DALLA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME ALLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO di Alessandra Di Giovambattista
DALLA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME ALLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO
di Alessandra Di Giovambattista
8-10.2024
Per contrastare la crisi finanziaria del 2007 abbattutasi sul mercato statunitense in ragione della concessione di mutui a soggetti non aventi adeguate garanzie per la restituzione dei prestiti, meglio conosciuta come la crisi dei mutui subprime (crisi causata da una bolla speculativa immobiliare e da pratiche di azzardo morale da parte degli istituti finanziari che permisero operazioni di cartolarizzazione dei debiti per mutui non sempre adeguatamente garantiti), il Governo americano negli anni dal 2007 al 2009 decise di intervenire. Organizzò un piano di salvataggio delle grandi banche statunitensi che ne vide in parte la nazionalizzazione ed in parte l’acquisto di titoli di debito privati. In particolare la FED consentì l’immissione sul mercato di ingenti quantità di moneta (si parla di circa 7.700 miliardi di dollari complessivi a fronte di una richiesta iniziale di 700 miliardi di dollari!!!) a tassi prossimi allo zero per cento con la finalità di sostenere banche ed assicurazioni statunitensi e consentire l’acquisto dei titoli cartolarizzati che avevano inquinato il mercato nord americano, ma, purtroppo, anche quelli europei e mondiali in generale.
In particolare in Europa la crisi investì inizialmente l’istituto britannico Northern Rock che era specializzato nella concessione di mutui immobiliari; esso fu il primo ad essere preso d’assalto con ingenti richieste di rimborsi dei depositi innescate dal panico che si era scatenato negli USA. Anche in tal caso dovette intervenire il Governo britannico che attuò il salvataggio impegnando circa 110 miliardi di sterline. Ma questo fu solo il primo di successivi interventi che provvidero a ricapitalizzare le banche - al fine di ristabilire l’equilibrio tra riserve e depositi – e ad acquistare obbligazioni per sostenere gli istituti di credito che entravano in crisi perché nei loro portafogli crediti erano presenti titoli cartolarizzati ormai privi di valore.
Anche in Europa furono attuati salvataggi degli istituti di credito presenti in nazioni quali: Germania, Danimarca, Belgio, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Svezia e Portogallo. Complessivamente, in tutta Europa (secondo dati forniti nell’analisi dell’ufficio studi di Mediobanca - MBRES del dicembre 2013) furono erogati circa 3.166 miliardi di euro di aiuti finanziari che si concretizzarono in garanzie per circa 2.443 miliardi di euro, in ricapitalizzazioni per circa 472 miliardi di euro e linee di credito e prestiti per 251 miliardi di euro.
Per avere una dimensione del problema basti pensare che in Germania gli aiuti pubblici da parte del Governo interno furono ingenti e riguardarono essenzialmente la sottoscrizione di azioni o titoli subordinati (questi ultimi individuati come titoli di debito subordinati alla prioritaria soddisfazione di altri creditori non subordinati; presentano un alto grado di rischio rispetto alle obbligazioni ordinarie) per un ammontare di circa 56 miliardi di euro (con l’obiettivo di ripatrimonializzare le banche) e la concessione di garanzie sulle passività contratte dagli istituti bancari, per un ammontare totale di circa 380 miliardi di euro.
Gli interventi a favore del sistema bancario e assicurativo iniziarono a gonfiare i debiti pubblici ed il deficit pubblico di diverse nazioni europee; nel maggio del 2010 l’Unione europea (UE), il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca centrale europea (BCE) vararono un piano di salvataggio per la Grecia, ormai messa in ginocchio dalla crisi, di circa 110 miliardi di euro.
L’anno dopo tutte le nazioni dell’Europa videro una crescita ingente del proprio debito pubblico: si innescò così la crisi del debito sovrano.
