Giovedi, 21 Agosto 2025

     

 

 

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LA FLAT TAX: UN APPROFONDIMENTO PER IL DISCERNIMENTO. di Alessandra Di Giovambattista

LA FLAT TAX: UN APPROFONDIMENTO PER IL DISCERNIMENTO di Alessandra Di Giovambattista 

 

 23-01-2023 

 

Il regime della flat tax (tassa piatta o proporzionale) al 15% (applicabile a determinati contribuenti con redditi fino ad 85.000 euro) che prendiamo oggi in esame - e che ha dato luogo a diverse polemiche durante l’esame parlamentare della legge di bilancio per il 2023 per via delle diverse modifiche che poi vedremo nella sostanza – è nato con il preciso obiettivo, così come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge istitutivo contenuto nella legge di stabilità per il 2015, di favorire la nascita di nuove attività economiche e successivamente, con la legge di stabilità per il 2016, di potenziarne ulteriormente lo sviluppo. A latere si osserva che contribuisce in questa direzione l’aver creato un regime che presenta notevoli semplificazioni in materia di IVA e di imposte dirette, nonché l’aver semplificato la normativa previgente, mediante l’eliminazione dei precedenti regimi fiscali . Questa direzione è stata intrapresa anche per effetto delle direttive contenute nella delega fiscale dell’11 marzo 2014, n. 23, il cui articolo 11, comma 1, prevedeva l’introduzione di regimi semplificati per i contribuenti di minori dimensioni, nonché, per i contribuenti di dimensioni minime.

Si rammenta che la legge di stabilità per il 2015 ha introdotto il nuovo regime forfetario, a favore degli operatori economici di dimensioni piccole. Tale regime ha subito modifiche successive, in particolare con la legge di stabilità per il 2016. Tale modalità di imposizione prevede semplificazioni in termini di IVA e a fini contabili permette di determinare forfetariamente il reddito da assoggettare ad una imposta sostitutiva che prevede l’applicazione di un’unica aliquota a fronte del vigente sistema di tassazione per scaglioni per le persone fisiche (IRPEF) e con aliquota proporzionale del 24% per le imprese (IRES); agevolazioni, opzionali, sono stabilite anche in ambito contributivo per le imprese. Tale regime, che non prevede una scadenza legata ad un numero di anni di attività, è quello naturale per le persone fisiche che esercitano un’attività di impresa, arte o professione in forma individuale e purché presentino i requisiti richiesti per accedervi . Sono poi individuate diverse cause di esclusione dal regime forfetario riconducibili ad esempio, a particolari regimi speciali IVA, alla residenza dei soggetti per cui sono esclusi i non residenti in Italia, nella UE e nello SEE, all’opzione per il regime della trasparenza fiscale, ecc. E’ inoltre disciplinato il caso in cui il regime forfetario cessi di avere efficacia qualora venga meno anche uno solo dei requisiti di accesso previsti o qualora si verifichi una delle condizioni di esclusione. Al reddito, determinato utilizzando dei coefficienti di redditività differenti per ogni tipologia di attività (individuata secondo i codici ATECO) si applica un’unica aliquota di imposta sostitutiva nella misura del 15%; tale aliquota scende al 5% per i primi 5 anni di attività qualora il contribuente non abbia esercitato nei tre anni precedenti attività artistica, professionale o d’impresa, oppure l’attività non costituisca semplice prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, o l’attività rappresenti il proseguimento di un’attività svolta precedentemente da altro soggetto.

La legge di bilancio per il 2023 ha apportato delle modifiche, con anche la finalità di ridurre la pressione fiscale, in particolare:
- ha elevato a 85.000 euro la soglia dei ricavi e compensi, conseguiti nell’anno 2023, a cui si applica il regime fiscale forfetario in esame; il vecchio limite era di 65.000 euro ed era stato individuato con la modifica al comma 54 dell’originaria legge di stabilità per il 2015, contenuta nell’articolo 1, comma 9, lettera a) della legge di bilancio per il 2019 (L. 145/2018). Ai fini dell’applicazione del regime in argomento è contestualmente necessario non aver sostenuto spese per un importo complessivo superiore a 20.000 euro lordi per lavoro accessorio, dipendente e assimilato.
- Il regime in esame cessa immediatamente - e si rientra nel regime ordinario ed è dovuta l’IVA sulle operazioni in eccedenza rispetto al limite degli 85.000 euro - senza pertanto aspettare l’anno fiscale successivo, qualora i soggetti abbiano conseguito compensi o ricavi superiori a 100.000 euro; qualora i maggiori compensi o ricavi siano all’interno dell’intervallo compreso tra 85.001 e 100.000 euro si uscirà dal regime in esame a partire dall’anno successivo a quello di sforamento.

Rimane invariata l’aliquota del 15% sostitutiva delle imposte sui redditi, addizionali e IRAP, così come previsto dalla normativa previgente, nonché le norme relative alle cause di esclusione e di cessazione dal regime agevolato in argomento. Le semplificazioni IVA riconosciute per questo regime riguardano:
-la non applicazione dell’IVA (non si addebita l’IVA in fattura ai clienti e non si detrae l’imposta sugli acquisti);
-l’esonero dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA e della liquidazione e versamento periodici;
-la non registrazione delle fatture emesse, dei corrispettivi e degli acquisti;
-il non obbligo di fatturazione elettronica; in caso di sola fatturazione elettronica (qualora, ad esempio, la fatturazione avvenga esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione) è previsto un regime premiale per il quale il termine di decadenza per gli avvisi di accertamento si riduce di un anno passando dagli attuali 5 a 4 anni.
Restano invece soggetti agli obblighi di numerazione e conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali; di certificazione dei corrispettivi; di integrazione delle fatture per le quali risultano debitori di imposta, senza diritto a detrazione; di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica amministrazione.
Le semplificazioni previste a titolo di imposte sui redditi, riguardano:
- esonero dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili di natura tributaria;
- esclusione dall’applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA);
- esonero dall’operare le ritenute alla fonte, nonché esonero dall’assoggettamento a ritenuta d’acconto in relazione a ricavi o compensi percepiti.

 

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23 Gennaio 2023

IL GREEN DEAL: L'EUROPA LEADERSHIP INDUSTRIALE IN MATERIA DI ZERO EMISSIONI NETTE Di Alessandra Di Giovambattista

IL GREEN DEAL: L'EUROPA LEADERSHIP INDUSTRIALE IN MATERIA DI ZERO EMISSIONI NETTE 
Di Alessandra Di Giovambattista

 

25-02-2023

La commissione europea ha presentato il 1 febbraio 2023 un piano industriale per rafforzare la competitività dell'industria europea a zero emissioni nette e sostenere la rapida transizione verde verso la neutralità climatica, con gli obiettivi da raggiungere entro il 2050: il Green Deal. Si riporta la dichiarazione della Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen: "Abbiamo l'opportunità, unica per la nostra generazione, di indicare la strada con rapidità e ambizione, tenendo presente il nostro obiettivo di garantire la leadership industriale dell'UE nel settore in rapida crescita delle tecnologie a zero emissioni nette. L'Europa è determinata a guidare la rivoluzione delle tecnologie pulite. Per le nostre imprese e i nostri cittadini, ciò significa trasformare le competenze in posti di lavoro di qualità e l'innovazione in una produzione di massa, grazie a un quadro più semplice e più rapido. Un migliore accesso ai finanziamenti consentirà alle nostre principali industrie delle tecnologie pulite di crescere rapidamente." Il piano si inserisce nel contesto del Green Deal europeo, presentato dalla Commissione l'11 dicembre 2019; esso fissa l'obiettivo di rendere l'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. La normativa europea sul clima traduce in atti vincolanti l'impegno dell'UE per la neutralità climatica e l'obiettivo intermedio di ridurre del 55 per cento almeno, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030. Nella transizione verso un'economia a zero emissioni nette, la competitività dell'Europa dipenderà fortemente dalla sua capacità di sviluppare e produrre le tecnologie pulite che rendono possibile tale transizione.
Il piano industriale si basa su quattro pilastri:
a) un ambiente normativo prevedibile, coerente e semplificato per sostenere la produzione di tecnologie determinanti in Europa e basarla su un quadro normativo semplificato; per stimolare la domanda di beni strategici la Commissione riconosce il ruolo fondamentale svolto dagli appalti pubblici, dalle agevolazioni alle imprese ed agli utenti finali. Si cercherà inoltre di garantire gli approvvigionamenti delle materie prime critiche, come ad esempio le terre rare essenziali per la produzione di tecnologie avanzate; entro marzo sarà presentata la riforma del disegno del mercato dell’elettricità affinché i consumatori possano beneficiare di minori costi dovuti all’uso delle energie rinnovabili. Altro aspetto importante in questo ambito è stato individuato nella necessità che i legislatori dei diversi Stati membri della UE adottino rapidamente il regolamento sulle infrastrutture per i carburanti alternativi (AFIR).
b) l’accelerazione all’accesso ai finanziamenti per la produzione di tecnologie pulite. Si punta sia agli investimenti pubblici sia agli investimenti provenienti dal settore privato e per quest’ultimo viene sottolineato il ruolo essenziale del buon funzionamento dei mercati dei capitali e del quadro di riferimento per la finanza sostenibile e la necessità di completare l’Unione dei mercati dei capitali (Capital markets union - CMU). In un contesto di politica della concorrenza, la Commissione, con l’obiettivo di evitare la frammentazione del mercato unico, riconosce la necessità di aumentare i finanziamenti europei e di semplificarne contemporaneamente le modalità di concessione da parte degli Stati membri, proprio con la finalità di rendere più rapido il processo verso la transizione verde. Così la Commissione lancerà nell'autunno del 2023 una prima gara per sostenere la produzione di idrogeno rinnovabile, i cui vincitori riceveranno un premio fisso per ogni kg di idrogeno rinnovabile prodotto per un periodo di 10 anni. Inoltre per rendere più semplice la procedura della concessione degli aiuti di Stato verranno ascoltati i Paesi della UE in merito a possibili modifiche del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato in caso di situazioni di crisi. Si cercherà inoltre di agevolare l'uso dei fondi UE esistenti per finanziare l'innovazione, la fabbricazione e la diffusione delle tecnologie pulite. A medio termine, la Commissione intende dare una risposta strutturale alle esigenze di investimento, proponendo un Fondo sovrano europeo, basandosi sull'esperienza dei progetti multinazionali coordinati nell'ambito degli Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (IPCEI), al fine di migliorare l'accesso di tutti gli Stati membri a tali progetti e salvaguardando così le Nazioni dai rischi causati da una disponibilità disuguale degli aiuti di Stato.
c) il miglioramento delle competenze umane per posti di lavoro di qualità e ben retribuiti, in considerazione del fatto che circa il 35% - 40% dei posti di lavoro potrebbe essere interessato dalla transizione verde. Questo ambito si incardina nel quadro generale dell’agenda europea per le competenze, che opera in sinergia con lo spazio europeo dell’istruzione. Si prevede di istituire delle accademie per l’industria a zero emissioni al fine di attivare programmi di miglioramento delle competenze e di riqualificazione nelle aziende strategiche. Più nello specifico le accademie (è prevista anche l’istituzione di un’accademia per l’edilizia sostenibile) offriranno percorsi e programmi di aggiornamento e riqualifica dei lavoratori verso percorsi green; saranno individuati degli indicatori di controllo dell’offerta e della domanda di competenze e posti di lavoro nei settori rilevanti per la transizione ecologica, tenendo conto degli aspetti legati all’età e al genere. La Commissione valuterà come agevolare l’accesso dei cittadini di paesi terzi ai mercati del lavoro in settori strategici nella UE; inoltre cercherà di introdurre misure volte a promuovere e allineare i finanziamenti pubblici e privati per lo sviluppo delle competenze.
d) cooperazione globale e contributo del commercio alla transizione verde. La Commissione parte dal presupposto che il libero commercio rappresenti un elemento strategico essenziale e per tale ragione continuerà a sostenere l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ad incentivare la rete di accordi di libero scambio. Un’attenzione particolare sarà data alla protezione dal commercio sleale nel settore delle tecnologie pulite e si vigilerà per garantire che le sovvenzioni estere non falsino la concorrenza nel mercato unico; a tal fine sarà anche necessario che tutti gli Stati vigilino per difendere i propri interessi mediante il controllo degli investimenti esteri al fine di salvaguardare i principali beni europei e proteggere la sicurezza collettiva. La transizione verde andrà ricercata anche attraverso lo sviluppo di forme di cooperazione con nuovi partener commerciali, oltre a quelli tradizionali. La Commissione prenderà in considerazione la creazione di un Club delle materie prime critiche, al fine di riunire i "consumatori" di materie prime e i paesi ricchi di risorse per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento a livello mondiale attraverso una base industriale competitiva e diversificata, e di partenariati industriali per tecnologie pulite e zero emissioni nette. Si prevede anche la cooperazione con gli Stati Uniti che recentemente hanno varato il piano definito “Inflation Reduction Act” (IRA), nonché con l’India. In particolare l’UE con gli Stati Uniti stanno lavorando per cercare soluzioni alle problematiche che preoccupano essenzialmente l’Europa con l’obiettivo di rafforzare le catene di valore transatlantiche e garantire la cooperazione più proficua al fine di raggiugere il comune obiettivo della transizione verso sistemi di produzione energetica compatibili con l’ambiente. L’Europa sta sviluppando anche accordi con i Paesi Africani per facilitare l’attrazione e l’espansione degli investimenti integrando gli impegni in materia di ambiente e diritti del lavoro.

