Giovedi, 21 Agosto 2025

     

 

 

editore: APN ong - c.f. 97788610588

Presidente: Ing. Maurizio Scarponi 

Presidente onorario: Prof. emerito Gianluigi Rossi 

sede legale Via Ulisse Aldrovandi 16 00195 Roma Italia 

associata UNAR-USPI-CNR 

www.silkstreet.it 

Direttore responsabile: dott.ssa Emanuela Scarponi, giornalista 

registrato presso Tribunale di Roma - settore Stampa

n. 111/2019 del 1 agosto 2019

ufficio stampa: Emanuela lrace, Maria Pia Bovi, Roberto Pablo Esparza, Andrea Menaglia,  Mark Lowe 

www.africanpeoplescientificnews.it   

registrato presso Tribunale di Roma-settore Stampa 202/2015 2 Dicembre 2015 

Direttore Scientifico: Ing. Maurizio Scarponi, iscritto Albo speciale 

ISSN : 2283-5041

www.notiziedventiroma.it   

registrato presso Tribunale di Roma - settore Stampa n.  140/24 ottobre 2019

direttore responsabile:               Emanuele Barrachìa 

 

 

 

         

 

 

 

AFRICANPEOPLE ONG

 

24h PRESS AGENCY AFRICANPEOPLE

 

AFRICANPEOPLE SCIENTIFIC NEWS

 

NOTIZIE D'EVENTI ROMA PRESS

 

Sidebar

Off-Canvas Sidebar

The new Off-Canvas sidebar is designed for multi-purposes. You can now display menu or modules in Off-Canvas sidebar.

  • Home
  • Radio news
  • WebTV
  • Prima pagina
  • AfricanPeople O.N.G.

Le comunità energetiche verso il futuro: funzionamento, costi, benefici di Alessandra Di Giovambattista

Le comunità energetiche verso il futuro: funzionamento, costi, benefici

di Alessandra Di Giovambattista

22-06-2023

Continuiamo l’approfondimento sulle comunità energetiche, siano esse CER (comunità energetiche rinnovabili) oppure AC (gruppi di autoconsumo collettivo); abbiamo visto che il concetto di energia condivisa implica la possibilità di utilizzo anche da parte di soggetti che si trovano in prossimità del punto di produzione, pur non essendo essi stessi produttori di energia rinnovabile. Si evidenzia che in tal caso la direttiva comunitaria prevede anche degli incentivi. Il concetto di condivisione è definito sia da un fattore spaziale sia temporale: la contemporaneità tra produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e consumo che avviene per il tramite della rete nazionale. Oltre a AC e CER, esistono gli auto consumatori individuali a distanza, direttamente connessi tra loro o collegati dalla rete di distribuzione e le Comunità Energetiche dei cittadini (CEC) già previste dalla Direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica (Direttiva UE 2019/944).  Si tratta però di realtà al momento marginali. 

Per quanto riguarda i vantaggi derivanti dalla comunità energetiche, in qualunque forma esse si presentino, occorre evidenziare sin da subito che non può parlarsi di soli benefici economici, ma anche di tipo sociale ed ambientale. Secondo le indicazioni contenute nella direttiva UE, le comunità energetiche devono rappresentare un valore per il singolo, per la sua casa e per l’ambite circostante, proprio grazie all’uso di fonti di energia rinnovabile ed al ruolo primario della condivisione che presenta un valore educativo e sociale.

Dal punto di vista dei vantaggi economici si evidenzia che l’adesione ad una CER comporta:

- il risparmio sulla spesa energetica: chi auto produce ed auto consuma non preleva energia dalla rete ed ha quindi il massimo del risparmio; questo incentivo è definito premio di ritorno ed ha lo scopo di incentivare i partecipanti a spostare i loro consumi in sincronia con la produzione. Ogni ora il Gestore dei servizi elettrici (GSE) valuta l’energia condivisa a cui corrisponde un premio di ritorno che varia, al massimo, tra i 10 ed i 14 € per KWh a seconda delle caratteristiche della comunità. Ovviamente il premio di ritorno è nullo qualora non si produca energia (nel caso del fotovoltaico è dopo in tramonto e fino all’alba). E’ il GSE che mensilmente produce i calcoli sommando i premi orari e versa la somma totale al referente della Comunità; da sottolineare che la rete ed i contatori rimangono in mano esclusivamente al distributore locale per cui i consumatori pagheranno al venditore i consumi in bolletta come in precedenza, salvo poi il GSE fare i conteggi ed inviare, a posteriori, gli incentivi.

- La remunerazione per l’energia immessa in rete e non consumata o non condivisa con i partecipanti alla CER; essa prende il nome di incentivo per la vendita diretta. L’energia prodotta in eccesso viene ceduta al GSE che è obbligato a comprarla, ma ad un prezzo che è ben minore (dalla metà ad un terzo) del prezzo al quale viene venduta l’energia ai consumatori. Il GSE registra l’energia in eccesso immessa in rete dai membri attivi e poi, fatti i conteggi mensili, versa periodicamente alla Comunità il ricavo della vendita. In teoria la Comunità potrebbe vendere ad altri l’energia immessa in rete, ma questa soluzione non è ancora praticamente perseguibile.

- un incentivo calcolato in favore di tutti i partecipanti alla CER basato sull’energia condivisa e sul tipo di contratto sottoscritto dai partecipanti; in questo tipo di incentivo si comprende anche il compenso per la riduzione delle perdite in rete grazie al fatto che l’energia condivisa alleggerisce il carico della rete.

I vantaggi sociali, che pertanto riguardano la collettività nel suo insieme, risiedono proprio nella forma collaborativa di gestione e valorizzazione dell'energia. Quest'ultima diventa un bene comune, condiviso, in grado di creare un valore economico che sarà redistribuito tra i membri della comunità che vi partecipano: privati, pubbliche amministrazioni e imprese.

Le pubbliche amministrazioni, in particolare, oltre a risparmiare sul costo per l’energia, avranno un ulteriore vantaggio: potranno sfruttare la loro presenza territoriale per fungere da aggregatori sociali, con l’ulteriore specificità di utilizzare un valido supporto per combattere la povertà energetica. Un tema, quest'ultimo, che è stato a lungo oggetto di dibattito proprio per la sua ricaduta sulla società grazie alla capacità di innescare vere e proprie forme c.d. di “sharing economy”, cioè modelli di produzione e consumo che si fondano sulla condivisione.

I vantaggi ambientali possono riassumersi in ricadute positive sulle emissioni; le CER sono state indicate dalla UE come un valido strumento per l’incremento delle fonti rinnovabili a cui si affianca un modello operativo/gestionale capace di sviluppare un consapevole ed efficiente utilizzo delle fonti energetiche, che ha quale obiettivo la diminuzione delle emissioni, e di imprimere un valore educativo e formativo nei soggetti coinvolti.

Dal punto di vista più strettamente operativo il primo passo è quello della costituzione del soggetto giuridico; sottolineiamo che i condomini non hanno bisogno di costituzione essendo essi stessi dei soggetti giuridici già esistenti. Negli altri casi occorrerà:

  • costituire il soggetto giuridico: ad oggi non c’è una definizione univoca di quale sia la migliore forma giuridica per costituire le CER; indubbiamente quella che più si presta è la forma della cooperativa. In ogni caso si tratta di un contratto privato tra diversi partecipanti che sono liberi di ripartire gli oneri, gli incentivi ed i guadagni in ragione di diversi parametri.

  • Prevedere una fase di avvio che implica la progettazione e la costituzione della CER secondo gli adempimenti prevista dal GSE, e che termina con l’installazione degli impianti.

  • Organizzare la gestione dell’impianto che prevederà sia la manutenzione, sia la gestione amministrativa, il controllo economico ed il monitoraggio della redistribuzione di tutti i benefit riconosciuti in favore dei soggetti aderenti alla CER.

  • Ottimizzare l’uso dell’energia condivisa implementando eventuali sistemi di stoccaggio ed istituendo sistemi c.d. di “load management” per la redistribuzione e l’utilizzo efficiente dei carichi.

I requisiti richiesti perché si possa attivare una CER, oltre alla tipologia di soggetti che possono parteciparvi - e che ricordiamo essere privati, enti pubblici, associazioni, piccole e medie imprese (purché per queste ultime la partecipazione alla CER non rappresenti l’attività commerciale o industriale principale) - sono:

  • titolarità di un POD, cioè di un punto di prelievo di energia dalla rete;

  • adesione di almeno due soggetti: il prosumer ed il consumer che devono essere forniti dalla stessa cabina primaria;

  • installazione di nuovi impianti con una potenza complessiva inferiore ad 1 MW; tuttavia nelle CER possono partecipare anche impianti già esistenti purché non superino il 30% della potenza complessiva;

  • L’energia deve essere condivisa utilizzando la rete nazionale di distribuzione.

Un aspetto importante da approfondire riguarda i costi per l’organizzazione delle comunità energetiche; i fattori determinanti risiedono nei soggetti che finanziano gli impianti fotovoltaici, i quali rappresentano la voce di costo più consistente, nonché le modalità di organizzazione e lo scopo finale. Esistono, ad esempio, Comunità Energetiche promosse da enti pubblici con la finalità di valorizzare le fonti rinnovabili e combattere la povertà energetica che non richiedono alcun contributo economico ai singoli cittadini. Inoltre è possibile ricevere contributi dedicati a promuovere lo sviluppo delle CER erogati sia da soggetti pubblici - mediante partecipazione a bandi regionali o utilizzando i fondi per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR approvato il 13 luglio 2021) - sia da soggetti privati - tra cui anche le fondazioni bancarie le quali erogano gli aiuti nel rispetto di determinate condizioni che le comunità devono possedere – i quali contribuiscono al sostenimento dei costi per la progettazione e la messa in esercizio degli impianti.

Dal 2020, in Italia le Comunità Energetiche hanno acquisito caratteristiche proprie e ben definite e i progetti presentati hanno attirato l’interesse crescente dei media; tuttavia viene accusato un ritardo nel decollo di tali realtà, in considerazione della complessità del processo normativo, che ha implicato una fase sperimentale durata circa due anni. In questo periodo, pertanto, i progetti realizzati sul territorio nazionale sono stati un numero ridotto: secondo Legambiente (nel suo ultimo report di maggio 2022) le realtà operative in Italia sono 35, mentre 41 sono in fase di progettazione. Ci si attende però una crescita con il perfezionamento del quadro normativo.

Dal punto di vista normativo si rammenta che solo di recente l'Italia ha recepito la Direttiva europea, peraltro in più riprese, a partire dall'emendamento al Decreto Milleproroghe, convertito nella legge n. 8 del 28 febbraio 2020, che di fatto ha aperto la strada alla costituzione di Comunità Energetiche fissandone anche i limiti di potenza.

Dal punto di vista regolatorio si è invece mossa l’Autorità per l’energia (ARERA) con delibera 318/2020/R/eel ed il Ministero dello sviluppo economico con il DM 16 settembre 2020; mediante tali atti si sono regolati gli aspetti economici per il ritiro dell’energia e fissata la tariffa incentivante per l’auto consumo elettrico collettivo, alternativa agli incentivi attualmente previsti e/o al meccanismo dello scambio sul posto. Le regole tecniche per accedervi sono state fissate in un documento del GSE pubblicato il 22 dicembre 2020, contestualmente alla guida per l’invio delle istanze preliminari di accesso tramite l’apposito portale predisposto sempre dal GSE.

Infine la direttiva UE 2018/2001 è stata portata a compimento con il decreto legislativo n. 199 dell’8 novembre 2021 che ha anche ampliato il limite di potenza degli impianti e l’orizzonte geografico. Dal punto di vista della disponibilità delle risorse finanziarie si evidenzia che il PNRR ha destinato oltre 2 mld di euro allo sviluppo delle CER, riconoscendone il valore di strumento atto ad aumentare la produzione complessiva di energia rinnovabile.

Ora poniamoci la domanda se può convenire o meno istituire una comunità energetica in una delle forme suddette: il primo passo è costruire, nel modo più verosimile possibile, un progetto tecnico-economico che valuti l’ammontare degli investimenti necessari ed i costi di gestione al fine di quantificare i tempi di recupero degli investimenti. Prima di tutto occorre dare una valutazione sull’energia producibile dall’impianto e il conseguente ricavo derivante dalla vendita al GSE. Sarà poi importante valutare anche l’incentivo di ritorno che dipenderà dal comportamento dei consumatori di energia con riferimento alle ore di produzione; in tal senso sarà d’aiuto l’uso delle moderne metodiche della domotica in quanto saranno programmate le azioni più efficaci e rapide in termini di utilizzo dell’energia prodotta. Si sottolinea in questo contesto che nel caso dei condomini bisognerà valutare adeguatamente la disponibilità dei residenti a spostare i propri consumi nelle ore più convenienti, quelle in cui la comunità produce l’energia. Secondo analisi effettuate da centri specializzati è molto probabile recuperare un investimento in circa 6 - 8 anni.

Se però si approfondisce l’argomento ci si accorge che le comunità energetiche sembrano non ancora ben normate per consentire loro di cogliere le opportunità dello sviluppo delle energie rinnovabili; infatti il mercato dell’energia a monte delle CER si presenta con prezzi vincolati che esprimono una grande forza da parte dei distributori di energia, a fronte di un mercato di utenti non adeguatamente protetto. Tale condizione potrebbe implicare un controllo ed un’invasione di competenze, da parte dei grandi colossi della distribuzione, nei confronti del mercato a valle, degli utenti/produttori, ostacolando ogni innovazione suscettibile di dare anche un potere concorrenziale al mercato formato dalle CER. E’ facile ipotizzare che i protagonisti del mercato dei contatori e della distribuzione faranno l’impossibile per presidiare e controllare in tutti i modi il mercato degli utenti, agendo su strategie che daranno loro ancora più potere e meno libertà, per le CER, di innovare anche il mercato della distribuzione.

Il grande potenziale economico per le CER è rappresentato sia dagli aspetti energetici, sia da quelli economici di recupero/remunerazione; in diversi paesi si stanno preparando piattaforme digitali per consentire alle CER di partecipare anche ai mercati accessori della capacità, della flessibilità, del controllo della tensione e della frequenza, finalizzati al miglior utilizzo dell’energia prodotta. Negli USA, ad esempio, sono state emanate delle disposizioni che impongono al mercato elettrico l’apertura totale nei confronti di queste aggregazioni, rimuovendo le barriere che limitano le loro azioni. La finalità va verso l’incentivazione della ricerca ed innovazione a vantaggio degli utenti, evitando di limitare le convenienze economiche e lo sviluppo delle forme di energia rinnovabile.

