IL VALORE AGGIUNTO DELLE RACCOMANDAZIONI DELL’OCSE SULLA LEGGE ITALIANA SUL LOBBISMO
di Alessandra Di Giovambattista
Sul testo unificato della legge sul lobbismo, che ha ottenuto il suo primo sì presso la Camera dei Deputati il giorno 12 gennaio 2022, è stato necessario acquisire anche il parere dell’Ufficio per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico della cooperazione (OCSE) per le istituzioni democratiche ed i diritti dell’uomo, che è stato espresso nel settembre 2021. Con esso l’ufficio dell’OCSE ha sollevato questioni sulle aree di criticità della bozza proposta.
È interessante il preambolo del parere in cui si sottolinea che la regolamentazione delle attività di lobbying si inserisce in un contesto in cui si incrocia da una parte la salvaguardia del diritto alla libertà di associazione ed il diritto alla partecipazione dei singoli alle attività politiche e dall’altro l’eliminazione delle situazioni in cui potrebbero emergere atteggiamenti e fattispecie riconducibili al reato di corruzione. “Il lobbying è un atto legittimo di partecipazione politica, un mezzo importante per promuovere il pluralismo e, in ultima analisi, uno strumento per contribuire al miglioramento del processo decisionale nel settore pubblico”. Nel termine lobbying rientra anche l’attività di “advocacy”, ossia di attivismo sostenuta da organizzazioni della società civile o da gruppi senza scopo di lucro; tuttavia l’accesso non trasparente e legato a conoscenze e clientele ha portato il lobbying ad essere percepito come l’influenza sul processo decisionale da parte di soggetti portatori di interessi potenti.
La definizione proposta dal Consiglio d’Europa (CM/Rec del 2017) per “lobbying” è la seguente: “la promozione di interessi specifici attraverso la comunicazione con un funzionario pubblico nell’ambito di un’azione strutturata ed organizzata volta a influenzare il processo decisionale pubblico”. Può rappresentare pertanto uno strumento efficace per esercitare il diritto di partecipazione pubblica all’attività politica. Nell’ambito dell’OCSE gli Stati partecipanti si sono impegnati a “garantire che agli individui sia consentito l’esercizio del diritto di associazione, compreso il diritto di formare, aderire e partecipare con efficacia a organizzazioni non governative” (documento di Copenaghen del 1990) e quindi di “rafforzare le modalità di contatto e di scambio di opinioni tra le ONG e le autorità nazionali competenti e le istituzioni governative” (Documento di Mosca del 1991). Tuttavia, pur considerando il lobbying anche nell’accezione di attivismo, al fine di contrastare l’influenza sproporzionata da parte di gruppi finanziariamente e politicamente potenti, e di garantire la trasparenza del processo di formazione delle scelte di politica e di politica economico/finanziaria, le attività di rappresentanza di interessi sono assoggettate ad attente regolamentazioni e devono presentare dei requisiti di trasparenza ed integrità per garantire la responsabilità dei soggetti partecipanti all’attività di lobbying e l’inclusione nel processo decisionale. La questione della normazione presenta un elevato grado di delicatezza in quanto le regole poste a tutela dei diritti democratici di espressione della volontà e di controllo dell’operato pubblico da una parte non devono violare il diritto dei singoli, anche organizzati collettivamente, di esprimere liberamente le proprie opinioni e di presentare interrogazioni agli attori della pubblica amministrazione e dall’altra devono poter promuovere campagne a favore di modifiche normative e socio/economiche. Per contro la stessa legislazione deve agire sul lato della corruzione impedendone lo sviluppo e contrastandone le diverse forme di connivenza. Il gruppo di stati presenti nel Consiglio d’Europa che agisce contro le forme di corruzione ha esaminato anche le norme in materia di lobbying presentate dalle autorità italiane e ne ha fornito apposito documento che contiene al suo interno diverse raccomandazioni che il parere dell’OCSE, qui all’esame, tiene in debita considerazione.