 

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25 Febbraio 2023

LO STATUTO DEI CONTRIBUENTI: REGOLE RIMASTE SULLA CARTA di ALESSANDRA DI GIOVAMBATTISTA

Alessandra Di Giovambattista

LO STATUTO DEI CONTRIBUENTI: REGOLE RIMASTE SULLA CARTA

 10-03-2023

La legge n. 212 del 27 luglio 2000 ha introdotto lo statuto dei diritti del contribuente con il quale si è voluto dare attuazione agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione al fine di garantire i principi di democraticità e trasparenza su cui dovrebbero basarsi i rapporti tra il Fisco ed i cittadini contribuenti. In via generale si ricorda che i contribuenti possono: contestare nel merito le richieste del Fisco che si considerano errate proponendo un’istanza di autotutela presentata entro i termini previsti; utilizzare lo strumento del ravvedimento operoso quando ci si accorge di aver commesso degli errori; evitare le liti fiscali utilizzando gli strumenti a disposizione ossia l’acquiescenza, l’accertamento con adesione, la conciliazione, il reclamo e la mediazione; tutelare la propria posizione giuridica presentando ricorso alle Commissioni Tributarie.

L’articolo 1 della suddetta legge, specifica che le disposizioni contenute nello statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. In via generale si vuol sottolineare che lo statuto, tra le norme più pregnanti, stabilisce che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo ed in più le norme fiscali non possono prevedere adempimenti in capo ai soggetti prima che siano decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova normativa.

Nello statuto sono stabiliti i diritti che il contribuente può far valere nei confronti degli uffici finanziari; in particolare l’amministrazione:deve assicurare la conoscenza delle leggi e delle disposizioni amministrative in materia, anche dandone pubblicazione sul proprio sito web; deve garantire che il contribuente conosca gli atti a lui destinati provvedendo a notificarli nel luogo del suo effettivo domicilio; al fine di assicurare chiarezza e trasparenza, deve motivare gli atti di accertamento o di liquidazione dei tributi - indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione - che vengono inviati ai contribuenti, corredandoli anche di copia degli eventuali ulteriori atti che vengono richiamati nell’accertamento o nella richiesta di liquidazione dei tributi;deve garantire che i rapporti con il contribuente siano improntati ai principi della collaborazione, della correttezza e della buona fede; la tutela del legittimo affidamento è un principio generale riconosciuto dalla giurisprudenza domestica ed anche da quella comunitaria, con la finalità di tutelare il contribuente che si comporta in buona fede deve consentire al contribuente di poter esercitare il diritto di compensazione che permette di estinguere il proprio debito tributario utilizzando crediti vantati verso il Fisco; garantisce il diritto di interpello su fattispecie concrete e personali del contribuente; in alcuni casi, in particolare quando vi sono obiettive condizioni di incertezza normativa, il contribuente prima di decidere come comportarsi può chiedere un parere all’amministrazione finanziaria la quale può rispondere entro un determinato periodo di tempo, oltre il quale vale il silenzio assenso, nel qual caso l’amministrazione si conforma all’ipotesi di applicazione normativa proposta dal contribuente; deve svolgere gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali sulla base di esigenze effettive di controllo, al fine di arrecare il minor disagio allo svolgimento delle attività del contribuente. Vengono posti dei limiti alla permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria presso la sede del soggetto sottoposto a verifica fiscale la quale deve essere svolta durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività. Per garantire poi il principio della cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti, al termine della verifica fiscale viene redatto il processo verbale di chiusura delle operazioni e di esso viene data copia al contribuente per consentirgli di comunicare osservazioni e richieste che saranno sottoposte al vaglio degli uffici finanziari;ha istituito il Garante del contribuente, un organo autonomo ed indipendente a cui è affidato il compito di vigilare ed assicurare l’attuazione sostanziale delle regole e dei principi contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente al fine di tutelarlo e difenderne i diritti. Esso ha sede presso ogni direzione regionale dell’Agenzia delle entrate e viene interessato direttamente dai contribuenti che lamentino disfunzioni, irregolarità, scorrettezze o anomalie nello svolgimento degli atti amministrativi; in tali casi chiede chiarimenti agli uffici competenti e può anche inviare raccomandazioni ai dirigenti degli uffici finanziari per tutelare i contribuenti e per migliorare il servizio tributario, può inoltre vigilare sul corretto svolgimento delle verifiche fiscali. Il Garante in ragione delle segnalazioni ricevute e delle attività svolte presenta una relazione semestrale al Ministro dell’Economia e delle finanze.

Questi in generale gli obiettivi ed i contenuti dello Statuto dei contribuenti; però a ben vedere finora lo statuto è stato spesso disatteso introducendo specifiche deroghe nelle varie leggi di natura fiscale che si sono succedute nel tempo. Purtroppo ciò rende ancora più distante e critico l’approccio del cittadino nei confronti degli uffici finanziari, percepiti sempre più come espressione di luoghi di ricerca affannosa di risorse finanziarie a discapito del contribuente che spesso si vede soggiogato da normative sempre più complicate e farraginose. Infatti a circa venti anni dall’introduzione dello Statuto la sua portata innovativa non è stata di fatto calata nella realtà legislativa al fine di provare a riportare il rapporto tra Fisco e contribuenti in condizioni di effettiva parità. La legislazione tributaria è ormai pensata, ma forse lo è stata sempre, per recuperare gettito e risorse finanziarie, trascurando i diritti sanciti dallo Statuto, e in questo modo il contribuente si sente sempre più vessato ed avulso da un sistema che lo rende suddito e non cittadino.

Le amministrazioni pubbliche sembrano non ascoltare le effettive esigenze e soprattutto non è assolutamente chiaro e trasparente il rapporto tra risorse introitate dall’Erario e servizi ricevuti dai contribuenti; anzi spesso chi più contribuisce meno riceve e purtroppo in un Paese con forte evasione ed elusione fiscale il rapporto tra capacità contributiva ed effettivo livello di ricchezza del soggetto si perde, creando disparità e frizioni sociali peraltro alimentate da coloro che desiderano comunque rimanere in quella zona grigia in cui sembra che i controlli del fisco non riescano ad arrivare. Sempre più forte è il malcontento da parte dei contribuenti che hanno perso la fiducia nello Stato che continua a legiferare in modo confuso e caotico, con mille sovrapposizioni di leggi e decreti che modificano convulsamente ogni istituto fiscale e non riescono a premiare chi costantemente fa il proprio dovere.

Anzi le innumerevoli rottamazioni ed i vari strumenti di deflazione del contenzioso (veri e propri condoni celati da affermazioni finanziarie inverosimili per le quali quando incassi denaro dal condono hai un maggior gettito…. Senza però dire quanto in realtà è la differenza tra quanto avresti dovuto incassare e quanto realmente incassi per effetto della pace fiscale: in termini finanziari in realtà si ha una perdita netta secca) agevolano coloro che per i motivi più disparati non pagano il dovuto: oggi il riscosso da attività di accertamento è pari a circa l’8%.... Ciò vuol dire che di 100 euro accertati il fisco incassa solo 8 euro. Mi domando che tipo di atteggiamento dovrebbe avere il contribuente, spesso lavoratore dipendente, che paga fino all’ultimo centesimo e che magari ha un livello di ISEE che non gli dà diritto a nessuna prestazione sociale, laddove l’evasore non solo gode dei benefici assistenziali, perché ha un livello di ISEE bassissimo, ma usufruisce anche di sconti e condoni?

Ovviamente tutto ciò è permesso specialmente dalla fumosa legislazione fiscale che permette sempre una scappatoia a chi può pagare i migliori tributaristi. L’ordinamento fiscale è tutt’altro che semplice e lineare, essendo composto da numerose leggi, decreti legislativi, decreti legge e decreti del presidente della repubblica, affiancato da circolari ministeriali che dovrebbero aiutare a comprendere la portata normativa; ma spesso non è così, per cui oggi sui siti degli uffici finanziari - spesso non aggiornati - ci sono anche le FAQ (cioè le domande più frequenti che i contribuenti presentano al fisco e che dimostrano chiaramente la misura del caos applicativo). Di fatto manca un testo che racchiuda tutte le norme di natura fiscale, alla stregua del Codice civile o del Codice penale: sarebbe cosa buona e giusta esporre con chiarezza i principi che informano il sistema tributario, e qui intendo ricordare che la semplicità e la chiarezza della norma rappresentano delle caratteristiche fondamentali, per la scienza delle finanze, che le disposizioni fiscali dovrebbero avere per garantire l’effettiva compliance tra erario e contribuenti.  

Infatti, lo Statuto del contribuente prevede che le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionare l’oggetto nel titolo, in modo da agevolarne l’identificazione, e che i richiami di altre disposizioni in materia tributaria devono indicare anche il contenuto sintetico della norma alla quale si intende fare rinvio. Ad oggi tutto ciò risulta una pia illusione. Basti pensare, ad esempio, che alcune volte per trovare la scadenza effettiva di una disposizione non è sufficiente basarsi sulla norma principale ma occorre andare a scorrere tutte le modificazione che si sono succedute nel tempo per tentare di capire l’effettiva scadenza; tacendo poi la frequente situazione che si verifica con l’emanazione dei decreti legge in cui dal testo originario a quello effettivo si incorre in periodi transitori di applicazione di disposizioni fiscali valide per sole poche settimane.

Concludo dicendo che l’ignoranza, creata ad arte, e l’atteggiamento di far sentire incapace il contribuente, ripaga sempre una classe politica ed amministrativa sempre meno professionale e sempre più interessata ai propri stretti e personali interessi che però tutti noi paghiamo, profumatamente, ogni giorno.

 

 

 

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10 Marzo 2023

LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE di Alessandra Di Giovambattista

LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE  di Alessandra Di Giovambattista

27-03-2023

 