Pertanto possiamo concludere evidenziando la necessità di una normativa interna che esalti tali realtà e le affranchi dalle aggregazioni più consolidate e presenti sul mercato che rischiano di invadere spazi economici e produttivi delle CER, impedendo loro di entrare ad armi pari sul mercato delle risorse energetiche. Il nostro paese sembra fermo alla strenua difesa della esclusività delle concessioni ai distributori, la cui salute economica va certamente salvaguardata, ma senza penalizzare irragionevolmente gli utenti. Solo la politica e l’innovazione normativa di settore potrà migliorare il rapporto di forza tra il mercato odierno fatto di poche grandi realtà oligopolistiche e le nuove realtà delle CER fatte da utenti che hanno a cuore sia l’aspetto economico sia quello ecologico.

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
22 Giugno 2023

LA LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA 2022/2023: IL REGOLAMENTO SUI FLUSSI DI CONTANTE di Alessandra Di Giovambattista

LA LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA 2022/2023: IL REGOLAMENTO SUI FLUSSI DI CONTANTE

di Alessandra Di Giovambattista

 03-07-2023

Il 15 giugno 2023 il Consiglio dei Ministri ha comunicato di voler seguire il percorso dell’approvazione con procedura d’urgenza del disegno di legge di delega al Governo per il recepimento delle Direttive Europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea (UE) per il periodo 2022/2023 (la c.d. legge di delegazione europea); in particolare il disegno di legge è complementare al decreto legge n. 69 del 13 giugno 2023. Tale prassi è stata scelta per velocizzare l’iter parlamentare consentendo l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello europeo e prevenendo altresì l’apertura di procedure di infrazione per mancato recepimento di direttive UE e non corretta attuazione di regolamenti.

Il testo permette il recepimento di 19 direttive e l'adeguamento, con interventi di carattere sistemico, dell'ordinamento nazionale a 4 regolamenti europei. 

Nel dettaglio, il Capo I (articoli 1 e 2) contiene le disposizioni generali per il recepimento e l'attuazione degli atti dell'Unione Europea, secondo i termini, le procedure, i princìpi e criteri direttivi previsti dalla legislazione vigente.

Il Capo II (articoli da 3 a 9) contiene i princìpi e criteri direttivi specifici per il recepimento di alcune direttive concernenti diversi ambiti, tra cui le misure volte: ad incrementare il grado di resilienza dei soggetti pubblici e privati in vari settori, alla protezione dei consumatori e dei lavoratori, all’armonizzazione della legislazione in tema di apparecchiature radio al fine di limitare la frammentazione delle interfacce di ricarica dei telefoni cellulari, alle modalità di uso di materiali atti alla moltiplicazione delle piante da frutto e sulle piante da frutto, alla riduzione delle emissioni di gas serra in tutti i settori, ed in particolare in quello del trasporto aereo, con l’istituzione di un sistema di scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra nell’Unione.

Infine il capo III (articoli da 10 a 13) contiene le disposizioni relative all'attuazione di 4 regolamenti europei:

 

 

  • regolamento (UE) n. 2022/2036  sul trattamento prudenziale degli enti di importanza sistemica a livello mondiale;

  •  regolamento (UE) n. 2018/1672  finalizzato a migliorare i controlli sui flussi di denaro in contante sia in entrata che in uscita dal territorio dell'Unione Europea, armonizzando le misure volte al monitoraggio del trasporto transfrontaliero di denaro contante, nonché quelle volte alla condivisione e utilizzazione delle relative informazioni;

  •  regolamento (UE) n. 2022/2554 volto a conseguire un elevato livello di resilienza operativa digitale per le entità finanziarie regolamentate;

  • regolamento (UE) n. 2022/868 finalizzato a migliorare ulteriormente le condizioni per la condivisione dei dati nel mercato interno, creando un quadro armonizzato per gli scambi di dati e stabilendo alcuni requisiti di base per la governance dei dati, allo scopo di facilitare la cooperazione tra gli Stati membri.

L’approfondimento che qui si vuol fare riguarda il regolamento UE 2018/1672 relativo ai controlli sul denaro contante in entrata nell’Unione o in uscita dall’Unione e che abroga il precedente regolamento CE n. 1889/2005 nonché le disposizioni attuative contenute nel regolamento di esecuzione UE n. 2021/776.

La disciplina interessa il sistema di controlli sul denaro contante di valore pari o superiore a 10.000 euro in entrata o in uscita dall'Unione che dovrà integrare il quadro giuridico per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo (contenuto nella direttiva UE n. 2015/849). Per la legislazione odierna è già previsto che chiunque entri o esca dal territorio nazionale trasportando denaro contante per importi superiori a 10.000 euro deve presentare dichiarazione all’Agenzia delle Dogane. Le indicazioni contenute nella legge di delegazione europea prevedono interventi di tipo sostanziale e formale, oltre ad attribuire all’Agenzia delle Dogane ed alla Guardia di Finanza, la facoltà di esercitare, nell’attività di controllo, i poteri di cui sono titolari in materia fiscale. Vengono quindi definiti gli elementi informativi che deve contenere la nuova modulistica - come ad esempio i dati anagrafici del dichiarante, del proprietario, del mittene e del destinatario, i numeri identificativi e di registrazione nonché il paese di registrazione, di partenza e di invio, ecc. - con la finalità: di ridurre il rischio di errori relativi all’identità, di ridurre il rischio di ritardi in fase di verifica successiva, di migliorare l’azione di contrasto all’evasione/finanziamento del terrorismo mediante l’uso dell’analisi del rischio. Tale analisi costituisce il presupposto determinante per gestione un’azione di carattere sia preventivo che repressivo nei confronti delle frodi e del finanziamento terroristico: il sistema di sorveglianza sui movimenti transfrontalieri di denaro contante ne rappresenta un corollario imprescindibile.

È evidente che il sistema di sorveglianza si realizza anche attraverso l'adozione di forme armonizzate di collaborazione e di scambio di informazioni tra le autorità competenti dei diversi Paesi - compresa anche la Commissione europea - utilizzando specifici supporti informatici, ogni qual volta ci sia il sospetto di movimenti di denaro contante connessi ad attività illecite di riciclaggio, di fronde e di finanziamento del terrorismo.

Per raggiungere tali obiettivi la legge di delegazione prevede che il Governo adotti dei decreti legislativi di adeguamento della normativa interna con quanto disposto dal regolamento n. 2018/1672, nonché emani disposizioni integrative e correttive per la migliore armonizzazione delle norme interne con quelle comunitarie. Ribadisce poi che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e la Guardia di Finanza possono esercitare i poteri e le facoltà loro riconosciuti dall’ordinamento nazionale al fine di verificare l’osservanza dell’obbligo di dichiarazione al fine di garantire la celerità, l’economicità e l’efficacia dei controlli. Al riguardo si sottolinea che già oggi la Guardia di finanza, con le proprie capacità investigative, garantisce l’efficacia e la rapidità delle azioni di verifica e controllo, volte a reprimere atti illeciti, proprio mediante l’uso e lo sviluppo costante della metodologia dell’analisi dei rischi. Gli uffici di controllo non possono non tener conto del fatto che la disciplina valutaria pur apparendo autonoma da quella fiscale presenta indubbiamente dei punti di contatto con quest’ultima in quanto il più delle volte le azioni illecite sono tra loro agganciate e a violazioni di tipo valutario si riconducono, spesso, anche violazioni di tipo fiscale.

Indubbiamente a tali considerazioni occorre aggiungere che in un sistema finanziario in continua evoluzione, anche in termini di creazione di nuovi negozi giuridici non sempre disciplinati espressamente dai singoli ordinamenti, l’attenzione che pone il legislatore comunitario alle attività illecite in senso lato, sono condivisibili in quanto il riciclaggio di proventi illeciti nel sistema economico e l’uso del denaro per finanziare attività illegali creano distorsioni e svantaggi competitivi per i cittadini e le imprese rispettosi della legge e rappresentano, quindi, una minaccia per il funzionamento del mercato interno. Si tratta di preoccupazioni sempre presenti sul mercato reale e dei capitali e non descrivono certo delle situazioni nuove tuttavia, oggi, il grado di complessità delle problematiche legate all’uso del denaro si è incrementato rispetto al passato. Basti pensare all’introduzione della moneta virtuale che crea problemi di monitoraggio e di contrasto degli illeciti riconducibili al suo uso ed al suo scambio; oppure alle situazioni che si vengono a creare con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale che consente di creare realtà virtuali e parallele ai mercati finanziari con l’uso di algoritmi appositamente impostati. Poiché tali situazioni, che spesso celano atti criminali e terroristici, coinvolgono non più singoli Stati, bensì più soggetti tra loro collegati, l’UE ha deciso di porre mano alla materia anche a scopi cautelativi

Ha pertanto previsto ed introdotto una serie di misure ed obblighi per gli enti finanziari, le persone giuridiche e talune professioni al fine di garantire la trasparenza e la conservazione di registri delle movimentazioni in entrata ed in uscita, oltre a disporre, ulteriormente, di norme che avranno come obiettivo quello di approfondire la conoscenza dei propri clienti. Sono pertanto state istituite delle unità di informazione finanziaria nazionali (UIF), con l’obiettivo di far pervenire loro le transazioni sospette al fine di monitorarle e controllarle e valutare se coinvolgere nel processo di controllo e di valutazione anche parti terze presenti in altri Paesi e se necessario informare le autorità giudiziarie. La previsione di sorvegliare i movimenti transfrontalieri di denaro contante anche ai movimenti tra l’Italia e gli altri Stati membri è di elevata rilevanza anche se non rappresenta una innovazione per il nostro sistema di controllo per il già rilevato rapporto che intercorre tra riciclaggio ed evasione fiscale, un ambito attenzionato dai nostri organi finanziari da ormai molto tempo.

Il Governo è poi delegato a definire il sistema sanzionatorio per la violazione degli obblighi di dichiarazione attraverso la previsione di sanzioni amministrative dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni commesse, evidenziando, indirettamente, una inadeguatezza del vigente sistema giuridico in tema di sanzioni. Tuttavia nella delega non sono fornite informazioni circa i criteri ed i principi specifici che dovranno essere seguiti. A tal fine sarebbe auspicabile evitare duplicazioni di controlli e sovrapposizioni di obblighi dichiarativi che potrebbero, in qualche modo, rendere meno efficaci le forme di contrasto agli illeciti e, conseguentemente, rendere confuse le sanzioni amministrative applicabili. In tal senso si sa che dove si possono aprire falle nel sistema sanzionatorio l’attività di contrasto all’evasione, al riciclaggio ed al terrorismo rischia di perdere proprio le caratteristiche che la delega intende rafforzare e cioè: l’efficacia, la celerità e l’economicità dell’azione amministrativa.

 

 

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
03 Luglio 2023

IL PRIMO PASSO VERSO UNA LEGGE DI REGOLAMENTAZIONE DEL LOBBISMO di Alessandra Di Giovambattista

IL PRIMO PASSO VERSO UNA LEGGE DI REGOLAMENTAZIONE DEL LOBBISMO
di Alessandra Di Giovambattista

30-08-2023

 


