FAO: COLDIRETTI, DA ACETO DI BANANA A GIN DI ALGHE, A ROMA LA BIODIVERSITA’ DEI MERCATI CONTADINI MONDIALI
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comunicato stampa
Coldiretti autorizza la libera e gratuita pubblicazione della foto: "I prodotti della biodiversità dai cinque continenti all'assemblea mondiale dei mercati contadini della World farmers market coalition con la Coldiretti a Roma"
12 luglio 2024
BIODIVERSITA’: COLDIRETTI, CONTADINI DI TUTTO IL MONDO A ROMA, DAI MERCATI UN NUOVO MODELLO DI CIBO SOSTENIBILE
Venerdì e sabato assemblea della World Farmers Markets Coalition alla presenza dei ministri Tajani e Lollobrigida
Con oltre 70 associazioni rappresentative da 60 paesi, 20.000 mercati coinvolti, 200.000 famiglie agricole e oltre 300 milioni di consumatori, la World Farmers Markets Coalition apre la sua assemblea che per due giorni si e' tenuta all’interno del mercato di Campagna Amica del Circo Massimo a Roma alla presenza, tra gli altri, del ministro degli esteri Antonio Tajani, del ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida (presente nella mattinata di sabato), del sindaco di Roma Roberto Gualtieri oltre che del Presidente di Coldiretti Ettore Prandini e del Segretario Generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo.
Nata nel 2021 su impulso di Coldiretti e Campagna Amica, la WorldFMC è un'organizzazione non-profit che fa parte dei dieci progetti selezionati nell'ambito del Programma Food Coalition della Food and Agriculture Organization (Fao). In poco tempo è diventata un punto di riferimento sulle tematiche internazionali del cibo locale, anche grazie all’esperienza italiana dei mercati contadini, con la rete di Campagna Amica che si propone oggi come modello a livello mondiale per aiutare le economie dei Paesi più poveri, a sviluppare filiere alimentari “dal basso” per difendere la democraticità del cibo e riappropriarsi dei processi decisionali a vantaggio della collettività. Un esempio è il MAMi (Mediterranean African Markets Initiative), finanziato dal ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale e svolto dal Ciheam Bari con la collaborazione della World Farmers Markets Coalition e Campagna Amica, che prevede la creazione di una rete di mercati in Tunisia, Egitto, Kenya, Libano e Albania.
Mentre le catene globali controllate dalle multinazionali, che spingono i cibi ultraprocessati, sfruttano territori e risorse, la maggior parte dell'umanità è nutrita da filiere alimentari di prossimità.
Uno studio di IPES-Food, intitolato "Food from somewhere: building food security and resilience through territorial markets", rivela che oltre il 70% della popolazione mondiale è alimentata da piccoli produttori e reti di agricoltori, che utilizzano meno di un terzo delle terre agricole e delle risorse globali.
Per questo, agricoltori da tutto il mondo, istituzioni, tecnici ed esperti nel campo dell'agricoltura e dello sviluppo comunitario, condivideranno esperienze all'interno di una comunità globale di pratiche dei mercati agricoli.
Rappresentanti di oltre 30 paesi e regioni diverse, tra cui Bangladesh, Brasile, Canada, Stati Uniti, Uganda, Vietnam, solo per citarne alcuni, uniranno le forze per supportare lo sviluppo di sistemi alimentari locali sostenibili. Questo incontro mira a colmare il divario tra le aree rurali e urbane, potenziando le economie locali, migliorando la sanità pubblica e promuovendo la biodiversità attraverso partenariati nei mercati agricoli.
Il valore del cibo di prossimità. Secondo un’analisi Coldiretti su dati Fao, gli agricoltori di piccola scala e a conduzione familiare producono l’80% dell’approvvigionamento alimentare nell’Africa sub-sahariana e Asia. In media, con il fabbisogno alimentare delle città viene fornito principalmente da un’agricoltura attiva nel raggio di 500 km. Per fare qualche esempio, che avvalora tale dato, metà della frutta e della verdura consumata in Messico è venduta nei mercati, 30 milioni di italiani acquistano direttamente dagli agricoltori, e negli ultimi tempi i mercati contadini sono quadruplicati sia in Italia che negli Stati Uniti.
La situazione in Italia. In Italia, negli ultimi cento anni, si è perso il 75% delle varietà di frutti secondo l’allarme lanciato dalla Fao. Coldiretti ha invertito la rotta, salvando 418 cibi antichi grazie ai mercati degli agricoltori e alle fattorie di Campagna Amica. Con 5.547 prodotti alimentari tradizionali censiti, 320 specialità Dop/Igp e 526 vini Dop/Igp, l'Italia è leader mondiale in biodiversità alimentare. Italia che è anche leader in Europa con quasi 80mila operatori nel biologico. Sul territorio nazionale – spiega Coldiretti – oggi ci sono 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi e 533 varietà di olive contro le 70 spagnole.
L’ECONOMIA COME STRUMENTO DEL POTERE
di Alessandra Di Giovambattista
Per mettere a fuoco solo pochi aspetti di questo complesso tema, che intendo accennare senza alcuna pretesa di esaustività o di verità in quanto argomento a dire il vero molto spinoso, vorrei partire da un’affermazione del filosofo Bertrand Russel le cui osservazioni risultano un po’ datate, ma ciò è ovviamente dovuto al momento storico in cui è vissuto (contemporaneo delle ideologie totalitariste nazi fasciste e comuniste da cui prende le debite distanze); ognuno è figlio dei propri tempi! Egli affermava, dopo un’analisi delle diverse forme di potere che possono riscontrarsi in una collettività, che lo studio dell’economia come scienza separata dalla realtà rischia di fornire un’analisi irrealistica e fuorviante se presa come guida per l’attuazione di ricette applicative e formule pratiche; essa in verità è solo un elemento, sicuramente molto importante, di uno studio molto più ampio che deve ricondursi alla scienza del potere.
In questo contesto, come esempio chiarificatore, vorrei richiamarmi ad una delle teorie di un grande economista italiano, il Prof. Paolo Sylos Labini - più volte candidato al premio Nobel - che fu peraltro il mio Professore di economia politica alla Facoltà di Scienze Statistiche ed Economiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. Per giustizia ed onestà intellettuale devo tributargli la mia grande ammirazione e gratitudine, prima di tutto come uomo, per la sua disponibilità ed accoglienza che sapeva donare a chiunque, (dagli studenti ai massimi accademici di tutto il mondo), e come professore, per la chiarezza e semplicità con cui ha saputo introdurmi in un mondo sicuramente non facile da conoscere, con le sue infinite regole, teorie e modelli (non tutti peraltro condivisibili ed applicabili), fornendo pochi ma fondamentali principi. Ecco da lui voglio partire per sottolineare come l’economia sia solo un elemento di un contesto molto più ampio - dove si gioca la voglia di potere dell’uomo che se non ben calibrata rischia di diventare una forma insaziabile di cannibalismo, dove l’uomo diventa lupo all’uomo – e dove occorre prima di tutto osservare con attenzione la realtà per non cadere nella costruzione di teorie vacue, che alcune volte forniscono semplici o complessi modelli matematici inapplicabili e non verificabili e che si traducono in esercizi didattici che, se ben foraggiati ed incentivati dai centri di potere, possono rappresentare delle pseudo-teorie da far seguire per raggiungere invece dei preordinati e nebulosi obiettivi.