L’evasione fiscale (c.d. tax gap) può essere definita come il comportamento tenuto dai contribuenti in violazione delle leggi in materia fiscale, quindi nel campo delle imposte, tasse e contributi. L’evasione produce un divario tra imposte e contributi che vengono realmente incassati dalle amministrazioni finanziarie e quelli che si sarebbero incassati qualora i contribuenti avessero adempiuto in modo perfetto e spontaneo alla normativa fiscale e contributiva esistente. L’evasione si ravvisa ogni volta che si attua una condotta che utilizza metodi illegali volti a ridurre o eliminare il prelievo fiscale e contributivo; l’occultamento può riguardare sia gli imponibili sia l’imposta. Nel caso degli imponibili l’evasione si realizza attraverso la mancata dichiarazione di una parte o di tutto il reddito imponibile (es. omissione di fatturazione per lavoro autonomo o mancata emissione di scontrini fiscali oppure sotto dichiarazione dei ricavi mediante artifici contabili), oppure attraverso l’aumento fittizio di costi deducibili (mediante spostamenti di costi tra esercizi diversi o passaggio di costi da una natura ad un’altra diversamente tassati dal fisco: es: costi d’esercizio rispetto ai costi ammortizzabili). Nel caso dell’imposta può verificarsi l’evasione quando in presenza di aliquote contributive differenti rispetto alle diverse tipologie di redditi si dichiara il reddito per intero ma lo si fa transitare da una categoria più tassata ad un’altra meno percossa, al fine di alleggerire il carico fiscale. La casistica della frode fiscale è invece riconducibile a situazioni in cui dietro un’apparente regolarità si celano espedienti volti a ridurre la base imponibile; il classico esempio è l’inserimento in contabilità di fatture d’acquisto false. Per contrastare tali fenomeni evasivi, che nel nostro Paese si presentano in forma molto rilevante rispetto agli altri paesi europei, i vari governi hanno cercato, mediante l’emanazione di specifiche disposizioni normative, di far emergere la base imponibile, di aumentare l’adesione spontanea agli obblighi tributari, di potenziare il contrasto all’evasione fiscale.
Nella recente nota stampa del 9 marzo 2023 l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha annunciato che l’attività di contrasto all’evasione fiscale nel 2022 ha portato ad un livello di recupero di gettito che non si era mai registrato prima: in particolare nel 2022 tale attività ha permesso un recupero di 20,2 miliari di euro. Di questi, 19 mld di euro derivano dalle ordinarie attività di controllo sui versamenti effettuati mediante F24, dall’invio delle lettere di compliance (ossia lettere per stimolare i contribuenti ad adempiere spontaneamente), dalle cartelle di pagamento inviate dall’agenzia delle entrate-riscossione. Gli incassi derivanti dalle misure straordinarie (cioè: pace fiscale e rottamazioni) rappresentano il restante 1,2 mld di euro di maggior gettito. Nel 2022 si è avuta anche una notevole attività anti-frode che ha permesso all’Erario di bloccare 9,5 mld di euro tra crediti, bonus e rimborsi non spettanti.
Gli effetti dell’evasione fiscale sul sistema economico sono diversi; essi sono tanto più aspri quanto più il fenomeno è esteso e si distinguono in danni economico finanziari e danni sociali. Quelli economico finanziari riguardano il mancato gettito per lo Stato che può pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi di politica economica; in tal modo l’Erario si vede costretto a ricercare altri mezzi finanziari per far fronte ai propri impegni e spesso incrementa le aliquote al punto da rendere davvero pesante il carico fiscale (il rapporto tra le entrate fiscali ed reddito prodotto nel Paese misura la pressione fiscale). I danni di natura sociale sono riconducibili all’alterazione del carico tributario fra i cittadini in quanto l’onere fiscale tende a ricadere su determinate categorie di contribuenti, più onesti o quantomeno impossibilitati ad evadere (es. i lavoratori dipendenti), e ciò genera ripercussioni sull’equità sociale.
Si evidenzia che più è elevata la pressione fiscale, più alta sarà la tendenza ad evadere; per contro maggiore è il rischio di essere sottoposto ad accertamenti fiscali con addebito di sanzioni ed interessi – fino ad arrivare alla reclusione in caso di reati tributari – minore sarà la propensione ad evadere. Al fine di arginare il fenomeno sarebbe auspicabile un sistema tributario equo con controlli mirati ed efficienti della pubblica amministrazione nonché un atteggiamento di conflitto di interessi tra i diversi operatori economici (ad es. consentire al contribuente di detrarre determinate spese induce alla richiesta di apposita documentazione fiscale, come fatture e scontrini fiscali, che impediscono l’occultamento di base imponibile da parte dei prestatori di opera, percettori dei redditi stessi).
Secondo la relazione presentata dal MEF sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2022 risulta che nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2019 il tax gap è diminuito di circa 6,9 mld di euro, così come anche la propensione all’evasione si è ridotta di circa 2,7 punti di percentuale. Pertanto in valori assoluti si scende sotto la soglia dei 100 mld di euro di evasione fiscale e contributiva per il 2019 in cui il dato è pari a circa 99,2 mld di euro di cui 86,5 di mancate entrate tributarie e 12,7 mld di euro di mancate entrate contributive. La citata relazione afferma che viene “confermata la tendenza alla contrazione dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale nel medio periodo, a beneficio dell’efficienza e dell’equità dell’intero sistema economico con conseguenti impatti positivi sulla finanza pubblica”. Nella relazione si evidenzia anche che la propensione all’evasione è molto alta tra i percettori di reddito di lavoro autonomo ed impresa; essa si attesta su una percentuale del 68,7%; segue il tax gap per il versamento di IMU e TASI per il 25,1%; quello a titolo di IRES per il 23,7% , seguito da quello dell’IVA e dell’IRAP pari rispettivamente al 19,3% ed al 17,8%.
La letteratura e l’esperienza economica evidenziano che i livelli e l’andamento dell’evasione dipendono da un insieme di fattori tra i quali le strategie di prevenzione e contrasto dell’evasione a cui concorrono diversi soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione, tra cui: l’Agenzia delle entrate, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, la Guardia di Finanza, le Regioni e gli Enti territoriali, l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), l’Inps e l’Inail.
Nell’ambito della riduzione del fenomeno dell’evasione fiscale rientrano anche le finalità poste dall’attuazione del Next Generation EU (NGEU). Tra gli obiettivi quantitativi sottoposti a monitoraggio per tutta la fase di attuazione del PNRR, nell’ambito delle misure correlate alla “Riforma dell’Amministrazione fiscale” è stata inclusa la “Riduzione del tax gap". L’obiettivo prevede che la propensione all'evasione, calcolata per tutte le imposte ad esclusione dell'IMU e delle accise, si riduca, nel 2024, del 15% rispetto al valore di riferimento del 2019 riportato nella Relazione aggiornata dal Governo nel 2021. È poi previsto un controllo intermedio che assicurerà che la medesima "propensione all'evasione" si riduca, nel 2023, del 5% del valore di riferimento del 2019. Pertanto, l’indicatore considerato dal PNRR come valore di riferimento per accertare il raggiungimento degli obiettivi è rappresentato dalla propensione al gap per tutte le imposte al netto delle imposte immobiliari e delle accise. L’obiettivo quantitativo previsto nel PNRR è ambizioso: la propensione al gap dovrà ridursi almeno al 15,8% entro il 2024, con una flessione di 2,8 punti percentuali rispetto al valore di riferimento.

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27 Marzo 2023

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO: LE PROSPETTIVE DELLA RIFORMA FISCALEdi Alessandra Di Giovambattista

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO: LE PROSPETTIVE DELLA RIFORMA FISCALEdi Alessandra Di Giovambattista

 