Tutte le misure individuate dall’UE per superare la crisi del debito sovrano hanno però influito negativamente sui paesi più deboli, con pregresse esposizioni debitorie pubbliche; dopo il commissariamento della Grecia, fu il turno dell’Irlanda (con aiuti per 85 miliardi di euro), e del Portogallo (con aiuti pari a circa 78 miliardi di euro). La Spagna invece vide l’intervento del Fondo Europeo di salvataggio (EFSF) che nel 2012 erogò un prestito allo Stato di oltre 30 miliardi di euro. Tale flusso di risorse ha rappresentato solo il primo blocco di aiuti che l’Unione Europea ha riconosciuto alla nazione, in quanto l’ammontare totale di erogazioni è stato pari a circa 100 miliardi di euro finalizzati alla capitalizzazione ed alla ristrutturazione del sistema bancario interno fortemente colpito dalla crisi.
Anche l’Italia, nell’agosto del 2011, ricevette una lettera con una serie di raccomandazioni per far rientrare il debito pubblico, modificare le norme sulle pensioni, sui contratti di lavoro e le liberalizzazioni. Tuttavia il sistema bancario non ha potuto usufruire di importanti interventi pubblici; infatti i salvataggi furono per un ammontare di poco più di 4 miliardi di euro per acquistare obbligazioni subordinate emesse da quattro banche. Le difficoltà maggiori in Italia furono registrate a causa della crisi del debito sovrano, successiva a quella dei mutui subprime,per la sua pregressa posizione finanziaria di ingente indebitamento pubblico. In particolare in Italia gli attivi bancari furono indirizzati verso l’acquisto di titoli pubblici nazionali, mentre l’intervento statale si sostanziò nella forma della garanzia pubblica sulle obbligazioni emesse dal sistema finanziario per garantirne l’acquisto da parte della Banca Centrale Europea. Il tutto portò a crisi di liquidità verso i settori produttivi e nel 2009 la contrazione del PIL italiano fu di circa 5 punti, facendo così registrare una delle crisi più gravi del dopoguerra.
Con il senno di poi ci si accorse che il sistema finanziario complessivo non aveva retto alla crisi dei mutui subprime a causa della mancanza di regolamentazione del sistema finanziario, di stringenti requisiti ed indicatori di capitale e di dettagliate norme di natura contabile; per contro si erano sviluppati e rafforzati atteggiamenti di azzardo morale causati da forme distorte e nefaste di deresponsabilizzazione. Il tutto ha portato ad una revisione della disciplina del settore finanziario, che ha individuato norme più dettagliate e stringenti in materia di regole e modalità di gestione delle aziende (c.d. governance) e di gestione dei rischi. Infine si è arrivati a concepire normative e prassi condivise a livello europeo e statunitense per cercare di rendere più forte il sistema finanziario complessivo. Frutto di queste politiche sono state la creazione dell’Autorità bancaria europea (EBA), dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA).
Di fatto i salvataggi bancari attuati obbligarono gli Stati ad indebitarsi per trovare risorse pubbliche per finanziare i sistemi bancari e provare a salvarli; tuttavia il passaggio successivo fu che le banche non concessero più credito alle attività produttive; il risultato fu una recessione a livello globale con cadute del Prodotto interno lordo (PIL) che registrò anche valori di segno negativo.
Le difficoltà di questi paesi si ripercossero su tutto il sistema economico-finanziario europeo; le banche continuarono ad essere le aziende più esposte alle problematiche monetarie a causa dell’acquisto di titoli del debito pubblico. Le problematiche si riscontrarono nella banche dei paesi più vulnerabili in quanto le agenzie di rating,cioè quelle deputate a dare una valutazione dei rischi sugli investimenti, avevano abbassato la classe di merito proprio al debito emesso dai paesi più deboli e ciò implicò un rialzo dei tassi di interesse. E’ evidente che in tale situazione le banche non disponevano di sufficiente liquidità per finanziare l’attività reale, produttiva e così il risultato fu una recessione generalizzata che contagiò tutto il mercato europeo. Il credito fu razionato e ristretto a pochi casi, così che molte economie furono messe in ginocchio e la recessione, già in atto, fu più che amplificata. Si fa ancora memoria dell’innalzamento dello spread, cioè del differenziale di rendimento dei buoni nazionali rispetto a quelli tedeschi, ritenuti i più sicuri, che costò molto caro all’Italia che dovette far fronte ad un incremento del tasso di interesse sul debito pubblico che arrivò al 7%. Tale innalzamento, causato dalla percezione di un grande rischio riguardo al sistema economico italiano (quindi una vera e propria ondata di panico nei confronti del sistema Italia) nonché dalla ricerca di investimenti in titoli più sicuri come quelli emessi dal Governo tedesco, condusse ad aumentare ancora di più il livello di indebitamento dello Stato italiano sul versante del pagamento degli interessi passivi.