Il parere formulato dall’Ocse contiene quindi diverse indicazioni circa il miglioramento e le correzioni da apportare alla proposta italiana, in più indica delle raccomandazioni, che sono così sintetizzabili:
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Raccomandazione A: la sintesi della prima raccomandazione si basa sul fatto che la proposta di legge sul lobbying presentata dall’Italia sarebbe più efficace se si basasse su un approccio più equilibrato circa gli obblighi assunti dalle due parti, cioè lo Stato ed i suoi rappresentanti da una parte ed i lobbisti dall’altra, siano essi soggetti privati, aziende, o organizzazioni della società civile. In particolare la proposta di legge non sembra porre particolare attenzione agli obblighi ed ai vincoli che dovrebbero esser posti anche in capo agli operatori pubblici (politici e funzionari), soffermandosi essenzialmente sui vincoli gravanti sui lobbisti; nello specifico la responsabilità della trasparenza delle decisioni prese dovrebbe essere suddivisa equamente tra lobbisti e decisori pubblici, con la considerazione che sono poi questi ultimi a dover rendere conto delle loro scelte e decisioni alla società, che si sostanzia, in ultima analisi, nel corpo elettorale. Prevedere le responsabilità ed i vincoli alla sola parte dei portatori di interesse, rischia di lasciare aperte scappatoie e spazi per la corruzione; per contro vincolare i soli lobbisti potrebbe soffocare la partecipazione politica e pubblica e limitare le forme di associazione in difesa di specifiche richieste formulate da categorie e/o gruppi di interesse. Pertanto entrambe le parti devono agire in modo appropriato e responsabile l’una nei confronti dell’altra (per approfondimenti si veda quanto scritto dal Gruppo di stati contro la corruzione – GRECO); in particolare i principi dell’OCSE per la trasparenza e l’integrità del lobbying affermano che “i Paesi devono promuovere una cultura dell’integrità nelle organizzazioni pubbliche e nel processo decisionale, delineando regole e linee di condotta chiare per i funzionari pubblici”.
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Raccomandazione B: in tale raccomandazione l’OCSE sottolinea l’importanza di introdurre nella legge di regolamentazione del lobbying, il percorso di formazione, l’ausilio di guide e di materiale tanto per i lobbisti quanto per i decisori pubblici. In effetti la proposta di legge è carente nella parte riguardante le modalità di formazione e conoscenza dei contenuti dell’attuale disegno di legge che un domani diverrà norma nazionale; è pertanto importante prevedere modalità e percorsi per far sì che gli attori di questo incontro di volontà/interessi possano conoscere in modo approfondito le finalità delle disposizioni stesse al fine di costruire le capacità, la sensibilità e le competenze per il confronto tra lobbisti e politici, al fine di evitare incomprensioni, o mancata applicazione dei principi contenuti nel disegno di legge stesso.
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Raccomandazione C: l’ufficio preposto ai pareri dell’OCSE suggerisce di chiarire che tutte le forme di contatto sono contemplate, indipendentemente dal fatto che avvengano di persona, per iscritto o attraverso strumenti di comunicazione digitale. In tal senso infatti si è vista la complessità crescente del lobbying in termini di utilizzo dei canali e meccanismi tecnologici al fine di influenzare le decisioni di politica pubblica. La mancanza di un’accezione ampia potrebbe aprire il varco ad attività illecite e a rischio di corruzione, in quanto lascerebbe sguarnite attività di contatto riconducibili a metodologie informatiche di più recente generazione; si pensi a tutto il fenomeno degli influencers e delle strategie utilizzate dai social media per informare, disinformare e alterare la percezione delle problematiche da parte del pubblico. Pertanto l’OCSE auspica che le definizioni contenute nella proposta di legge vengano migliorate per aumentarne la chiarezza e la prevedibilità nonché per ampliarne l’accezione circa le modalità di contatto tra gli attori del lobbying al fine di rendere le disposizioni le più efficaci possibile. Inoltre il parere sottolinea il fatto che la legge deve essere redatta con maggior cura per evitare che non tutte le attività di attivismo (advocacy) e sensibilizzazione siano riconducibili al fenomeno del lobbying indiretto. Infatti la norma si esprime in maniera generica facendo rientrare nel lobbying lo “svolgimento di qualsiasi altra attività diretta a concorrere alla formazione delle decisioni pubbliche”; in tal modo qualsiasi azione di attivismo rischierebbe di essere soffocata a discapito dell’impegno di alcune organizzazioni/ONG in ambito sociale e civile.