Il prof. Sylos Labini ha fornito una teoria nuova per interpretare l’oligopolio. In particolare gli approcci delle teorie tradizionali partivano dall’assunto secondo il quale l’analisi dei mercati vedeva come modello base, a cui doveva convergere tutto il sistema, quello della concorrenza perfetta, dove non esistono barriere all’entrata ed all’uscita, c’è libero movimento di capitali e dove i prezzi si formano dall’incontro tra domanda ed offerta di beni e servizi. Il professore formulò la sua nuova teoria, studiando in particolare il mercato petrolifero - caratterizzato da un elevato rapporto tra costi fissi e costi variabili che determina una dimensione ottimale degli impianti - dove gli ostacoli alla concorrenza provengono da fattori diversi rispetto alla sola segmentazione del mercato (suddivisione dei consumatori in gruppi omogenei in ragione dei propri desideri e bisogni), su cui si era concentrata l’attenzione dei teorici della concorrenza imperfetta.
La forma di oligopolio concentrato analizzata da Sylos Labini nasce proprio dall’osservazione generalizzata della presenza di barriere all’entrata (che, ad esempio, nel mercato petrolifero si esprimono con un elevato costo degli impianti, quindi con un’elevata e perfezionata tecnologia e conseguente ingente investimento di capitali) che escludono la libera concorrenza perfetta. In tal modo la teoria dell’oligopolio diviene una teoria generale delle forme di mercato dove concorrenza e monopolio sono invece due situazioni estreme; la prima è priva di barriere all’entrata, la seconda presenta barriere all’entrata insormontabili. Pertanto dall’osservazione sul campo arriva a determinare la teoria delle forme di mercato dove diviene necessario studiare natura dei fattori e valori che influiscono sulla dimensione ottimale di impresa e che permettono di superare le barriere all’entrata, che pur esistendo sono superabili pagandone un determinato costo, anche se elevato. Quindi sarà la dimensione degli impianti, più in generale la tecnologia, che provoca la difficoltà di entrata da parte dei concorrenti i quali dovranno approntare grandi e più efficienti impianti per cercare di conquistare fette di mercato in quanto il loro ingresso produrrà un sensibile aumento dell’offerta con caduta verso il basso dei prezzi. Si sottolinea, per completezza, che la teoria definisce le barriere all’entrata che dipendono: dall’ampiezza del mercato (che può fornire un’idea del potenziale assorbimento dei prodotti), dalla dimensione degli impianti tecnologicamente efficienti (che fornisce una misura degli investimenti iniziali, ma anche del costo dell’innovazione e della loro sostituzione), dall’elasticità della domanda (che indica di quanto potrebbe scendere il prezzo per effetto dell’incremento della produzione) e dal tasso di crescita del mercato (che permette di ipotizzare la durata nel tempo della flessione dei prezzi fino al ritorno alla loro stabilità iniziale).
Ciò offre una visione dinamica della teoria dove le forze in gioco sono legate al potere degli oligopolisti di voler tener fuori potenziali concorrenti; infatti sempre secondo Sylos Labini le imprese già presenti sul mercato non adottano un comportamento “accomodante” di fronte all’ingresso di nuovi concorrenti, per evitare di dover diminuire il prezzo dei beni, perdere fette di mercato e ridurre il margine di profitto (c.d mark-up) o garantirne il livello raggiunto attraverso una maggiore efficienza della tecnologia o una diversa distribuzione del reddito (diviso tra i differenti fattori della produzione: salari, stipendi, profitti). Questa impostazione non accomodante da parte degli oligopolisti di fronte a possibili nuovi concorrenti non è altro che il frutto delle osservazioni della realtà. Se invece il problema si fosse voluto risolvere teoricamente, non partendo dall’osservazione dei fatti, ma basandosi sul dilemma delle scelte secondo lo strumento della teoria dei giochi (molto usata per le scelte di convenienza nel mercato oligopolista), la convenienza si sarebbe trovata nel comportamento accomodante (quindi la soluzione sarebbe stata l’opposta rispetto all’osservazione della realtà), dove con la riduzione delle quantità prodotte, derivante da un accordo tra produttori, si sarebbe potuto mantenere inalterato il prezzo e quindi anche il mark-up(in questo caso sarebbe stato risolto il dilemma secondo l’enunciato dell’economista John Nash per cui il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo, secondo la teoria delle dinamiche dominanti). Lo stesso Sylos Labini ha evidenziato che le sue conclusioni sulle scelte degli oligopolisti nascono da un’osservazione del comportamento usuale degli imprenditori che non conoscendo il numero delle possibili mosse dei loro competitori non possono applicare con sicurezza la teoria dei giochi, pertanto la strategia migliore sarà l’intransigenza nello scontro concorrenziale.
L’esempio dello studio del mercato oligopolistico permette di fornire delle riflessioni sull’economia come strumento di potere; intanto la prima osservazione che possiamo fare è quella secondo cui è necessario studiare i fenomeni economici calati nella realtà socio politica in cui essi si presentano; l’applicazione di teorie spesso complesse rischia di fornire un’analisi irreale e fuorviante del problema (così come si è espresso Bertrand Russel) ed anzi può complicarne la soluzione. La riflessione è: che tali complicazioni siano espressione di potere, volute in modo da rendere i problemi più complessi e nebulosi a vantaggio di scelte e soluzioni a favore di pochi interessati soggetti?
La seconda osservazione, molto più complessa ci induce a ritenere che barriere all’entrata, anche non ti tipo squisitamente economico, in un mercato possono essere create ad arte da parte del potere dominante per tenere fuori possibili concorrenti e raggiungere scopi anche non economici. Si pensi proprio al potere che hanno guadagnato i colossi delle multinazionali petrolifere ed ai modi che utilizzano per tener fuori i potenziali competitor (in tale contesto ritorna in mente il caso mai definitivamente risolto della morte del nostro indimenticabile connazionale Enrico Mattei). Oppure più semplicemente le difficoltà di entrata su mercati che richiedono sempre più tecnologia specializzata; si pensi a tutto il mondo della produzione attraverso la robotica che ovviamente fa gioco alle grandi potenze che detengono ingenti capitali e che alzano barriere all’entrata insormontabili. Quale sarà il produttore, anche il più innovativo e fantasioso, o quello presente in mercati in via di sviluppo, che potrà competere con economie che hanno grande liquidità e che manovrano anche il credito e tutto il mercato finanziario, attraverso gli istituti bancari e le varie società di investimento?
Ormai il potere converge sempre più verso forme di governo monocratico e l’economia, che ne è solo uno strumento, segue lo schema; la globalizzazione porta a modelli aziendali pachidermici, dove chi lavora è solo un numero e dove la domanda di lavoro è sempre più concentrata in mano a pochi grandi soggetti imprenditoriali. Il potere è espressione anche di dominio sulle materie prime, sui consumi, sulle scelte, sulle tipologie di produzione, sulle libertà dei singoli e degli Stati più deboli dove non ci sarà più posto per produzioni artigianali e non sarà possibile una crescita ed uno sviluppo a misura d’uomo. Il fenomeno delle aziende innovative, c.d. start up, è figlio di questa impostazione: si cercano idee nuove, si attirano giovani con idee brillanti, si finanzia la loro attività che, se avrà successo, verrà inglobata nel buco nero dei grandi colossi e ai giovani imprenditori verrà liquidata una cospicua somma di denaro. Questi ultimi si sentiranno appagati e usciranno dal mercato risolvendo così due problemi alle multinazionali: eliminazione della concorrenza e utilizzo delle nuove produzioni a proprio esclusivo interesse senza aver subito il rischio dell’insuccesso e aver traslato il costo dell’innovazione e della ricerca su soggetti giovani che, nei più frequenti casi di idee produttive non interessanti e non vincenti, avranno disperso le proprie risorse finanziarie e si troveranno con esposizioni debitorie critiche che alcune volte rischiano di coinvolgere l’economia dell’intera famiglia di origine. E fin qui si sono tratteggiati in modo sintetico solo i danni economico-finanziari volendo sorvolare le più complesse difficoltà psicologiche e sociali che sono capaci di innescare questi processi a dir poco disumani.
