floods can come again. Will continue to laugh at our endeavours know that we can feed the serpent of the swamp and corrupt the tassels of the corn". (Le inondazioni possono venire di nuovo. Continueremo a ridere dei nostri sforzi, sappiamo che possiamo nutrire il serpente della palude e corrompere le nappe del grano). L'ostilità degli dei verso gli uomini arriva a manifestarsi anche direttamente con atti violenti. Infatti il dio Ogun, signore della guerra, protettore dei deboli e distruttore dei forti, con il ferro che ha strappato ai fianchi della montagna per aprirsi un varco negli abissi ed unirsi agli Uomini nell'anelito della perfezione, ebbro per il vino di palma, si rivolge in modo spietato ai suoi uomini e li annienta. In tal modo Soyinka esprime il dramma rituale,contemporaneamente umano e divino, che in Ogun trova la sua sintesi.
Nel poema Idanre, Ogun viene addirittura chiamato con il termine di "cannibal" ; il dio viene quindi antropomorfizzato a tal punto, da essere associato alle colpe degli uomini, esempio preso anche da A Dance of the Forest.
Il cannibalismo di Ogun è da intendersi nel suo significato più ampio, di sopraffazione morale e materiale, ma nello stesso tempo rappresenta il desiderio Freudiano di compartecipare della natura della persona uccisa. Il concetto del cannibalismo è strettamente legato alla natura distruttrice dell'uomo, come l'autore stesso afferma in un'intervista: "I find that the main thing is my own personal conviction or observation that world so that their main preoccupation seems to be eating up one another".(Trovo che la cosa principale sia la mia convinzione personale o osservazione di quel mondo in modo che la loro preoccupazione principale sembri mangiarsi l'un l'altro).
A tale convincimento è strettamente associato all'idea del sacrificio della vittima, di cui abbiamo parlato precedentemente.
La dicotomia cannibale/vittima si trova in continuazione nell'opera di Soyinka, ed è scaturita da una situazione culturale, di cui il mito di Ogun, con la sua ambivalenza creazione/distruzione, è diretto ispiratore.
Come nel mito di Ogun spesso coesistono le due componenti così i due aspetti della natura umana sono strettamente collegati ed interagenti. Accanto alle vittime destinate al sacrificio, volontario o meno, troviamo i responsabili di tali sofferenze: costoro a volte vengono classificati come cannibali, a volte sono da considerarsi dei falsi profeti. In tali falsi profeti si configurano, non meno che nel cannibale, la corruzione e l'istinto di sfruttamento insito nell'uomo soyinkiano. Il cannibalismo diviene emblematico anche dì un processo dì disfacimento della sensibilità umana, a cui l'uomo va incontro in particolari situazioni; infatti la sopraffazione e la violenza possono creare delle aberrazioni negli animi umani:"The Man dies in "all who keep silent in the face of tyranny". In an anima cage, in the spiritual isolation of the first few days, the prospect became real and horrifying, It began as an exercise to arm myself against the worst, it plunged into horrors of the immagination". "The monstrous, aggressive, yet mournful stridencies of gates falling to, and bolts themselves imprisoned in air-tight holes"."Bach prison has its quota of lunatius; before long the cry of one from a distant block began to pour out the dark secrets of his soul" A Clank's of his restraining chains accompanied it ". (The Man Died). (L'Uomo muore in "tutti coloro che tacciono di fronte alla tirannia". In una gabbia dell‘anima, nell'isolamento spirituale dei primi giorni, la prospettiva si fece reale e terrificante, iniziò come un esercizio per armarmi contro il peggio, sprofondò negli orrori dell'immaginazione". "Il mostruoso, aggressivo, eppure stridio lugubre di cancelli che cadono, e chiavistelli imprigionati in buchi a tenuta d'aria”. “La prigione ha la sua quota di pazzi; in poco tempo il grido di uno da un isolato distante cominciò a versare i segreti oscuri della sua anima" Un clank delle sue catene lo accompagnò).
Leggendo queste frasi si intuisce l'allusione ad un conflitto di proporzioni grandiose, e tale da alterare la natura stessa dell'uomo, non solo fisica, ma anche morale. E' un conflitto che supera il mondo africano, per assumere i caratteri di dramma universale; Soyinka, quindi, tramite il processo d'individuazione di recupero e di estrinsecazione del ricco patrimonio connesso alla civiltà yoruba, si colloca a pieno titolo nell'ambito del teatro universale.
"L'Uomo muore in tutti coloro che rimangono silenziosi dì fronte alla tirannia". In una gabbia nell'isolamento spirituale dei primi giorni, la prospettiva e la speranza divennero reali ed orribili. Divenne come un esercizio per armarmi contro il peggio, s'immerse negli orrori dell'immaginazione...". “Il mostruoso, aggressivo, eppure triste stridio dei cancelli che cadono e spranga coloro che sono imprigionati in buchi impenetrabili dall'aria”. “Ogni prigione ha la sua quota di pazzi; dopo breve tempo, il pianto di uno di un blocco lontano, iniziò a versare gli oscuri segreti della sua anima. Un rumore delle sue catene lo accompagnava”.
Emanuela Scarponi