IL FONDO DANNI E PERDITE: L’ITALIA TRA I DONATORI DI RISORSE di Alessandra Di Giovambattista
IL FONDO DANNI E PERDITE: L’ITALIA TRA I DONATORI DI RISORSE
di Alessandra Di Giovambattista
8-4-2024
Dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 si è svolta a Dubai la conferenza sul clima Cop28 finalizzata all’attuazione dell’Accordo di Parigi, firmato il 12 dicembre 2015 e di cui fanno parte 191 Stati che hanno condiviso la prima intesa universale e giuridicamente vincolate sul cambiamento climatico, con un obiettivo comune: contenere nel lungo termine l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2 gradi centigradi oltre i livelli preindustriali (l’incremento va limitato ad 1,5 gradi centigradi). L’incontro ospitato nel 2023 a Dubai - all’insegna della ricerca, da parte degli Stati partecipanti, di un’azione comune contro la crisi climatica – si organizza ogni anno in una capitale diversa ed ha coinvolto 180 paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), alcuni paesi osservatori e svariati enti sovranazionali.
La conferenza di Dubai è la prima che si svolge dopo che la temperatura media della Terra ha superato la soglia dei tanto temuti 2 gradi, anche se solo per pochi giorni, e ciò è sufficiente per fare stimare con oltre il 99% della probabilità che il 2023 sarà l’anno più caldo della storia (almeno di quella finora registrata! Si ricorda che il confronto viene effettuato sugli ultimi dati di riferimento del periodo della seconda metà dell’ottocento), così come peraltro confermato dall’Organizzazione metereologica mondiale. Tra giugno ed ottobre del 2023 i gradi sono stati, in media, al di sopra degli 1,5 gradi centigradi, con settembre che ha fatto registrare una media di ben 1,75 gradi centigradi superiori ai valori di riferimento. Il surriscaldamento proviene dalla quantità di energia che la Terra trattiene e che per il 2023 ha corrisposto a circa 16 bombe atomiche della stessa portata di quella che distrusse Hiroshima.
Sembra che la partita si giochi tutta sulle emissioni derivanti dalle fonti fossili e quindi il messaggio è: stop alla produzione di energia derivante dalle fonti fossili e quindi spinta verso la decarbonizzazione, aumento delle misure e delle risorse per le politiche economiche finalizzate al miglioramento delle condizioni climatiche, incremento delle fonti rinnovabili e spinta verso meccanismi che tentino di assicurare equità e giustizia tra Nord e Sud del mondo migliorando lo standard di vita delle popolazioni.
Tra i grandi assenti il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden ed il presidente cinese Xi Jinping; ciò ha fatto supporre che l’assenza dei Paesi che ad oggi sono tra i più grandi inquinatori mondiali non rappresenti un buon segno, sia in termini di impegni futuri, sia in termini di riconoscimento delle proprie responsabilità. Altro importate assente, ma per motivi di salute, è stato Papa Francesco che però con un messaggio pubblicato sui social network ha invitato tutti i responsabili “a pensare al bene comune piuttosto che agli interessi di pochi paesi o aziende”.
L’incontro si è concluso con la definizione di macro-obiettivi e con la sottolineatura dell’importanza della diplomazia ambientale e del cambiamento ideologico basato su politica internazionale e governance globale per cercare una cooperazione efficace per contrastare il cambiamento climatico. Per quest’ultimo è stato posto il limite massimo di 1,5 gradi centigradi in media di aumento rispetto al livello di riferimento (seconda metà dell’ottocento). La riflessione profonda si è basata sulla considerazione che l’umanità va protetta e va assicurata una situazione ecologica vivibile per le generazioni future. Il rappresentante del Consiglio Europeo – Charles Michael – ha evidenziato che gli sforzi condivisi dell’Unione Europea dal 1990 hanno permesso: la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 30% circa, la produzione tripla di energia rinnovabile raddoppiando nel contempo l’efficienza energetica. Il prossimo obiettivo sarà quello di non dipendere più dai combustibili fossili. Inoltre l’Unione Europea risulta il principale erogatore di finanziamenti pubblici volti a contrastare la crisi climatica con fondi per circa 23 miliardi di euro per il solo 2023.
In termini di definizione di piani d’azione, la Cop28 si è concentrata soprattutto: sulla transizione verso nuove forme di energia con l’obiettivo di creare un sistema energetico completamente o prevalentemente privo di combustibili fossili e di emissioni di carbonio entro il 2030 che incrementi l’energia rinnovabile e l’utilizzo efficiente dell’energia prodotta, sulla definizione di finanza climatica che contiene al suo interno il “Fondo per danni e perdite”, sulla centralità del rispetto dell’ambiente, delle persone e del loro lavoro, sulla piena condivisione e partecipazione degli Stati alle varie iniziative. In tale contesto è stato pensato il citato Fondo per il clima - che in realtà è stato richiesto da tre decenni, che era stato annunciato alla Cop26 del 2021 ed era stato configurato già nella Cop27 del 2022 – che avrebbe come obiettivo il risarcimento dei Paesi vulnerabili economicamente che affrontano perdite e danni causati dai cambiamenti climatici che spesso si esprimono attraverso le devastazioni causate dal crescente numero di eventi atmosferici estremi come inondazioni, siccità, innalzamento del livello del mare. Il Fondo rappresenta il terzo pilastro della finanza climatica e determina le risorse destinate ai Paesi più colpiti dagli eventi naturali, e messe a disposizione dei Paese sviluppati, che si ritiene siano quelli maggiormente responsabili dell’inquinamento del passato che sta causando gli attuali cambiamenti ambientali. La logica del Fondo, che ha una connotazione di giustizia climatica, si basa sulla minore responsabilità che i Paesi più vulnerabili hanno in termini di inquinamento e di surriscaldamento globale rispetto ai paesi più ricchi, e quindi maggiormente inquinanti poiché protagonisti delle rivoluzioni industriali passate. Pertanto il Fondo si basa sulle diverse responsabilità in termini di inquinamento e quindi vengono riconosciuti dei diritti di compenso per qui Paesi che oltre ad essere i più vulnerabili dal punto di vista climatico sono anche quelli più deboli in termini economici. Il ristoro finanziario, a favore di queste Nazioni, è visto come una soluzione alle emergenze climatiche che, sottraendo risorse per la transizione verso forme meno inquinanti di energie alternative, potrebbero impedire lo sviluppo delle economie più deboli che peggiorerebbero così anche le loro già pesanti posizioni di sovraesposizione debitoria.