L’idea di una società meritocratica basata sulle capacità e l’impegno dei singoli rischia di soffocare sotto il peso di organizzazioni di reti di potere (gestioni politiche, finanziarie, affaristiche) spesso anche non legali (organizzazioni malavitose, cordate familiari), dove il punto di partenza per i giovani in cerca di realizzazione non è lo stesso per ognuno di essi ma è assoggettato a condizioni di nascita, di sesso, di etnia, di ricchezza, di conoscenze familiari.
La presenza poi di incroci azionari e di interconnessioni a livello di dirigenza aziendale (c.d. interlocking directorates) - che si creano più facilmente in aziende di grandi dimensioni, e che si sostanziano in subdoli legami aziendali attraverso la scelta di un soggetto di vertice che si trova a rivestire più incarichi in più imprese - mina i principi base della trasparenza del mercato ed apre a scenari di collusione tra aziende che solo all’apparenza si presentano concorrenti ma che in realtà sono assoggettate ad un unico centro di potere, spesso ben celato, che le controlla con la connivenza di vertici molto ubbidienti e ben pagati!
Medio Oriente in crisi: Israele e Palestina quali prospettive.
Il giorno di mercoledì 3 luglio u.s.. si è tenuto un dibattito molto interessante per la Fondazione Paolo Ducci Ferraro di Castiglione: Medio Oriente in crisi. Israele e Palestrina quali prospettive?
L’evento ha avuto luogo nella splendida cornice, della Sala della Promoteca, in piazza del Campidoglio, da cui si accede, dalla scalinata del Vignola.
Il Presidente della Fondazione Ducci, Paolo Ducci Ferraro di Castiglione con questo evento sottolinea il contributo degli oratori presenti in Sala per discutere delle prospettive di Israele e Palestina, in guerra
Roberto Gualtieri, Sindaco di Roma Capitale, ringrazia Il Presidente Paolo Ducci, saluta ed introduce al dibattito i relatori della conferenza: l’Onorevole Mustafa’ Barghouti, Presidente dell’iniziativa Nazionale Palestinese, l’Onorevole Shlomo Ben Ami ex ministro degli Esteri di Israele, Amb. Ferdinando Nelli Feroci Presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia della Vita,
Lucio Caracciolo Direttore della Rivista Limes, Presidente del Consiglio Scientifico della fondazione Ducci, insieme a Alan Friedman, giornalista, economista, Presidente onorario della fondazione Ducci, saranno i moderatori.
Il conflitto Israelo-Palestinese è molto complesso, ha origini remotissime.
Nasce da una questione apparentemente non difficile, da comprendere.
Due popolazioni rivendicano lo stesso territorio, accade una espulsione di insediamenti territoriali che viene ad allocarsi in un’area, oltre i confini delle due zone ed estende in questo modo il conflitto.
Si verifica una guerra, ed è indecifrabile. Sono stati versati fiumi di inchiostro ed innumerevoli ed autorevoli voci si sono elevate senza nessun ascolto.
Nessuno dei due combattenti è disposto a cedere.
Al momento non c’è una intermediazione di un processo di pace, qualsiasi offerta è stata rigettata.
Nessuno sa cosa ci sarà nel futuro prossimo.
Interessante dibattito tra i due Onorevoli, ai quali si aggiungeranno tutti gli altri interventi fino la conclusione dell’evento.
Paolo Ducci, presidente dell’omonima Fondazione ringrazia i relatori intervenuti, per i contributi dati e per i motivi di interesse all’incontro culturale per l’attuale crisi in Medio-Oriente, rivolti in questa occasione al numeroso pubblico presente, nella Sala della Promoteca del Campidoglio.
Dopo questo primo evento seguiranno altri contributi in argomento da parte dei relatori, per le prospettive di Israele e Palestina.
Israele ha una moltitudine di aree protette, bellezze naturali, tanti luoghi belli di interesse, con culture incredibilmente diverse. La Palestina ricca di storia di bellezze naturali ed artistiche uniche. Terre legate all’agricoltura.
E’ atteso il dialogo tra i due interlocutori, con i negoziati, a condizioni di reciproco rispetto, in armonia con i principi di buon governo e di amicizia tra i popoli
A cura di Claudia Polveroni Apn publisher per African People, rivista Silkstreet
LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI NEL MONDO
di Alessandra Di Giovambattista
Oggi si fa un gran dire di libertà e tutela dei diritti umani e tra questi, in tutte le Costituzioni dei paesi c.d. democratici, è protetto il diritto di libertà di professare la propria religione. Questa è forse una delle forme di espressione di indipendenza più importanti e così intima per la quale l’uomo dovrebbe esigere la tutela più completa e senza alcuna riserva o rinuncia.
Tuttavia si assiste a ben altri scenari: tra le religioni più perseguitate al mondo troviamo quella cristiana. Per assurdo è la religione basata sull’amore verso il prossimo e su una speranza di vita ultraterrena, eterna, che però ha sempre incontrato l’ostilità del mondo esterno. Sin dall’inizio le prime comunità cristiane, secondo quanto dichiarato negli scritti del Nuovo Testamento (i Vangeli e gli Atti degli Apostoli), hanno subito atti persecutori in principio da parte degli ebrei; ricordiamo infatti che furono le autorità ebraiche di Gerusalemme a tentare con tutti i mezzi di ostacolare la divulgazione e la predicazione del Vangelo, cioè della nuova e promettente notizia. Uno dei più grandi apostoli del Cristianesimo, Paolo di Tarso, era egli stesso, all’inizio, un membro della setta ebraica dei Farisei e come tale un fervente ed accanito persecutore della nuova Chiesa di Gesù Cristo. Le persecuzioni da parte degli ebrei sono testimoniate anche dallo storico Flavio Giuseppe in occasione della morte per lapidazione, decretata dal Sinedrio per mezzo del sommo sacerdote ebreo Anone, di San Giacomo il Maggiore.
Successivamente, intorno all’anno 64 d.c. iniziarono le persecuzioni più crude e violente da parte dell’impero romano, nella persona di Nerone - la cui testimonianza viene resa anche dallo storico e politico Tacito - che accusò i cristiani di aver appiccato l’incendio che distrusse gran parte della città di Roma. Secondo la tradizione storica i più importanti apostoli, S. Pietro e S. Paolo, trovarono la morte nella città eterna durante queste prime persecuzioni. Nel 112 iniziarono le persecuzioni da parte di Traiano e nel 250 da parte di Decio ma, sicuramente la più cruenta fu quella organizzata da Diocleziano. Con lui si verifica l’ultima sopraffazione dei cristiani che per la sua crudezza e violenza fu definita la grande persecuzione. La motivazione di questi secoli di oppressione va ricercata nella caratteristica di religione monoteista che contrastava con quella politeista della religione romana ufficiale, di cui l’imperatore era il garante, nonché nei suoi principi di base che la riconducevano più ad una devozione irrazionale, quasi magica, che l’impero intendeva contrastare fortemente, così come testimoniano gli scritti di Plinio il Giovane.
