LA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO SOCIALE DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE di Alessandra Di Giovambattista
LA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO SOCIALE DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
di Alessandra Di Giovambattista
Il fenomeno delle associazioni senza scopo di lucro (anche conosciute come no profit) ha iniziato a svilupparsi in Italia nel dopoguerra, anche se occorre sottolineare la peculiarità delle attività di volontariato senza finalità di profitto svolte nel nostro Paese soprattutto dalle organizzazioni e confraternite religiose; ad esse deve riconoscersi, nel corso della storia, anche la più lontana, il merito di aver sollevato tanti indigenti dalle situazioni di estrema povertà e precarietà dando vita alle prime vere ed effettive associazioni con scopo benefico (basti ricordare i primi ospedali per i più poveri, le prime scuole per i bambini indigenti, i primi centri di accoglienza per persone con disabilità ed handicap). Invece le esperienze private più importanti, e che fungono da apripista, possiamo ritrovarle negli Stati Uniti dove anche prima della seconda guerra mondiale (all’incirca vero il 1914 con la Fondazione Cleveland), si iniziò a porre attenzione alle situazioni sociali più marginali che richiedevano, in risposta, delle attività di solidarietà. Si crearono pertanto associazioni filantropiche che, entrando in contatto - anche grazie alla diffusione dei mezzi di informazione - con realtà di disagio economico, sociale, sanitario, si ponevano l’obiettivo di provare a rispondere alle necessità spesso primarie di gruppi di soggetti. Infatti gli Stati, e soprattutto quelli basati su un approccio privatistico delle attività economiche, non volevano e non sapevano rispondere alle esigenze dei meno fortunati, così come non erano sensibili alle difficoltà che incontravano i Paesi più arretrati. Quindi queste associazioni, attraverso una politica di solidarietà ed anche di volontariato, cercavano di risollevare le sorti dei più deboli presenti sia all’interno della propria nazione, sia nei Paesi esteri.
Negli anni successivi il fenomeno dell’associazionismo senza scopo di lucro ha visto una rapida crescita e quindi anche gli Stati si sono visti costretti ad interessarsi a queste organizzazioni cercando di darne una chiave di lettura sia giuridica sia fiscale. In tale ultimo ambito, in ragione delle attività meritorie svolte e degli obiettivi etici perseguiti, questi enti, anche definiti enti del terzo settore (ETS), spesso godono di agevolazioni ed esenzioni fiscali o comunque di regimi tributari speciali più leggeri. Nascono così gli ETS - la cui definizione è fornita dalla riforma delle associazioni senza scopo di lucro contenuta nel decreto legislativo n. 117 del 2017 - che si pongono come un qualcosa di altro tra la sfera dello Stato e delle pubblica amministrazione (primo settore) e l’ambito del mercato e delle imprese (individuato come secondo settore). Quindi l’ordimento si arricchisce con un terzo settore formato da enti con finalità benefiche, civiche e di utilità sociale - i cui campi d’azione vanno dalla cura socio sanitaria, all’istruzione, alla formazione, all’aiuto di migranti, all’inserimento economico produttivo di persone con disabilità, vicinanza alle persone fragili e deboli - che, giocoforza, confliggono con l’impostazione classica delle entità a scopo di lucro. Anzi la loro attività è ricondotta al principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione e ne viene incoraggiata l’istituzione. Per le importanti funzioni sociali ed economiche svolte, anche gli ETS, come qualunque realtà associativa, hanno bisogno sia per motivi civilistici sia fiscali di avere un momento di rendicontazione (presentando il bilancio sociale) per fornire informazioni quali-quantitative utilizzabili sia all’interno dell’ente stesso, sia per tutti coloro che presentano degli interessi (c.d. stakeholders) con le finalità di non disperdere risorse e di valutare costantemente la gestione e le strategie migliorandone eventualmente piani e programmi.
