ESISTE ANCORA UN DIRITTO ALLA PRIVACY?
di Alessandra Di Giovambattista
Le recenti tecnologie hanno contribuito ad assottigliare i limiti individuati dal diritto alla riservatezza, alla tutela della propria sfera personale; basti pensare alla funzione di geolocalizzazione contenuta nei cellulari o alla facilità con cui è possibile reperire gli indirizzi di posta elettronica: è alla portata di tutti il fenomeno della pubblicità indesiderata a causa della quale si ricevono telefonate e messaggi pubblicitari in qualunque ora del giorno sia sulle mail sia sui cellulari.
Ma c’è di più; basti pensare al fatto che qualora si parli con altre persone che sono fisicamente vicine, e quindi non al telefono, dopo poco arriva sul cellulare pubblicità che ha a che fare con beni o servizi attinenti all’argomento che si stava affrontando. La conclusione è: il telefono ci ascolta! Vi sono varie app (ma anche Facebook ed Instagram) caricate sui nostri cellulari che hanno come obiettivo quello di monitorare costantemente i comportamenti ed i discorsi delle persone; purtroppo però la causa di ciò è anche da ricercare nella leggerezza con cui noi stessi autorizziamo l’accesso al microfono o alla videocamera per utilizzare una qualsiasi app. Stesso discorso si può fare per le c.d. smart TV, o per strumenti di intelligenza artificiale (come ad esempio Alexa) che sono in grado di riprendere immagini ed ascoltare dialoghi che si svolgono nella stanza dove è posizionato il dispositivo. Secondo una compagnia israeliana di cybersecurity - la Check Point Software – la causa di queste ingerenze è da ricercare proprio nelle autorizzazioni che noi stessi diamo nel momento di installazione di app senza controllarne la provenienza e senza leggere le condizioni che si stanno accettando.
Molte aziende di marketing monitorano gli utenti nelle abitudini di consumo e gusti personali attraverso alcune tecniche di pubblicità che raccolgono informazioni personali, per poi proporre beni o servizi specifici; si consideri che raccolte di dati sulla tipologia dei consumi vengono svolte anche dalle banche ed istituti di credito attraverso il controllo della tipologia di prodotti che si acquistano con moneta elettronica.
La digitalizzazione delle immagini contribuisce poi ad una costante perdita della riservatezza e del controllo di azioni ed immagini rendendo così sempre più difficile la tutela della privacy. Condividere video o foto tramite internet significa perdere il controllo del materiale condiviso e permettere che tutti, indiscriminatamente, vengano a conoscenza del contenuto; la gravità della situazione è sottolineata quando le vittime sono i minori, spesso ignari delle conseguenze di quelle che potrebbero sembrare banali azioni.
Quindi oggi i problemi della privacy non sono più legati solo alla riservatezza e al controllo della divulgazione dei dati ed informazioni personali, ma si sono estesi verso un modo di esercizio del potere. Si assiste ad un cambiamento della struttura della società che sempre più si basa sull’accumulazione e la circolazione delle informazioni, come se fossero beni di primaria necessità, creando situazioni spesso tra loro paradossali dove se da un lato si incentiva la comunicazione, la conoscenza, la libertà di espressione ed il dialogo, dall’altro si compromette il confine tra quanto è riservato, personale e privato e quanto può essere di dominio pubblico. Pertanto con l’avvento degli strumenti informatici, primo tra tutti il personal computer (PC), e lo sviluppo della rete del web, la circolazione di informazioni personali diviene una regola del sistema della nuova società della comunicazione ed i dati assumono la natura di veri e propri beni con caratteristiche merceologiche ben definite. Non più informazioni interessanti per la cronaca o per la situazione contingente, riguardanti determinati soggetti perlopiù esposti pubblicamente, bensì tutte le micro informazioni che riguardano ognuno di noi e che divengono beni di scambio tra società di raccolta dati e società che ne gestiscono l’utilizzo.