Oggi, a distanza di millenni, l’organizzazione non governativa Porte Aperte ONG (Open Doors) che aiuta e supporta i cristiani perseguitati a causa della loro fede, registra un peggioramento delle condizioni dei cristiani nel mondo a ragione del loro credo. Il triste primato spetta alla Corea del Nord, ma il più alto numero di omicidi e rapimenti si registra in Nigeria, mentre in India si procede al più alto numero di arresti. Nel suo rapporto annuale, la World Watch List 2024, i dati - presentati alla Camera dei Deputati e studiati da circa quattromila persone tra esperti e ricercatori che prendono in esame le “Chiese storiche” - parlano chiaro: sono oltre 365 milioni i cristiani nel modo che subiscono un alto livello di persecuzione a causa della religione professata. In particolare il fenomeno nella sua complessità riguarda circa il 14%, ma in Africa si sale al 20% ed in Asia a circa il 40%. Il periodo analizzato va dall’ottobre 2022 al settembre 2023 e da esso emerge il più alto tasso di persecuzione, peraltro in costante crescita, da quando 31 anni fa si iniziò l’analisi e lo studio del fenomeno da parte dell’organizzazione Open Doors che redige annualmente il report.
In valori assoluti l’aumento dei cristiani perseguitati, rispetto agli anni precedenti, si attesta su 5 milioni di soggetti per i quali la vita privata, familiare, politica, religiosa e sociale, analizzata attraverso specifici indicatori, è nettamente peggiorata, così come è peggiorato l’indicatore di violenza verso i cristiani.
In questa triste lista, la Corea del Nord è il paese in cui la persecuzione viene definita a livello estremo, e sin dal 2002 in questa nazione è praticamente impossibile professare la fede cristiana; seguono la Somalia, la Libia, l’Eritrea e lo Yemen dove i cristiani presenti se scoperti, in quanto professano nel segreto il proprio culto, rischiano la pena capitale.
Il secondo paese dove più cruenta è la persecuzione è la Nigeria dove i cristiani subiscono violenze da parte dei gruppi jihadisti; questi sono gruppi di terroristi di matrice islamista che utilizzano metodi violenti ed omicidi per imporre l’islamismo radicale. Il numero di cristiani uccisi in questa nazione, nell’anno analizzato nella ricerca, è di 4.118 cristiani rispetto ad un totale mondiale di 4.998 unità, pari quindi a circa l’82,4% del totale di vittime. Da sottolineare che il numero delle vittime cristiane è però diminuito rispetto al precedente anno in cui furono uccisi 5.621 fedeli; tuttavia secondo degli approfondimenti svolti dalla citata Porte Aperte ONG il calo si è riscontrato nel periodo antecedente le elezioni in Nigeria; in quel periodo le uccisioni si sono fermate per poi riprendere dopo il voto. In questo Paese è alto anche il numero dei rapimenti; tuttavia in tutta la fascia sub Sahariana se ne registrano numerosi a causa della presenza dei gruppi terroristi islamisti.
Segue il Pakistan che rappresenta un luogo dove i cristiani subiscono violenze, così come il Sudan e l’Iran; l’Afghanistan ha diminuito le persecuzioni poiché in gran parte i fedeli cristiani sono fuggiti e quindi è sfumata l’attenzione dei terroristi verso di loro.
Sul versante della numerosità dei cristiani arrestati a causa del proprio credo il primato spetta all’India, con un numero pari a 2.332 su un totale di 4.125 (con una percentuale pari a circa il 56,5%) seguita dall’Eritrea con 400 arresti, Cuba con 75 arresti ed il Nicaragua con 60 arresti. Quest’ultimo ha incrementato le azioni di limitazione di vita dei cristiani, attraverso l’aumento degli arresti, da quando governa Ortega. Si annoverano anche la Siria e l’Arabia Saudita tra i Paesi in cui la persecuzione ha raggiunto livelli estremi e si esprime attraverso la privazione della libertà.
Tuttavia le forme di violenza si riscontrano non solo nei confronti delle persone ma anche nei confronti dei luoghi di culto; sono stati infatti circa 15.000 gli attacchi e le profanazioni di Chiese ed aumentano le violenze personali ai ministri di culto, alle persone ed alle attività economiche. Inoltre la persecuzione può assumere molte forme, dai brutali attacchi compiuti dai già citati terroristi ed estremisti islamici ma anche dai regimi comunisti (e non mancano atti di violenza anche da parte dei seguaci dell’induismo e del buddismo), alle minacce, alle estorsioni, ai rapimenti, alle conversioni forzate, ai ricatti basati sulla negazione dei diritti e la limitazione delle libertà, ai linciaggi.
Sulla base di queste informazioni, veritiere in quanto provenienti dai vescovi e dai ministri di culto che operano ogni giorno in quei territori pericolosi, potremmo provare ad imbastire delle riflessioni. Sempre secondo i citati reports annuali presentati dalla citata ONG, i fedeli cristiani sono in netto calo in tutti i Paesi del vicino e medio oriente, ma in particolare sono in via di sparizione in Iraq. Quindi una prima conseguenza che si può rilevare è l’ondata migratoria di questi fedeli verso Paesi dove è professata la religione cristiana. Inoltre nei paesi intransigenti ed estremisti la conversione al cristianesimo da religioni diverse, principalmente quella musulmana, viene identificata come crimine di apostasia per il quale è prevista la pena di morte.
Il silenzio di tutto il mondo - ed in particolare dell’Unione Europea dove addirittura nel 2015 nella città di Göteborg in Svezia, dove è forte il reclutamento Jihadista, case e negozi dei cristiani sono state segnate con la lettera “N” di Nazareno, così come fatto anche dall’Isis e imbrattate con frasi come “convertitevi o morirete” - di fronte a tutta questa violenza gratuita è sconcertante. La religione che porta avanti la condivisione, l’amore, l’accoglienza, la fratellanza viene emarginata e diviene oggetto di offese e violenze; la conseguenza immediata ci porta a vedere che il pensiero che si sta diffondendo è quello che si traduce in una espressione di intolleranza verso l’atteggiamento pacifico in quanto si vuole infiammare il mondo con la violenza e la guerra. Questo potrebbe essere il gioco dei potenti mercanti di armi ma anche di chi vuole instaurare regimi politici di terrore e dittatoriali dove la libertà di scelta e di pensiero, capisaldi del cristianesimo, sono destabilizzanti e contrari al pensiero unico.
Tutte le forme di violenza verso l’uomo sono allora consentite per raggiungere scopi immorali e per instaurare un clima di terrore dove poter governare indisturbati, complice anche il relativismo imperante dove tutti possono fare tutto in ragione di una non ben definita e accettabile libertà di pensiero e di azione, dove il bene non esiste più e quindi neanche il suo contrario in quanto l’uomo è il dominatore dell’universo ed il suo agire libero di fare qualunque cosa, anche di compiere qualsiasi atrocità.