Più di un anno fa, il 12 gennaio 2022, la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge recante la disciplina dell’attività di lobbying. Si rammenta che la I Commissione della Camera - Affari costituzionali, Presidenza del Consiglio e Interni – avviò nel dicembre 2019 l’esame di più proposte di legge tra loro abbinate volte a regolare l’attività di rappresentanza degli interessi ed all’istituzione di un registro pubblico dei rappresentanti di interessi. La Commissione è giunta, dopo diverse audizioni a quella dell’agosto 2021 in cui si è adottato un testo unificato delle diverse proposte di legge.
In Italia il vuoto normativo in tema di lobbying è sempre esistito; tuttavia dal 1976 sono stati presentati almeno 96 disegni di legge, tutti lasciati decadere consentendo a privati e ad organizzazioni di continuare nell’attività di rappresentanza di interessi, in un contesto privo di inquadramento giuridico che ha favorito legami non trasparenti e non etici, spesso mossi dal tornaconto personale del singolo o dei soggetti da essi rappresentati che hanno potuto influenzare il corso degli eventi politici.
Il tema è molto delicato ed è bene ricordare, secondo la descrizione dell’enciclopedia Treccani, che il termine lobbying viene utilizzato “per definire quei gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi”. In tale definizione possiamo far rientrare aziende, associazioni di categoria, privati, ordini professionali ed altre organizzazioni non meglio definite.
Alla luce del nuovo testo di disegno di legge - licenziato dalla Camera dei deputati dopo un percorso lungo ed accidentato, iniziato nel 2019 e assoggettato a modifiche mediazioni, scontri ed emendamenti ed inviato nel gennaio 2023 al Senato della Repubblica, con la speranza di un sua definitiva approvazione entro il 2023 - possiamo sottolineare sinteticamente alcuni aspetti di peculiare importanza:
• l’iscrizione al Registro nazionale per la trasparenza dell’attività di relazione per la rappresentanza di interessi, tenuto dall’Antitrust (Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM), per coloro che intendono svolgere tale attività presso i decisori pubblici; l’elenco sarà consultabile da tutti i cittadini mediante l’utilizzo di spid o carta d’identità elettronica.
• L’istituzione di un’agenda degli incontri tra i rappresentanti di interessi ed i decisori pubblici che dovrà essere aggiornata dai rappresentanti settimanalmente. Invece i decisori pubblici potranno chiedere di rimuovere i contenuti giudicati non veritieri.
• La creazione di un Comitato di sorveglianza presso l’Antitrust che si occuperà di verificare la trasparenza dei processi decisionali pubblici, di comminare sanzioni amministrative in caso di violazioni delle disposizioni normative e di adottare un codice deontologico con le modalità di comportamento che dovranno tenere i rappresentanti degli interessi nello svolgimento della loro attività di relazioni istituzionali. Le funzioni del comitato di sorveglianza sono svolte da una Commissione bicamerale composta da 5 deputati e 5 senatori.
• La non applicazione delle norme in caso di rappresentanza di interessi svolta da enti pubblici o soggetti rappresentanti di essi nonché da partiti o movimenti politici e da organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, come ad esempio Confindustria.
L’approvazione del disegno di legge, avvenuta con 339 voti favorevoli, nessun voto contrario, e 42 astenuti, tenta di colmare un vuoto normativo in materia di trasparenza e inclusività dei rapporti decisionali; spetterà ora al Senato modificare il testo o approvarlo così come votato alla Camera.
Esaminando in via sintetica il disegno di legge, si evidenzia il contenuto delle norme più importanti:
• l’oggetto dell’intervento legislativo riguarda l’attività delle relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi, intesa come contributo alla formazione delle decisioni pubbliche, svolta dai rappresentanti di interessi “particolari”, nell’osservanza della normativa vigente, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni e con obbligo di lealtà verso di esse. I principi ispiratori sono quelli di trasparenza, pubblicità, partecipazione democratica e conoscibilità dei processi ispiratori (articolo 1);
• i rappresentanti di interessi sono individuati nei soggetti che esercitano l’attività di lobbying, che si configura come ogni attività finalizzata alla rappresentanza di interessi, di rilevanza anche non generale e anche di natura non economica, nell’ambito dei processi pubblici e svolta da specifici soggetti in modo professionale. L’attività di rappresentanza di interessi viene svolta mediante molteplici modalità quali la presentazione di domande di incontro, proposte, richieste studi, ricerche, ecc. (articolo 2);
• le disposizioni emanate non trovano applicazione nei confronti di alcuni soggetti, quali i funzionari pubblici, i giornalisti, i rappresentanti dei governi e dei partiti, i movimenti e gruppi politici di Stati stranieri, i rappresentanti delle confessioni religiose riconosciute. Dal punto di vista oggettivo le disposizioni in materia di lobbying non si applicano: ai rapporti la cui pubblicità costituisce violazione delle norme sul segreto di Stato, d’ufficio, professionale o confessionale; alle attività di comunicazione istituzionale, orali o scritte, rese nell’ambito di sedute o audizioni presso gli organi parlamentari, o le commissioni; all’attività di rappresentanza svolta nell’ambito di processi decisionali che si concludono mediante protocolli d’intesa o altre modalità di decisione collettiva (articolo 3);
• l’istituzione del citato Registro per la trasparenza dell’attività dei soggetti che svolgono attività di lobbying al quale devono iscriversi tutti coloro che vogliono svolgere attività di relazione istituzionale per la rappresentanza di interessi. Il registro è tenuto presso la AGCM. Il registro, tenuto in forma digitale, è articolato in due parti: una ad accesso riservato ai soggetti iscritti e alle amministrazioni pubbliche e l’altra ad accesso pubblico, consultabile per via telematica (articolo 4);
• la creazione di un’agenda degli incontri tra lobbisti iscritti al registro e decisori pubblici; ciascun rappresentante di interessi aggiorna settimanalmente la propria agenda che è consultabile nella parte aperta del Registro alla pubblica lettura. È anche previsto un procedimento di opposizione da parte dei decisori pubblici alla pubblicazione di informazioni che risultano non veritiere (articolo 5);
• l’adozione di un codice deontologico da parte del Comitato di sorveglianza sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici, istituito presso la AGCM (articolo 6);
• l’assegnazione all’AGCM della tenuta del registro e delle funzioni di sorveglianza e controllo di cui agli articoli 5 e 6. Con riferimento all’attività parlamentare le funzioni del Comitato di sorveglianza sono svolte da una commissione parlamentare bicamerale. I componenti del comitato sono nominati dal Presidente della Repubblica ed è composto da un magistrato della Corte di Cassazione, da un magistrato della Corte dei conti, e da un membro del CNEL che svolge anche le funzioni di Presidente del Comitato (articolo 7);
• la definizione dei diritti riconosciuti ai lobbisti iscritti nel registro. In particolare essi possono presentare ai decisori pubblici domande di incontro, proposte, richieste, studi, ricerche; possono svolgere attività dirette a perseguire interessi leciti di rilevanza non generale e concorrere alla formazione delle scelte pubbliche; accedere alle sedi istituzionali dei decisori pubblici (articolo 8);
• la determinazione di obblighi a cui sono tenuti gli iscritti al registro. In particolare si stabilisce il divieto per i lobbisti di corrispondere, a titolo di liberalità, somme di denaro o altre utilità economiche di rilevante importo ai decisori pubblici, nonché l’obbligo da parte di ciascun portatore di interessi di predisporre entro il 31 gennaio di ogni anno una relazione sull’attività di rappresentanza di interessi volta nell’anno precedente. Anche il Comitato di sorveglianza è tenuto a redigere, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione annuale sull'attività dei lobbisti, nella quale possono essere segnalate eventuali criticità e formulate proposte (articolo 9);
• l’istituzione di una procedura mediante la quale ciascun decisore pubblico può indire una consultazione qualora intenda proporre o adottare un atto normativo o regolatorio di carattere generale; tale procedura di consultazione deve essere pubblicata sul registro al fine di averne la massima pubblicità ed essere di facile accesso pubblico (articolo 10);
• la definizione di una disciplina sanzionatoria in caso di violazione di obblighi stabiliti dalla legge nei confronti del lobbista. Le sanzioni sono regolate in ragione della gravità della condotta, definendo così: l’ammonizione, la censura, la sospensione dall’iscrizione nel registro, la cancellazione dal registro (articolo 11).
La proposta di legge approvata, per ora, dalla sola Camera dei deputati ha indubbiamente il merito di provare a normare un ambito che finora è rimasto fuori da ogni regolamentazione; probabilmente questa situazione di totale delegificazione è stata voluta al fine di non palesare incontri, impegni, pressioni, interessi di singoli o di gruppi di potere per rendere meno trasparente possibile la rete di conoscenze e di clientele che generano scelte e decisioni politiche di favore per pochi soggetti, alimentando al contempo forme di corruzione.
Le nuove disposizioni riconoscono un ruolo importante ai portatori di interessi con la finalità di garantire, nel modo più ampio possibile, l’espressione democratica delle necessità e delle opportunità sentite dai soggetti operanti nel contesto socio-economico e più in generale dalla società civile.
Secondo diversi osservatori il registro unico nazionale dei portatori di interessi consentirà di chiarire i soggetti che svolgono tale attività, peraltro in modo professionale, ricompattando tutte le informazioni ad oggi presenti e frammentate presso i registri tenuti dalla Camera dei deputati, e da alcuni ministeri ed enti locali. Tale registro permetterà di conoscere gli incontri e le relazioni instauratisi tra i lobbisti ed i politici e funzionari pubblici.
Tuttavia si sottolineano alcune perplessità rappresentate dagli esperti del settore: in prima analisi si evidenzia che il sistema finora ha premiato coloro che hanno già l’abitudine e l’attitudine a trattare con i decisori pubblici, escludendo tutti gli altri potenziali interlocutori; in tale contesto il dubbio della corruzione riemerge prepotentemente ed è sostenuto dalla asimmetrie informative presenti ad oggi sul mercato. Sarà quindi importante vigilare e affinare la normativa proposta affinché tutti abbiano le stesse possibilità di svolgere l’attività di rappresentanza di interessi.
Un altro aspetto da sottolineare che presenta delle criticità con riferimento al processo di trasparenza delle decisioni pubbliche, riguarda la disposizione che, ad oggi, non obbliga al rispetto della legge sul lobbismo due importanti interlocutori: i sindacati e Confindustria. La motivazione posta a questa lettura legislativa sembra essere riconducibile al fatto che tali due interlocutori rappresentano gli interessi generali. Tuttavia è stato da più parti osservato che anche associazioni mondiali come Greenpeace o Amnesty International o le varie organizzazioni non governative (ONG) sono portatori di interessi generali, o meglio di attivismo (vedremo che l’OCSE definisce tale forma di tutela di interessi generali con la parola “advocacy”) e secondo la legge in esame loro saranno obbligati a tenere traccia e a dare conto degli incontri avuti con i decisori pubblici e di rendicontare l’attività di rappresentanza svolta, mentre questo obbligo non esisterà per altri attori quali quelli già menzionati cioè i sindacati e Confindustria. Eppure proprio questi ultimi già presenti e ben radicati con i loro interessi nel nostro Paese dovrebbero, forse, più degli altri rendicontare e rendere trasparenti incontri e decisioni prese; d’altronde proprio con tali interlocutori spesso i rappresentanti politici costruiscono i loro programmi di Governo e tale forma di trasparenza forse permetterebbe agli elettori anche di svolgere un controllo e di scegliere i propri rappresentanti in modo più consapevole e democratico. Sarebbe opportuno che la società conoscesse la loro influenza sulle scelte dei decisori pubblici che poi vengono votati.
Un altro aspetto da attenzionare riguarda il tempo che deve passare prima che un rappresentante pubblico (membri del Governo o delle giunte regionali) dopo essere cessato dal proprio incarico, possa agire privatamente come un lobbista; la legge per il momento fissa questo periodo di congelamento dell’attività in un anno. Anche per tale aspetto non sono mancate critiche; infatti un così breve lasso di tempo permette a soggetti attivi nell’ambito politico di sfruttare conoscenze di persone e di fatti che altri non hanno e che oltre a dare ad essi una rendita di posizione, generando asimmetrie informative, offre il fianco a corruzioni e connivenze dovute proprio al loro ruolo che li vede in una veste privilegiata rispetto agli altri lobbisti. La soluzione che potrebbe prospettarsi e legata non solo al prolungamento del periodo di congelamento, ben oltre l’anno previsto attualmente, ma anche all’inibizione dello svolgimento di attività di lobby nel settore nel quale il soggetto ha operato in veste di attore pubblico.
Non dovrebbero essere anche queste delle finalità che la legge sul lobbismo dovrebbe perseguire a garanzia della democrazia, della trasparenza e delle conoscenze consapevoli per la società civile?

 

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
30 Agosto 2023

Le comunità energetiche: un fenomeno recente? di Alessandra Di Giovambattista

Le comunità energetiche: un fenomeno recente?

di Alessandra Di Giovambattista

 16-06-2023 

Un argomento di attualità, ancora però sconosciuto ai più, riguarda le comunità energetiche rinnovabili (CER). In particolare con il termine CER si indica un gruppo di soggetti che si organizzano per produrre e condividere localmente l'energia prodotta da fonti rinnovabili. Quindi rappresenta una vera e propria comunità costituita da enti privati, singoli cittadini, associazioni ed enti pubblici che decidono di associarsi per produrre sul loro territorio energia derivante da fonti rinnovabili (per esempio fotovoltaico ed eolico), per poi condividerla tra loro.

A Roma, la prima CER, chiamata “Le vele” è stata individuata grazie alla collaborazione tra l’Istituto Leonarda Vaccari – grazie alla sensibilità e disponibilità della nipote della fondatrice, oggi presidente dell’istituto - che si occupa di riabilitazione psico-fisica e integrazione didattica e sociale delle persone diversamente abili, la Federconsumatori Lazio ed il Municipio Roma I centro; essa si concretizza in un impianto da 90KW che produrrà circa 120 mila KWH.

Nel progetto si evidenzia che lo scopo, oltre al beneficio ambientale, è quello di finanziare, con i risparmi ottenuti dalla produzione di energia rinnovabile e con i proventi derivanti dagli incentivi, interventi sociali a favore delle persone presenti nella comunità del Municipio e che si trovano in difficoltà e specifici progetti rivolti ai pazienti dell’istituto per rafforzare la politica di assistenza e recupero. Si noti che l’Istituto Leonarda Vaccari è stato premiato per ben quattro volte con la Medaglia d’Oro al merito della Sanità pubblica.

Se questa può sembrare un’innovazione in realtà, facendo un salto indietro nella storia, vediamo che le origini di questo nuovo mondo sono da ricercare nelle "vecchie" cooperative energetiche. Un tempo, alla fine dell'Ottocento, l'elettricità veniva prodotta da piccole centrali costruite nei pressi delle fabbriche e quella in eccesso era data al vicinato. All'epoca nessuno le chiamava comunità energetiche, perché non esistevano ancora le reti centralizzate di distribuzione. Era semplicemente la forma più diffusa di distribuzione dell’energia. Così nacquero le prime cooperative; regolate da una legge del Regno d’Italia era permesso ai soci di produrre e distribuire energia. Così queste cooperative gestivano centrali idroelettriche ed i soci, privati, industrie, enti pubblici locali, beneficiavano dell’energia prodotta. Alcune di queste realtà sopravvivono ancora oggi nel nord Italia - fra le altre a Brunico, Dobbiaco, Prato allo Stelvio, Funes, dove nessuno ha sottoscritto contratti con distributori nazionali in quanto l’energia prodotta in loco è a prezzi molto bassi, essendosi anche aggiunte, oltre all’idroelettrico, forme di produzione di energia rinnovabile quali il fotovoltaico e l’eolico – mentre nel nord Europa, ed in particolare in Germania, Belgio e Danimarca, tali organizzazioni sono sopravvissute e si sono diffuse. Sono proprio queste realtà, ed il modello che incarnano, che hanno ispirato l'idea delle comunità energetiche vere e proprie a partire dal 2010.

Ricordiamo inoltre che negli anni novanta in Italia sono nate le grandi concessionarie di distribuzione separate dalla produzione; tuttavia alle cooperative storiche è stato permesso di continuare ad operare, forse perché in nord Europa sono tanto diffuse e di grandi dimensioni. Tuttavia è ancora vietato fondarne di nuove. Il fenomeno dell’accentramento in grandi reti nazionali, secondo Brian Janous, general manager di Microsoft, era un processo inevitabile, in quanto l’unico a garantire una distribuzione a bassi costi finalizzata all’uso da parte di tutti e un servizio il più omogeneo possibile. Tali obiettivi previsti per l’energia elettrica, ora si vogliono raggiungere anche nel traffico dei dati, attività che sta curando Microsoft; tuttavia poiché la distribuzione elettrica sta incrementando l’energia solare ed eolica, si sta puntando l’attenzione sul ruolo determinante delle batterie per immagazzinarla e dell’intelligenza artificiale per gestirne al meglio consumi, picchi e potenza di calcolo.

Le comunità energetiche di cui parliamo oggi arrivano venti anni dopo, anche grazie all’avvento dei pannelli solari, con l’idea nata dal basso nelle associazioni ambientaliste e dalla federazione europea delle cooperative Rescooop. 

Ma è solo nel 2018 che viene impressa una spinta sostanziale, con la direttiva europea che sancisce il diritto all'autoconsumo energetico approvata per bloccare iniziative dei singoli stati contro il fotovoltaico. Nel 2015, infatti, il governo spagnolo di Mariano Rajoy, del Partito Popolare, aveva pubblicato il Regio Decreto 900/2015, con il quale si applicavano una serie di complicazioni amministrative, tasse e sovrattasse alle installazioni di rinnovabili per proprio consumo (venne battezzata la "tassa sul sole"). Di qui l'articolo 21 della direttiva europea (UE) 2018/2001 che dà potere ai consumatori consentendo loro un autoconsumo "senza restrizioni indebite e di essere remunerati per l'elettricità che immettono nella rete". Le fonti rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico, che per loro natura si prestano poco alla centralizzazione e molto di più alla produzione e all’uso locale, hanno fatto tornare a guardare con favore alla produzione e condivisione dell’energia nel modo delle vecchie cooperative energetiche.