Con l’espressione web 2.0 ci si riferisce alla rete digitale al cui interno troviamo i c.d. social networks dove gli utenti possono entrare, esprimere le proprie opinioni, costruire la propria immagine pubblica - cioè il c.d. profilo social - dar vita a dibattiti di varia natura; l’avvento di questa modalità di interconnessione tra utenti ha modificato la socializzazione ed i rapporti interpersonali e però ha anche contribuito in modo esponenziale alla raccolta di informazioni. I dati che percorrono il web riguardano foto, immagini, registrazioni vocali, ed informazioni di qualsiasi tipo, contenenti anche dati sensibili sulla propria vita sociale e personale che originariamente si condividono solo con soggetti che si autorizzano ma che successivamente, a cascata, possono essere visti ed ascoltati da utenti che il soggetto iniziale non conosce e che pertanto non ha autorizzato. Inoltre i dati avranno la caratteristica di permanere definitivamente sul web e questa loro persistenza diventa in realtà uno strumento di potere da parte di soggetti che potrebbero avere obiettivi non sempre meritori. Alcuni studi hanno evidenziato che spesso gli utenti sono del tutto ignari delle modalità di uso e divulgazione dei dati che gli stessi caricano sui social networks; in particolare si è arrivati a definire il paradosso (c.d. privacy paradox) per il quale gli utenti hanno a cuore la tutela della propria privacy ma di fatto non fanno molto perché ciò avvenga. In particolare una ricerca della PricewaterhouseCoopers ha evidenziato il timore, da parte degli utenti, dell’uso indiscriminato delle proprie informazioni da parte delle società di gestione dati e la conseguente possibilità di essere soggetti a rischio di attacco informatico, ma ciò nonostante gli stessi utenti fanno scelte senza ragionare sulle possibili conseguenze di queste ultime in termini di tutela della riservatezza. E’ stato notato che sembra esserci uno scollamento tra quanto si vorrebbe fare per tutelarsi e quanto realmente si fa attraverso atti pratici a tutela della propria privacy (come ad esempio concedere autorizzazioni o condividere foto, video e audio). Di fatto la leggerezza con cui si danno autorizzazioni attraverso gli strumenti informatici, apre il varco alla vulnerabilità della libertà di ciascuno che viene insidiata da forme sottili e pervasive di controllo che noi stessi alimentiamo per il gusto della costante condivisione, anche delle circostanze più banali.
La gestione di tutte le informazioni così recepite avviene attraverso l’analisi c.d. dei big data che gestisce la mole di dati di cui si dispone mediante le modalità di elaborazione dei computer; così si ha la possibilità di analizzare qualsiasi fenomeno non più in modo parziale, con l’aiuto ad esempio della inferenza statistica che analizza un campione rappresentativo e ne descrive l’andamento complessivo, bensì totalmente in quanto riesce a considerare tutti i dati relativi al fenomeno osservato.
Si consideri che in passato le informazioni erano raccolte in formato analogico, quindi allo stato grezzo e per essere analizzate dovevano essere prima trattate; oggi questo passaggio è del tutto inutile in quanto tutte le informazioni sono già prodotte in formato digitale che ne permette l’immediata analisi, aggregazione, organizzazione e comprensione. Ma c’è di più: oggi non sono più solo le persone che forniscono dati, ma già nel 2013 una ricerca ha evidenziato che viaggiando all’interno di un aereo Boeing 777 i sensori di bordo carpiscono un terabyte di dati (un terabyte è composto da 1.099.511.627.776 byte) durante un volo di tre ore, e dopo 20 di questi voli possono rilevare più dati di quelli che attualmente si trovano nella più grande biblioteca del mondo; con il miglioramento della tecnologia l'aereo sarà in grado di catturare per ogni volo, fino a 30 terabyte dai suoi sensori.
Inoltre il flusso dei dati raccolti, estremamente vari nella loro natura, è un fluire senza soluzione di continuità, in maniera dinamica sotto forma di informazioni raccolte e rilasciate ad una determinata velocità, ed estremamente variabili nei loro contenuti.
Altro aspetto fondamentale è poi la veridicità del dato, caratteristica che esprime la qualità dell’informazione. In tale ambito la tutela della privacy gioca un ruolo fondamentale per assicurare che le informazioni raccolte siano veritiere e reali. In un contesto in cui mancano regole a tutela della riservatezza, gli utenti più inclini a difendere la propria sfera privata saranno indotti a rinunciare ai servizi offerti dalla società dell’informazione o a disseminare dei dati falsi, al fine di indurre conoscenze distorte rispetto alla realtà. Invece fornire una regolamentazione sulla protezione dei dati personali e sulla tutela della riservatezza aiuterebbe gli utenti a discernere il tipo di dati da fornire, in ragione della finalità e aiuterebbe i titolari del trattamento dei dati a comprendere le informazione e ad isolare dati veritieri.