Ma mi domando: di quale uomo si sta parlando? Quello della rivoluzione francese, quello del fascismo e del nazismo, quello dei regimi comunisti, quello dei governi islamici, quello che ha dato ordine di sganciare la bomba atomica? Questi sono i modelli che finora è stato capace di produrre l’uomo che nel corso di tutta la storia ha seminato odio e terrore e se non fosse stato per i valori cristiani di amore e non violenza che hanno dato il fondamento alla cultura europea - che pur nelle situazioni altalenanti di bene e di male ha saputo far pendere la bilancia verso il bene, almeno se confrontata con le attuali situazioni di estrema violenza a cui assistiamo oggi – forse il nostro pianeta avrebbe già collassato in una spirale di odio senza ritorno. Vista l’indifferenza politica mondiale e della componente giovanile, la continua defezione soprattutto da parte dei paesi di tradizione cristiana come il nostro – ai cui principi dovremmo almeno riconoscere il valore della nostra cultura e della situazione sociale finora guadagnata e che invece sembrano ormai in preda ad una deriva senza alcuna razionale motivazione se non per moda o per sequela di soggetti che mirano alla proprie personali e malvagie ambizioni - ed anche il plauso da parte di alcuni sedicenti intellettuali scientisti, dobbiamo pensare di aver imboccato una strada senza ritorno?
La Giornata dell’Oriente
Il 5 giugno alle ore 16 ha inizio la giornata dell’Oriente, organizzata dalla rivista Silkstreetpress, molti gli astanti fra il pubblico, nella sala Italia dell’Unar in Roma.
Ad intrattenere gli ospiti, il concerto per piano del maestro Piero Marsili, che ha curato con pezzi liberamente tratti, da temi orientali, le tre sessioni.
Il secondo convegno sull’Oriente, dopo quello recente al Festival dell’Oriente.
Apre l’evento, il professor Bruno Grassetti.
Il professore B. Grassetti è un ingegnere impegnato nei suoi sessant’anni di attività lavorativa, caratterizzata anche da rapporti con la Cina, da parte del Governo italiano.
Il leitmotiv del convegno è una festa: un salotto, ed una palestra.
Salotto accogliente per l’evento culturale e palestra che allena le menti per pensieri, riflessioni e punti critici di un gruppo di studio per appassionati, nessuno escluso per chi vorrà cimentarsi con i propri contributi dai diciotto ai novanta anni, con una componente scientifica, storica e filologica, una fruizione per le nuove e future generazioni.
L’Oriente ricco di tradizioni millenarie, tramandazioni e storia ha un fascino ancora da conoscere e divulgare.
Non tutti sanno che il popolo cinese ha compiuto un allunaggio dall’altra parte della luna, quella che non si vede, in questi ultimi giorni. Un segno della avanguardia tecnologica.
FMI e BM danno alla Cina una posizione di leader, per l’economia a parità di potere di acquisto delle monete degli altri Stati.
Nel 1979 le Nazioni Unite, attraverso la costituzione di un fondo per la Scienza e per la Tecnologia decisero
che la Scienza e la Tecnologia non dovessero essere di solo appannaggio dell’Occidente ed inclusero l’Oriente per le strategie del futuro.
Il Professore Grassetti, ingegnere, ebbe un riconoscimento di un titolo nel 1983 e nell’anno 1984 si recò in Tientsin, ben quaranta anni orsono, nel piccolo territorio dove era anche presente anche l’Italia.
Rimanda questa trattazione ad una prossima volta per illustrare la concessione italiana a Tientsin.
Nel 1984 in questi territori vi erano praterie e il compito del professore si sarebbe dovuto svolgere in un ufficio costruito in una delle praterie.
La Cina competitiva nel campo informatico, tecnologico nella contesa con gli Stati Uniti.
Tecnologia, velocità, vettori influenti per la salute del pianeta che rasenta una crisi sull’orlo dei nervi.
Questo momento attuale comporta una lotta, alla drammatica conduzione della nostra esperienza sulla terra.
Dal pubblico il professor Romeo Ciminiello pone una questione dicendo che: “l’America: inventa e costruisce, la Cina copia a tutto spiano e l’Europa regola.
La Cina appartiene alla sua cultura storica e non sappiamo se anche questa sua ultima vicenda di allunaggio sia frutto di una azione di spionaggio”. L’ingegner Grassetti risponde che: “la Cina al momento non fa niente, studia le mosse dell’avversario. Punta alla zona nevralgica del nemico: il profitto”.
“Gravi sacche di povertà gravano sulla Cina che è ancora in un processo comunista” interviene il dottor Piero Musilli. “Il paese grazie al dollaro e all’euro si è risollevato” replica l’ingegnere.
“Gli Stati Uniti d’America si dice che abbiano un debito globale di più 30.000.000 milioni di dollari e pagano gli interessi alla Cina che se decidessero di non pagare più gli interessi alla Cina, spunterebbe un problema non da poco”. Conclude il dottor Piero Musilli. Dal pubblico c’è un’altra domanda in riferimento all’interruzione dei rapporti della via della seta. La Cina a fronte di questa chiusura avrebbe potuto essere con in mano i crediti dalla America e mettere la stessa in crisi. Interessante confronto dal pubblico di due tesi.
Il professore decide di fermarsi, per una pausa e di dare tempo al tempo, per riflettere sugli argomenti appannaggio programmatico per l’intero anno che verrà.
Prima di lasciarsi in anteprima per il prossimo incontro si discuterà sulla concessione italiana di Tientsin come già detto e della penetrazione della Cina in Africa.
Le note musicale del maestro di piano Piero Marsili ci permettono di resettare le menti, pronti all’ascolto delle prossime relazioni.
Interviene la dottoressa Alessandra DIgiovambattista, presentata dalla giornalista Emanuela Scarponi, autrice tra l’altro di un libro su: “Katmandu la Valle incantata”. Emanuela Scarponi si sofferma per l’interesse e lo studio che suscita l’Oriente, fonte inesauribile dalla quale attingere informazioni, culture usi e costumi.
Alessandra Digiovambattista pone in risalto l’azione pregevole di donne riunite in gruppo, nel Bangladesh con l’intento anche di dar luogo ad un ciclo produttivo economico.
Spicca il nome di Edmund Strother Phelps considerato capostipite dei neo keynesiani. Per la sua comprensione di modelli economici, strettamente legati, al territorio di appartenenza.
Premio Nobel della pace del 2006. Grazie alla sua spiegazione sulle relazioni tra gli effetti a breve e a lungo termine delle politiche economiche. Importante fare un passo indietro in questo momento e recuperare l’immagine di Ernst Friedrich Schumacher, nato in Germania nel 1911.
Schumaker studia in Inghilterra conosce i più importanti economisti. Durante il periodo critico della seconda guerra mondiale fugge dalla Germania e viene relegato in una fattoria in campagna in Inghilterra, lo possiamo considerare padre della green economy. Fautore del pensiero orientale ed inizia ad osservare la natura ed il territorio e come siano determinanti per l’economia. Il problema del vulnus dell’Occidente è: il profitto, con la pubblicazione del suo testo: “Piccolo e bello”, mette in risalto la carenza di rispetto considerazione e condivisione dell’ambiente.
Phelps studia in Occidente e diventa professore ed insegna economia in considerazione della sua formazione e si sente come un interprete sul palcoscenico. Torna sul suo territorio e cerca capire le persone che sono in estrema povertà.
Quarantadue persone cercano di avviare una attività economica, commerciale e non riuscendo a decollare, si rivolgono ai ricchi del paese, accade che si sentono strozzati dagli interessi.
Phelps li finanzia dopo un accordo con la banca riesce a riscattare i suoi clienti, persone povere che a fronte di piccole rate daranno, la restituzione del dovuto.