Le misure di contenimento attuate dal fondo europeo ebbero però solo effetti momentanei; infatti la fiducia degli operatori economici riguardo agli Stati più vulnerabili era ormai compromessa e tutte le politiche che la BCE cercava di implementare per sostenere l’economia reale attraverso misure di politica monetaria sembravano dover fallire con forti ripercussioni negative in termini di concessione di prestiti e mutui a famiglie ed imprese.
Fu poi all’inizio del 2015 che la BCE varò il programma di acquisto di titoli emessi da aziende private estendendolo anche ai titoli pubblici emessi in euro, immettendo così liquidità sul mercato: il c.d. quantitative easing (letteralmente alleggerimento quantitativo), misura di politica monetaria non convenzionale rispetto alla tipica manovra di variazione del tasso di interesse praticato dalla banca centrale. La misura, avviata dall’allora presidente della BCE, Mario Draghi, era finalizzata ad influenzare direttamente le variabili finanziarie che agiscono sul mercato reale, immettendo liquidità attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico e obbligazioni in generale, e ottenendo coì una diminuzione del tasso di interesse per favorire la concessione di prestiti.
La misura ebbe un buon successo rispetto alle manovre precedenti implementate dalla BCE che si erano basate sulla concessione di aiuti alla banche che solo in seconda battuta avrebbero dovuto migliorare e ristabilire il funzionamento ottimale del mercato reale concedendo prestiti e credito ad aziende e famiglie. Invece il passaggio delle risorse dalle banche agli operatori non accadde perché il sistema bancario era davvero deteriorato. Invece il quantitative easing agì direttamente sugli operatori economici, senza interessare le aziende intermediarie del credito, cercando di far ripartire l’economia e con l’obiettivo, a latere, di far rialzare il tasso di inflazione a livello fisiologico, stimato pari a circa il 2% annuo. Questa misura diretta contribuì ad un aumento della fiducia degli investitori e interruppe l’andamento decrescente dell’economia dei paesi dell’area euro, soprattutto di quelli più deboli, con una diminuzione dello spread e un conseguente recupero di risorse finanziarie pubbliche – come conseguenza della diminuzione degli interessi pagati sul debito – da destinare ad obiettivi di politica economica e sociale.
La crisi del debito sovrano, derivante da quella dei mutui subprime, può così rappresentare un chiaro esempio di come la globalizzazione nei rapporti economico-finanziari possa creare dipendenze e reazioni a catena in tutti i sistemi finanziari del mondo. In precedenza le crisi erano contenute in ambiti geopolitici abbastanza delimitati e con normative e usi abbastanza comuni, invece oggi con gli strumenti informatici di compravendita di titoli, la finanza creativa, i legami finanziari delle grandi multinazionali e l’ingresso di nuovi Paesi sulla scena economica mondiale come Cina, India e i paesi emergenti in generale – che presentano specificità normative e industriali molto diverse da quelle occidentali – si è di fronte a scenari molto più complessi. Conseguentemente si molto più difficile riuscire a trovare soluzioni e correttivi che possano soddisfare tutte le differenti realtà. Una possibile soluzione si può trovare nella creazione di autorità e di norme comuni e condivise che possano aiutare ad affrontare congiuntamente crisi di così vasta portata.