La citata Direttiva UE 2018/2001 dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione sia almeno pari al 32% e la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti sia almeno pari al 14% del consumo finale in tale settore. Ogni stato membro deve fissare i contributi nazionali per conseguire collettivamente l’obiettivo vincolante del 2030 ognuno nell’ambito dei propri piani nazionali integrati per l’energia ed il clima-PNIEC. Gli obiettivi del piano che nello specifico dovrà conseguire l’Italia entro il 2030 riguardano: il raggiungimento di una percentuale di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi pari al 30%; una quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti pari al 22% dei consumi finali lordi (bisogna tener presente l’obiettivo complessivo UE si attesta sul 14%) che dovrà essere garantita dai fornitori di carburante. La direttiva regola anche i principi ed i criteri per disciplinare: il sostegno finanziario all’energia elettrica da fonti rinnovabili, l’autoconsumo dell’energia elettrica prodotta dalle rinnovabili, l’uso di tale energia nel settore del riscaldamento e raffrescamento e nel settore dei trasporti, la cooperazione tra gli stati membri e paesi terzi su progetti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la garanzia di origine dell’energia, le procedure amministrative per agevolare le fonti rinnovabili, l’informazione e la formazione su di esse. La direttiva in argomento fissa anche i criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi ed i combustibili da biomassa.

Gli stati membri sono stati obbligati a recepire nel diritto nazionale la direttiva entro il 30 giugno 2021 ed è entrata in vigore il 1 luglio dello stesso anno.

Chiariti questi primi aspetti cerchiamo di muovere i primi passi nel mondo delle comunità energetiche rinnovabili, approfondendo alcuni aspetti. Intanto le CER sono un modello di produzione e consumo nate per la gestione dell’energia da fonti rinnovabili. La normativa esistente ha cercato di favorire due modelli di costituzione di tali comunità: le CER vere e proprie, ed i gruppi di autoconsumo collettivo (AC). In ambedue le tipologie troviamo la partecipazione di soggetti diversi ed il decentramento della produzione con la finalità di generare e consumare autonomamente, nello stesso sito, energia elettrica derivante da fonti rinnovabili. Nella gran parte dei casi questo è possibile attraverso l’utilizzo di impianti fotovoltaici che possono essere installati da uno o più partecipanti alla Comunità Energetica, con una serie di benefici economici, sociali e ambientali che ricadono su tutti gli aderenti e sulla collettività. Nello specifico le CER possono essere di diverse tipologie in ragione della fonte di energia utilizzata. Nella gran parte dei casi, si basano sul fotovoltaico e sull’unione di più prosumer, cioè produttori-auto consumatori di energia, e di consumer che all’interno delle CER trovano il modo più efficace di impiegare l’energia elettrica. La costituzione delle CER è strettamente collegata alla figura del prosumer: sarà centrale l’auto produzione di energia e l’autoconsumo per soddisfare prima di tutto il proprio fabbisogno energetico. Sono pertanto delle reti virtuali tra più unità produttive e di consumo siano quest’ultime persone fisiche private, aziende, edifici pubblici o di culto, condomini; in tal modo si individua un’isola di produzione/consumo in un ambito territoriale ben definito.

Le due configurazioni presentano le seguenti caratteristiche: le CER sono rappresentate solitamente da un condominio, ma anche da parrocchie o scuole, trattate come un unico soggetto che condivide l’energia prodotta dal proprio impianto fotovoltaico anche con le singole abitazioni che lo compongono, mentre le AC sono definite come una più ampia associazione di soggetti, produttori e consumatori geograficamente vicini in modo da poter unire più impianti di energie rinnovabili (essenzialmente fotovoltaico). La direttiva UE specifica le caratteristiche principali delle “comunità di energia rinnovabile”: devono essere un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria che è autonomo e soggiace a una vicinanza dei membri agli impianti di produzione. In tale modo è abbastanza evidente l’accostamento tra queste tipologie di soggetti e la realtà giuridica delle nostre cooperative. I partecipanti sono persone fisiche, piccole e medie imprese, o autorità locali comprese le amministrazioni comunali che hanno come obiettivo quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità, direttamente ai partecipanti, o alle aree locali in cui operano. In questa visione, il principio di autoconsumo viene espanso ad un concetto più ampio: quello di energia condivisa. Non è più necessario, infatti, consumare l'energia nello stesso punto in cui questa è stata prodotta, ma può essere condivisa virtualmente con chi è in prossimità della produzione. Così si ottimizza l’auto consumo di ogni prosumer il quale potrà rivendere l’energia in eccesso a beneficio degli altri partecipanti alla comunità e presenti sul territorio (energia condivisa).

 

 

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
16 Giugno 2023

Il processo di lobbying: storia e significato di Alessandra Di Giovambattista

Il processo di lobbying: storia e significato
di Alessandra Di Giovambattista

29-08-2023

L’attività di lobbying, ossia il tentativo da parte di gruppi o singoli individui di influenzare l’attività e le decisioni del Governo di una Paese, sembra abbia origine nel XVIII secolo negli attuali Stati Uniti d’America. Il termine inglese lobby traduce specificatamente la “loggia”, ossia il luogo considerato come tribuna parlamentare riservata al pubblico. I soggetti portatori di interessi propri o di gruppo, svolgono attività di influenza e pressione sul sistema politico; tale modalità di azione viene definita lobbying, in italiano lobbismo. Lobby è una parola che deriva dal tardo latino, medioevale: “laubia” con significato di loggia, portico. Secondo alcuni autori la parola lobby venne usata per la prima volta da Thomas Becon, nel seconda metà del 1500, poi sembra ripresa da William Shakespeare nell’opera Enrico IV, volendo indicare il “passaggio”, il “corridoio”. Altri fanno derivare la parola inglese lobby dall’antica lingua tedesca “lauba” (chiaramente derivata dal tardo latino, come su detto) con il significato di deposito di documenti. Tuttavia fu nel XIX secolo (intorno al 1830) che il termine lobby andò ad indicare, nella “Camera dei Comuni”, la grande anticamera in cui i membri del parlamento inglese usavano esprimere il proprio voto durante una sessione di “division”, ossia di votazione. Successivamente il termine fu usato per individuare la zona del Parlamento in cui i rappresentanti dei gruppi di pressione cercavano di contattare i membri del Parlamento per perorare i propri interessi; con il termine lobby furono quindi indicate le anticamere di fronte alle aule in cui le decisioni parlamentari venivano prese. Si iniziò così, durante il XIX secolo, ad utilizzare il termine lobbyist e lobbying per indicare rispettivamente i soggetti portatori di interessi specifici e le loro attività.
Quindi in senso lato la parola lobby indica il gruppo di pressione che si riunisce per incontrare i parlamentari e portare avanti interessi di gruppi o personali. Così il termine è approdato anche nella nostra lingua che, con terminologia essenzialmente giornalistica, indica i gruppi di potere/interesse con lobbies, i soggetti come lobbisti, e le attività di pressione in attività di lobbying. I gruppi di pressione, spesso rappresentati anche da ditte professioniste specializzate nell’offrire servizi di lobbying, sono quindi gruppi organizzati di individui o aziende che tentano, con varie strategie di influenzare le decisioni che le istituzioni intendono prendere per favorire determinati interessi; molti sono i modi e le forme in cui tali gruppi provano a condizionare il potere legislativo. Alcune volte le modalità di azione possono non essere sempre trasparenti o legali, ad esempio si possono usare pratiche di corruzione, traffico di influenze illecite per corrompere pubblici ufficiali, divulgazione di notizie propagandistiche attraverso i media con la finalità di raggiungere determinati obiettivi.
In Italia, come anche nel resto dei paesi Europei, il lavoro del lobbista non gode di buona fama, spesso viene ricondotto a scandali, alla corruzione ed alla concussione, ed i lobbisti sono considerati solo come portatori di interessi particolari, contrari a quelli generali; in particolare, l’associazione internazionale contro la corruzione - la Trasparency International Italia – ha individuato tre cause che fanno intravedere l’attività di lobbying come un’attività riconducibile a discutibili pratiche di influenza socio-politica. Una prima causa, di natura storica, è riconducibile al peso che la rivoluzione francese ed il pensiero di Rousseau hanno avuto sulle modalità di espressione della volontà popolare: quest’ultima è considerata come il prodotto della volontà dello Stato espressa unicamente attraverso l’attività legislativa e non già come possibile mediazione tra parti rappresentanti differenti interessi. Altro aspetto, riconducibile ai criteri dettati dalla Costituzione italiana, si ritrova nel fatto che i partiti politici sono visti come gli unici attori che possono intervenire e mediare con le istituzioni. Il terzo motivo risiede nella mancanza di regolamentazione e di trasparenza delle attività di rappresentanza di interessi che le fanno percepire come pratiche non lecite e negative. Indubbiamente in Italia e nel mondo non mancano scandali che contribuiscono a conferire un’alea di negatività alle attività di lobbying; si rammentano gli scandali legati ad associazioni segrete finalizzate al controllo e all’ingerenza negli appalti e negli incarichi pubblici che hanno coinvolto politici, magistrati ed imprenditori (le cosiddette logge “P3” e “P4”, fenomeni degli anni 2010/2011), o più recentemente gli scandali che hanno creato il caso di “Mafia Capitale” nel 2015, che ha evidenziato il legame tra politica e criminalità organizzata sul territorio romano.
Tuttavia il fenomeno del lobbismo non può essere relegato e ricondotto frettolosamente alle pratiche malavitose, ci sono di fatto organizzazioni che cercano di stabilire delle regole di trasparenza e responsabilità alle attività di lobbying al fine di cooperare con la sfera politica e la società civile anche in ambiti meritori quali l’ambiente, la giustizia, l’equità e l’uguaglianza: è il caso di “The good lobby”. Quest’ultima è un’organizzazione non profit la cui missione, così come la autodefiniscono, è quella di democratizzare l’accesso alle decisioni pubbliche; cerca di realizzare l’obiettivo attraverso la sensibilizzazione dei cittadini, dei movimenti, dei gruppi e delle organizzazioni del terzo settore sull’importanza di occuparsi della politica economica, al fine di influenzare le scelte dei decisori pubblici verso le migliori opportunità. Sottolinea ancora che la loro attività è in primis rivolta alla formazione dei soggetti che seppur portatori di interessi condivisi faticano ad essere coinvolti nei processi decisionali o non hanno risorse e strutture per poterlo fare.
Quindi un gruppo di interesse si attiva con la finalità di influenzare le decisioni del potere legislativo ed esecutivo, delle Authority e degli enti pubblici e più in generale della pubblica amministrazione tutta. In Europa tale attività si verifica presso la Commissione europea a Bruxelles e in misura inferiore presso il Parlamento a Strasburgo; negli Stati Uniti d’America i gruppi di interesse agiscono sul Congresso e sui vertici dell’esecutivo, a cui capo troviamo il presidente degli USA. Qui i lobbisti hanno un elevato ed eterogeneo grado di istruzione - spaziando dalla formazione giuridica a quella più specifica in medicina, biologia, ingegneria, ecc – e retribuzioni molto alte; circa la metà dei parlamentari che non vengono riconfermati nelle elezioni successive diventano lobbisti, andando ad aumentare la schiera di soggetti rappresentanti di imprese, università, professioni, associazioni, enti, nazionali ed esteri (così creando il fenomeno delle “porte girevoli” evidenziato in Europa, come vedremo). Seguendo questo sistema di produzione di leggi – così come sostiene un aneddoto diffuso nel Congresso Americano – per conoscere a fondo un progetto di legge è utile ascoltare sia li lobbista a favore sia quello contrario al provvedimento!
Secondo Luigi Graziano, politologo e professore universitario, il lobbying si presenta come “libero mercato dei gruppi di pressione organizzati in competizione pura e perfetta per ottenere accoglimento dell’interesse rappresentato presso il decisore politico”; le lobbies viste finora come sinonimo di corruzione, incominciano invece a prendere il loro spazio e sono sempre più presenti nella vita dei sistemi democratici, per lo più dei sistemi politici di tipo liberal democratico, come quello degli USA in cui lo Stato ha una presenza minimale, mentre la società civile, molto attiva, presenta una maggiore articolazione degli interessi ed una grande capacità di aggregarli in finalità comuni e dai connotati socio-economici.
Pertanto oggi lo studio dei processi di lobbying assume un grande rilievo per capire il funzionamento delle democrazie moderne; soprattutto in questa epoca di globalizzazione in cui per le aziende il dialogo diretto con la compagine politica diviene anche un campo per ottenere vantaggi competitivi e sviluppare tattiche finora non sperimentate. In un contesto di buona regolamentazione le attività di pressione possono svolgere un attivo e positivo processo di sviluppo; in mancanza di regole invece questo stesso processo può divenire foriero di ingiustizie e di creazione di leggi contrarie all’interesse pubblico ed al bene sociale.
In Italia, fino a poco tempo fa, non si aveva una regolamentazione delle attività di pressione e quindi la visibilità del fenomeno era ricondotta alla suddette pratiche illegittime e poco trasparenti, con il conseguente rigetto delle figure dei lobbisti e del loro operato. Il primo serio esercizio di regolamentazione del lobbismo si ha con il regolamento della Camera dei deputati, dove i gruppi di interesse sono stati normati nel regolamento parlamentare che pur avendo perso di efficacia nel 2017, ha continuato ad essere rispettato in mancanza di altro. Si introducono diversi parametri per cercare di definire varie situazioni e soggetti: viene definita in primo luogo la figura del lobbista; si introduce un registro elettronico pubblico obbligatorio per chi vuole avere un incontro con i parlamentari; si prevede il divieto di iscrizione per coloro che sono stati condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione; si obbligano gli iscritti al registro a presentare ogni anno una relazione sull’attività di rappresentanza degli interessi. Finora quindi in Italia la regolamentazione del fenomeno delle lobbies non è completa e rigorosa in quanto manca: una legislazione nazionale, un registro nazionale per i lobbisti, una regolamentazione delle sanzioni applicabili a coloro che non rispettano le norme in materia, un codice di condotta che si applichi sia ai lobbisti sia ai parlamentari e ai funzionari governativi. Il 12 gennaio del 2022, in Italia, è stato approvato dalla Camera dei deputati un disegno di legge che regolamenta l’attività di lobbying.
In Europa, tuttavia le cose sono diverse; Bruxelles è la seconda capitale del lobbying dopo Washington; nel 2021 gli organi Europei hanno adottato nuove regole, redendo obbligatoria l’iscrizione dei rappresentanti d’interesse al registro per la trasparenza, nel caso intendano svolgere attività di pressione che puntino ad influenzare gli ambiti legati al processo di decisione e di creazione legislativa e di politica. L’iscrizione al registro è subordinata al rispetto di un codice di condotta comune per tutti i lobbisti, mentre i parlamentari sono obbligati a rendere pubblica la lista degli incontri con i portatori di interesse. Ovviamente non sono tutte rose e fiori; anche in un sistema regolamentato si possono avere delle falle; nel report del 2017 dell’Unione europea, si è evidenziato il problema delle cosiddette “porte girevoli”: i politici e gli ex commissari europei finito il loro mandato entrano a far parte delle organizzazioni di lobbying esprimendo così forza ed influenza nei processi di produzione delle norme, nonostante non siano stati rieletti e sfruttando le conoscenze ed il potere guadagnatosi durante i mandati. Si stima che a Bruxelles siano presenti circa 15.000 lobbisti che difendono ogni forma di interesse; il fenomeno è in costante ascesa e ciò è dovuto al fatto che la legislazione europea è sempre più presente ed invasiva nella sostanza dei procedimenti legislativi delle istituzioni parlamentari nazionali dei diversi Stati europei.
Sicuramente la regolamentazione del fenomeno del lobbismo contribuirà alla trasparenza del sistema di formazione delle leggi e delle pressioni socio/economiche da parte dei gruppi di interesse; tuttavia è innegabile che sarà necessario vigilare perché dove c’è denaro e dove si formano relazioni personali e circolano informazioni, i responsabili politici divengono molto sensibili e vulnerabili. Per sua natura l’attività di lobbying è associata ad un alto rischio di corruzione, conflitto di interessi, traffico di influenze, connivenze e scambi di favore. Gli scandali nel modo del lobbying sono sempre presenti e secondo Trasparency International i livelli di corruzione percepiti in Italia sono molto più elevati che negli altri Paesi europei e si chiede pertanto che norme etiche e trasparenti consentano un recupero di fiducia da parte dei cittadini.
Tuttavia un ruolo importante lo gioca anche l’informazione; qui si apre un altro tasto dolente. Purtroppo il nostro sistema di gestione e somministrazione delle informazioni è esso stesso spesso corrotto e asservito al potere politico-economico: in una simile situazione come si possono raccogliere informazioni trasparenti al fine di verificare la correttezza del comportamento del politico e del responsabile amministrativo? Si vede chiaramente la criticità del sistema laddove il cittadino non può essere messo in grado di conoscere il fatto puro e semplice salvo successivamente farsi un’opinione personale sulla scelta migliore da prendere escludendo dalla mercato delle informazioni ogni sedicente opinionista, il più delle volte assoldato dai poteri forti? Come possiamo noi difenderci da un’informazione malata e nel futuro sempre più controllata da forme di governo delle notizie gestite da intelligenze artificiali a cui si farà dire ciò che i poteri forti vorranno farci credere? Sono i cittadini il vero ago della bilancia che dovrebbero giudicare la correttezza del comportamento dei politici/amministratori della cosa pubblica e quindi dovrebbero poter osservare e giudicare ed avere il diritto di sapere cosa sta realmente accadendo nel processo di elaborazione delle politiche socio-economiche.
In più un sistema equo e trasparente dovrebbe prevedere anche forme di responsabilità immediatamente denunciabili da parte dei cittadini elettori che dovrebbero poter segnalare qualsiasi illecito commesso da funzionari amministrativi e politici ai competenti organi di controllo e giustizia, senza temere ripercussioni o ritorsioni personali.
In mancanza di verità e di trasparenza sui fatti realmente accaduti ed in mancanza di un robusto sistema giudiziario e sanzionatorio, che restituisca e garantisca ad ognuno il dovuto, anche quella parte di informazione pulita ed indipendente non potrà fare molto per denunciare illeciti e corruzione; l’impatto reale di un potente gruppo di interessi potrà così rimanere nascosto ed impunito agli occhi della società, tutta, impedendo una giusta e legittima reazione ad un illecito politico ed amministrativo da parte della società civile.