Phelps fonda una banca e costituisce un gruppo per accoglienza e solidarietà che fà fronte a chi per tempo non riuscirà a restituire la somma che gli era stata dovuta, chi di converso riuscirà a fronteggiare il debito potrà diventare socio bancario per condividere l‘utile. Phelps punta l’indice contro L’Occidente che alimenta la forbice tra ricchi e poveri. L’uomo sembra essere appiattito nelle sue risorse.
Phelps ha analizzato le donne del suo paese più capaci di fare gruppo sono più solidali e sono prudenti non buttano i soldi né al gioco né al vizio dell’alcool, per essere maggiormente autonome ed in condivisione.
Come può accadere che un economista sia stato insignito del premio Nobel in sintesi è: quel particolare senso di attenzione e cura del mondo circostante, della natura, del territorio.
Ciascun modello di appartenenza è di difficilissima esportazione, se funziona da una parte di una area territoriale non è provato che possa funzionare da altre parti.
Rispetto e tradizione degli altri paesi e non si possono impiantare industrie inquinanti e lasciare che i ragazzi siano da noi, per studiare ma fondare Università nei luoghi di provenienza di quei ragazzi che lasciano per forza maggiore la propria terra. Alcuni paesi sono seduti su risorse auree e questo è esempio di scarsa innovazione.
Phelps viene espulso dalla banca e all’inizio del 2024 viene messo in prigione per reato di evasione fiscale e mancanza di osservanza di regole lavorative. L’azienda vive e subisce nell’ambiente lo stesso esperimento che ha funzionato in Oriente in India, in Bangadlesh non è sicuro funzioni in Africa. La conoscenza del territorio è basilare per il controllo sociale, anche a livello di reputazione ognuno controlla se stesso e questo migliora l’economia.
Phelps ha basato il suo modello articolato su diciassette punti ed ha, accuratamente, studiato il fenomeno demografico.
Alessandra DIgiovambattista è stata, In un recente viaggio, in Arabia Saudita il nuovo Principe ha permesso alle ragazze di guidare l’auto, di frequentare l’Università. Con l’intento di restituire alle donne libertà e dignità, sapendo usare una normale diligenza e gradualità.
Segue la dottoressa Emanuela Irace, giornalista, con la sua relazione sui Curdi ha considerato il ruolo dominante, della donna Curda.
“Le radici Ebraiche nel pensiero di Kafka”, scritto da Giovanna Canzano chiude la rassegna del Convegno, per la giornata dell’Oriente del cinque giugno.
Comprendere le problematiche che Giovanna attraversa con il suo testo ci consente una visione più ampia del significato dell’esistenza per, Franz Kafka.
Luisa Gasparri illustra aspetti salienti dell’opera letteraria di F. Kafka analizzando alcuni passi, centro della narrazione.
Il termine kafkiano è un aggettivo che illumina il concetto di cui vogliamo parlare come il felliniano racchiude la comprensione della situazione alla quale, ci vogliamo riferire.
Kafka ha esplorato l’ansia e l’incomunicabilità dell’individuo nella società moderna, tuttavia non si discosta dal concetto di arte e natura. Attinge dalla cultura dell’Europa e dalle antiche radici della sua famiglia di origine ebraica e descrive nelle sue opere, l’epoca di un crollo delle grandi certezze.
Si riferisce all’ebraismo e si riferisce al sionismo. C’è un portato storico, ed è quello che dice parlando della nuova cabala è un qualcosa che abbraccia i caratteri dell’ebraismo.
Anche Thomas Mann scrittore decadente dove con: “Giuseppe e i suoi fratelli” estrapola un modo di riappropriarsi della spiritualità ebraica, senza sfiorare il sionismo.
Kafka non trova conforto nel Cristianesimo, il suo rapporto con l’ebraismo è molto fondato.
Ricordiamo che il rapporto con l’ebraismo è qualcosa di connesso con la cabala che dà luce in una situazione complicata che pervade l’animo umano.
La sua intransigenza ci lascia incredibilmente delusi, passi in cui si elencano una serie di fallimenti e come l’unico elemento salvifico sia: la scrittura, intesa come preghiera.
Lo spirito ebraico è capzioso, Dio: la distanza è incolmabile.
Il ponte del collegamento descritto in un racconto. Il ponte si gira, si rompe, cade e scopre la vulnerabilità innanzi all’inaccessibilità del divino. Non nel dormire, dove è impossibile scegliere Dio in comunione perché si è in stato di sonno.
Dan Larsen, poeta continua a parlarci del libro
Kafka viveva nella magica città di Praga, bagnata dal fiume Moldau.
Città imbibita di arte. Nel quartiere ebraico molti aneddoti, misteri e siti storici: piazza dell’orologio, ponte Carlo, la casa di Kafka. Lo scrittore, un tipo strano, frequentava i bordelli, conosceva i segreti di Praga e apprezzava tra i suoi interessi: gli indiani d’America.
La teoria della metamorfosi, parte interessante del libro.
Come nasce l’idea di organizzare eventi culturali da parte di Giovanna Canzano chiede D. Larsen.
Nel 1983 anniversario del centenario di Kafka, Giovanna ha organizzato un evento e da quel giorno ha tratto l’ispirazione per laurearsi con tesi di discussione con lo stesso titolo, del libro.
Alessandro Denti ci parla di un filosofo e di uno psicanalista, che avevano scritto su Kafka. Dopo che Luisa Gasparri ci ha parlato del mondo ebraico. Forse, si vedono persone che avvertono fastidio per l’elemento ebraico.
Oggi occorre recuperare questo ebraismo anche wallstreet ci rafforza in questo imprinting.
Se parliamo di cabala parliamo della via mistica, l’idea della riconquista del tempo. La Cabala centra molto con libro di Giovanna.
Alessandro Denti con vivace interpretazione trova qualcosa in comune con l’autore, Mordecai G. Langer che scrisse: “Le nove porte. I segreti del chassidismo”.
Il testo ambientato fra le atmosfere della Francia del Nord ed il caldo afoso di Panama, ci consente di addentrarci nel buio e chiaro regno dei chassidim, nucleo di quell’universo disperso.
Dal particolare mondo occluso ed anacronistico delle comunità chassidiche nelle gelide pianure orientali, non si eleverà più un suono.
Termina qui, il convegno della Giornata dell’Oriente del 5 giugno 2024.
A cura di Claudia Polveroni Apn Publisher per African People news, rivista Silkstreet.
LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA, UN MODO PER CONTRASTARE LE DISUGUAGLIANZE
di Alessandra Di Giovambattista
La responsabilità sociale dell’impresa è oggi un approccio sempre più presente all’interno delle modalità di scelta e di gestione delle strategie aziendali. Viene definita nel mondo anglosassone come Corporate Social Responsability (CSR) e si basa sull’impegno da parte delle imprese di scegliere comportamenti etici che siano in grado di contribuire a garantire la sostenibilità dell’azienda nel lungo termine e contestualmente a sviluppare il livello di benessere della società. Infatti da un lato si assiste ad un miglioramento della reputazione dell’impresa, dall’altro alla costruzione di un clima e di un ambiente lavorativo più sostenibile e meno ostile a vantaggio di tutti i portatori di interessi aziendali (i c.d. stakeholders): dai lavoratori, ai fornitori, ai clienti, agli investitori, alla collettività nel suo complesso. La responsabilità sociale d’impresa è la filosofia che muove il nuovo sistema di sviluppo sociale ed ambientale del tessuto imprenditoriale (definito dai parametri relativi all’ambiente, all’impatto sociale e ai principi di governo aziendale, meglio conosciuti come sistema ESG: Environmental, Social e Governance), che permette alle aziende di coniugare obiettivi di massimizzazione del profitto con quelli di rispetto delle esigenze sociali ed ambientali della comunità su cui agisce l’azienda. L’obiettivo principale è la sostenibilità economica che implica non solo il rispetto di condizioni economico-finanziarie, ma soprattutto di standards qualitativi di vita che permettano di garantire performances ambientali, sociali e di governo aziendale alla luce anche degli obiettivi indicati nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite. Quest’ultima è un programma che comprende diversi obiettivi di sviluppo comuni, che quindi riguardano tutti i Paesi, e tra i più impegnativi ricordiamo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico.