17-04-2023 

Il disegno di legge delega sulla riforma fiscale, approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 16 marzoc.a., prevede, tra le altre, delle norme in materia di accertamento tributario finalizzate a recuperare il rapporto tra fisco econtribuenti, quindi al miglioramento della compliance. Le nuove disposizioni si basano sull’uso della tecnologiainformatica volta a prevenire/correggere gli errori dei contribuenti, e conseguentemente a diminuire tempi e costidell’azione accertatrice da parte degli uffici finanziari, e ad individuare con più attenzione i possibili soggetti chepresentano una maggiore propensione all’evasione/elusione dalle imposte. Tali modifiche portano con sé ancheinnovazioni in ambito dei procedimenti relativi al contraddittorio preventivo ed all’adempimento spontaneo, conl’introduzione del concordato biennale preventivo.Tra le novità nell’ambito di questo argomento troviamo:- la revisione del principio del contraddittorio;- la razionalizzazione delle attività di analisi del rischio;- la cooperazione tra amministrazioni nazionali ed internazionali;- l’utilizzo di tecnologie digitali;- l’incentivazione dell’adempimento spontaneo del contribuente;- la garanzia della certezza del diritto tributario.Per quanto attiene al principio del contraddittorio la delega esprime la volontà di introdurre una disposizionegenerale che attribuisca al contribuente il diritto a partecipare al procedimento tributario, con alcune eccezioniriconducibili ai procedimenti di accertamento automatizzati. Si rammenta in vai generale che il contraddittorio è unostrumento che consente al contribuente di far valere le proprie ragioni durante i procedimenti di natura tributaria. In talmodo, il contribuente ha la possibilità di interloquire con gli uffici finanziari con la possibilità di correggere o smentirel’attività del Fisco. Nell’ordinamento comunitario il contraddittorio ha una formula molto ampia, rispetto alla nostra, erisponde all’esigenza che il contribuente possa difendersi rispetto alle pretese dell’amministrazione tributaria. In Italia,tuttavia, ci sono ancora notevoli aree di incertezza intorno a questo istituto, nonostante si sia cercato di miglioraresempre più la disciplina. L’obiettivo della riforma è quello di dare una normativa del diritto al contraddittorio la piùomogenea possibile cercando di creare dei presupposti validi perché si raggiunga, senza troppi oneri per le parti, ad unapace fiscale. Si cercherà anche di obbligare l’ente impositore a motivare espressamente il suo operato rispetto alleosservazioni formulate dal contribuente, generalizzando così la cd. motivazione rafforzata, ora prevista perlimitate fattispecie.Ad oggi l’analisi del rischio di evasione/elusione da parte dei contribuenti si basa sui dati dell’archivio deirapporti finanziari già avviata, in via sperimentale, ai sensi dell’articolo 11, comma 4 del DL n. 201 del 2011. Si mira,con la riforma, ad un potenziamento del dialogo tra banche dati che consentiranno di stilare elenchi sempre piùaffidabili circa le posizioni più sospette dal punto di vista fiscale al fine di rendere selettiva l’attività di controllo daparte degli uffici finanziari. Gli elenchi elaborati a livello centrale, mediante specifici criteri di rischio basatisull’utilizzo integrato delle informazioni comunicate dagli operatori finanziari all’Archivio dei rapporti finanziari edegli altri elementi presenti in Anagrafe tributaria, permetteranno a ciascuna Direzione regionale e provinciale diindirizzare l’ordinaria attività di controllo nei confronti delle posizioni a più elevato rischio di evasione, previaautonoma valutazione della proficuità comparata.Collegata all’analisi del rischio troviamo la collaborazione e la cooperazione tra amministrazioni nazionali edinternazionali; in particolare il mancato dialogo tra enti nazionali (es. regioni, comuni, erario, camere di commercio,ecc.) in ambito fiscale rende molto più facile l’evasione da parte dei grandi contribuenti; ma il problema si amplia se siconsidera che in un contesto di economia mondiale, globalizzata, si assiste ad un rapido sviluppo dei fenomenidell’evasione e dell’elusione fiscale internazionale agevolata dalla competizione fiscale tra Stati i quali invece checooperare verso un fine comune determinano politiche fiscali interne, espressione della propria sovranità territoriale.Per contro la cooperazione internazionale in ambito tributario è l’unica modalità che consentirà di recuperare gettitoattraverso il contrasto dei fenomeni dell’evasione e dell’elusione fiscale.L’utilizzo delle tecnologie digitali rappresenta la più recente frontiera su cui dovrà rapportarsi anche il fiscoitaliano; ai fini tributari la riforma ha pensato di implementarne diversi strumenti tra cui l’intelligenza artificiale, al finedi ottenere, grazie anche all’interoperabilità tra le banche dati, la disponibilità di informazioni rilevanti, con lo scopo di:prevenire gli errori dei contribuenti; circoscrivere l’azione di controllo nei confronti di soggetti a più alto rischio fiscale– evitando così di impattare negativamente in termini di spesa pubblica ed inutilmente su cittadini ed imprese onesti – amaggior garanzia dei principi relativi alla capacità contributiva, all’equità sociale e all’equilibrio delle finanzepubbliche; ridurre, conseguentemente i fenomeni di evasione ed elusione fiscale.Un’attenzione particolare è riservata anche all’adempimento spontaneo che rientra nel più ampio concetto dicompliance fiscale con la quale si intende rafforzare la spontanea adesione agli obblighi tributari da parte delcontribuente. Il centro della compliance fiscale va individuato nella Legge n. 23 del 2014; con essa si è introdotta unavera e propria rivoluzione in materia fiscale, già a partire dal suo obiettivo, ovverosia quello di modernizzare il rapportofisco-contribuente, rendendolo più semplice e cercando di stimolare la cooperazione e la collaborazione tra le parti,incentivando in tal modo l’assolvimento spontaneo degli obblighi tributari e favorendo l’emersione spontanea delle basiPagina 1 di 3
Pagina 2 di 3imponibili. Tra i vantaggi quello della riduzione del contenzioso tributario in modo da liberare risorse e concentrarel’amministrazione finanziaria all’azione di contrasto all’evasione nei confronti dei fenomeni più gravi (come le frodifiscali) e dei soggetti connotati da un più elevato profilo di rischio, puntando sull’efficace ricorso alle banche dati e sulleinterazioni tra le Istituzioni nazionali e internazionali. Ad oggi, in tale ambito il legislatore ha previsto:- l’introduzione di nuove forme di comunicazione tra fisco e contribuente; si tratta in particolare dellecosiddette lettere di invito alla compliance che consistono in comunicazioni finalizzate a semplificare leprocedure e stimolare l’adempimento spontaneo dei contribuenti. In tal modo l’Agenzia delle entratefornisce ai contribuenti gli elementi di cui è in possesso in modo da consentire al soggetto, mediantel’istituto del ravvedimento operoso, di porre rimedio agli eventuali errori o omissioni commessi.- La possibilità della correzione spontanea attraverso l’uso dell’istituto del ravvedimento operoso; come giàaccennato si permette al contribuente di sanare il proprio debito tributario nei confronti dell’erarioversando il tributo omesso maggiorato di una sanzione applicata però in modo ridotto. Con esso ilcontribuente rimedia volontariamente alla correzione di eventuali errori od omissioni commesse.- il perfezionamento di istituti deflattivi del contenzioso; tra di essi (vi è anche la voluntary disclosure e laprocedura di collaborazione internazionale) ci concentriamo sull’adempimento collaborativo in quanto èstato oggetto di specifiche modifiche in ambito della riforma fiscale. In generale tali istituti consentono alcontribuente di regolarizzare la propria posizione fiscale senza che si instauri un contenzioso giudiziario dinatura tributaria. Con l’adempimento collaborativo i contribuenti hanno la possibilità di pervenire conl’Agenzia delle entrate ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di produrre rischi fiscaliprima della presentazione della dichiarazione, attraverso forme di interlocuzione costante e preventiva suelementi di fatto. Ad oggi la procedura è rivolta ad un limitato numero di contribuenti - quelli con livelli diricavi o volume di affari non inferiore a 10 miliardi di euro o ad 1 miliardo di euro se hanno presentatoistanza di adesione al progetto pilota sul regime di adempimento collaborativo e a quelli che hannopresentato istanza di interpello - e vi si accede mediante specifica domanda.Per l’adempimento collaborativo la riforma ha previsto un potenziamento al fine di: accelerare il processo diprogressiva riduzione della soglia di accesso; consentire l’accesso anche a società che pur non presentando i requisiti diammissibilità, fanno parte di gruppi di imprese ove almeno una presenti i requisiti richiesti; introdurre la certificazionedi misurazione e controllo del rischio fiscale, introdurre nuove forme di contraddittorio preventivo, semplificare leprocedure di regolarizzazione anche mediante l’utilizzo del ravvedimento operoso; predisporre un codice di condottacirca i diritti e gli obblighi sia dell’amministrazione finanziaria sia dei contribuenti; potenziare gli effetti premialiconnessi all’adesione al regime riducendo le sanzioni amministrative tributarie ed alleggerendo quelle di natura penale.Sempre in tema di adempimento spontaneo la riforma reca l’introduzione di un nuovo istituto: il concordatopreventivo biennale a favore dei contribuenti di minori dimensioni, titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo.Le caratteristiche del nuovo istituto possono essere così riassunte: il contribuente, titolare di reddito di impresa e/o dilavoro autonomo con fatturato non particolarmente elevato, in contraddittorio, con modalità semplificate, con gli ufficifiscali si impegnerà ad accettare e a rispettare la proposta formulata dal fisco per la determinazione per due anni dellabase imponibile ai fini delle imposte sui redditi ed IRAP; in tal modo il contribuente saprà già l’ammontare delleimposte che dovrà versare nel biennio futuro. Gli eventuali maggiori o minori redditi imponibili rispetto a quelli oggettodel concordato, sono irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi, IRAP e contributi previdenziali obbligatori (MA CHE èUNA SCOMMESSA??????), ma per essi restano fermi gli obblighi contabili e dichiarativi. L’imposta sul valoreaggiunto (IVA) verrà applicata secondo le regole ordinarie, mediante la trasmissione telematica dei corrispettivi e lafatturazione elettronica. Il regime decade se, a seguito di accertamento, emerge che il contribuente non ha dichiaratocorrettamente i ricavi o i compensi per un importo superiore a prestabilite soglie ritenute significative o qualora abbiacommesso altre violazioni fiscali di non lieve entità. Nello specifico le agenzie fiscali, utilizzando le informazioni inloro possesso nelle banche dati a disposizione, andrebbero ad effettuare una stima del reddito lordo sul quale verrebberocalcolate le imposte per i due anni in esame; qualora il contribuente accetti l’ipotesi presentata dal fisco non dovràpagare alcuna altra imposta sull’eventuale eccedenza e sarà esente da procedure di accertamento. Per accedere a talenuovo istituto non sarà il contribuente a fare domanda ma sarà l’amministrazione finanziaria, sulla base dei dati adisposizione, a proporre l’attivazione del concordato preventivo biennale, il tutto, come si recepisce dalle finalità dellalegge delega, in uno spirito di collaborazione con il contribuente volto al rispetto delle disposizioni fiscali. Anche in talcaso la volontà di varare tale nuovo strumento si collega con il tentativo di far emergere una parte di economiasommersa che genera l’evasione fiscale, in quanto gli uffici sono di fatto impossibilitati a svolgere un’attività diaccertamento efficace: si consideri che soltanto il 2, massimo il 2,5% delle dichiarazioni sono soggette a controlli. Conil concordato preventivo si andrebbe ad escludere una fetta di contribuenti dai controlli ordinari, in quanto avrebberoanticipatamente determinato la propria base imponibile; in tal modo i rapporti tra fisco e piccole medie imprese esoggetti con partita IVA verrebbero definiti preventivamente con il ritorno positivo in termini di serenità per icontribuenti e di minori oneri e di più efficace lotta all’evasione per l’Erario. In tal senso occorre infatti sottolineare chela nuova impostazione che si potrebbe definire di “patteggiamento” della base imponibile preventiva vede l’abbandonodi una politica di repressione dell’evasione fiscale che finora ha colpito a posteriori rispetto alla violazione commessa,con risultati nel tempo davvero poco efficaci. Si favorirebbe pertanto l’adempimento preventivo e spontaneo delcontribuente il quale però sarà comunque obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi indicando il fatturatoeffettivo, anche se pagherà in base all’ammontare concordato. Si evidenzia, come già evidenziato, che in caso diPagina 2 di 3
Pagina 3 di 3irregolarità sull’indicazione dell’effettivo volume di ricavi/compensi, si decadrà dal regime del concordato preventivobiennale e questo, anche se ciò non è esplicitamente indicato, perché verrebbero a mancare i dati effettivi di volume diaffari che, insieme alla fatturazione elettronica ed agli scontrini telematici, saranno posti a base della determinazione deisuccessivi bienni di proposta di concordato. Va da sé che il contribuente non è obbligato ad accettare la proposta diconcordato, essendo questo un regime opzionale; tuttavia per le scelte razionali è ovvio che vi opteranno queicontribuenti che prevedono di accrescere il fatturato negli anni successivi, essi infatti potranno beneficiare dello scontosulle imposte che avrebbero dovuto pagare sulla parte di volume di affari che eccede quanto concordato con l’Erario.Infine nell’ambito della certezza del diritto le modifiche riguarderanno lo statuto del contribuente cherafforzeranno il legittimo affidamento del soggetto e la certezza del diritto, il tutto prevedendo maggiore attenzione daparte dell’ente impositore circa l’obbligo di motivazione dell’atto emesso, le prove su cui si basa la pretesa erariale cheandranno ben dettagliate, l’accesso agli atti del procedimento tributario da parte del contribuente. Il tutto al fine direndere più funzionale e più trasparente la procedura del contraddittorio tra Stato e cittadini.

 

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17 Aprile 2023

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE: RIFLESSIONI di Alessandra Di Giovambattista

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE: RIFLESSIONI
di Alessandra Di Giovambattista

19-04-2023

 