 

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
29 Agosto 2023

LA CRESCITA ECONOMICA SECONDO IL PARADIGMA DELL’UNIONE EUROPEA: FOCUS SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE di Alessandra Di Giovambattista

LA CRESCITA ECONOMICA SECONDO IL PARADIGMA DELL’UNIONE EUROPEA:

FOCUS SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE.

di Alessandra Di Giovambattista

 

19-07-2023

Recentemente, in occasione del XXX anniversario della nascita del Mercato Unico Europeo(1 gennaio del 1993), la Commissione europea ha presentato due comunicazioni; con la prima, guardando al passato, ha ripercorso i risultati conseguiti con l’istituzione del mercato unico, con la seconda si è posta l’obiettivo di rafforzare ed approfondire il mercato unico, garantendone la competitività a lungo termine. I risultati conseguiti in questi 30 anni di mercato unico europeo, che  nel suo insieme rappresenta il 15% del PIL mondiale, sono riconducibili a benefici per i cittadini e le imprese che devono però continuare a consolidarsi attraverso modifiche ed adattamenti alle nuove realtà, con un potenziale di miglioramento che potrebbe assicurare 713 mld di euro di valore aggiunto entro la fine del 2029. Con la seconda comunicazione la commissione europea si è confrontata con l’obiettivo di migliorare il flusso commerciale dei beni e servizi all’interno dell’Unione europea (UE) fondato su un modello di crescita economica che utilizzi la competitività sostenibile, la sicurezza, l’autonomia strategica e la concorrenza leale. Pertanto la commissione si è proposta di lavorare su nove tematiche: 1) il mercato unico funzionante; 2) l’ accesso al capitale privato e agli investimenti, con particolare riguardo all’approfondimento dell'Unione dei mercati dei capitali e al completamento dell'Unione bancaria; 3) gli investimenti pubblici e le infrastrutture; 4)la ricerca e l’ innovazione; 5) l’energia; 6) la circolarità; 7) la digitalizzazione; 8) l’istruzione e le competenze; 9) il commercio e l’autonomia strategica aperta. Tra i vari argomenti si vuol porre, oggi, l’attenzione sull’intelligenza artificiale: croce e delizia di questo nostro tempo che ha attraversato il mondo del reale approdando su quello virtuale ed impattando trasversalmente sulle nostre vite e sui nostri interessi. Uno studio del Parlamento europeo ha evidenziato i rischi connessi all’intelligenza artificiale; in sintesi riconducibili alla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con particolare riferimento alla discriminazione, alla protezione dei dati ed alla vita privata. Secondo la Commissione europea, i sistemi di intelligenza artificiale presentano in via generale, le seguenti caratteristiche: a) opacità (cioè limitata capacità della mente umana di comprendere il funzionamento di determinati sistemi di intelligenza artificiale), b) la complessità, c) l’adattamento continuo e l’imprevedibilità, d) il comportamento autonomo, e) i dati (cioè dipendenza funzionale dai dati utilizzati ed immessi e dalla loro qualità).

Inoltre una nuova ondata di tecnologie riconducibili all’intelligenza artificiale per finalità generali, con capacità generative, come ChatGPT, sta trasformando rapidamente il modo in cui tali sistemi di intelligenza sono costruiti e diffusi e solleva una serie di preoccupazioni in merito alla privacy, ai diritti di proprietà intellettuale e alla diffusione della disinformazione. In particolare la tecnologia generativa, come ChatGPT, utilizza grandi modelli linguistici per dare vita ad opere d’arte, musica, opere letterarie che dovrebbero essere soggetti ad obblighi rigorosi di trasparenza; in particolare bisognerebbe imporre ai fornitori di tali tecnologie generative di specificare che le opere sono frutto dell’insieme di informazioni caricate sull’intelligenza artificiale e non sono opere generate da esseri umani, nonché di formare e progettare i modelli escludendo che questi a loro volta possano generare contenuti illegali e pubblicare in modo trasparente informazioni circa l’uso di dati protetti dal diritto d’autore.In materia di intelligenza artificiale la Commissione europea ha pubblicato un Libro bianco in cui ha evidenziato la necessità di un quadro legislativo orientato agli investimenti in tali tecnologie con il doppio obiettivo di promuovere l’adozione dell’intelligenza artificiale e di affrontare e possibilmente risolvere, nel contempo, i rischi riconducibili all’applicazione di queste nuove tecnologie. All’origine la Commissione europea, nel 2019, aveva dato indicazioni non vincolanti con delle linee guida etiche, al fine di garantire un’intelligenza artificiale affidabile, basate su delle mere raccomandazioni politiche e di investimento. Successivamente, nel 2021, con  la comunicazione “Favorire un approccio europeo all’intelligenza artificiale” la Commissione europea ha posto il focus sui vincoli legislativi. Poiché la normativa vigente che protegge i diritti fondamentali e garantisce la sicurezza ed i diritti dei consumatori – con particolare riferimento alleleggi sulla protezione dei dati e sulla non discriminazione – non sembra adeguata per affrontare i rischi riconducibili alle tecnologie relative all’intelligenza artificiale, la Commissione europea ha proposto l’adozione di regole armonizzate per lo sviluppo, l’immissione sul mercato e l’uso dellenuove tecnologie. In particolare le disposizioni si basano su una classificazione fondata sul rischio, andando ad indicare i requisiti e gli obblighi necessari per l’implementazione dell’intelligenza artificiale. Questo approccio si basa su una sorta di “piramide del rischio” ascendente (cioè con situazioni che vanno dal rischio basso/medio a quello più elevato fino ad individuare un rischio inaccettabile) per classificare una serie di pratiche generali e di impieghi specifici in determinati settori, a cui la Commissione riconduce differenti misure di attenuazione, o addirittura divieti di alcune azioni ed attività di intelligenza artificiale. I divieti individuati riguardano un insieme limitato di utilizzi dell’intelligenza artificiale ritenuti non compatibili con i valori che l’Unione europea tutela e che sono riconducibili ai diritti fondamentali contenuti nella Carta europea. Alcuni sistemi di tecnologia artificiale presentano dei rischi non tollerabili per la sicurezza delle persone e la garanzia dei diritti fondamentali; un esempio di rischi non accettabili si ritrova nelle “tecniche subliminali” che consentono modalità dannose di manipolazione o l’identificazione biometrica remota “in tempo reale” (come ad esempio il riconoscimento facciale) in spazi accessibili al pubblico per finalità di contrasto delle azioni illecite. In tali circostanze sarebbero vietate le tecniche di intelligenza artificiale, tranne che per pochi limitati casi. Infatti sarebbero autorizzati sistemi “ad alto rischio” riconducibili a tali tecnologie a condizione che rispettino una serie di requisiti ed obblighi, come ad esempio la valutazione della conformità, e siano riconducibili a particolari settori,come ad esempio l’istruzione, l’occupazione, le attività di contrasto di illeciti e la giustizia. Tuttavia sistemi di intelligenza artificiale che presentano un “rischio limitato” sarebbero soggetti a obblighi di trasparenza meno rigidi: come il caso di uso di chatbot (un programma che simula conversazioni umane), oppure dei sistemi di riconoscimento delle emozioni o “deep fake” che utilizzano foto, video, audio, creati da intelligenza artificiale i quali, partendo da situazioni reali, riescono a modificare o ricreare in modo realistico le caratteristiche ed i movimenti di un essere umano nonchéla sua voce.

Le norme europee individuano inoltre spazi di sperimentazione al fine di promuovere l’innovazione nel settore dell’intelligenza artificiale creando un ambiente controllato per testare e monitorare tecnologie innovative, per un periodo di tempo limitato, con la finalità di sostenere le imprese innovative, le PMI e le start-up. Infine lo scorso 14 giugno il Parlamento europeo ha votato alcuni emendamenti al testo della Commissione europea ed una delle modifiche ha riguardato l’inserimento, nella lista dei sistemi ad alto rischio, delle tecnologie usate per influenzare gli elettori e la metodologia implementata per esaminare l’esito delle elezioni (exit poll) e dei sistemi di raccomandazione usati dai social media con più di 45 milioni di utenti (quest’ultimo aspetto riguarda i venditori online e le aziende dell'intrattenimento che utilizzano i suggerimenti in tempo reale o mostrano pubblicità basate su cosa il cliente sta guardando o ascoltando. I social network come LinkedIn e Facebook consigliano, ad esempio, connessioni o amici in base alla tipologia del proprio network). Si apre ora il processo di dibattito che prevede che le discussioni iniziali si concentrino specialmente sull’accoglimento parziale delle questioni più delicate e pressanti, al fine di tutelare diritti e principi non negoziabili comunitari, prima che i legislatori dei diversi paesi raggiungano un accordo definitivo, che potrebbe arrivare anche molto in là nel tempo, lasciando quindi incustodita una grande fascia di diritti e garanzie che l’intelligenza artificiale potrebbeminare e modificare fino al punto di annullare.

Pertanto a chiusura di questo approfondimento si vorrebbero sottolineare le criticità riconducibili all’intelligenza artificiale: Dipendenza: l’essere umano, nella maggioranza dei casi, ha un atteggiamento di pigrizia finalizzato all’economia delle energie; affidarsi all’intelligenza artificiale può significare perdere la capacità creativa e critica che sono le caratteristiche che hanno permesso alle civiltà di evolversi e svilupparsi.  Aumento delle disuguaglianze: questo problema è alimentato dalle diverse possibilità di utilizzo da parte dei singoli utenti. Infatti diversi saranno gli obiettivi ed i vantaggi che potrà trarre un’azienda rispetto ad un semplice privato nell’uso delle tecnologie. Privacy: molti degli attuali sistemi di intelligenza artificiale si basano su masse di informazioni carpite su internet in modo casuale e senza che alcuni sappiano dell’uso di tali dati, in violazione della privacy dei singoli.

- Mancanza di legame con la realtà: il mondo dell’intelligenza artificiale non permette più una separazione netta tra mondo reale e mondo virtuale e questo alla lunga può portare a disorientamento e problematiche di tipo relazionali e psicologiche, con perdita delle

relazioni interpersonali ed umane.

- Disinformazione: i dati che utilizza l’intelligenza artificiale sono dati grezzi, presi in maniera randomica sul web (altrimenti una analisi ed una cernita dei dati da parte degli esseri umani porterebbe a rallentare l’alimentazione del software con conseguenze in termini di aumento dei costi). Ciò implica che potrebbero essere diffuse notizie false e del tutto incoerenti (come spesso fa chatGPT) che inoltre non potrebbero essere corrette in tempo reale.

- Uso scorretto dell’intelligenza artificiale: nel caso si verifichi tale evenienza, possono sorgere problemi di tipo etico; infatti il software, essendo un prodotto informatico, non è

possibile impostarlo su problematiche di tipo etico/morale. Ciò comporta che le risposte ottenibili da tali strumenti non compiano un processo di discernimento tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Questo aspetto apre a richieste da parte degli utenti di conoscere le modalità per compiere illeciti, a cui il software può dare risposta, senza distinguere ovviamente tra ciò che è legale e ciò che non lo è, perdendo di vista anche problematiche connesse con la responsabilità delle azioni commesse.

