LA FINANZA DELLE REGIONI A STATUTO SPECIALE

di Alessandra Di Giovambattista

16-12-2023

Le attuali cinque Regioni a statuto speciale, cioè il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, La Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo diviso nelle due province autonome di Trento e Bolzano, e la Valle d’Aosta, sono previste nella Costituzione italiana all’articolo 116, a differenza dello Statuto Albertino che non ne riconosceva alcuna, alle quali sono state conferite particolari forme di autonomia in ragione di peculiari situazioni storico-geografiche.

Le competenze politico-amministrative e l’ordinamento finanziario sono disciplinati dallo statuto speciale di ogni singola Regione, che ha natura di legge costituzionale, e che ha bisogno di norme di attuazione. La procedura di modifica degli statuti speciali è disciplinata dall’articolo 138 della Costituzione e segue un iter legislativo aggravato di discussione e di maggioranza ed è volto a garantire la più ampia partecipazione degli organi regionali coinvolti. Le norme di attuazione sono invece emanate dal Governo e seguono anche esse un iter peculiare che si basa sulla riserva in via esclusiva degli statuti speciali nelle varie materie di interesse. Per le modifiche delle norme statutarie concernenti la finanza di ciascuna Regione speciale, gli statuti contengono delle disposizioni specifiche in ragione del carattere pattizio delle relazioni di ciascuna Regione autonoma nei confronti dello Stato. In effetti la caratteristica principale della finanza di questi territori si ritrova nel fatto che lo Stato concorda con ciascuna Regione, attraverso degli accordi bilaterali, le misure e le modalità del contributo per ognuna di esse agli obiettivi della finanza pubblica, l’eventuale attribuzione di nuove funzioni, la variazione delle aliquote dei tributi erariali esistenti o di nuova emanazione e la partecipazione attraverso contributi aggiuntivi e speciali per far fronte a specifici problemi.

Più nello specifico le norme statutarie definiscono ambiti e limiti del potere impositivo, tributario, finanziario e contabile di ogni Regione autonoma, riconoscono la titolarità del demanio e del patrimonio regionali, elencano tributi erariali e determinano la quota di gettito devoluta alle casse della Regione, definiscono il potere legislativo ed amministrativo in ambito finanziario.

Con riferimento all’aspetto finanziario poniamo prima l’attenzione sulla parte delle spese, in particolare sul contributo che lo Stato centrale chiede alle autonomie speciali per il risanamento dei conti pubblici, misura che nasce in attuazione di accordi bilaterali con le singole autonomie. In primo luogo lo Stato può predisporre degli accantonamenti a valere sulle risorse destinate alle Regioni a statuto speciale a titolo di compartecipazione ai tributi erariali; in secondo luogo le Regioni possono decidere di assumere oneri per l’esecuzione di funzioni direttamente trasferitegli dallo Stato: è il caso ad esempio delle province autonome di Trento e Bolzano che hanno assunto interamente o pro quota i costi delle università o dei parchi presenti sui propri territori, oppure della regione Valle d’Aosta che ha assunto gli oneri per lo svolgimento dei servizi ferroviari locali che per motivi ecologici vengono forniti utilizzando esclusivamente l’alimentazione elettrica; infine lo Stato applica le regole contenute nel patto di stabilità interno dove viene richiesto il raggiungimento del pareggio di bilancio a tutte le autonomie regionali. Ognuno di questi accordi bilaterali ha individuato il contributo della singola Regione alla finanza pubblica per il raggiungimento di finalità collettive; a titolo di esempio la Regione Valle d’Aosta vi ha contribuito a decorrere dal 2022 con circa 82 milioni di euro, il Friuli-Venezia Giulia ha partecipato con circa 432 milioni di euro a partire dal 2022 e fino al 2026, la regione Siciliana con 800 milioni di euro circa a decorrere dal 2022, la regione Sardegna con 306 milioni di euro a decorrere dal 2022, mentre il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo e le singole province di Trento e Bolzano a decorrere dal 2022 partecipano con un importo di circa 713 milioni di euro annui. Negli ultimi accordi bilaterali bisogna però sottolineare che lo Stato si è riservato la facoltà di modificare unilateralmente il contributo richiesto alle Regioni, quindi senza richiesta preventiva di accordo, ma solo qualora la modifica sia limitata nel tempo, adottata per eccezionali esigenze di finanza pubblica e per un importo non superiore al 10% del valore del contributo stesso. Un esempio in tal senso può essere rinvenuto nella riduzione del concorso alla finanza pubblica da parte delle Regioni e Province autonome a partire dall’anno 2020 per compensare la perdita di entrate tributarie che hanno subito i citati territori autonomi a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Per tale situazione è stato istituito nel 2020, con apposito decreto legge, un fondo con una dotazione di 4.300 miliardi di euro suddiviso in 1.700 miliardi di euro per le Regioni a statuto ordinario ed i restanti 2.600 miliardi di euro a favore delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Altra misura di sostegno è stata varata nel 2021, sempre a causa del protrarsi dell’emergenza sanitaria, ed è basata sulla possibilità che tali territori possano utilizzare l’avanzo di amministrazione che è stato accantonato e vincolato negli anni. Ciò con l’obiettivo di ampliare la capacità di spendita delle Regioni autonome sia per le spese correnti, sia per quelle di investimento.