Riprendendo quanto osservato nel precedente articolo in tema di accertamento tributario, il disegno di legge delega sembra aver messo al centro della riforma fiscale l’utilizzo dell’intelligenza artificiale; ma su cosa si fonda l’intelligenza artificiale? Alla sua base vi sono gli algoritmi, cioè tecniche computazionali e soluzioni in grado di replicare il comportamento umano; ad oggi l’intelligenza artificiale è largamente applicata in vari campi: medicina, robotica, mercato azionario, ricerca scientifica. Gli algoritmi, alla base dell’intelligenza artificiale, prenderanno piede anche nell’ambito amministrativo finanziario per effetto della riforma tributaria, in particolare nell’ambito dell’attività di accertamento fiscale. Già dalle prime frasi comprendiamo che stiamo incamminandoci in un campo minato, davvero delicato: si lascia spazio agli algoritmi risolti dalle macchine attraverso l’intelligenza artificiale per trovare soluzione a questioni e problematiche che richiedono approfondimenti normativi ed amministrativi da parte dell’intelligenza e dell’esperienza umana. Ad oggi il legislatore delegato si è posto il problema di garantire il pieno rispetto della normativa in tema di protezione dei dati personali: sul punto a livello comunitario non mancano precise indicazioni a tutela dei cittadini che potranno essere direttamente utilizzate negli ordinamenti dei singoli stati membri. In Italia sia il Garante per la protezione dei dati personali sia il Consiglio di Stato si sono già espressi sull’utilizzo degli algoritmi nel diritto amministrativo ponendo particolare attenzione alla tutela dei dati personali; la riforma in parola offre allora spunti di riflessione per fare una ricognizione sulle possibilità dell’uso dell’intelligenza artificiale in ambito giuridico, con riferimento specifico al diritto tributario, nonché sulle limitazioni di essa e sulle garanzie da adottare a favore dei contribuenti.
La riforma fiscale, come osservato nel precedente articolo, prevede un incisivo utilizzo delle nuove tecnologie informatiche per cercare di rendere efficace la intercomunicazione delle banche dati presenti nell’anagrafe tributaria nonché per rendere più puntuali le analisi e le selezioni dei contribuenti a rischio di evasione. Sono quindi evidenziati, nella legge delega, sia il pieno utilizzo dei dati che affluiscono al sistema informativo dell’anagrafe tributaria sia il potenziamento dell’analisi del rischio, ma anche il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale, il tutto, dovrebbe avvenire, nel rispetto della normativa in tema di protezione dei dati personali. L’intelligenza artificiale dovrebbe rafforzare anche il regime di adempimento collaborativo che, attraverso l’aggiornamento e l’introduzione di nuovi istituti, anche premiali, potrà incentivare forme di collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. L’obiettivo dell’utilizzo degli algoritmi - che peraltro rappresenta uno dei focus fissati dal PNRR per la riforma ed il miglioramento della qualità del fisco italiano per il quale sono state destinate risorse finanziarie - è rappresentato non tanto dall’aumento dell’attività di accertamento ma soprattutto, dal promuovere e stimolare la crescita delle basi imponibili (c.d. compliance fiscale). In tale contesto possiamo vedere un regime anticipatore dell’utilizzo dei big data e degli algoritmi con i regimi della fatturazione elettronica e della trasmissione telematica dei corrispettivi con i quali si incrociano i dati di natura quantitativa/qualitativa al fine dei controlli di natura fiscale, con la speranza che però si salvaguardi la riservatezza dei dati personali.
Ulteriore aspetto che dovrà essere migliorato con l’utilizzo delle modalità informatiche di incrocio dei dati di natura economica, finanziaria e patrimoniale, è quello relativo al sistema nazionale della riscossione che potrà essere reso più snello eliminando duplicazioni procedurali con riduzione dei costi e miglioramenti di efficienza ed efficacia del sistema della riscossione stessa.
Ciò è quanto ci dice la riforma fiscale e le esperienze finora vissute in tale ambito, ma è necessario introdurre alcuni spunti di riflessione: l’uso dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi obbliga alla tutela dei dati personali, in quanto pur riconoscendo al metodo un indubbio valore conoscitivo/predittivo (anche se con le dovute cautele e con tanti dubbi circa la correttezza e la reale capacità predittiva di tali informazioni) non può non considerarsi la delicatezza della questione se si pensa alla possibilità dell’uso che potrebbero farne soggetti con obiettivi di natura diversa da quella squisitamente fiscale. Sul punto si pensi, a mero esempio, all’insieme delle informazioni sanitarie, rilevabili nelle specifiche banche dati, fornite dai contribuenti con scopi puramente tributari e finalizzate all’ottenimento delle detrazioni fiscali; tali dati, manipolati in modo non deontologicamente corretto, potrebbero essere usati in maniera fraudolenta ed inopportuna rispetto all’obiettivo fiscale. Si tenga presente, ad esempio, che con la finalità di contrastare l’evasione, molte delle tutele previste dal codice per la protezione dei dati personali sono state disattese dall’amministrazione finanziaria utilizzando il decreto del 28 giugno 2022, in attuazione dell’articolo 1, commi da 681 a 686 della legge n. 160 del 2019 (legge di bilancio per il 2020). In tale ambito è già intervenuto il Garante della privacy che ha evidenziato le lacune ad oggi esistenti nella normativa a tutela dei dati e delle informazioni dei contribuenti. Si rammenta a tal proposito che i citati commi da 681 a 686 della L. n. 160 del 2019 prevedono che a fini antievasione sono da considerarsi di interesse pubblico rilevante i dati personali presenti in anagrafe tributaria e nelle altre banche dati, con la possibilità, per la pubblica amministrazione o per le società da questa incaricate, di procedere al trattamento dei dati personali in deroga alle disposizioni del codice della privacy; al tal riguardo si evidenzia che viene abrogata, con l’articolo 9 del successivo DL n. 139 del 2021, la possibilità per il Garante di poter prescrivere, in capo al titolare dell’attività di rilevanza pubblica, misure e accorgimenti a garanzia dell’interessato, qualora il trattamento possa esporre il soggetto a rischi elevati di violazione della propria sfera personale.
Quindi l’Agenzia delle entrate, la Guardia di finanza, o altro ente che agisce per conto della pubblica amministrazione, potranno liberamente disporre di informazioni senza dover interagire con il Garante dei dati personali, essendo sufficiente evidenziare che l’utilizzo dei dati è per fini antievasione; ma il problema effettivo è, come già sottolineato, se siano davvero interessanti i dati relativi alla condizione di salute della persona (si consideri che in anagrafe tributaria si trovano, oltre alle semplici indicazioni esposte in fattura, anche i dati relativi alla tipologia di prestazioni sanitarie ricevute dal contribuente nelle strutture pubbliche o convenzionate) ai fini della lotta all’evasione, oppure le scelte di finanziamento di enti ed associazioni no profit e benefiche, o anche le scelte circa la tipologia di acquisti che vengono effettuati da ogni soggetto che si reca al mercato (abbiamo fatto caso che oggi, a differenza di alcuni anni fa, per avere la tessera del supermercato viene richiesto il codice fiscale? Per quale motivo, se non per ragioni di controllo? All’Agenzia delle entrate interessa che il negozio della grande distribuzione paghi il dovuto emettendo lo scontrino fiscale ed invii telematicamente gli incassi o la tipologia di spesa quotidiana che fa ogni contribuente? Possiamo immaginare che a fini anti evasione ci siano dei diligenti impiegati pubblici che controllano gli acquisti di tutti gli italiani per capirne il tenore di vita rispetto a quanto dichiarato, o piuttosto è verosimile ipotizzare una inizio di dittatura dei big data e dell’intelligenza artificiale?). E’ legittimo supporre un uso distorto delle informazioni sanitarie, e più in generale di natura personale, per motivi di controllo e/o di potenziali atti illeciti nei confronti del contribuente assoggettato ad una “simulata” procedura di verifica fiscale? Chi saranno poi i soggetti, pubblici o privati, che potranno manipolare, trattare o anche solo visionare i dati personali di ognuno di noi, con la scusa della pseudo meritoria “attività antievasione e antielusione”, di cui si è già avuto modo di parlare? Potenzialmente potremmo trovarci da una parte migliaia di individui, da ipotizzare non solo connazionali ma anche stranieri, che gestiscono dati, e dall’altra la parte debole, i contribuenti, del tutto inconsapevoli, inermi ed estromessi da ogni forma di tutela e garanzia.
Queste considerazioni, insieme a situazioni concrete che sono già emerse inducono a sottolineare come non sarà di facile soluzione trovare un equilibrio nell’uso dell’intelligenza artificiale in ambito fiscale, rispettando le norme interne e comunitarie in materia di trattamento e protezione dei dati personali. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi nell’ambito della giustizia amministrativa ha già permesso di mettere in luce alcune criticità che hanno prodotto dei principi generali, sottolineati con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2270 dell’8 aprile 2019, che potrebbero essere utilizzati anche nel diritto tributario e qui riassunti: il principio di conoscibilità in base al quale il contribuente/cittadino ha diritto di conoscere l’esistenza dei processi decisionali basati su trattamenti automatizzati che lo riguardano al fine di ricevere informazioni significative circa la logica utilizzata per la determinazione delle conclusioni e di dare la possibilità di comprenderne facilmente le modalità di definizione del procedimento in un atteggiamento di massima trasparenza; il principio di non esclusività della decisione algoritmica secondo il quale il processo decisionale deve essere un procedimento in cui sia presente l’intervento dell’uomo capace di verificare, validare o smentire la decisione che si è formata in modo automatizzato; il principio di non discriminazione algoritmica secondo il quale il titolare del trattamento dei dati (es, Agenzia delle entrate o Guardia di finanza) deve garantire l’utilizzo delle procedure matematico, statistiche, informatiche appropriate per l’analisi della situazione che si intende verificare al fine di assicurare che possano essere rettificate tutte quelle variabili e fattori che comportino inesattezze o non permettano la massima rispondenza al caso in esame e sia così minimizzato il rischio di errori e massimizzata la garanzia della sicurezza dei dati personali con l’obiettivo di non discriminare il soggetto in base alla razza, all’origine etnica, alle scelte ed opinioni politiche, alla religione professata o alle convinzioni personali, allo stato di salute o genetico, all’orientamento sessuale.
Ciò detto è di tutta evidenza la delicatezza della problematica dell’avvento dell’intelligenza artificiale in ambito tributario, ma potremmo dire in tutti gli ambiti, che dovrà essere affrontata con attenzione, cura e sensibilità umana; occorre escludere la dittatura degli algoritmi e delle soluzioni robotizzate che utilizzando dati del passato propongono dati di natura predittiva. In tale contesto mi viene da pensare come e quanto sarebbe stato predittivo ed affidabile, per determinare ad esempio il concordato biennale preventivo, un algoritmo che avesse studiato il trend dei redditi percepiti da tutti gli operatori economici nell’anno 2020, considerando che il dato sarebbe stato costruito con l’uso delle variabili dell’anno precedente, cioè il 2019, che non potevano aver scontato, né previsto, gli effetti nefasti della COVID-19. Se si fosse davvero verificato un evento di tal genere c’è da immaginare che molto probabilmente l’uso degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale avrebbero finito per scavare un solco ancora più profondo tra fisco e contribuenti che in taluni casi si sarebbero trovati a dover pagare imposte per redditi non percepiti (es. gli operatori del settore del turismo e della ristorazione), ed in altri casi a lucrare un extra reddito esentasse (es. tutto il settore delle aziende farmaceutiche e delle farmacie ed il settore sanitario in generale), con buona pace della compliance.
Mi piace terminare questo approfondimento sottolineando, in via generale, che l’intelligenza artificiale è un campo di ricerca che pone in forte contrasto scienziati e filosofi poiché mette in gioco aspetti etici, teorici e pratici. L’attenzione va rivolta verso il fatto che l’intelligenza artificiale mira a dotare le macchine di programmi e sistemi che hanno delle caratteristiche considerate tipicamente umane; ma è del tutto errato pensare che la comprensione e l’elaborazione di abitudini e fatti avvenuti nel passato possano essere oggettivi e neutrali e possano anticipare gli eventi del futuro in quanto la programmazione della macchina sarà sempre in mano all’uomo che esprime nel suo operato i suoi difetti di pregiudizio, discriminazione, voglia di potere, manipolazione. La macchina autonomamente non sarà mai in grado di superare tali problematiche e men che meno ignari ed inermi soggetti che si troveranno succubi di un nuovo tecno-potere nazionale e sovranazionale che potrà controllare ed incanalare verso un determinato obiettivo (non sempre condivisibile) le potenziali libere scelte dei cittadini.
Secondo Stephen Hawking l’intelligenza artificiale avrebbe il potenziale per rivoluzionare il nostro mondo e potrebbe essere la migliore, o la peggiore, cosa mai accaduta all’umanità. Il distinguo, nella sua opinione, starà nelle modalità in cui verrà sviluppata. Anche Elon Musk di recente ha firmato una lettera aperta, con più di 1.000 tra scienziati e ricercatori, pubblicata dal Future of Life Institute (facilmente rintracciabile su internet), in cui si legge che “i sistemi di intelligenza artificiale dotati di un’intelligenza competitiva con quella umana possono comportare rischi profondi per la società e l’umanità”; un cambiamento che dovrebbe essere pianificato e gestito in modo accurato e con risorse adeguate. Ma questo non sta avvenendo e ultimamente “i laboratori di intelligenza artificiale si sono impegnati in una corsa fuori controllo per sviluppare e impiegare menti digitali sempre più potenti che nessuno – nemmeno i loro creatori – è in grado di comprendere, prevedere o controllare in modo affidabile”. E ancora si legge: "Dobbiamo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazione con propaganda e falsità? Dovremmo automatizzare tutti i lavori, compresi quelli più soddisfacenti? Dovremmo sviluppare menti non umane che alla fine potrebbero superarci di numero, essere più intelligenti e sostituirci? Dobbiamo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà? Queste decisioni non devono essere delegate a leader tecnologici non eletti. I potenti sistemi di intelligenza artificiale dovrebbero essere sviluppati solo quando saremo sicuri che i loro effetti saranno positivi e i loro rischi gestibili”. Invito tutti ad una profonda riflessione legata alla rivalutazione della bellezza di alcuni elementi che ci distinguono dal mondo inanimato: la sensibilità, la fantasia ed il rispetto per tutte le forme di vita, in primis, per l’essere umano.

 

 

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19 Aprile 2023

La previdenza complementare di Alessandra Di GIOVAMBATTISTA

LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: GENESI, DELEGA FISCALE, CRITICITA’.
di Alessandra Di Giovambattista

 

