rubbettino editore e silkstreetpress Emanuela Scarponi racconta l'evento
https://www.store.rubbettinoeditore.it/rassegna-stampa/festival-della-diplomazia-scriviamo-di-cina-incontro-con-gli-autori-antonio-malaschini-marco-lupis-22-10-2019/
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LA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME DEL 2007: APPROFONDIMENTI
di Alessandra Di Giovambattista
Una delle più recenti crisi in ambito finanziario si è avuta verso la fine del 2007, è dilagata rapidamente nel 2008 partendo dagli Stati Uniti e coinvolgendo diversi altri Paesi tra cui anche quelli europei, ed è meglio conosciuta come crisi dei mutui subprime. Nello specifico il fenomeno riguarda mutui e prestiti concessi a soggetti che non presentano le dovute garanzie per ottenere un affidamento bancario e quindi sono definiti debitori ad “alto rischio” di insolvenza. Il termine subprime deriva dal fatto che tali tipi di prestiti sono considerati di qualità non primaria in quanto il loro grado di recupero è considerato nettamente inferiore (sub) rispetto ai prestiti ed ai mutui concessi a soggetti con garanzie creditizie sufficienti per essere dichiarati affidabili (prime).
La causa principale della crisi in esame fu dovuta al crollo del mercato immobiliare innescato dalla politica monetaria espansiva che la banca centrale Statunitense, la Federal Reserve, aveva deciso di intraprendere per contrastare gli effetti della precedente crisi del 2001. In quell’anno gli Stati Uniti avevano subito l’attacco dell’11 settembre (di cui tutti ricordiamo le atroci immagini) e si era innescata la crisi dovuta alla bolla internet. Quest’ultima in particolare fu la risultante di un’euforia generalizzata derivante dal progredire veloce delle aziende del comparto informatico, chiamate Dot-com companies. Questa circostanza incrementò le aspettative di crescita e di futuri aumenti del valore dei titoli delle aziende del comparto internet; tuttavia tali aspettative furono del tutto disattese nonostante un iniziale aumento dei valori di borsa dei titoli delle aziende informatiche. Si assistette così al crollo dei mercati azionari che provocò lo scoppio della bolla speculativa producendo perdite tra gli investitori soprattutto nel comparto tecnologico.
Quindi in ragione di questa politica espansiva, nel periodo che va dal 2000 al 2006, negli Stati Uniti, si registrò anche una crescita continua e significativa dei prezzi delle abitazioni; corrispondentemente il diminuire del tasso di interesse, dovuto all’incremento di liquidità, permise l’erogazione di mutui anche a soggetti che come abbiamo detto presentavano un profilo di rischio elevato. Per la concessione di mutui o prestiti le banche non procedevano più con la fase istruttoria con la quale si verifica se il cliente è in grado di restituire il prestito, se cioè possiede uno stipendio o un reddito capaci di coprire il debito contratto.
In più l’aumento della domanda di mutui ipotecari si riflesse ulteriormente sul costo degli immobili che videro un conseguente incremento dei valori e quindi un successivo ampliamento della sovrastima dei prezzi delle abitazioni (c.d. bolla immobiliare) non dovuto ovviamente a situazioni oggettive di mercato. D’altronde le banche, che concedevano prestiti con tale grado di rischio (non andando a valutare in modo adeguato la capacità di rimborso del prestito), in caso di mancata restituzione del debito potevano contare sul pignoramento dell’immobile e conseguente vendita sul mercato, anche perché i prezzi delle abitazioni in quegli anni erano in costante crescita; in poche parole l’immobile per le banche rappresentava comunque un investimento sicuro.
Inoltre lo sviluppo del fenomeno della concessione dei mutui subprime fu rafforzato dalle operazioni di cartolarizzazione; queste ultime, definite come finanza creativa, si concretizzarono nella possibilità, per gli istituti di credito, di poter trasformare il credito vantato nei confronti dei soggetti in un titolo negoziabile sul mercato, ed in particolare la vendita avveniva a favore delle cosiddette società “veicolo”. In tal modo a fronte dei possibili recuperi nel lungo termine (in genere dai 10 ai 30 anni essendo questa la durata dei mutui) le banche preferivano vendere i propri crediti sotto forma di titoli con lo scopo di recuperare immediatamente la liquidità, concedere altri prestiti e trasferire in parte il rischio di insolvenza. In termini più tecnici questo ha significato per le banche poter sfruttare quello che viene definito l’effetto leva finanziaria (leverage) che si crea quando, disponendo di ingenti quantità di liquidità, si possono concedere prestiti anche a soggetti ad elevato rischio di insolvenza. Inoltre i mutui andarono ben oltre il limite permesso, che è rappresentato dal rapporto con il capitale proprio (uno degli indicatori che le banche devono rispettare proprio per evitare fallimenti), secondo determinati valori di sicurezza. Questa strategia molto pericolosa porta immediati profitti, anche molto elevati, ma per contro presenta un altrettanto elevato rischio di perdite di capitale.