È così che, molto rapidamente, si arriva al 12 settembre 2019 giorno in cui in Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 23 luglio 2019, contenente le linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale (VIS) delle attività svolte dagli ETS. In particolare vengono individuati una serie di indicatori (report) per valutare l’opera svolta dagli enti no profit, finalizzata al raggiungimento di obiettivi sociali preordinati e valutati nel breve, medio e lungo periodo: pertanto gli indici di natura quali-quantitativa, sono stati creati per cercare di rappresentare oggettivamente e misurare le attività svolte, la programmazione futura e gli obiettivi raggiunti. Tali indicatori andranno applicati sulle risultanze dei bilanci sociali e messi a disposizione di tutti i soggetti interessati alla gestione degli ETS, i c.d. stakeholders.Questi ultimi sono individuabili tra: finanziatori e donatori (cioè coloro che intendono condividere e raggiungere gli obiettivi attraverso le erogazioni finanziarie liberali); i diretti beneficiari degli interventi (che hanno interesse a comprendere la qualità dell’attività svolta ed il miglioramento sociale raggiunto); i lavoratori, i collaboratori ed i volontari (che prendono consapevolezza del loro operato); i cittadini (che hanno un interesse a comprendere le ricadute sociali delle risorse impiegate in enti benefici); i soggetti pubblici (che hanno l’obbligo di fornire tutte le informazioni circa l’utilizzo delle risorse pubbliche destinate agli ETS beneficiari di eventuali finanziamenti). In termini più tecnici il decreto si esprime nel senso di sottolineare che il sistema di valutazione dell’impatto sociale, implementato in via sperimentale, ha come scopo quello di far emergere e conoscere il valore aggiunto prodotto dagli ETS, la sostenibilità della loro azione individuandone eventuali punti di forza o di debolezza, nonché le modifiche apportate nel contesto collettivo di riferimento dalle politiche sociali.
Un ulteriore aspetto che beneficerà dalla trasparenza derivante del processo di valutazione dell’attività svolta, attraverso gli indicatori di impatto sociale, è rappresentato dalla possibilità che tali enti possano accedere a bandi e finanziamenti pubblici. Pertanto l’obiettivo concreto è quello di poter fornire dati ed informazioni che siano i più oggettivi possibili visto che le attività svolte dagli ETS esulano da approcci di natura strettamente efficientista (valutabili in estrema sintesi con il profitto che nasce dal confronto tra costi e ricavi di periodo) e sono invece indirizzate verso obiettivi di natura qualitativa e pertanto di efficacia (dove conta il raggiungimento di obiettivi di natura sociale, sanitaria, scolastica, ecc) che difficilmente sono rappresentabili in termini di costi e ricavi, e movimenti di attività e passività, di natura esclusivamente economico-finanziaria. Per ora tale valutazione non è però considerata obbligatoria in quanto, come detto, il sistema è implementato in via sperimentale; tuttavia l’utilizzo della VIS, rendendo trasparente l’operato degli ETS, permetterà agli eventuali finanziatori ed agli stakeholders in generale di partecipare con più cognizione e condivisione al raggiungimento degli obiettivi che si pone l’ente, nonché, come già detto, di poter partecipare a bandi di affidamento di servizi di interesse generale emanati da enti locali ed amministrazioni pubbliche in generale. Pur nella sua caratteristica di utilizzo facoltativo, la VIS viene inquadrata all’interno di linee guida, espresse dal decreto stesso, che ne indicano principi e contenuti minimi lasciando quindi un elevato grado di autonomia agli enti che vogliano utilizzarla; in particolare i principi a cui la VIS deve ispirarsi sono: la rilevanza, secondo la quale le informazioni fornite devono essere capaci di dare evidenza degli effettivi obiettivi posti; l’intenzionalità, secondo la quale i dati forniti devono avere un contenuto concreto e funzionale alla programmazione decisa; affidabilità, in ragione della quale le informazioni devono essere precise, veritiere, non di parte e con indicazione delle specifiche fonti di provenienza; misurabilità, secondo cui i parametri quantitativi applicabili ad alcuni aspetti devono essere verificabili e permettere di comporre indici ed indicatori valutabili nel tempo (breve, medio e lungo periodo) e nello spazio (comparabilità con realtà analoghe).
L’obiettivo che il legislatore si è posto è quello di poter valutare all’interno ed all’esterno l’operato degli ETS con la speranza di rendere sempre più efficace e sostenibile l’azione da essi svolta garantendo risultati che evitino di disperdere risorse e cercando di integrare ed inserire nelle comunità gli emarginati, gli esclusi e tutti coloro che per i più disparati motivi si trovano nelle zone più periferiche e deboli delle nostre società e delle nostre esistenze.