26-04-2023

Come è cambiato il calcolo delle pensioni negli ultimi decenni e come le modifiche hanno influito sulle prospettive pensionistiche dei nostri giovani? Cerchiamo di fare chiarezza al fine di comprendere la necessità di incentivare la previdenza complementare, specialmente per i giovani lavoratori, anche utilizzando la leva degli incentivi tributari che la recente delega fiscale ha preso in considerazione. Iniziamo.
Le modalità di calcolo delle pensioni sono state modificate con la legge n. 335 del 1995 (c.d. riforma Dini); in particolare la base del calcolo si differenziava in ragione dell’anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 1995. Sinteticamente si rammenta che per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi maturati fino al 31 dicembre 1995 si applicava il sistema di calcolo retributivo (più conveniente poiché basato su una percentuale della media degli stipendi degli ultimi anni di attività), per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi maturati al 31 dicembre 1995 si applicava il criterio misto (in parte retributivo ed in parte contributivo), per i lavoratori assunti dopo il 1 gennaio 1996, si applicava il solo sistema di calcolo contributivo. La successiva riforma contenuta nel DL n. 201 del 2011 (c.d. riforma Monti - Fornero) ha previsto l’estensione del calcolo contributivo a tutti i lavoratori a partire dal 1 gennaio 2012, con ciò definendo che anche coloro che hanno maturato almeno 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995 avranno una pensione calcolata con il metodo misto per cui si manterrà il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 mentre a decorrere dal 1 gennaio 2012 si calcolerà la quota di pensione con il sistema contributivo.
Il metodo retributivo è quello più conveniente perché prende a base del calcolo la media degli stipendi degli ultimi anni di lavoro e l’anzianità lavorativa; l’aliquota di rendimento è del 2% annuo per retribuzioni inferiori a dei limiti fissati dalla legge o inferiore al 2% per le retribuzioni più elevate.
Il metodo contributivo è più penalizzate rispetto a quello retributivo soprattutto per le nuove generazioni e per i lavoratori che hanno carriere discontinue e stipendi bassi. L’importo della pensione si determina moltiplicando la retribuzione pensionabile annua per un’aliquota di computo; dal calcolo così ottenuto si aggiorna l’ammontare con un tasso di rivalutazione annuo variabile in base alla crescita nominale del Pil degli ultimi cinque anni. E’ evidente che tale metodo risulta essere meno penalizzante per coloro che lasciano il lavoro tardi; infatti in tal caso aumenta sia il montante contributivo sia il coefficiente di trasformazione, che aumenta all’aumentare dell’età del lavoratore.
Il metodo misto, in parte retributivo ed in parte contributivo, consente di avere una rata di pensione mensile più elevata di circa il 25 o il 30% rispetto a quella che si ottiene con il calcolo esclusivamente contributivo.
Detto ciò, si evidenzia che il legislatore ha pensato, per favorire specialmente i giovani, di introdurre lo strumento della previdenza complementare che ha lo scopo di recuperare parzialmente il gap di reddito tra la pensione calcolata con il metodo contributivo e quella determinata con il metodo retributivo ed assicurare quindi una pensione più dignitosa ai futuri percettori di tale reddito.
La previdenza complementare è gestita da fondi pensione, a cui possono aderire lavoratori di diverse categorie; essi sono finanziati tramite i contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro (come nel caso dei fondi pensione negoziali che presentano l’indubbio vantaggio di far confluire al loro interno sia i contributi dei lavoratori sia quelli del datore di lavoro che è obbligato a versare la stessa quota di contributi versata dal lavoratore) e il versamento dell’accantonamento annuo per il trattamento di fine rapporto (TFR).
Le prestazioni derivanti dalla previdenza complementare saranno erogate o sotto forma di rendita e di capitale per una quota massima del 50% del capitale finale accumulato; o in rendita vitalizia periodica (pensione); o in capitale in caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale risulti inferiore al 50% dell’assegno sociale INPS. E’ possibile ottenere anche delle anticipazioni per una quota calcolata sulla posizione individuale maturata e per determinate motivazioni (acquisto prima casa, pagamento spese mediche rilevanti, ecc).
La previdenza complementare, per la sua valenza sociale, è un altro degli ambiti di cui si è occupata la legge delega sulla riforma fiscale, approvata nella seduta del Consiglio dei Ministri del 16 marzo c.a. La riforma muove i suoi passi dalla considerazione che il risparmio previdenziale, sia su base volontaria sia su base obbligatoria, costituisce una forma di risparmio finalizzato per fronteggiare i crescenti bisogni di protezione che accompagnano l’età anziana. In questa prospettiva, il legislatore ha accordato un grado di agevolazione fiscale elettiva, rispetto ad altre forme di risparmio, in relazione alla speciale funzione sociale che la previdenza svolge. Il Governo vorrebbe incentivare il ricorso alla previdenza complementare e in tal senso intenderebbe aprire un dialogo con le parti sociali.
Prima però di approfondire i contenuti della delega, si ritiene utile rammentare sinteticamente il vigente regime fiscale previsto per i partecipanti ai fondi pensione complementare, al fine di comprendere meglio le nuove proposte. Attualmente sono deducibili, nel limite massimo di 5.164,57 euro annui, i contributi versati dagli iscritti, mentre al risultato di gestione delle forme complementari viene applicata un’imposta sostitutiva del 20%, ovvero del 12,5% per la parte del risultato di gestione derivante dalla detenzione di titoli di Stato e di titoli ad essi assimilati. Al momento dell’erogazione delle prestazioni di previdenza complementare la tassazione prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva con aliquota minore rispetto a quelle previste dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) che si riduce al crescere degli anni di partecipazione al sistema fino a raggiugere l’aliquota minima del 9%.
La delega fiscale in materia sottolinea che, pur volendo procedere ad una revisione delle tax expenditures (cioè le spese fiscali, quindi tutte le attuali detrazioni/deduzioni dal reddito delle persone fisiche) procedendo ad un loro sfoltimento, si terrà conto delle specificità che presenta la previdenza complementare quale forma di pensione privata a favore dei lavoratori, specialmente i più giovani. Si ipotizza che il limite di deducibilità, fermo al 2000, possa aumentare considerando la funzione integrativa e sociale dei fondi pensione e la valenza di strumento di diversificazione del rischio previdenziale. In tal senso la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) suggerisce di rivedere i benefici fiscali per favorire l’adesione e la contribuzione di chi non ha ancora aderito al sistema e di coloro che ne rimangono ai margini in ragione della condizione lavorativa più fragile; si potrebbe inoltre prevedere la possibilità di usare in anni successivi la deducibilità non goduta in uno specifico anno di imposta e che si potrebbe valutare la possibilità di attivare incentivi di carattere finanziario per i più giovani, con una contribuzione aggiuntiva a carico dello Stato nei primi 36 mesi di occupazione, diversificando il beneficio in ragione della tipologia di previdenza complementare scelta. La legge delega prevede inoltre la revisione della tassazione dei rendimenti delle attività secondo il principio di cassa, quindi l’imposizione avverrebbe quando effettivamente essi vengono percepiti con la possibilità di compensare plus e minusvalenze, e prevedendo la tassazione del risultato annuale realizzato dalla gestione mediante il mantenimento di un’aliquota di imposta agevolata in ragione della finalità pensionistica. In proposito si sottolinea che per la maggior parte dei paesi europei i rendimenti dei fondi pensione sono del tutto esenti da tassazione.
Dal punto di vista statistico si osserva che dopo la nascita dei fondi pensione, avvenuta già dopo la riforma Dini, il tasso di adesione dei lavoratori è aumentato, passando da 2 milioni a 7 milioni di adesioni complessive, cioè poco più di ¼ dei lavoratori italiani. Per paradosso sono i più giovani, che ne avrebbero più bisogno, a non prevedere questa forma di integrazione pensionistica; si stima che il tasso di sostituzione della pensione calcolata con il metodo contributivo rispetto all’ultimo stipendio sarà in molti casi inferiore al 50% e disporre di un’integrazione del reddito a titolo di pensione potrebbe rappresentare un valido paracadute per il periodo di vita che dovrebbe garantire una maggiore serenità economico finanziaria. Un aspetto penalizzante, rispetto al potenziale ammontare della pensione integrativa, si riscontra nel fatto che ogni anno, un quarto degli iscritti alla previdenza complementare non effettua alcun versamento creando un vuoto contributivo per le prestazioni che dovrebbero poi essere percepite nel futuro.
Per contro occorre sottolineare che spesso tali prodotti previdenziali presentano costi elevati (che si aggirano su una media del 2%) che frequentemente vanno ad erodere per la quasi totalità il margine di rendimento garantito dalla previdenza complementare; questa particolarità si riscontra soprattutto per i piani individuali pensionistici (c.d. PIP) che sono forme di previdenza realizzate attraverso contratti di assicurazione sulla vita. Inoltre la funzione dei PIP è limitata anche perché spesso le compagnie di assicurazione, che propongono il prodotto in argomento, hanno la possibilità di rivedere i coefficienti di conversione del capitale in rendita al termine del piano di accumulo, creando così una sorta di gioco non equo che induce i soggetti a richiedere il capitale in unica soluzione invece che richiedere la rendita. Inoltre vengono spesso sottaciuti sia l’esposizione al rischio finanziario sia la limitata copertura dei rischi legati alla durata della vita. Pertanto sarebbe auspicabile che nel settore della previdenza complementare si rafforzi il sistema di informazioni sui costi, sui rendimenti, sui rischi e sulle prestazioni che gli iscritti potranno attendersi di ricevere al momento del pensionamento. Non si ritiene tutelante un sistema che espone la previdenza sociale a rischi legati al reddito ed agli investimenti finanziari, spesso determinati dai grandi investitori che muovono masse di strumenti finanziari a fini speculativi e che confliggono del tutto con lo spirito che spinge i lavoratori a sottoscrivere un piano di previdenza complementare. I fondi aperti misti garantiscono spesso solo il 50% del capitale versato (c.d. gestione separata) lasciando il rimanente 50% ancorato agli andamenti altalenanti del mercato degli strumenti finanziari sottostanti al piano di previdenza complementare; questa impostazione genera inevitabilmente una asimmetria informativa per il lavoratore che spesso non è in grado di controllare e confrontare sia i costi sia i rendimenti in modo immediato al fine di favorire la comparazione tra differenti piani previdenziali e differenti soggetti che li propongono. Si auspica pertanto una maggiore trasparenza delle informazioni e la messa a punto di strumenti standardizzati, semplici e di facile comprensione che aiutino il soggetto a scegliere il prodotto finanziario che più lo soddisfi.
Ma si sa, l’ignoranza paga sempre coloro che hanno tutto l’interesse a tenere in una zona grigia il lavoratore che nell’incapacità di poter analizzare efficientemente i prodotti presentati si affida a soggetti che contemporaneamente rivestono il ruolo di venditori di prodotti finanziari, assicurativi o previdenziali e di consulenti per i potenziali investitori, creandosi così posizioni di palese conflitto di interessi che, al momento, sembra non suscitino in nessuna parte, sociale o politica, un più che necessario atteggiamento di tutela della parte debole del contratto.

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26 Aprile 2023

Alimenti e mangimi sintetici: uno sguardo d’insieme di Alessandra Di Giovambattista

Alimenti e mangimi sintetici: uno sguardo d’insieme di Alessandra Di Giovambattista

20-05-2023

 