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Raccomandazione D: l’attenzione da parte dell’ufficio dell’OCSE preposto al parere cade sulla definizione di decisore pubblico che la proposta individua in modo alquanto ristretto. Si rende necessario che tale definizione sia la più ampia possibile e contempli al suo interno anche le figure riconducibili a tutti i funzionari pubblici che possono diventare destinatari del lobbying, fornendo una descrizione semplice e completa del soggetto identificabile come decisore pubblico su ogni livello e in linea con i documenti di orientamento internazionali. In particolare il parere sottolinea che indicare nella proposta di legge come funzionari pubblici comunali destinatari delle disposizioni, quelli che gestiscono Comuni con un numero minimo di abitanti (pari o superiori a 300.000 abitanti) escluderebbe dalla normativa, volta a regolare il lobbying, quelle piccole realtà dove forse più che in altri luoghi si potrebbero perpetrare accordi e influenze indebite con ricadute negative per il territorio in termini di collusione e corruzione. In ragione di ciò auspica l’eliminazione di ogni riferimento numerico in termini di abitanti presenti nei Comuni al fine di individuare i funzionari pubblici destinatari delle norme in discorso. Inoltre specifica che il lobbista può operare anche senza compenso e senza un’organizzazione professionale alle spalle; pertanto dovrebbe essere eliminata la qualifica di attività organizzata “professionalmente” che implicherebbe sia dei compensi, sia una struttura amministrativa efficiente ed organizzata, caratteristiche che di fatto potrebbero non essere presenti.
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Raccomandazione E: l’OCSE impone di inserire dei requisiti di trasparenza ed accountability specialmente nei casi di incontri tra privati, di natura non pubblica. In effetti le linee guida internazionali individuano solo due categorie di eccezioni alle leggi sul lobbying: 1) le interazioni tra cittadini privati e funzionari pubblici in merito ai loro affari privati, salvo qualora questi riguardino interessi economici individuali aventi però una rilevanza e una dimensione che possano coinvolgere un più ampio ambito; 2) il caso di funzionari pubblici, diplomatici e partiti politici che agiscono nelle vesti ufficiali. Invece la proposta italiana individua una lunga lista di eccezioni all’applicabilità delle disposizioni di regolamentazione del lobbying, esentando anche incontri di natura non pubblica che però potrebbero ricadere per importanza e complessità nell’ambito delle relazioni di interessi. Tale aspetto, se non ben chiarito nelle norme, potrebbe di fatto aumentare i rischi di corruzione in quanto rimarrebbero fuori dal controllo interventi ed interazioni che sostanzialmente sarebbero riconducibili a vere e proprie attività di lobbying. Allo stesso modo, le disposizioni internazionali danno un significato ampio all’attività di lobbying, mentre la proposta italiana esclude dall’applicazione normativa anche “l’attività di rappresentanza svolta nell’ambito di processi decisionali che si concludono mediante protocolli d’intesa o altri strumenti di concertazione”; con riferimento a ciò il parere sottolinea che non essendo chiara la portata normativa, di fatto potrebbero simularsi azioni esenti dalla legge di regolamentazione del lobbying che sarebbero invece da ricondurre proprio nell’alveo della gestione di interessi privati in ambito pubblico i quali, in mancanza di controllo e regolamentazione, potrebbero sfociare in fattispecie riconducibili alla corruzione o alla connivenza.