Già da queste brevi note si evidenzia l’attenzione di tale approccio alle concrete ricadute delle azioni aziendali sul territorio e sulle persone. In particolare l’analisi va esplicitata: con riferimento all’ambiente, considerato come il territorio in cui l’impresa opera e che deve essere preservato e difeso da azioni di depauperamento incontrollato ed inefficiente delle risorse, dall’inquinamento del terreno e delle falde acquifere – con una particolare attenzione alla gestione del ciclo dei rifiuti e del loro processo di riciclo - dalla deforestazione e dall’inquinamento dell’aria. Con riferimento alle ricadute sociali, intese sia come relazioni tra lavoratori all’interno dell’azienda (nel rispetto dei diritti e dei doveri, della politica retributiva e di garanzia delle singole peculiarità senza disparità di genere e cercando di attuare modalità di inclusione, della sicurezza e della salute degli ambienti lavorativi) e tra tutti gli stakeholders sia come relazioni tra l’azienda e il contesto sociale in cui si trova (rispetto della legislazione vigente in un determinato territorio, delle tradizioni, della cultura, dell’equità e della giustizia sociale, dei diritti umani). Con riferimento alla gestione del governo aziendale, della sua organizzazione dirigenziale e delle strategie che devono essere rispettose della legalità normativa, deontologica ed etica (contrasto della corruzione, delle connivenze di tipo malavitoso, delle pratiche di concorrenza sleale, adeguatezza delle retribuzioni, ecc.), basata comunque sull’analisi continua dei risultati economico-finanziari per garantire il più alto grado di efficacia ed efficienza possibili (alla ricerca delle migliori pratiche e performances in un determinato ambito che vengono comunemente definite come best practises).
Nonostante la bontà dei presupposti, il capitolo sulla responsabilità d’impresa è rimasto finora inattuato dalla gran parte delle aziende; il grande problema in tale ambito lo si può riscontrare nel fatto che l’insieme dei programmi e degli obiettivi, nonché le modalità sul come raggiungerli, sono in realtà criteri e pratiche di tipo volontaristico, per le quali non sono state previste sanzioni qualora non si seguano le indicazioni fornite. Tuttavia la responsabilità d’impresa nasce come un impegno necessario e pressante a cui tutte le aziende non dovrebbero sottrarsi almeno in ragione di un obbligo derivante da un contratto sociale, da una sorta di dovere sia etico sia funzionale che restituisce il giusto peso e la giusta collocazione alle aziende incardinate in un contesto di economia a servizio dell’uomo, che deve veder garantito il diritto al futuro per sé e per le prossime generazioni.
Negli anni passati l’Unione Europea si era limitata a varare dei piani mentre, di recente, il 24 maggio del corrente anno, ha formalmente adottato una direttiva – in attesa di firma e pubblicazione - ultima tappa di un lungo processo decisionale, concernente il dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. In particolare l’atto si rivolge alle aziende di grandi dimensioni a tutela dei diritti umani e di protezione dell’ambiente al fine di arginare gli impatti negativi delle politiche di produzione e prevedere delle forme di responsabilità. L’impegno ed i doveri si estendono non solo all’azienda specifica ma anche alle sue affiliate e comunque ai soggetti inseriti nella rete di attività complessiva. Dovranno pertanto essere implementati sistemi di indicatori (che verifichino i parametri visti sopra e indicati come ESG che sono già contemplati dalla direttiva sulla definizione del sistema di indicatori per verificare la sostenibilità aziendale, cioè la CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive) che monitoreranno, anche attraverso la rendicontazione, l’impatto delle aziende sull’ambiente, sui diritti umani e sugli standard sociali. Questi sistemi di indicatori basati sul controllo delle azioni aziendali, affinché non si peggiori la situazione ambientale esistente, permetteranno di monitorare, prevenire ed eventualmente sanare le violazioni dei diritti umani o i danni ecologici prodotti. Nel caso di trasgressioni le imprese dovranno adottare misure atte a mitigare, arrestare o prevenire impatti negativi e potranno essere ritenute responsabili dei danni causati e conseguentemente chiamate al risarcimento.
In tale ampio contesto, si vuole qui approfondire un aspetto che si reputa basilare per la buona riuscita degli intenti che si desiderano raggiungere con tali direttive; in particolare ci si vuole interrogare su come l’attività d’impresa - agendo sul livello di diseguaglianza tra soggetti, ma anche con riferimento all’ambiente in termini di utilizzo di risorse e ricadute negative – possa, se ben manovrata, contrastare le disparità. In particolare risulta interessante indagare su come il governo di impresa rappresenti un tema di approfondimento in termini di giustizia sociale. Questo aspetto rischia però di essere incompreso qualora si consideri il governo aziendale esclusivamente basato sul concetto di efficienza (e non anche sul concetto di efficacia che per sua natura abbraccia temi che vanno ben oltre il semplice utilitarismo economico-finanziario) dove non possono trovare posto i presupposti su cui si basa la giustizia sociale.
Cerchiamo di fare chiarezza: un sistema aziendale, in quanto presente su un determinato territorio, si incardina in uno specifico contesto ambientale, giuridico, sociale; quindi una delle prime analisi che l’azienda effettua nella fase iniziale previsionale, in fase cioè di business plan, è sicuramente l’esame del territorio e delle normative alla ricerca del miglior rapporto tra opportunità, diseconomie e rendimento del capitale. Quindi un esame preventivo circa la libertà di accesso alle risorse espresse in termini di disponibilità di capitale finanziario, umano, sociale, di diritti di proprietà e di uso. Tali elementi di analisi prodromica sono alla base delle concrete possibilità di svolgimento dell’attività da parte dell’azienda in quanto la distribuzione del reddito tra i diversi fattori della produzione, dipende anche e soprattutto dalle condizioni socio-politiche, organizzative e di mercato presenti su un determinato territorio ed in un determinato momento. Pertanto le condizioni presenti definiscono ed influiscono sulle scelte strategiche aziendali; il tutto, se ci si sofferma un attimo, ci aiuta a comprendere il fenomeno delle delocalizzazioni aziendali verso Paesi in via di sviluppo dove, essendo spesso del tutto inesistente ogni forma di garanzia dei diritti, le aziende possono muoversi liberamente ed in modo spregiudicato.
Connesso a tali aspetti c’è poi quello relativo all’imposizione fiscale, anche essa rappresenta una delle variabili che determinano le scelte strategiche dell’impresa. Quest’ultima in particolare è molto sensibile alle politiche di redistribuzione reddituale in quanto è attraverso la politica fiscale che si attuano le modalità di tassazione dei contribuenti e si garantiscono le misure di benessere sociale attraverso sussidi e trasferimenti. In ultima istanza una delle variabili più attenzionate sarà il reddito effettivo netto, cioè disponibile dopo l’imposizione, che residua per ogni singolo contribuente che sia consumatore e quindi elemento della componente aggregata della domanda di beni e servizi, sia produttore e pertanto componente dell’offerta di beni e servizi.