In data 7 aprile 2023 è stato presentato il disegno di legge, ad iniziativa governativa, da parte del Ministro dell’agricoltura, sovranità alimentare e foreste, Francesco Lollobrigida e dal Ministro della salute Orazio Schillaci ed assegnato alle commissioni riunite IX e X in sede redigente il 3 maggio 2023, avente ad oggetto il divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti sintetici, di alimenti cioè che provengono da applicazioni sperimentali di studi in ambito chimico biologico di riproduzione e coltivazione cellulare operata in laboratorio, su cellule animali staminali, al fine di ottenere prodotti alimentari. Ad oggi la ricerca e la produzione di tali alimenti si è concentrata maggiormente sulla carne; in alcuni paesi extra europei, ed in particolare negli Stati Uniti l’organismo di controllo ed autorizzazione alimentare, la Food and Drug Administration (FDA), ha consentito la produzione di carne di pollo sintetica, prodotta in laboratorio e derivante dallo sviluppo di cellule animali: tale circostanza ha indotto una richiesta di commercializzazione anche in Europa. La produzione di alimenti e mangimi sintetici isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati, riguarda principalmente la produzione di carne coltivata in laboratorio a partire da cellule staminali estratte da cellule di animali vivi o da carne fresca e fatte sviluppare in bioreattori, nonché di pesce prodotto nello stesso modo. La carne sintetica è un processo biotecnologico che ha inizio estraendo cellule staminali dai muscoli di animali adulti viventi o cellule staminali pluripotenti da embrioni animali. Tale estrazione può essere sperimentata con qualunque specie vivente, ma per ora è stata condotta solo sui pesci, tacchini, polli, anatre e specialmente bovini. Dopo l’estrazione è prevista la crescita di organismi biologici che deve riprodurre le condizioni ottimali naturalmente presenti nel corpo degli animali al fine di far proliferare le cellule staminali fino alla fase di differenziazione in cui si formano vere e proprie fibre muscolari che continuano a crescere formando un tessuto analogo al tessuto muscolo scheletrico. Tuttavia, per ottenere carne commestibile è necessario una sorta di impalcatura sulla quale far orientare la crescita delle cellule e dar loro una struttura tridimensionale; tale impalcatura è in genere di materiale commestibile, ad esempio a base di amido.
Al riguardo la relazione illustrativa al disegno di legge in parola, evidenzia che numerosi studi condotti da esperti internazionali e pubblicati su insigni riviste scientifiche hanno sottolineato come si sia poco approfondito l’aspetto della sicurezza dei cibi sintetici, ed in particolare della carne e della sua capacità nutrizionale; sembra infatti che la sperimentazione sugli alimenti sintetici sia ancora in una fase embrionale che non permette quindi di escludere ricadute negative per la salute degli esseri umani. In particolare in uno studio si legge che con la moltiplicazione cellulare è probabile che possano verificarsi alcune proliferazioni non regolate e non regolabili, come avviene per le cellule tumorali (“The myth of cultured meat: a rewiew”, frontiers in nutrition 2020 – S. Chriki e J. F. Hocquette). Quindi per ora, secondo la relazione illustrativa, gli aspetti dubbi e non verificati riguardano sia gli effetti sulla salute umana derivanti dal consumo di questi alimenti sintetici sia il problema della sostenibilità ecologica delle produzioni; infatti anche per tale ultimo aspetto si evidenziano delle controversie. In particolare alcuni rapporti sui sistemi alimentari sostenibili, presentati da un gruppo di esperti e scienziati che prendono parte all’International Panel of Experts on Sustainable Food Systems-I-Pes-FOOD, hanno evidenziato che le proteine alternative non sono sostenibili e potenzialmente mettono a rischio la salute umana. Si tratta infatti di prodotti, sia della carne sia vegetali, che vengono realizzati con processi produttivi che richiedono un grande consumo di energia e l’utilizzo di monocolture industriali dannose per l’ambiente; inoltre tali processi di produzione alimentare industriale arrecherebbero danni ai sistemi agricoli, specialmente a quelli più fragili posizionati nelle zone a sud del mondo, con ripercussioni negative anche sull’occupazione perché sarebbe più conveniente produrre dove il lavoro costa meno creando ancora più ingiustizia sociale. Un’ultima osservazione è stata poi riportata, sempre nel corpo della relazione illustrativa, in merito alle affermazioni sul rischio per la salute e per l’impatto sull’ambiente del settore zootecnico. In questo senso si esprime anche la Food and Water Watch (organizzazione non governativa con oltre 3 milioni di sostenitori), la quale osserva che le asserzioni a favore degli alimenti sintetici rispetto a quelli coltivati (ed in particolare la carne) sono speculative; il settore è ancora in una fase sperimentale ma è sicuro che gli investimenti sui prodotti a base di alimenti sintetici si basano su processi produttivi che richiedono ambienti sterili, altamente industrializzati e fortemente energivori, forse anche più degli allevamenti tradizionali. Evidenzia inoltre che per la crescita delle cellule delle carni coltivate occorrono antibiotici che garantiscono la sterilità dell’ambiente di coltivazione, con inevitabili ricadute sul benessere del corpo umano il quale potrebbe essere intossicato da seppur minime quantità di tali farmaci che contribuirebbero a formare agenti patogeni, le c.d. colonie batteriche resistenti agli antibiotici, con evidenti difficoltà per l’essere umano di contrastarle e riacquistare la salute. Inoltre nel corso delle lavorazioni vengono utilizzati altri materiali pericolosi di natura chimica utilizzati per la disinfezione che possono lasciare residui nel prodotto finale; infine la parte più pericolosa sarebbe quella in cui, a fronte di un costante monitoraggio, si dovrebbe garantire che le linee cellulari non mutino o si contaminino al fine di ridurre i rischi per la salute umana. Durante una sperimentazione si è potuto constatare che l’assunzione di cibi ultra lavorati è associata ad un più elevato rischio di malattie cardiovascolari complessive, un aumento del rischio di malattia coronarica, e un incremento di malattie cerebrovascolari. Contestualmente le autorità sanitarie pubbliche di diversi paesi hanno iniziato, di recente, a promuovere alimenti minimamente o assolutamente non trasformati e a raccomandare di limitare l’uso di consumo di alimenti ultra-lavorati.
Con tali presupposti ed in mancanza di una normativa europea specifica il Governo ha ritenuto di intervenire in via precauzionale a livello nazionale per tutelare interessi che sono legati alla salute ed al patrimonio culturale della nazione. A dovere di cronaca si ricorda l’esistenza del regolamento comunitario (CE) n. 178/2002, richiamato nel disegno di legge, che reca norme generali in materia di legislazione alimentare e consolida le norme sulla sicurezza di alimenti e mangimi nella Unione Europea (UE). Il regolamento ha disposto il divieto di mettere in vendita alimenti pericolosi per la salute o non adatti al consumo umano; i controlli riguardano tutte le fasi della catena alimentare e sono volti a: garantire la tracciabilità degli alimenti, dei mangimi e degli animali destinati alla produzione alimentare; ritirare immediatamente gli alimenti ed i mangimi dal mercato in caso di possibili effetti dannosi per la salute; informare le autorità preposte ed i consumatori. Pertanto il disegno di legge specifica che le finalità della proposta normativa sono quelle di tutela della salute umana e del patrimonio agroalimentare quale insieme di prodotti espressione del processo di evoluzione socio-economica e culturale dell’Italia; questo secondo ambito è considerato di rilevanza strategia per l’interesse nazionale. Si prevede quindi, nel disegno di legge, il divieto di produrre e commercializzare alimenti sintetici - individuati some alimenti o mangimi costituiti isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati - nel rispetto del principio di precauzione; il divieto si riferisce sia agli alimenti per il consumo umano sia ai mangimi per il consumo animale e i destinatari del provvedimento sono tutti gli operatori del settore alimentare. In caso di illeciti sono previste sanzioni amministrative che intervengono sulla possibilità di svolgere attività di impresa usufruendo di contributi, agevolazioni, finanziamenti ed altre forme di erogazioni concesse dallo Stato o altri enti pubblici o dall’Unione Europea per l’attuazione di attività imprenditoriali, nonché sull’eventuale chiusura dello stabilimento di produzione per un periodo minimo di un anno e fino ad un massimo di tre anni. In particolare la tutela del patrimonio agroalimentare italiano, che il disegno di legge intende garantire, costituisce uno dei punti di forza del nostro Paese, esso si compone di prodotti qualitativamente molto competitivi che presentano tipicità ed alto livello di reputazione, raggiungendo i più svariati mercati internazionali e registrando ottimi successi commerciali: esso ha acquisito quindi una valenza sociale e culturale oltre che economica. In generale il sostegno dei prodotti delle tradizioni e delle pratiche agroalimentari è riconosciuto a livello internazionale dall’Unesco nell’ambito della tutela del patrimonio immateriale dell’umanità (così la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio immateriale conclusa a Parigi il 17 ottobre 2003 e ratificata con la L. n. 167 del 2007). Per patrimonio immateriale culturale si intende l’insieme di prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, know-how che le comunità riconoscono in quanto parte del proprio patrimonio culturale; esso è in costante riproduzione in risposta all’ambiente ed alla propria storia dando un senso di identità e di continuità alle comunità. In Italia è stato istituito presso l’attuale Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste l’inventario del patrimonio agroalimentare italiano con lo scopo di individuare, catalogare e documentare gli elementi culturali afferenti le tradizioni agroalimentari tipiche italiane. Il nostro paese si distingue in Europa per il maggior numero di prodotti a marchio registrato; a livello nazionale il legislatore italiano ha dato sempre grande rilievo all’indicazione obbligatoria dell’origine nazionale della produzione agroalimentare a tutela dei prodotti nazionali. Il recente DL n. 135 del 2018 ha disposto l’obbligo per i prodotti alimentari commercializzati di riportare nell’etichetta anche il luogo di origine o di provenienza delle materie prime. Il patrimonio agroalimentare italiano a causa di vari tentativi di contraffazione è stato oggetto di misure di carattere legislativo per la sua tutela; sono stati istituiti così il fondo per la sovranità alimentare ed il fondo per il sostegno delle eccellenze nella gastronomia e dell’agroalimentare italiano.
Sull’argomento, tuttavia, vi sono diversi scienziati che si schierano a favore della c.d. carne coltivata; in particolare il dott. Roberto Defez, ricercatore dell’istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Napoli, ha sottolineato come non sia corretto parlare di carne sintetica, poiché il processo produttivo non prevede procedure di sintesi chimica, bensì la produzione di carne a partire da cellule staminali, fatte sviluppare in laboratorio. Inoltre dal punto di vista dell’impatto ambientale lo stesso ricercatore afferma che, ridurre la produzione di carne ottenuta dagli allevamenti tradizionali potrebbe portare ad una riduzione nel consumo di acqua, terreno e nella produzione di gas serra. Tuttavia anche lui sottolinea che è necessario valutare bene ogni aspetto della questione e prendere decisioni solo dopo aver analizzato accuratamente tutti i dati a disposizione.
Anche l’European Food safety Authority (EFSA) sostiene che la carne coltivata nonché i frutti di mare ottenuti in vitro, potrebbero essere considerati una soluzione promettente ed innovativa per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sistemi alimentari equi, sicuri, sani e rispettosi dell’ambiente (farm to fork). Tuttavia specifica che il potenziale impatto sull’ambiente e sulla sostenibilità devono essere valutati a fondo e la sicurezza dei processi e dei prodotti deve essere stabilita; ciò non significa che gli alimenti coltivati non siano sicuri ma bensì che la scienza deve fare il suo corso. Qualora l’EFSA dovesse autorizzare la produzione ed il commercio di carne coltivata nell’UE il governo si vedrebbe costretto a dover eliminare il divieto di importazione e allo stesso tempo si troverebbe a non poterla produrre. In questo senso si è espresso anche il prof. Michele Morgante, professore ordinario di genetica dell’Università di Udine, il quale ha evidenziato che in Italia in tale ambito si stanno definendo regole prima ancora che si sia fatta chiarezza su elementi importanti che consentirebbero di prendere decisioni informate e definitive. Il disegno di legge in argomento ha giustificato il divieto con riferimento alla scarsa sicurezza degli alimenti coltivati e al rischio derivante per la filiera della produzione della carne da allevamento, ma il Professore conclude dicendo che si può proteggere l’attività della filiera produttiva degli allevatori italiani senza allarmare l’opinione pubblica; infatti si ha l’impressione che la decisione non sia stata presa sulla base di elementi scientifici.
Il dato effettivo è che oggi è difficile riprodurre perfettamente le caratteristiche organolettiche, cioè gusto, profumo, odore, consistenza della carne tradizionale, così come tutti i nutrienti (es. la vitamina B12 che dovrà essere fornita a parte) e alcuni elementi tipici della carne, come ad esempio l’osso per cui alcune ricette di cucina andranno a scomparire. Inoltre l’impatto rilevante sarebbe anche sugli allevamenti tradizionali e non intensivi oggi utili per il mantenimento delle razze autoctone e per la pulizia di boschi e foreste. Per quanto riguarda l’aspetto economico, il costo della carne sintetica è in forte discesa; oggi si attesta su un prezzo di circa 13-15 euro per 250 grammi (quindi circa 50/60 euro al kg) ma c’è chi prevede che il suo costo, per effetto dell’innovazione tecnologica e dell’aumento della domanda, sia destinato a diminuire e ad arrivare anche ad un costo inferiore rispetto a quello della carne normale.
Riassumendo il disegno di legge nasce dal fatto che i cibi sintetici non garantiscono qualità, benessere, tutela della cultura e della tradizione enogastronomica e di produzione, caratteristiche tutte italiane; inoltre ad oggi non ci sono sufficienti studi che permettano di avere chiarezza circa gli effetti che tali cibi potrebbero avere sulla salute dell’uomo. Pertanto di fronte alla possibilità della sua commercializzazione nel nostro paese sarebbe opportuno fare campagne di pubblicizzazione che rendano chiari i pericoli di una immissione in commercio di tali prodotti in modo che siano gli stessi consumatori, adeguatamente informati, a fare le loro scelte ed a fare la differenza sul mercato. Sicuramente allo stadio presente occorre sottolineare in tutta onestà che sembra un po’ prematuro immettere sul mercato beni non ancora testati.
Che la scienza faccia il suo corso è sacrosanto, ma è anche vero che non sarebbe né etico né giusto essere considerati delle cavie!

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20 Maggio 2023

I FATTORI AMBIENTE, SOCIETA’ E GOVERNO DELLE AZIENDE - ESG: IL FUTURO PER IL MONDO? di Alessandra Di Giovambattista

I FATTORI AMBIENTE, SOCIETA’ E GOVERNO DELLE AZIENDE - ESG: IL FUTURO PER IL MONDO? di Alessandra Di Giovambattista 

 