- Perdita di lavoro: questo è un rischio concreto in considerazione del fatto che molti posti dilavoro si sono già persi con la sostituzione di software di intelligenza artificiale. Si pensi ai chatbot che assistono la clientela, spesso anche con molto poco successo, che hanno preso il posto degli esseri umani; è vero che ogni epoca, ad iniziare dalla rivoluzione industriale, ha visto la sostituzione del lavoro umano con quello artificiale, però oggi i tempi di sostituzione sono davvero molto stretti e la rapidità del cambiamento potrebbe non garantire la transizione della perdita del vecchio lavoro con ingaggi in attività di nuova tipologia.

- Mercato finanziario: già in uso, strumenti come BloombergGPT hanno rivoluzionato il settore del mercato finanziario dove si manovrano grandi masse di risorse monetarie con il mero obiettivo della speculazione. Siamo di fronte ad un agire senza etica da parte di queste tecnologie che generano solo del male sia per le aziende sia per i risparmiatori, essendo di fatto utilizzate solo da grandi investitori speculativi. Operazioni di tale portata potrebbero generare delle profonde crisi finanziarie con perdita, per gli operatori economici meno tutelati, di valori cospicui.

- Creazione di armi autonome: è già iniziata la produzione di armi autonome che si basano sull’intelligenza artificiale. si pensi alle armi intelligenti, ai droni, e a tutte le tecnologie che hanno come obiettivo la distruzione, senza saper e poter guardare negli occhi degli esser umani. Il futuro che si presenta potrebbe essere davvero orribile; già oggi le armi nucleari in mano a degli esseri umani fanno paura, ma in mano a macchinari autonomi la strada da percorrere sarebbe solo a senso unico, senza ritorno.

A conclusione di queste osservazioni c’è da porsi una domanda: la razza umana è in pericolo di estinzione? A ben vedere sì; pensiamo all’educazione sempre meno religiosa, etica e morale che diamo ai nostri giovani, alla cultura del mordi e fuggi, alla ineducazione verso il futuro e le prospettive umane e lavorative, all’inverno demografico, alla mancanza di responsabilità. Sono tutte situazioni che portano a pensare l’uomo come limitato sull’asse temporale della vita, verso una strada senza ritorno dove basteranno poche persone potenti che potranno godere di un mondo più o meno florido con alle loro dipendenze macchine senza cuore e senza intelligenza, se non quella rubata a millenni di civiltà, ma finite e limitate anche loro nelle proprie possibilità di sviluppo perché alla fine verrà a mancare la materia prima dei loro dati ed informazioni: larazza umana. Quindi il richiamo verso l’attenzione e la delicatezza della questione porta a considerazioni drastiche: non facciamoci abbindolare da un futuro fantascientifico, smettiamola di fornire consensi all’uso dei nostri dati biometrici e non (pensiamo anche a tutelarci nelle azioni più banali della vita quotidiana, come quella, ad esempio, di sottoscrivere tessere nei supermercati dove ti chiedono notizie, le più disparate che poco hanno a che fare con la richiesta di una semplice carta finalizzata a discutibili sconti), la vita è ora e deve rispondere anche ad una concreta e vivibile speranza nel futuro, e va goduta nel modo più naturale possibile nel

rispetto del creato, tutto, uomini, animali ed ambiente e lasciando che le macchine e gli automatismi ci aiutino nei lavori quotidiani più pesanti, ma non ci sostituiscano in nessuna delle nostre umane funzioni ed azioni, le uniche capaci di proiettarci verso un futuro migliore per i nostri giovani, la vera ed unica ricchezza dell’umanità.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dettagli
Emanuela Scarponi logo
19 Luglio 2023

IL VALORE AGGIUNTO DELLE RACCOMANDAZIONI DELL’OCSE SULLA LEGGE ITALIANA SUL LOBBISMO di ALESSANDRA DI GIOVAMBATTISTA

IL VALORE AGGIUNTO DELLE RACCOMANDAZIONI DELL’OCSE SULLA LEGGE ITALIANA SUL LOBBISMO

 

di Alessandra Di Giovambattista

 04-09-2023

Sul testo unificato della legge sul lobbismo, che ha ottenuto il suo primo sì presso la Camera dei Deputati il giorno 12 gennaio 2022, è stato necessario acquisire anche il parere dell’Ufficio per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico della cooperazione (OCSE) per le istituzioni democratiche ed i diritti dell’uomo, che è stato espresso nel settembre 2021. Con esso l’ufficio dell’OCSE ha sollevato questioni sulle aree di criticità della bozza proposta.

È interessante il preambolo del parere in cui si sottolinea che la regolamentazione delle attività di lobbying si inserisce in un contesto in cui si incrocia da una parte la salvaguardia del diritto alla libertà di associazione ed il diritto alla partecipazione dei singoli alle attività politiche e dall’altro l’eliminazione delle situazioni in cui potrebbero emergere atteggiamenti e fattispecie riconducibili al reato di corruzione. “Il lobbying è un atto legittimo di partecipazione politica, un mezzo importante per promuovere il pluralismo e, in ultima analisi, uno strumento per contribuire al miglioramento del processo decisionale nel settore pubblico”. Nel termine lobbying rientra anche l’attività di “advocacy”, ossia di attivismo sostenuta da organizzazioni della società civile o da gruppi senza scopo di lucro; tuttavia l’accesso non trasparente e legato a conoscenze e clientele ha portato il lobbying ad essere percepito come l’influenza sul processo decisionale da parte di soggetti portatori di interessi potenti.

La definizione proposta dal Consiglio d’Europa (CM/Rec del 2017) per “lobbying” è la seguente: “la promozione di interessi specifici attraverso la comunicazione con un funzionario pubblico nell’ambito di un’azione strutturata ed organizzata volta a influenzare il processo decisionale pubblico”. Può rappresentare pertanto uno strumento efficace per esercitare il diritto di partecipazione pubblica all’attività politica. Nell’ambito dell’OCSE gli Stati partecipanti si sono impegnati a “garantire che agli individui sia consentito l’esercizio del diritto di associazione, compreso il diritto di formare, aderire e partecipare con efficacia a organizzazioni non governative” (documento di Copenaghen del 1990) e quindi di “rafforzare le modalità di contatto e di scambio di opinioni tra le ONG e le autorità nazionali competenti e le istituzioni governative” (Documento di Mosca del 1991). Tuttavia, pur considerando il lobbying anche nell’accezione di attivismo, al fine di contrastare l’influenza sproporzionata da parte di gruppi finanziariamente e politicamente potenti, e di garantire la trasparenza del processo di formazione delle scelte di politica e di politica economico/finanziaria, le attività di rappresentanza di interessi sono assoggettate ad attente regolamentazioni e devono presentare dei requisiti di trasparenza ed integrità per garantire la responsabilità dei soggetti partecipanti all’attività di lobbying e l’inclusione nel processo decisionale. La questione della normazione presenta un elevato grado di delicatezza in quanto le regole poste a tutela dei diritti democratici di espressione della volontà e di controllo dell’operato pubblico da una parte non devono violare il diritto dei singoli, anche organizzati collettivamente, di esprimere liberamente le proprie opinioni e di presentare interrogazioni agli attori della pubblica amministrazione e dall’altra devono poter promuovere campagne a favore di modifiche normative e socio/economiche. Per contro la stessa legislazione deve agire sul lato della corruzione impedendone lo sviluppo e contrastandone le diverse forme di connivenza. Il gruppo di stati presenti nel Consiglio d’Europa che agisce contro le forme di corruzione ha esaminato anche le norme in materia di lobbying presentate dalle autorità italiane e ne ha fornito apposito documento che contiene al suo interno diverse raccomandazioni che il parere dell’OCSE, qui all’esame, tiene in debita considerazione.

Il parere formulato dall’Ocse contiene quindi diverse indicazioni circa il miglioramento e le correzioni da apportare alla proposta italiana, in più indica delle raccomandazioni, che sono così sintetizzabili:

  • Raccomandazione A: la sintesi della prima raccomandazione si basa sul fatto che la proposta di legge sul lobbying presentata dall’Italia sarebbe più efficace se si basasse su un approccio più equilibrato circa gli obblighi assunti dalle due parti, cioè lo Stato ed i suoi rappresentanti da una parte ed i lobbisti dall’altra, siano essi soggetti privati, aziende, o organizzazioni della società civile. In particolare la proposta di legge non sembra porre particolare attenzione agli obblighi ed ai vincoli che dovrebbero esser posti anche in capo agli operatori pubblici (politici e funzionari), soffermandosi essenzialmente sui vincoli gravanti sui lobbisti; nello specifico la responsabilità della trasparenza delle decisioni prese dovrebbe essere suddivisa equamente tra lobbisti e decisori pubblici, con la considerazione che sono poi questi ultimi a dover rendere conto delle loro scelte e decisioni alla società, che si sostanzia, in ultima analisi, nel corpo elettorale. Prevedere le responsabilità ed i vincoli alla sola parte dei portatori di interesse, rischia di lasciare aperte scappatoie e spazi per la corruzione; per contro vincolare i soli lobbisti potrebbe soffocare la partecipazione politica e pubblica e limitare le forme di associazione in difesa di specifiche richieste formulate da categorie e/o gruppi di interesse. Pertanto entrambe le parti devono agire in modo appropriato e responsabile l’una nei confronti dell’altra (per approfondimenti si veda quanto scritto dal Gruppo di stati contro la corruzione – GRECO); in particolare i principi dell’OCSE per la trasparenza e l’integrità del lobbying affermano che “i Paesi devono promuovere una cultura dell’integrità nelle organizzazioni pubbliche e nel processo decisionale, delineando regole e linee di condotta chiare per i funzionari pubblici”.

  • Raccomandazione B: in tale raccomandazione l’OCSE sottolinea l’importanza di introdurre nella legge di regolamentazione del lobbying, il percorso di formazione, l’ausilio di guide e di materiale tanto per i lobbisti quanto per i decisori pubblici. In effetti la proposta di legge è carente nella parte riguardante le modalità di formazione e conoscenza dei contenuti dell’attuale disegno di legge che un domani diverrà norma nazionale; è pertanto importante prevedere modalità e percorsi per far sì che gli attori di questo incontro di volontà/interessi possano conoscere in modo approfondito le finalità delle disposizioni stesse al fine di costruire le capacità, la sensibilità e le competenze per il confronto tra lobbisti e politici, al fine di evitare incomprensioni, o mancata applicazione dei principi contenuti nel disegno di legge stesso.

  • Raccomandazione C: l’ufficio preposto ai pareri dell’OCSE suggerisce di chiarire che tutte le forme di contatto sono contemplate, indipendentemente dal fatto che avvengano di persona, per iscritto o attraverso strumenti di comunicazione digitale. In tal senso infatti si è vista la complessità crescente del lobbying in termini di utilizzo dei canali e meccanismi tecnologici al fine di influenzare le decisioni di politica pubblica. La mancanza di un’accezione ampia potrebbe aprire il varco ad attività illecite e a rischio di corruzione, in quanto lascerebbe sguarnite attività di contatto riconducibili a metodologie informatiche di più recente generazione; si pensi a tutto il fenomeno degli influencers e delle strategie utilizzate dai social media per informare, disinformare e alterare la percezione delle problematiche da parte del pubblico. Pertanto l’OCSE auspica che le definizioni contenute nella proposta di legge vengano migliorate per aumentarne la chiarezza e la prevedibilità nonché per ampliarne l’accezione circa le modalità di contatto tra gli attori del lobbying al fine di rendere le disposizioni le più efficaci possibile. Inoltre il parere sottolinea il fatto che la legge deve essere redatta con maggior cura per evitare che non tutte le attività di attivismo (advocacy) e sensibilizzazione siano riconducibili al fenomeno del lobbying indiretto. Infatti la norma si esprime in maniera generica facendo rientrare nel lobbying lo “svolgimento di qualsiasi altra attività diretta a concorrere alla formazione delle decisioni pubbliche”; in tal modo qualsiasi azione di attivismo rischierebbe di essere soffocata a discapito dell’impegno di alcune organizzazioni/ONG in ambito sociale e civile.

  • Raccomandazione D: l’attenzione da parte dell’ufficio dell’OCSE preposto al parere cade sulla definizione di decisore pubblico che la proposta individua in modo alquanto ristretto. Si rende necessario che tale definizione sia la più ampia possibile e contempli al suo interno anche le figure riconducibili a tutti i funzionari pubblici che possono diventare destinatari del lobbying, fornendo una descrizione semplice e completa del soggetto identificabile come decisore pubblico su ogni livello e in linea con i documenti di orientamento internazionali. In particolare il parere sottolinea che indicare nella proposta di legge come funzionari pubblici comunali destinatari delle disposizioni, quelli che gestiscono Comuni con un numero minimo di abitanti (pari o superiori a 300.000 abitanti) escluderebbe dalla normativa, volta a regolare il lobbying, quelle piccole realtà dove forse più che in altri luoghi si potrebbero perpetrare accordi e influenze indebite con ricadute negative per il territorio in termini di collusione e corruzione. In ragione di ciò auspica l’eliminazione di ogni riferimento numerico in termini di abitanti presenti nei Comuni al fine di individuare i funzionari pubblici destinatari delle norme in discorso. Inoltre specifica che il lobbista può operare anche senza compenso e senza un’organizzazione professionale alle spalle; pertanto dovrebbe essere eliminata la qualifica di attività organizzata “professionalmente” che implicherebbe sia dei compensi, sia una struttura amministrativa efficiente ed organizzata, caratteristiche che di fatto potrebbero non essere presenti.

  • Raccomandazione E: l’OCSE impone di inserire dei requisiti di trasparenza ed accountability specialmente nei casi di incontri tra privati, di natura non pubblica. In effetti le linee guida internazionali individuano solo due categorie di eccezioni alle leggi sul lobbying: 1) le interazioni tra cittadini privati e funzionari pubblici in merito ai loro affari privati, salvo qualora questi riguardino interessi economici individuali aventi però una rilevanza e una dimensione che possano coinvolgere un più ampio ambito; 2) il caso di funzionari pubblici, diplomatici e partiti politici che agiscono nelle vesti ufficiali. Invece la proposta italiana individua una lunga lista di eccezioni all’applicabilità delle disposizioni di regolamentazione del lobbying, esentando anche incontri di natura non pubblica che però potrebbero ricadere per importanza e complessità nell’ambito delle relazioni di interessi. Tale aspetto, se non ben chiarito nelle norme, potrebbe di fatto aumentare i rischi di corruzione in quanto rimarrebbero fuori dal controllo interventi ed interazioni che sostanzialmente sarebbero riconducibili a vere e proprie attività di lobbying. Allo stesso modo, le disposizioni internazionali danno un significato ampio all’attività di lobbying, mentre la proposta italiana esclude dall’applicazione normativa anche “l’attività di rappresentanza svolta nell’ambito di processi decisionali che si concludono mediante protocolli d’intesa o altri strumenti di concertazione”; con riferimento a ciò il parere sottolinea che non essendo chiara la portata normativa, di fatto potrebbero simularsi azioni esenti dalla legge di regolamentazione del lobbying che sarebbero invece da ricondurre proprio nell’alveo della gestione di interessi privati in ambito pubblico i quali, in mancanza di controllo e regolamentazione, potrebbero sfociare in fattispecie riconducibili alla corruzione o alla connivenza.