Il Fondo perdite e danni sarà gestito per i primi quattro anni dalla Banca Mondiale - questo aspetto ha offerto il fianco a critiche legate soprattutto al fatto che il governo della Banca è in mano ai paesi più ricchi, USA al primo posto - e dovrà essere alimentato con almeno 100 miliardi di dollari annui; la contribuzione non è obbligatoria ma volontaria (così come indicato dagli USA nelle precedenti edizioni della convention) e non prevede un limite minimo di finanziamenti. Questo strumento di finanza climatica è inoltre risultato per ora solo una chimera in termini di risorse da raccogliere; infatti gli obiettivi che si erano posti nel 2009 di assicurare ai Paesi a più basso reddito, 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 non è stato raggiunto. Nel 2021 si sono messi insieme poco meno di 90 miliardi di dollari mancando l’obiettivo annuale; la speranza è quella di raggiungerlo nel prossimo futuro. In più molti sono i dubbi circa la sua effettiva operatività in quanto sono molteplici le questioni pratiche che andranno affrontate e risolte, non ultima proprio la volontarietà del finanziamento del Fondo che lo renderebbe una misura poco incisiva. C’è anche da risolvere il problema dell’ammontare delle risorse disponibili e di quelle necessarie (si parla di circa 100 miliardi di dollari annui, ma i Paesi in via di sviluppo sembra ne chiedano il quadruplo), degli obiettivi da perseguire ed entro quali orizzonti temporali, e della individuazione degli Stati contribuenti del Fondo e di quelli legittimati a ricevere il denaro. Inoltre bisognerebbe attenzionare quelle situazioni che potrebbero di fatto celare una sorta di accordo tra Stati che producono ingenti combustibili fossili (proprio gli Emirati Arabi Uniti) - i quali subirebbero le maggiori perdite in caso di una veloce riconversione a favore delle energie alternative - che potrebbero pertanto spingere verso un rallentamento della transizione energetica.
Nella Cop28 gli Emirati Arabi Uniti, che hanno ospitato l’evento, hanno contribuito con 100 milioni di dollari, anche l’Italia ha messo a disposizione 100 milioni di dollari, gli USA hanno destinato solo 17 milioni di dollari, la Germania ne ha promessi 100 milioni, il Regno Unito 50 milioni, mentre il Giappone ne ha destinati solo 10 milioni. Si sottolinea come l’impegno finanziario dello Stato italiano sia maggiore rispetto a Nazioni molto più forti, finanziariamente parlando, ed anche più responsabili dell’inquinamento ambientale. Ma forse questo impegno, un po’ sproporzionato, vuole in qualche modo andare a bilanciare i danni che si produrranno in termini di inquinamento dalla sottoscrizione di un contratto che l’Italia (con le società Tecnimont e Saipem del gruppo ENI) ha sottoscritto con gli Emirati Arabi (con la compagnia petrolifera nazionale Adnoc) per lo sfruttamento di due giacimenti di gas!
Altro aspetto che andrebbe valutato riguarda la ricerca degli effettivi ed ulteriori eventi che generano danni ambientali: in tal senso non risulta che qualcuno abbia mai stimato i danni derivanti dalle guerre. In particolare sembra che tutte le sofisticate armi messe in campo nei conflitti ormai sparsi in tutto il mondo, non possano generare inquinamento soprattutto nei paesi più poveri che spesso si trovano al centro di guerre non volute, ma solo subite!
Ma ci sono anche altre situazioni che inducono a sottolineare aspetti curiosi e problematici che forse avrebbero dovuto indurre ad una maggiore cautela o quantomeno alla necessità di definire meglio i soggetti beneficiari delle risorse del Fondo. Infatti secondo quanto fu deciso nel 1992 durante la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cina è stata definita un Paese in via di sviluppo. Ma questo accadeva ben 32 anni fa e le cose oggi sono ben diverse e già da molto tempo. In questa veste quindi la Cina beneficerà delle risorse raccolte dal Fondo danni e perdite, istituito per aiutare i Paesi che subiscono le conseguenze più drammatiche dei cambiamenti climatici, pur essendo lo Stato che oggi emette più anidride carbonica (CO2) ed altri gas serra che sono la principale causa del cambiamento climatico. Ma allora, forse, bisognava essere più cauti e chiedere magari una preventiva revisione e verifica degli Stati che beneficeranno delle risorse, visto che il Fondo dovrebbe rappresentare anche uno strumento di giustizia climatica?
A voi tutte le considerazioni del caso.