29-05-2023
Con il termine ESG ci si riferisce a fattori di sostenibilità ambientale ed economico-finanziaria che le aziende devono rispettare al fine di garantire al pianeta ed alla propria attività di perdurare nel tempo. Specialmente tra i più giovani questi fattori sono riconosciuti come determinanti per il futuro del pianeta e le aziende stesse comprendono che essi possono fare la differenza e garantire loro dei vantaggi strategici legati al fatto che i consumatori saranno disposti a pagare di più per beni e servizi ecosostenibili.
L’acronimo ESG si riferisce al cosiddetto Environmental: cioè fattori ambientali che riguardano l’ambiente che ci circonda e il focus si concentra su: rifiuti ed inquinamento, risorse naturali e loro esaurimento, garanzia e difesa della biodiversità, emissione dei gas serra, deforestazione, cambiamento climatico; social: cioè i fattori sociali che concernono le modalità con cui le aziende e gli Stati trattano i singoli esseri umani; pertanto un’analisi sulla relazione con i dipendenti, sulle condizioni di lavoro garantite con un’attenzione particolare sul lavoro minorile e sulle diverse forme di schiavitù, sul rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani, sull’inclusione e la diversità, sui finanziamenti di progetti o di istituzioni che devono tutelare le comunità povere e sottosviluppate, sulla salute, sicurezza e sulla gestione dei conflitti sociali; governance: cioè il sistema di conduzione e direzione dell’azienda; l’attenzione sarà sulle strutture aziendali, sulle regole e le strategie che governano le scelte aziendali e/o degli Stati, sulla politica fiscale, e sulle remunerazioni dei dirigenti, sui processi di lobbying e sulle pressioni politiche, sulla corruzione e sulle strutture di governo differenziate tra aziende private e settore pubblico.
Oggi, la direttiva CSRD - Corporate Sustainability Reporting Directive (direttiva UE n. 2022/2464 pubblicata il 16 dicembre 2022) cambia la prospettiva in materia di valutazione delle imprese basata su criteri di sostenibilità; infatti le informazioni sulla sostenibilità dell’attività aziendale diventano parte integrante della relazione finanziaria annuale annessa al bilancio delle società. Più in generale per valutare un'impresa non basta più guardare ai soli dati finanziari: i fattori ESG delle aziende, anche medio-piccole, dovranno essere leggibili, confrontabili e valutabili nella relazione sulla gestione. Per le PMI e per le aziende tutte, il rispetto dei valori legati alla sostenibilità è diventato un dovere. Nati nel 2005 dai principi per gli investimenti responsabili dell'ONU, i criteri ESG sono ormai al centro del discorso pubblico e rappresentano una bussola che orienterà le scelte di sviluppo mondiale e comporterà, nel breve periodo, l’impegno di ogni singola impresa verso uno sviluppo sostenibile.
Negli ultimi anni si è registrato un importante incremento dell’attenzione sulle informazioni societarie sulla sostenibilità anche da parte delle varie categorie di investitori che cercano di allocare le proprie risorse considerando sempre di più i rischi connessi alla sostenibilità degli investimenti finanziati.
Si percepisce in modo più approfondito la consapevolezza degli effetti che i rischi “ambientali” connessi al clima (ad esempio la perdita di biodiversità) e “sociali” (si pensi ai rischi sanitari che l’emergenza Covid ha fatto emergere) comportano per le imprese e per i relativi business.
Al momento, la rendicontazione è obbligatoria per le sole imprese di grandi dimensioni
(semplificando, le imprese con più di 500 dipendenti) ma, tenuto conto delle esigenze di sostenibilità, vi è la necessità di ampliare la platea dei soggetti impegnati a fornire tale informativa. La nuova prospettiva comunitaria è quella di annoverare tutte le imprese di grandi dimensioni e tutte le imprese quotate, anche medio-piccole (ad eccezione delle microimprese) tra i soggetti tenuti all’informativa in esame, a partire dal 2026.
È tuttavia auspicabile che anche le piccole e medie imprese non quotate considerino, con interesse, la possibilità di applicare la normativa in materia, pur considerando attentamente le caratteristiche legate alla propria dimensione al fine di evitare un inutile appesantimento delle incombenze.

Per le imprese di grandi dimensioni si prevede che nella relazione sulla gestione vengano presentate informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’azienda sulle questioni di sostenibilità e del modo in cui le medesime questioni influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione economico-finanziaria.
Nello specifico vengono richieste informazioni, con le prospettive temporali di breve, medio e lungo periodo - in particolare però le aziende dovranno imparare a ragionare in termini di lungo periodo, ma davvero lungo, si parla anche di 30/40 anni - in tema di strategia aziendale che indichi la resilienza del modello e delle modalità di approccio alle problematiche, nonché le eventuali opportunità che l’azienda stessa potrebbe trarre, in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità; in relazione a ciò sarà necessario valutare i piani dell’impresa atti a contrastare i vari rischi connessi alla sostenibilità nonché le modalità di approccio alla soddisfazione delle esigenze di tutti i soggetti portatori di interessi (stakeholders);obiettivi temporalmente definiti e connessi alle questioni di sostenibilità individuati dall’impresa e monitorati nel tempo;ruolo degli organi di governo in tema di sostenibilità e capacità di gestione dei fattori ESG; politiche strategiche in relazione alla sostenibilità;
informazioni sull’esistenza di sistemi di incentivi per organi sociali e alta direzione che si occupa di sostenibilità; rischi connessi alle questioni ESG e modalità di gestione e contrasto dei rischi da essi nascenti.
La direttiva sarà applicata in quattro fasi, così scansionate nel tempo: - 2024 per le imprese già soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario; - 2025 per le grandi imprese; - 2026 per le PMI quotate (a eccezione delle microimprese), gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione; - 2028 per le imprese di paesi terzi che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nell'Unione europea, se hanno almeno un'impresa figlia o una succursale nell'UE che supera determinate soglie.
Con l'approvazione del Next Generation Eu, il piano per il rilancio dell’economia promosso dall’unione europea, l’impegno verso la sostenibilità diventa imprescindibile per ogni paese dell’unione. Il rispetto dei principi ESG non sarà più solo un volano di marketing da utilizzare a breve termine, bensì l’imperativo futuro per tutte le imprese.
Per ottenere le risorse economiche messe a disposizione dell’Europa, i piani nazionali devono rispettare alcuni criteri. Il 37% o più delle risorse deve essere destinato alla transizione ambientale, il 20% alla digitalizzazione e l’innovazione e il restante deve essere impiegato nella sostenibilità sociale.
Si è però visto che non è solo una questione di normative europee: negli ultimi anni anche i consumatori sono diventati sempre più sensibili rispetto alle problematiche di sostenibilità; infatti secondo una ricerca di Altroconsumo, più di un italiano su due è disposto a spendere di più per un prodotto che riconosce come sostenibile.
Nel 2015 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha sottoscritto un programma d’azione per il pianeta, le persone e la prosperità, denominato Agenda 2030, che si compone di 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Developments Goals, SDGs) e di 169 target da raggiungere in ambito economico, ambientale e sociale entro il 2030.
I 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile pongono in equilibrio i tre principi ESG e non riguardano solo la questione ambientale; l’attuazione dell’Agenda 2030 è un impegno complessivo di tutte le parti della società attraverso un approccio integrato e lo sviluppo di misure concrete, necessarie per far evolvere in modo sostenibile la crescita economica, l’inclusione sociale e la tutela ambientale.
In questo contesto, l’Italia si è impegnata nel definire cosa le SDGs rappresentino per il nostro contesto socio-economico, sviluppando un piano che evidenzia la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.
Questo piano si articola in cinque aree tematiche, dette le Cinque P dello Sviluppo Sostenibile: PERSONE, PIANETA, PROSPERITA’, PACE, PARTENARIATO.
Ad oggi, oltre 1.500 investitori si sono impegnati ufficialmente a seguire questi principi. In 3 anni le risorse gestite da fondi ESG sono raddoppiati superando i mille miliardi di dollari.
Le imprese italiane sono particolarmente interessate ai temi della sostenibilità. Secondo un sondaggio Ipsos sul tema dell'economia circolare, presentato all'EcoForum di ottobre, si legge che: “Un'azienda su quattro investe in modo convinto in sostenibilità già da tempo; altre lo fanno in modo limitato e non strutturato e alcune hanno affrontato il tema solo di recente, ma in futuro per il 56% delle aziende l'enfasi crescerà, come pure gli investimenti in comunicazione”.
Un sondaggio diverso, curato dalla Capgemini sulla sostenibilità nelle aziende, evidenzia invece che soltanto un dirigente su cinque (quindi il 20%) ritiene che la sostenibilità sia un vantaggio per la competitività aziendale, mentre il 53% ritiene che il suo costo superi i potenziali vantaggi. Tuttavia si è dimostrato vero il contrario: lo stesso studio ha evidenziato che le imprese con chiare priorità di sostenibilità stanno già superando le imprese che non si pongono tali obiettivi. La distanza è destinata ad allargarsi nel futuro prossimo per effetto dell’aumento della regolamentazione e della pressione da parte della società civile che si tradurrà in maggior controllo da parte degli investitori e dei consumatori. Quasi tutte le aziende che hanno partecipato allo studio hanno annunciato impegni per arrivare a zero emissioni nette entro il 2030 o il 2040, però meno della metà (su un totale di 668 società private e pubbliche di 12 Paesi) ha programmi concreti da attuare e sta cercando figure esperte in materia.
Infine secondo i risultati del Sustainability Leaders Survey, il 70% dei responsabili della sostenibilità aziendale non crede alla possibilità di evitare i gravi danni climatici in arrivo.
Su tale ultimo aspetto forse una riflessione va fatta: come possono essere credibili i programmi di sostenibilità se le più grandi potenze industriali (Cina, India, Usa, Russia) non si interessano ai problemi legati ai cambiamenti climatici ed alle più generali questioni degli ESG? Nessuno riflette, ad esempio, sul grado di inquinamento dovuto alle guerre in atto dove si utilizzano armi con potenziali di inquinamento elevatissimi; si pensi solo alla possibilità, più volte paventata, dell’uso di ordigni nucleari. E’ ancora vivo il ricordo dell’esperimento nell’oceano pacifico nei pressi dell’isola di Mururoa, atollo dell’arcipelago delle Tuamotu, nella Polinesia Francese, dove i francesi fecero esplodere , in pieno oceano, un ordigno nucleare….e nessuno in quell’occasione si è premurato di conoscere le ricadute in termini ambientali, per gli uomini e per tutte le altre forme di vita, di tale scellerata prova e tantomeno qualcuno si è posto oggi il problema di andare ad indagare gli eventuali strascichi derivanti dal citato evento? E chissà quanti altri esperimenti si compiono a nostra insaputa che generano processi di decadimento e di distruzione ambientale; è evidente che la sfida principale va sostenuta dai Governi e dai poteri forti; appare abbastanza fuorviante e capzioso far credere che siamo noi gli elementi più inquinanti del pianeta, attraverso le nostre scelte quotidiane. Sicuramente noi consumatori abbiamo diverse armi in mano ma non dimentichiamo che spesso le nostre scelte vengono guidate dagli interessi dei grandi potenti rappresentati dai proprietari delle multinazionali. In particolare con la crescente attenzione verso il cambiamento climatico e la sensibilità dei consumatori verso le tematiche green, la tentazione da parte delle aziende di produzione o finanziarie, di offrire un’immagine ecosostenibile per attirare clienti e decisamente molto alta; se però le dichiarazioni non corrispondono alla sostanza delle scelte effettive di gestione aziendale il rischio è quello di scivolare nella pratica del greenwashing, ossia di fornire la sola immagine di facciata di una impresa attenta all’ambienta anche se la realtà non è assolutamente così. Ormai la maggior parte di noi non vuole, o meglio non sa, più di ragionare con le proprie capacità intellettive perché spesso ci basiamo sui risultati superficiali senza approfondire le problematiche e tale atteggiamento purtroppo viene insegnato anche nelle scuole in modo da far crescere i nostri figli del tutto acritici e indottrinati. Altro esempio che rafforza questa impostazione è l’assoluto silenzio, o meglio l’atteggiamento di assoluta inattività da parte degli Stati, tutti, nei confronti della continua distruzione della foresta amazzonica…. Perché nessun Governo affronta seriamente il problema? Solo il Papa si è fatto portavoce dei più deboli, ma purtroppo è rimasto inascoltato…. Forse ci sono dietro degli interessi forti e malavitosi che nessuno vuole andare a toccare? Nessuno punta il dito contro l’inquinamento prodotto dalle aziende chimiche, di high tech, la distruzione di interi territori nei paesi del terzo mondo, spesso africani, per depredarli di materie prime utilizzando lavoro minorile e negando ogni minimo diritto umano? Questi problemi non sembrano far emergere criticità,,,,, sarà perché forse c’è il rischio di scontrarsi contro gli interessi delle grandi aziende multinazionali?
La riflessione vorrei concluderla dicendo che sicuramente ogni singola azione compiuta da ciascuno di noi produce effetti e già solo per questo dobbiamo comportarci in modo consapevole ed attento alle ricadute in termini di ecosostenibilità; però a fronte di tale considerazione cerchiamo di fare ordine. Cerchiamo di comprendere che i più grandi irrispettosi dell’ambiente sono stati finora gli Stati che hanno perseguito politiche aggressive dal punto di vista del governo economico e sociale, spesso attori principali, oppure conniventi con i poteri forti e malavitosi gestiti da pochi e potenti uomini che gestiscono, anche attraverso gli strumenti informatici, le scelte, e purtroppo sempre di più, anche le menti di ognuno di noi. La questione del rispetto della sostenibilità deve essere ricondotta prima di tutto a delle linee guida ben chiare che restituiscano ad ogni attore economico e sociale il rispettivo e adeguato livello di responsabilità. Diversamente assisteremo alla nascita di una dittatura del green, guidata dai Bill Gates e dai George Soros di turno, che eliminerà i basilari diritti dell’uomo e prostrerà la sua volontà agli interessi di pochi…. Saremo ancora liberi… Ci saranno riconosciuti i diritti di procreare, di poter professare una religione, di mangiare alimenti naturali, di muoversi, di poter socializzare e dedicarsi a passatempi, di potersi curare anche con medicine naturali, di poter riflettere e ragionare diversamente dal pensiero unico?

 

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29 Maggio 2023

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