  • Raccomandazione F: la predisposizione di un codice deontologico presuppone una guida che specifichi ed approfondisca le disposizioni contenute nella proposta di legge al fine di condurre facilmente sia i lobbisti che i decisori pubblici ad azioni che rispondano agli obblighi contenuti nelle norme. Con tale significato il codice deontologico dovrebbe costantemente far riferimento alle disposizioni contenute nella proposta di legge in modo da individuare le singole violazioni ed assoggettarle a specifiche sanzioni. In particolare il parere fa notare che nella proposta le norme del codice deontologico, peraltro non ancora elaborate e pubblicate, sono imposte ai soli “rappresentanti di interessi” e non anche ai “decisori”, con ciò conferendo a questi ultimi un potere contrattuale maggiore e per di più non sanzionabile. Si fa notare che un codice di tale natura dovrebbe essere destinato a tutti gli attori delle relazioni, siano essi lobbisti o decisori pubblici, con la finalità di guidare e fornire informazioni affinché il loro operato si svolga secondo una condotta appropriata, che garantisca che tutte le parti rispettino i principi deontologici di buona attività.

  • Raccomandazione G: conseguenza di quanto espresso prima è la raccomandazione in esame; in essa si specifica che l’imposizione di sanzioni sia adeguata e proporzionale alle inosservanze delle specifiche norme e che le sanzioni stesse siano irrogate non solo ai rappresentanti di interessi ma anche ai detentori di interessi e ai decisori pubblici.

  • Un altro aspetto importante individuato nel parere, che però non ha dato luogo ad una specifica raccomandazione, risiede nella norma che esclude compensi ai rappresentanti del Governo o ai partiti; in particolare la proposta italiana specifica che “i rappresentanti di interessi non possono corrispondere, a titolo di liberalità, alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti a rappresentanti del Governo o a partiti, movimenti e gruppi politici, a loro esponenti o a intermediari di questi ultimi”. L’ufficio specifica che gli strumenti giuridici internazionali previsti contro la corruzione hanno una connotazione molto più ampia specificando che proibiscono di “offrire, promettere o fornire qualsiasi vantaggio indebito", esulando in tal modo dal più ristretto divieto indicato dalla norma di corrispondere “alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti", che di fatto non esclude il rischio di corruzione durante le attività di lobbying. Acquista così rilievo anche la mancanza, nella proposta italiana, di qualsiasi riferimento normativo sulla necessità di relazionare circa le informazioni riguardanti eventuali vantaggi offerti, promessi o concessi a persone, gruppi o enti, che consentirebbe di valutare se tali tipi di ricompensa siano riconducibili a forme di vantaggio indebito.

In conclusione il parere dell’OCSE fa riflettere circa la limitazione delle disposizioni contenute nella proposta italiana che si presenta davvero ad uno stadio embrionale; le correzioni da apportare sono tante e tutte condivisibili in quanto aiutano a specificare il campo di azione e consentono una definizione più ampia dei fenomeni e delle situazioni riconducibili alle attività di lobbying. L’ampliamento delle definizioni ricondurrebbe nell’alveo della regolamentazione molte situazioni che invece, utilizzando la proposta italiana, rimarrebbero fuori dal controllo, impedendo una valutazione efficace ed effettiva dell’operato dei portatori di interesse e dei soggetti pubblici.

Una siffatta correzione aiuterebbe quindi ad individuare meglio le responsabilità dei singoli, definirne le eventuali colpe, irrogare le conseguenti sanzioni con il risultato di offrire una visione condivisibile, consapevole e garantista dell’operato dei soggetti pubblici. In mancanza di ciò, molto probabilmente, i varchi e le falle a favore delle situazioni di corruzione e collusione saranno tanti e sfuggiranno al controllo ed alle sanzioni. Sarebbe auspicabile poter contare su una legislazione chiara ed efficace che, per un argomento così delicato, faccia assumere le dovute responsabilità agli operatori pubblici e privati i quali, qualora non si comportino secondo onestà e deontologia, sarebbero chiamati a rifondere personalmente i danni che lo Stato subirebbe per effetto delle loro condotte illegali.

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
04 Settembre 2023

LA PRIVACY E’ UN BENE COMMERCIALE O PIUTTOSTO UN DIRITTO? Di Alessandra Di Giovambattista

LA PRIVACY E’ UN BENE COMMERCIALE O PIUTTOSTO UN DIRITTO?

Di Alessandra Di Giovambattista

 25-09-2023

Con la parola “privacy”, tradotta nella nostra lingua con il termine di riservatezza, si indica il diritto che ha ogni individuo ad avere una sfera personale e privata non conoscibile e fruibile da parte di altri soggetti. Il concetto si sviluppa sin dall’antica Grecia quando i filosofi, tra cui anche Aristotele, differenziavano la sfera pubblica dell’individuo che implicava lo svolgimento delle attività cittadine - il cui svolgimento era di fondamentale importanza se si voleva una vita politica attiva - da quella privata, riconducibile alla vita familiare, domestica del singolo, nella quale occuparsi delle proprie necessità. Tale differenziazione aiutava anche a tracciare un confine tra quanto era di interesse pubblico e quanto era di interesse privato, personale; quest’ultimo però rappresentava un ambito prodromico al riconoscimento ed alla tutela del corretto funzionamento della sfera pubblica la quale era considerata la sola che permettesse lo sviluppo della personalità umana (all’epoca esclusivamente maschile).

Solo dopo il disgregarsi dell’età feudale l’idea di libertà personale iniziò a delinearsi meglio fino ad arrivare al periodo post-rinascimentale in cui le riforme religiose, lo sviluppo della classe borghese e l’inizio dell’istruzione consentono di mettere sempre meglio a fuoco i diritti personali dei singoli separandoli da quelli collettivi e pubblici e segnando l’inizio di un periodo di intensa concettualizzazione circa i principi posti a base della giurisprudenza.

Si deve però all’approfondimento di due giuristi statunitensi (Luis Brandeis e Samuel Warren) il concetto di diritto di riservatezza (“The right of privacy”); in particolare nel 1890 essi pubblicarono la prima monografia volta a riconoscere il diritto ad essere lasciato da solo (“the right to be let alone”) inteso quale tutela di una propria ed inviolabile intimità, in cui si determinano vicende personali e familiari che non hanno, per i terzi estranei, un interesse socialmente e pubblicamente apprezzabile. Quindi la privacy era intesa come un ambito della propria vita dal quale escludere gli altri, tenuti a rispettare un diritto personale, inteso come un proprio spazio inaccessibile. Espresso in tal modo evidenziava il contenuto negativo di esclusione da informazioni non ritenute di interesse e dominio pubblico laddove era ancora latente il suo contenuto positivo, esprimibile come la possibilità e necessità di controllo sui propri dati personali e le proprie informazioni, in particolare quando queste ultime possono essere gestite e diffuse dai mezzi di comunicazione. Naturalmente tale limitazione di significato era legata al contesto storico in cui il concetto era venuto a svilupparsi; era il periodo della rivoluzione industriale in cui il ceto borghese acquisiva sempre più consapevolezza di sé, dei propri diritti e più in generale puntava alla tutela del proprio ambito vitale affinché terzi estranei non interferissero in spazi di personale dominio.

In quel periodo, per la prima volta nella storia, si era di fronte all’innovazione tecnologica nell’ambito della comunicazione; nel 1875 Robert Barclay inventò la stampa in offset (o litografia), utilizzata poi per la tiratura di tutti i quotidiani negli anni a seguire. Questa metodologia di stampa si basa sulla creazione dell’immagine su una lastra, questa viene trasferita su una superficie di gomma e poi stampata sul foglio di carta. La gomma consente di stampare su superfici non perfettamente lisce con un elevato livello di precisione, potendo quindi utilizzare anche diversi tipi di carta. In più, nel 1839 Louis Daguerre aveva messo a punto la tecnica fotografica chiamata dagherrotipo che sfruttava procedimenti chimici al fine di ottenere delle foto nitide in pochi secondi. Quindi tale innovazione affiancata a quella della stampa offset consentì il rapido sviluppo del mercato delle informazioni su larga scala rappresentato dalla nascita di grandi testate giornalistiche tuttora diffuse: nel 1851 venne fondato il New York Times.

Quindi l’evoluzione della stampa permise alla fine del secolo XIX di dare ampia diffusione a notizie e fotografie relative a persone senza che queste sapessero e rilasciassero il loro consenso all’utilizzo; fu proprio tale circostanza che spinse Warren e Brandeis a tutelare il diritto di riservatezza dei cittadini che potevano vedere propagare dati e notizie personali attraverso la vendita di migliaia e migliaia di copie di quotidiani.

Quanto detto aiuta a comprendere come la problematica della tutela della riservatezza sia strettamente connessa all’evoluzione tecnologica; le innovazioni, i sistemi sociali, l’epoca storica e le mode socio/culturali generano problematiche sempre nuove che producono effetti giuridici che meritano tutela e protezione.

La problematica esplose poi, in tutta la sua importanza, con l’avvento degli elaboratori elettronici in grado di trattare migliaia di dati ed informazioni, con ciò modificando le modalità di raccolta e gestione dei dati personali e sensibili. Soprattutto a partire dagli anni ‘70, con lo sviluppo delle prime grandi banche dati elettroniche, la tutela dei diritti alla privacy ed alla riservatezza si sentirono in tutta la loro rilevanza. Era necessario il monitoraggio della raccolta, dell’elaborazione e della diffusione elettronica dei dati personali che ha aggiunto, al diritto alla riservatezza, anche il diritto al trattamento dei dati personali. La tutela della privacy non può quindi consistere nel mero divieto della raccolta ed elaborazione dei dati personali senza che si sia ottenuto il preventivo permesso del diretto interessato; ciò sarebbe eccessivo perché annullerebbe l’irreversibile processo evolutivo delle tecnologie delle informazioni, ed insufficiente in quanto ottenere il consenso del diretto interessato potrebbe significare, per paradosso, non tutelare proprio i soggetti più deboli e più esposti alla circolazione di informazioni sensibili. In tale complesso panorama si riscontra l’atteggiamento lungimirante di Warren e Brandeis anche se essi, di fatto, non si posero il problema di far assurgere la tutela della privacy ad un vero e proprio diritto fondamentale da garantire e salvaguardare attraverso una apposita norma legislativa.

Al contrario in Europa la spinta a considerare riservatezza e protezione dei dati personali come diritti fondamentali e costituzionalmente protetti, sono stati elementi caratterizzanti fin dal 1950; infatti la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha considerato il diritto alla riservatezza propria e dei propri familiari come un diritto fondamentale dell’uomo; successivamente la Convenzione di Strasburgo nel 1981 ha compattato il diritto alla riservatezza ed il diritto alla protezione dei dati personali ad un unico diritto fondamentale, espressione e condizione essenziale di libertà. Queste scelte sono state poi ribadite e rafforzate prima con la Direttiva 95/46/EC e poi con la Carta europea dei diritti fondamentali (Carta di Nizza).

Ai fini della messa a punto della definizione odierna di privacy viene in aiuto il pensiero del politico italiano Stefano Rodotà per il quale tale diritto di riservatezza sancisce un’impossibilità di ingresso in uno spazio altrui. Pertanto se agli inizi l’ambito era circoscritto alla sfera della vita privata recentemente, soprattutto con l’avvento dei social network, il diritto alla privacy indica il diritto, più ampio, al controllo dei propri dati personali, affinché questi siano trattati ed utilizzati esclusivamente in caso di reale necessità.

Un aspetto da tener presente è la diversa modalità di tutela e di significato concettuale che la privacy ha nel mondo anglosassone rispetto a quello europeo. La differenza non è banale e conoscerne la sostanza può aiutare a tutelarsi meglio; entriamo un po’ nel dettaglio. Intanto la prima osservazione da fare riguarda l’indispensabile utilità di essere a conoscenza delle diverse tutele se si pensa all’enorme massa di dati che vengono inseriti sui social network e che transitano in tutte le direzioni del globo. La maggior parte delle aziende che gestiscono dati sono multinazionali statunitensi e qualunque condivisione di informazioni in ultima istanza finisce per essere trasferita negli USA. Pertanto conoscere le differenze di tutele e di leggi sulla privacy è di fondamentale importanza.

Nel mondo anglosassone i dati e le informazioni sono considerati un bene commerciale e pertanto la privacy è tutelata esclusivamente nell’ambito delle relazioni e dei rapporti di natura commerciale (la tutela è prevista nei soli casi sanitari o finanziari). Quindi le modalità di rispetto della privacy sono calibrate a seconda dei soggetti e delle tipologie di servizi che vengono offerte; in tal modo le tutele non sono univoche e si adattano alla tipologia di contratto che si va a sottoscrivere. Invece in Europa il regolamento sulla privacy è molto più stringente e considera la tutela dei dati personali un diritto inviolabile; la raccolta dei dati ha bisogno pertanto dello specifico consenso degli utenti, mentre negli USA la tutela dei dati riguarda solo il loro utilizzo, mentre la raccolta di informazioni è consentita, indiscriminata e non di rado carpita in modo subdolo.

Si pensi che le forze dell’intelligence statunitense possono utilizzare le informazioni tratte dai servizi di condivisione delle banche dati a prescindere dalla nazione alla quale i dati appartengono; il solo fatto che questi vengano utilizzati nell’ambito del mercato statunitense fa sì che la loro gestione ricada sotto la giurisdizione degli USA. Tale aspetto si trova in netto contrasto con quanto espresso nel regolamento europeo definito come "General Data Protection Regulation" (GDPR). L’utilizzo da parte degli USA della gran massa di dati (c.d. big data) che sono presenti nelle banche dati, nasce dalla necessità di avere libero accesso ad informazioni e a prove elettroniche utilizzate nei grandi processi e nelle indagini internazionali. L’Europa tuttavia ha immediatamente sottolineato che tale pratica si presenta in netto contrasto con i diritti umani fondamentali, poiché non rispetta le norme sulla tutela della privacy dei cittadini, ostacolando anche le attività di protezione dati svolte da aziende europee (essenzialmente tedesche e francesi). In particolare l’articolo 48 del GDPR afferma che nessuna organizzazione può trasferire dati personali verso un paese terzo senza che vi sia un previo accordo internazionale.