In tale contesto diviene importante monitorare anche il trattamento dei big data che viene finalizzato alla combinazione dei dati per produrre algoritmi che consentano un’analisi predittiva; il rapporto tra big data e raccolta di informazioni personali, induce a riflessioni sul necessario bilanciamento tra rischi per la protezione dei dati personali e utilità e vantaggio derivanti dalla gestione di queste informazioni. L’analisi dei dati personali attraverso la metodologia dei big data, fa spostare il problema in un ambito molto delicato poiché l’esame dei big data, essendo di natura predittiva, può creare informazioni nuove ed anche false, costruite a partire da dati effettivi e reali. Questo si verifica perché le informazioni, essendo gestite attraverso algoritmi, possono produrre indicazioni distorte e non veritiere che possono tuttavia ricadere sulle persone e produrre danni diretti o indiretti irreparabili.
Di fronte a tutte queste metodologie che privano della libertà di riservatezza e di vita propria, ci si interroga se di fatto sia ancora valido ed efficace parlare di tutela della privacy: siamo costantemente seguiti, nostro malgrado, attraverso chip, orologi smart, televisioni, sensori installati nei luoghi più disparati, e tutto questo spesso anche dietro autorizzazione di leggi specifiche o per espresso volere di istituzioni sociali e politiche. Da alcune parti si è paventata l’idea che affermare che la tutela della privacy sia un problema superato e ormai del tutto inesistente potrebbe di fatto rappresentare un alibi per permettere a coloro che sono espressione di interessi economici e di potere internazionale di poter gestire in tutta libertà i dati di natura personale. Si consideri che secondo una ricerca condotta da una società americana, la IDC, le informazioni relative all’anno 2020 sui cittadini degli Stati membri dell’UE potrebbero valere complessivamente un trilione di euro: circa l’8% del PIL di tutti i Paesi membri della UE. La presenza di sensori e chip ormai quasi ovunque (prestiamo attenzione anche alle c.d. smart city), anche nel proprio corpo, consente di dare un prezzo a tutto ed in particolare a tutte le informazioni che ci riguardano. Tuttavia si sta assistendo, finalmente, ad una presa di coscienza da parte degli utenti circa i danni derivanti dalla poca attenzione alla riservatezza; non si deve rinunciare ai vantaggi derivanti dalla tecnologia solo perché ci sono alcuni attori economici che raccogliendo dati personali ne fanno poi uno strumento di potere (soffermiamoci anche sul fenomeno dei c.d. influenzer che ormai hanno plagiato le menti di tanti giovani). La tutela della privacy rappresenta un diritto che non solo deve schermare la curiosità di altri soggetti, ma deve essere posto a scudo dell’assetto democratico delle nostre società in difesa dei valori di libertà, dignità ed uguaglianza. Sarebbe bene che il mondo politico e giuridico si facesse carico di questa tutela al fine di trovare il giusto equilibrio tra sviluppo della scienza e della tecnologia e rispetto dei diritti dei singoli individui. La violazione della propria sfera personale provoca danni psichici e fisici, perdita di identità, furti, perdite finanziarie, discriminazione, sottrazione di dati protetti dal segreto professionale.
Quindi il problema della privacy sconfina verso il controllo della collettività mediante la raccolta di dati e la possibilità, attraverso l’intelligenza artificiale di far muovere tutti verso determinati obiettivi che il sistema politico potrebbe porsi, con intenti di controllo e di dominio autoritario sulle comunità. Tali finalità potrebbero essere raggiunte mediante le raccolte di dati sulle scelte politiche (che si controllerebbero attraverso il voto elettronico), sulle scelte di tipo religioso, sociale, sulle abitudini, i gusti ed i consumi dei singoli che se manipolate e gestite da soggetti con mire autoritarie potrebbero sconfinare in controllo e perdita delle libertà costituzionali di pensiero, movimento ed opinione. Senza voler essere catastrofici si intravede all’orizzonte una possibile dittatura dell’informazione…