L’approccio della responsabilità aziendale si presenta quindi necessario, in questa fitta rete di connessioni, per indagare sulla filiera produttiva e sulle sue ricadute in termini ambientali, sulle politiche sociali e retributive poste in atto dall’impresa per escludere comportamenti che violino il giusto compenso retributivo, attraverso pratiche di sfruttamento dei singoli addetti, e le norme di diritto sindacale e del lavoro necessarie per garantire la sicurezza e l’igiene dell’ambiente lavorativo, per verificare la tutela del diritto dei minori a non essere utilizzati come forza lavoro, e per contrastare ogni forma di emarginazione di genere, di etnia, di religione, di inclinazione sessuale. Sarà inoltre importante vigilare sul rispetto delle norme sulla concorrenza del mercato per evitare comportamenti che utilizzino politiche dei prezzi aggressive, sfruttamento sotto costo di materie prime e pratiche di corruzione per ottenere vantaggi e benefici amministrativi e/o politici.
In sintesi si auspica che il controllo della responsabilità sociale dell’impresa possa essere un primo passo per provare a coniugare l’attività aziendale con la giustizia sociale, provando cioè ad uscire da un mero concetto utilitaristico di efficienza (con tutte le ricadute negative in termini di incontrollato sfruttamento dei fattori della produzione) e cercando di ampliare lo sguardo e l’analisi verso forme di ampia efficacia che permettano cioè il raggiungimento di fini sociali, ambientali, giuridici, politici, basati sull’equità sociale. Posto in questo ambito risulta abbastanza evidente come il governo di impresa, attraverso questa nuova prospettiva, possa divenire oggetto di indagine e di concreta garanzia di politiche per la giustizia sociale e l’equità che tendano a contrastare le disuguaglianze pur nel rispetto delle strategie di efficacia aziendale.
A ben vedere questa impostazione non fa altro che potenziare i principi già esistenti nel concetto di economicità aziendale per i quali l’azienda, come organismo vivente complesso, costituito essenzialmente da esseri umani, ha come finalità l’equilibrio di tutte le risorse impiegate e la loro equa retribuzione e distribuzione, per poter garantire la sua sopravvivenza nel tempo. Ma ci si domanda: di fronte allo sfruttamento incontrollato di persone, materie prime ed ambiente potrà l’azienda sopravvivere nel futuro, nel tempo? E gli esseri umani in questo contesto, dove di collocano? La partita si gioca su una riflessione molto più ampia dove fare impresa non è un processo fine a sé stesso, ma è piuttosto una modalità attraverso la quale si esprime la creatività, la tenacia, la capacità umana che deve avere come primo presupposto il benessere condiviso e la speranza di futuro, per tutti.
ROMA.-Un gruppo di organizzazioni e dirigenti culturali, composto da domenicani residenti in Italia, ha chiesto al presidente Luis Abinader che la Casa della Cultura Dominicana, promessa durante la sua visita in quella nazione, venga realizzata a Roma, capitale di quella nazione, a causa che il luogo non è mai stato specificato.
I responsabili culturali Rita Valenzuela, Osvaldo Jiménez, Manuel Ortiz Santana, comprendono che Roma è la città ideale per la sede di questa importante opera, dopo aver affermato che potrebbe avere diverse giustificazioni strategiche e culturali che potrebbero avvantaggiare sia la Repubblica Dominicana che l'Italia.
“Roma è l’unica capitale al mondo dove risiedono più di 70 Istituti di Cultura Straniera. In seguito al Grand Tour sorsero le sedi degli Istituti e delle Accademie di molti paesi del mondo con residenze prestigiose e imponenti.
“È proprio dove la cultura dei popoli vicini e lontani dall’Italia è costantemente rappresentata attraverso biblioteche, congressi, convegni e incontri di accademici stranieri e locali, rappresentazioni teatrali, concerti”. ha dichiarato Rita Valenzuela, che ha presentato la richiesta al Presidente Abinader durante la sua visita in quella nazione.
I promotori culturali sostengono che avere una Casa della Cultura Dominicana a Roma consentirebbe alla Repubblica Dominicana di proiettare e promuovere la sua cultura, storia e tradizioni su un palcoscenico internazionale.
Un altro vantaggio e vantaggio che i promotori sottolineano è che una Casa della Cultura a Roma potrebbe fungere da finestra per il turismo dominicano, promuovendo il paese come destinazione attraente per gli italiani e gli altri europei che visitano Roma e ciò aiuterebbe anche a rafforzare i legami tra i Repubblica Dominicana e Italia, facilitando lo scambio culturale, educativo e artistico tra i due paesi.
La richiesta arriva dalle organizzazioni Tempo delle Donne, Domext, Yo Soy Domi, Dominicanos de Pura Sepa, Los Reales de Roma, Los Cerveces, Corro Dom, Comunità Cattolica Domenicana di Roma, Las Guerreras de Fè, Las Siguas Palmeras, Oltre il Pregiudizio , Raice RD, i cui gestori organizzano gli eventi più importanti in Italia.
Ieri domenica 2 giugno dell’anno corrente, negli ambienti adiacenti la Chiesa di Sant’Angela Merici nella omonima via si è tenuta la mostra fotografica di Alessio Paciorri.
“Vieni a scoprire le meraviglie del MASAI MARA”.
Di meraviglie si tratta, un reportage fotografico che immortala nello scatto bellissimi esemplari di animali, che vivono in un range nazionale in Kenya, riserva faunistica di Masai Mara, nella parte sud-occidentale. Prende il nome del popolo Masai.
Alessio Paciorri, al ritorno da un viaggio recente, in Kenya ha voluto regalarci la sua esperienza, con video e bellissime fotografie per renderci partecipi del suo interesse che segue da anni.
L’allestimento fotografico al centro della sala riunisce in un rettangolo ben visibili nello spazio interno ed esterno, foto di dimensioni 70x50.
Si rimane colpiti dall’espressioni per nulla aggressive dei grandi felini addirittura un cucciolo sembra come sorridente. Non sono solo ritratti leoni, leonesse ghepardi leopardi, splendide giraffe, bufalo nero e paesaggi naturali.
Questi animali protetti dagli assalti dei bracconieri vivono adattandosi all’habitat, quello della prateria africana, in cui si trovano in modo naturale pur conservando le caratteristiche di appartenenza non attaccano l’uomo.
Il reportage fotografico nella splendida cornice della sala grande, con ad un lato musica e canzoni di repertorio, allieta il continuo affluire dei visitatori.
Le foto evidenziamo la sobrietà dei movimenti il leone con gli occhi dorati e la criniera al vento, la tenerezza del ghepardo con il suo cucciolo, la grazia delle giraffe, il bufalo nero che si nutre di erba, con la loro forza e bellezza comunicano emozioni anche a sguardi fugaci.
La musica si interrompe e gli astanti possono osservare il video e scene di comportamento quotidiano di altre specie.
Se pensiamo alla cattura ed alla mercificazione degli animali ed alla loro strenua difesa nella sopravvivenza non dobbiamo che rallegrarci che esistano persone che hanno saputo anche coniugare un aspetto di vita che migliori le condizioni di esistenza del nostro pianeta.
Ammirare queste foto è il segno di non arrendevolezza, di originarietà e di originalità di altri esseri viventi.
A cura di Claudia Polveroni Apn Publisher