Da quanto detto risulta ancora più chiara la differenza tra il concetto di privacy e della sua tutela tra i due mondi, quello anglosassone e quello europeo: pensare alla privacy come ad un bene economico che può essere venduto o negoziato in cambio di benefici o servizi, allontana dal concetto europeo di privacy visto come un diritto fondamentale dell’uomo che deve essere protetto da ogni forma di abuso o di utilizzo indiscriminato e non autorizzato di proprie informazioni da parte di terzi, siano essi soggetti pubblici o privati.

Non vi è dubbio che ambedue le impostazioni hanno come obiettivo la tutela della privacy dei cittadini, evitando però di compromettere il mercato che si basa sui flussi di dati; come esempio si consideri che l’intelligenza artificiale si fonda sull’uso dei c.d. big data opportunamente connessi tra loro e tradotti in algoritmi. Ma ciò rende vulnerabile ed indifeso il cittadino su più fronti: quello dell’uso dei dati personali e quello della loro manipolazione per individuare politiche, progetti e programmi finalizzati alla determinazione ed al governo del pensiero di massa (c.d. pensiero unico). Siamo di fronte ormai ad un mercato di dati ed informazioni che vede il singolo come parte debole della catena; egli rappresenta il soggetto che fornisce i suoi dati ed allo stesso tempo ne rimane vittima. Immaginiamo il tutto calato in una qualsiasi realtà politica: saremmo di fronte ad uno Stato autoritario che non tutela il benessere ed i diritti, conformato come un tribunale che fa giustizia utilizzando informazioni personali come possibili prove di colpevolezza di ogni individuo. E’ il caso di chiudere dicendo che ogni cosa detta o fatta da noi potrà comunque essere utilizzata contro di noi!

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
25 Settembre 2023

L’ECONOMIA ITALIANA DEL POST COVID19 di Alessandra Di Giovambattista

L’ECONOMIA ITALIANA DEL POST COVID19

di Alessandra Di Giovambattista

15-09-2023 

Dopo il picco della pandemia da malattia identificata con la sigla COVID19 tutte le analisi di mercato sono state aggiornate, con riferimento alle previsioni sulla crescita economica per il 2020, verso un forte ribasso. In Italia, la crisi sanitaria è succeduta ad una fase in cui l’economia già dava segni di rallentamento. In estrema sintesi possiamo ricordare che la crisi del 2010, dei mutui c.d. subprime e del fallimento della banca Lehman Brothers aveva trascinato verso il basso il PIL italiano; successivamente mentre si avevano dei modesti segnali di crescita, si è presentata la crisi dell’euro e dello spread che ha fatto registrare una seconda recessione proseguita fino nel 2013. Negli anni successivi la crescita è stata molto lenta ed il PIL nel 2018 e 2019 è aumentato rispettivamente dello 0,8% e dello 0,5%. A ridosso di tale precaria situazione economica le misure anti Covid del 2020 sono state così stringenti che hanno prodotto un shock pesante per il nostro mercato già fragile, tanto da indurre il Fondo monetario internazionale a stimare un calo del PIL italiano nel 2020 pari al -9,1% (a consuntivo si è attestato al -9%) a fronte di una media dell’area europea del -7,5%. In generale si può dire che è ormai da più di un decennio che l’Italia viaggia sui valori più bassi del PIL registrati nell’area dell’eurozona.

Le misure di distanziamento sociale introdotte nel nostro Paese sono state severe, forse tra le più severe, ed hanno riguardato prima la chiusura delle scuole e la sospensione di eventi pubblici, poi a partire dal 9 marzo 2020 si è assistito all’introduzione di diverse limitazioni alla libera circolazione di persone anche all’interno dei confini nazionali e finanche dei confini comunali. Dopo il 28 marzo si sono fermate le attività in diversi settori produttivi ritenuti non essenziali e si è iniziato ad implementare il lavoro da remoto (c.d. smart working). Poi le restrizioni sono state lentamente rimosse a partire dal 4 maggio del 2020. 

Quindi, gli effetti del lockdown, in aggiunta alla già precaria situazione economica, sono apparsi subito molto pesanti per il nostro Paese; le previsioni sulle prospettive economiche rese note dalle istituzioni internazionali hanno mostrato delle ricadute della crisi molto più forti in Italia rispetto a quanto stimato per le altre economie sviluppate ed in particolare quelle dell’eurozona. Ciò è dipeso da vari fattori in particolare legati al maggior prolungamento del distanziamento sociale rispetto ad altri Paesi, che ha impattato negativamente sulle attività dei settori in cui si è imposto il fermo produttivo ed ha generato un deterioramento delle relazioni intersettoriali. Inoltre la dura politica sociale che ha previsto la perdita del lavoro a fronte della scelta di non voler effettuare la vaccinazione senza offrire una valida attività lavorativa alternativa, ove possibile, da poter svolgere da remoto, ha creato sfiducia ed incertezza che si sono tradotti, in ultima analisi, in diminuzione del reddito disponibile e pertanto in un calo dei consumi. In più l’economia italiana che si caratterizza per la forte vocazione turistico alberghiera, la quale con tutto l’indotto contribuisce al PIL per una quota superiore al 13% (dato del 2017), è stata più duramente colpita e provata dalle misure di chiusura dei flussi internazionali, ed anche nazionali, del turismo, rispetto ad altre nazioni. Questo implica che gli effetti della pandemia sul terzo settore si sentiranno più intensamente e per un periodo più lungo rispetto a settori come quello primario (agricoltura e allevamento) e secondario (industriale). L’Italia è poi un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni e anche dalle importazioni di materie prime; questo ultimo aspetto è peraltro venuto marcatamente fuori con la recente e tutt’ora in atto guerra russo-ucraina. A ridosso della pandemia da COVID19 il calo del commercio internazionale ha contribuito in modo rilevante al crollo del PIL in Italia.

Il clima di sfiducia, anche verso le istituzioni, derivante dalla crisi sanitaria, ha avuto conseguenze sociali che in Italia sono state più rilevanti rispetto agli altri Paesi europei; un’indagine pubblicata nel 2020 (promossa dall’osservatorio dell’Istituto Toniolo e dal Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia) ha evidenziato che tra i giovani italiani in età compresa tra i 18 ed i 34 anni, circa il 60% di essi ritiene che l’emergenza sanitaria segnerà negativamente i propri piani e progetti futuri a fronte del 46% e del 42% dei giovani rispettivamente francesi e tedeschi a cui è stato rivolto il medesimo questionario. In particolare è emerso che i giovani italiani dichiarano di dover rinunciare ai propri progetti, mentre i ragazzi europei affermano di dover solo posticipare i propri progetti.

Una tale situazione denota, a modesto avviso, una sensazione di sfiducia causata da una percezione di abbandono da parte delle istituzioni che ormai poco curano la scuola, e più in generale le politiche giovanili per il lavoro, lo sport ed il tempo libero. In più si aggiunga che assistiamo ad un rapido crollo dei valori socio familiari che invece di proporre sicurezza e stabilità, si basano sempre più su modelli egoistici ed effimeri.

Le ricadute molto pesanti sul mercato del lavoro, sebbene siano stati erogati gli ammortizzatori sociali implementati dal Governo (che purtroppo hanno generato, a causa del mancato controllo, anche situazioni di frode), si sono concretizzate in una diminuzione delle ore lavorate e del numero degli occupati; la perdita si è concentrata soprattutto tra i lavoratori autonomi e tra quelli con contratto a termine, con una particolare penalizzazione di giovani e donne. Ciò ha prodotto una compressione del livello dei consumi, nonostante la politica fortemente espansiva da parte dello Stato, che ha portato con sé anche una crescita della povertà assoluta in Italia.

Nel termine di povertà assoluta si fanno rientrare le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta, cioè quella legata alle necessità fisiologiche di base e si ricollega quindi al concetto di mancanza di beni e servizi primari, a prescindere dal livello socio economico del contesto in cui le famiglie stesse vivono. I dati ISTAT ci dicono che nel 2020, si contano oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un’incidenza che passa dal 6,4% nel 2019 al 7,7% ne 2020, concentrate numericamente più nel nord che nel centro e nel mezzogiorno; tuttavia molte famiglie, pur scivolando nell’area della povertà assoluta, hanno comunque mantenuto una spesa per consumi prossima ad essa, grazie alle misure pubbliche di sostegno. La povertà assoluta è sostanzialmente cresciuta per  le famiglie con una persona di riferimento produttrice di reddito in età lavorativa, mentre nelle famiglie con la persona di riferimento percettrice di reddito da pensione l’incidenza è stata notevolmente minore, essendo i redditi da pensione garantiti e protetti molto più dei redditi da lavoro. A ciò si aggiunga la già ricordata discutibile misura di escludere dal lavoro, anche part time, i soggetti non vaccinati che ha contribuito ad innalzare tale indicatore e ha indotto i soggetti a situazioni di sottoccupazione e di lavoro sommerso. Inoltre la povertà assoluta è salita molto di più nei nuclei composti da stranieri e nei nuclei più numerosi ed è cresciuta per tutte le classi di età; tuttavia c’è da sottolineare che sono oltre 1 milione i minori in povertà assoluta.

Complessivamente si è assistito soprattutto ad un elevato disagio economico che, esaminando le variabili e considerando gli aiuti ed i sostegni erogati, non è tanto da imputare a condizioni economiche degradate, quanto piuttosto al senso si incertezza legato alla consapevolezza del carattere temporaneo dei sostegni, oltre che al permanere di rischi sui tempi ed i modi con i quali è stata affrontata l’emergenza sanitaria. Il tutto amplificato dai media che, se da un lato hanno contribuito fortemente ad allineare le persone a favore delle misure sanitarie decise dal Governo, dall’altro hanno aumentato la psicosi sulla mancanza di cure adeguate, ed hanno giocato sulla pressante informazione negativa senza fare distinzioni chiarificatrici di tipo statistico sanitario circa, ad esempio, le incidenze dei morti da COVID19 rispetto ai soggetti malati. Inoltre ha pesato psicologicamente il venire meno di elementi di benessere e di svago impraticabili durante la pandemia.

Altri fattori che sono emersi nell’analisi dell’aumento della povertà hanno riguardato l’età ed il titolo di studio: la fascia di età lavorativa più avanzata ed il titolo di studio più elevato hanno prodotto un effetto barriera protettivo nei confronti della crisi. Indubbiamente un altro elemento fortemente determinante è stato anche il settore economico di attività in quanto i lavoratori più penalizzati sono stati quelli legati al commercio, all’agricoltura ed all’industria, tutti settori dove più forte si è sentito il peso della sospensione e della discontinuità dell’attività.

Considerando tutti i fattori si può sinteticamente affermare che nel 2020 i problemi di povertà derivanti dalla crisi pandemica hanno inciso sul Mezzogiorno in modo rilevante, andandosi ad aggiungere e problemi socio-economici già presenti in questa area (il 20,7% della popolazione ha avuto difficoltà economiche); i disagiati hanno raggiunto la quota del 9,5% nel Centro Italia, mentre il Nord ha registrato una percentuale di aumento della povertà del 12%. Per le stesse aree nell’anno 2019 il disagio era rappresentato dalle seguenti percentuali: 11,8%, 5% e 4,8% risultando così che il peggioramento al Nord è stato relativamente più ampio rispetto alle altre due zone d’Italia in una sorta di convergenza verso il basso.

Nel 2021 non ci sono state notevoli differenze, le famiglie in povertà assoluta sono poco più di 1,9 milioni su un totale di persone indigenti di circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni sono minorenni. Bisogna sottolineare tuttavia che a fronte di un miglioramento sanitario e di una lenta ripresa produttiva si è assistito ad un peggioramento di natura economica, dovuto all’aumento dell’inflazione che ha eroso il reddito reale delle famiglie. Differenze si colgono anche nel fatto che il Nord migliora la sua posizione rispetto alla povertà, mentre il Sud scivola sempre più verso il basso; è inoltre in ripresa la spesa per consumi delle famiglie.

I dati per il 2022 non sono ancora disponibili essendo stati modificati i criteri di stima, per cui l’ISTAT farà conoscere le rilevazioni nel prossimo mese di ottobre

Dettagli
Emanuela Scarponi logo
15 Settembre 2023

Altri articoli...

  1. CI SONO TUTELE NEI CONFRONTI DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE USATA COME STRUMENTO DI RECLUTAMENTO DEL PERSONALE? di Alessandra Di Giovambattista
  2. IL LIVELLO DI POVERTÀ DOPO LA PANDEMIA DA COVID-19 di Alessandra Di Giovambattista
  3. LE POLITICHE FINANZIARIE DI CONTRASTO DEL COVID19 di Alessandra Di Giovambattista
  4. ESISTE ANCORA UN DIRITTO ALLA PRIVACY? di Alessandra Di Giovambattista
Pagina 14 di 56
  • Inizio
  • Indietro
  • 9
  • 10
  • 11
  • 12
  • 13
  • 14
  • 15
  • 16
  • 17
  • 18
  • Avanti
  • Fine
  1. Sei qui:  
  2. Home

Più letti

Giovedì, 03 Maggio 2018
read
Venerdì, 10 Maggio 2019
Exco fiera di Roma
Lunedì, 07 Ottobre 2019
La primavera di Belgrado
Martedì, 14 Maggio 2019
Exco 2019 15-16.17 maggio 2019
Lunedì, 09 Dicembre 2019
Progetto Africa di Emanuela Scarponi

Ultime news

Giovedì, 24 Luglio 2025
“Ruolo della innovazione nelle relazioni tra Europa e Cina”. Acura di Bruno Grassetti
Lunedì, 07 Luglio 2025
OSTIA ANTICA FESTIVAL AFRICA EXPRESS
Mercoledì, 02 Luglio 2025
Domenica 7 settembre 2025 sala Roma ONG Africanpeople la rentree re
Mercoledì, 18 Giugno 2025
Riflessioni e possibilità di cooperazione e di scambi culturali tra Cina ed Italia e nell'ambito dell'Unione Europea, tra PMI italiane ed europee ed imprese cinesi, alla luce del nuovo scenario internazionale.”.
Giovedì, 29 Maggio 2025
belt and road cooperation center
Copyright © 2025 silkstreet. Tutti i diritti riservati. Project informatica virtualproject.it. Joomla! è un software libero rilasciato sotto licenza GNU/GPL.
Bootstrap is a front-end framework of Twitter, Inc. Code licensed under Apache License v2.0. Font Awesome font licensed under SIL OFL 1.1.