La disciplina della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome coinvolge anche e soprattutto, il sistema delle entrate. Oltre ai tributi propri che tali Regioni possono istituire nell’ambito di una cornice di tipologie indicata dallo Stato, la fetta più consistente del gettito per tali territori è rappresentata dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali maturati e riscossi nei loro territori (cioè il riversamento alle Regioni, pro quota o per intero, del gettito che percepisce lo Stato), che rappresentano delle entrate indirette, e che si presentano di gran lunga più considerevoli nell’ammontare rispetto a quanto di spettanza alle Regioni a statuto ordinario. Questo forte divario spiega il fenomeno della richiesta di migrazione di alcuni Comuni verso i territori autonomi in una sorta di richiesta di annessione (si pensi al caso di Cortina d’Ampezzo e degli altri comuni limitrofi al confine con il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo). La compartecipazione regionale ai tributi erariali, è nata a seguito della soppressione di alcuni trasferimenti statali diretti e viene individuata per ciascuna Regione sulla base della media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’Istat a livello regionale. Essa si sostanzia nella destinazione alle Regioni di una parte delle risorse finanziarie che incassa l’Erario. Ogni statuto speciale elenca la tipologia di imposte erariali di cui una quota deve essere destinata alla Regione autonoma, le diverse aliquote differenziate in ragione della natura del tributo, della base imponibile e delle modalità di attribuzione. È evidente che tali compartecipazioni, anche se definite come “tributi propri” non rappresentano una forma di gettito autonoma in quanto la loro istituzione, regolamentazione, contenzioso, ecc. sono di fatto totalmente gestite dallo Stato.

Tuttavia nella Regione Siciliana, nel Friuli Venezia Giulia e nel Trentino-Alto Adige la riscossione avviene direttamente da parte degli uffici finanziari delle Regioni stesse, mentre la Sardegna ha chiesto di recente di attivare la modalità di riscossione diretta. Invece per la Valle d’Aosta i tributi sono riscossi dallo Stato che provvede poi a devolverglieli nella quota spettante. Conseguentemente al diritto di riscossione, le Regioni partecipano anche all’attività di accertamento dei tributi riscossi sul proprio territorio. È interessante notare le differenti percentuali di compartecipazione al gettito erariale da parte delle quattro Regioni a statuto speciale e delle due Province autonome. In particolare:

  • la Valle d’Aosta ha una compartecipazione del 100% (quindi per la totalità) del gettito IRPEF, IRES, IVA e Accisa sui carburanti; inoltre le sono devoluti anche il 90% delle imposte erariali sugli affari (registro, bollo, ipotecarie, concessioni) e dei proventi del lotto che vengono incassati sul proprio territorio;

  • le due province autonome di Trento e Bolzano hanno una compartecipazione del 90% del gettito per IRPEF, IRES e Accisa sui carburanti, mentre dell’80% degli incassi per IVA, le sono inoltre destinate anche le entrate derivanti dalla raccolta di tutti i giochi con vincita in denaro sia di natura tributaria, sia di natura non tributaria; per completezza si sottolinea che anche alla regione Trentino-Alto Adige vengono devolute alcune altre imposte quali: il 100% del gettito derivante dalle imposte ipotecarie, il 90% delle imposte sulle successioni e donazioni e dei proventi del lotto, infine il 10% dell’IVA;

  • il Friuli Venezia-Giulia ha una compartecipazione del 59% per quanto riguarda IRFEF e IRES del 45% a titolo di IVA, di accisa sull’energia elettrica e sui tabacchi, delle entrate derivanti dai giochi e delle tasse automobilistiche, mentre è del 30% circa la devoluzione dell’accisa sui carburanti;

  • la Regione Siciliana ha una compartecipazione del 71% per IRPEF, del 100% per IRES e per tutte le altre entrate tributarie, del 36% per IVA e nessuna compartecipazione per l’Accisa sui carburanti e per i proventi del lotto;

  • la Sardegna ha una compartecipazione del 70% per IRPEF ed IRES, del 90% a titolo di IVA, di imposte ipotecarie, bollo e registro, concessioni, energia elettrica e le accise, mentre viene devoluto il 50% delle imposte sulle successioni e donazioni.

Si tenga presente poi che sono a carico diretto dello Stato le spese per l’apparato della giustizia, delle forze dell’ordine, per le infrastrutture ferroviarie, autostradali e per la gestione i trafori, per l’erogazione dei servizi INPS e gli oneri per il finanziamento alle istituzioni politiche ed amministrative statali.

Da quanto esposto risulta che le Regioni a statuto speciale hanno prerogative di molto superiori alle Regioni a statuto ordinario le quali sono dotate di minore autonomia finanziaria, non possono introdurre tributi, non hanno potestà legislativa esclusiva, non possono negoziare bilateralmente con lo Stato le modifiche degli statuti e le loro posizioni tributarie, e l’organizzazione amministrativa è direttamente gestita dai Comuni. Queste forti differenze ci introducono al problema della richiesta da parte di tutte le Regioni italiane di maggiore autonomia - nella difesa da posizioni di regionalismo che vedrebbero comunque un accentramento da parte dello Stato - che implicherebbe maggiore responsabilità di governo da parte dei poteri regionali verso la collettività presente sul territorio, anche attraverso la costante verifica delle risorse in loro possesso ed il loro utilizzo per garantire dei servizi efficienti ed efficaci. Ecco perché è entrata in crisi la suddivisione tra Regioni ordinarie e a statuto speciale e si è richiesta la c.d. “autonomia differenziata”, in quanto le diversità che ne avevano giustificato la separazione sembrano essere anacronistiche perché le problematiche di natura sociale ed economica investono oramai, indistintamente, tutto il territorio nazionale.