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Raccomandazione F: la predisposizione di un codice deontologico presuppone una guida che specifichi ed approfondisca le disposizioni contenute nella proposta di legge al fine di condurre facilmente sia i lobbisti che i decisori pubblici ad azioni che rispondano agli obblighi contenuti nelle norme. Con tale significato il codice deontologico dovrebbe costantemente far riferimento alle disposizioni contenute nella proposta di legge in modo da individuare le singole violazioni ed assoggettarle a specifiche sanzioni. In particolare il parere fa notare che nella proposta le norme del codice deontologico, peraltro non ancora elaborate e pubblicate, sono imposte ai soli “rappresentanti di interessi” e non anche ai “decisori”, con ciò conferendo a questi ultimi un potere contrattuale maggiore e per di più non sanzionabile. Si fa notare che un codice di tale natura dovrebbe essere destinato a tutti gli attori delle relazioni, siano essi lobbisti o decisori pubblici, con la finalità di guidare e fornire informazioni affinché il loro operato si svolga secondo una condotta appropriata, che garantisca che tutte le parti rispettino i principi deontologici di buona attività.
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Raccomandazione G: conseguenza di quanto espresso prima è la raccomandazione in esame; in essa si specifica che l’imposizione di sanzioni sia adeguata e proporzionale alle inosservanze delle specifiche norme e che le sanzioni stesse siano irrogate non solo ai rappresentanti di interessi ma anche ai detentori di interessi e ai decisori pubblici.
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Un altro aspetto importante individuato nel parere, che però non ha dato luogo ad una specifica raccomandazione, risiede nella norma che esclude compensi ai rappresentanti del Governo o ai partiti; in particolare la proposta italiana specifica che “i rappresentanti di interessi non possono corrispondere, a titolo di liberalità, alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti a rappresentanti del Governo o a partiti, movimenti e gruppi politici, a loro esponenti o a intermediari di questi ultimi”. L’ufficio specifica che gli strumenti giuridici internazionali previsti contro la corruzione hanno una connotazione molto più ampia specificando che proibiscono di “offrire, promettere o fornire qualsiasi vantaggio indebito", esulando in tal modo dal più ristretto divieto indicato dalla norma di corrispondere “alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti", che di fatto non esclude il rischio di corruzione durante le attività di lobbying. Acquista così rilievo anche la mancanza, nella proposta italiana, di qualsiasi riferimento normativo sulla necessità di relazionare circa le informazioni riguardanti eventuali vantaggi offerti, promessi o concessi a persone, gruppi o enti, che consentirebbe di valutare se tali tipi di ricompensa siano riconducibili a forme di vantaggio indebito.
In conclusione il parere dell’OCSE fa riflettere circa la limitazione delle disposizioni contenute nella proposta italiana che si presenta davvero ad uno stadio embrionale; le correzioni da apportare sono tante e tutte condivisibili in quanto aiutano a specificare il campo di azione e consentono una definizione più ampia dei fenomeni e delle situazioni riconducibili alle attività di lobbying. L’ampliamento delle definizioni ricondurrebbe nell’alveo della regolamentazione molte situazioni che invece, utilizzando la proposta italiana, rimarrebbero fuori dal controllo, impedendo una valutazione efficace ed effettiva dell’operato dei portatori di interesse e dei soggetti pubblici.
Una siffatta correzione aiuterebbe quindi ad individuare meglio le responsabilità dei singoli, definirne le eventuali colpe, irrogare le conseguenti sanzioni con il risultato di offrire una visione condivisibile, consapevole e garantista dell’operato dei soggetti pubblici. In mancanza di ciò, molto probabilmente, i varchi e le falle a favore delle situazioni di corruzione e collusione saranno tanti e sfuggiranno al controllo ed alle sanzioni. Sarebbe auspicabile poter contare su una legislazione chiara ed efficace che, per un argomento così delicato, faccia assumere le dovute responsabilità agli operatori pubblici e privati i quali, qualora non si comportino secondo onestà e deontologia, sarebbero chiamati a rifondere personalmente i danni che lo Stato subirebbe per effetto delle loro condotte illegali.