Tornando al periodo precedente al 2006 il fatto di recuperare velocemente liquidità incentivò nuovamente gli istituti di credito a concedere ulteriori finanziamenti a fasce di soggetti sempre meno affidabili, mentre nel contempo, le società veicolo si finanziavano vendendo sul mercato titoli a breve termine acquistati maggiormente da piccoli e medi investitori statunitensi ed europei. Fu poi questa in breve sintesi la modalità con cui la crisi si estese in tutta l’Europa ed anche oltre: le banche statunitensi potevano concedere prestiti a chiunque, senza una accurata valutazione del rischio creditizio, in quanto potevano confidare sulla cartolarizzazione del debito che consentiva loro di recuperare immediatamente liquidità e trasferire il rischio di insolvenza sulle società veicolo che a loro volta vendevano titoli agli investitori di tutto il mondo.
Esplose così nel 2007 la bolla del mercato immobiliare statunitense provocando grandi perdite per privati, aziende, istituti di credito; cosa era accaduto? I prezzi degli immobili iniziarono a diminuire, in quanto erano stati artificiosamente gonfiati, e quindi il loro valore rischiava di non coprire l’ammontare di mutuo concesso; così per bilanciare le perdite sulla linea capitale le banche iniziarono ad aumentare i tassi di interesse. Ciò portò come conseguenza l’impossibilità per molti debitori di poter pagare le rate di mutuo (basate su interessi variabili); a fronte di ciò gli immobili furono ripresi dalle banche per la vendita sul mercato ma i prezzi in calo non permettevano loro una rivendita veloce e soprattutto redditizia. Così gli istituti di credito smisero di concedere mutui, il mercato immobiliare si bloccò e ciò contribuì a far diminuire ancora di più i prezzi delle case. Ormai il panico aveva travolto il mercato immobiliare ed il sistema finanziario statunitense; il caso più significativo fu il fallimento del colosso della finanza: la società Lehman Brothers. Fu uno dei più eclatanti casi di bancarotta che investì la storia degli Stati Uniti e travolse l’intero mondo finanziario, innescando un effetto domino governato dal panico; il crollo del mercato immobiliare e di numerosi titoli quotati in borsa fu la risultante di una bolla di speculazione che aveva gonfiato per anni i mercati immobiliare e finanziario. Le banche smisero di concedere prestiti e le aziende di molti Paesi si vedevano negato il denaro anche per le attività produttive ordinarie; ciò comportò chiusure di aziende, fallimenti ed incremento della disoccupazione.
Questa crisi così traumatica per molte economie, perché non tutte furono travolte nello stesso modo dagli eventi, ha indotto il mondo bancario a sottoscrivere gli accordi di Basilea 3 con i quali sono state dettate regole di condotta più stringenti per gli operatori finanziari.
Fatto sta che la politica di azzardo morale (in inglese moral hazard che in poche parole implica che per azioni molto rischiose il vantaggio sarà esclusivamente di coloro che le hanno realizzate, mentre in caso di problemi saranno altri a sopportarne le conseguenze negative) attuata dagli istituti finanziari statunitensi, i quali peraltro non sono stati adeguatamente controllati dagli organi preposti (come ad esempio le agenzie di valutazione dei rischi c.d. agenzie di rating), di fatto si è tradotta in un’ondata che ha sconvolto intere economie nonché famiglie e piccole e medie aziende di tutto il mondo. L’architettura è collassata a causa di una politica ed un atteggiamento irresponsabile e superficiale da parte degli operatori; infatti la spirale che si è autoalimentata a partire dalla grande quantità di liquidità ha portato ad un’esplosione dei prezzi degli immobili non supportata da valori oggettivi e presupposti reali che però nessuno ha denunciato o anche solo evidenziato. In più la finanza ha trovato il modo di moltiplicare e di inquinare i mercati di tutti i Paesi attraverso la cartolarizzazione dei debiti contratti, contribuendo così a proliferare e ad allargare il grado di rischio di perdite che poi di fatto si sono verificate anche perché il mercato finanziario non era supportato dal mercato reale. In più le agenzie di rating, cioè quelle deputate a verificare la solidità e la sicurezza delle obbligazione immesse sul mercato, contribuirono non poco ad infettare tutto il mercato in quanto considerarono sicure le obbligazioni emesse per effetto del gioco delle cartolarizzazioni che a sua volta si autoalimentò creando anche ulteriori livelli di cartolarizzazione. Anche le banche investirono in questi strumenti finanziari vacui che vennero posti a base delle riserve e considerati come una salvaguardia dei depositi bancari.
L’analisi a posteriori vede come attori e responsabili gli istituti finanziari, le agenzie di rating, i finanzieri creatori della finanza innovativa, la politica fortemente espansiva della banca statunitense centrale (la FED) che portò a livelli molto bassi i tassi di interesse, e non ultimo il potente strumento dell’informazione di massa che spinse gli investitori, poco attenti e preparati, a scommettere su strumenti innovativi e che promettevano lauti guadagni. Alla fine il risultato fu che il valore effettivo degli immobili era decisamente molto più ridotto del valore per il quale si era concesso il mutuo, i tassi di interesse che poi iniziarono a crescere divennero insostenibili per i proprietari che avevano contratto debiti e che non avevano solide fonti di reddito, le banche si trovarono a svendere immobili finiti sul mercato delle aste e a non avere più liquidità per il mercato reale, produttivo che collassò anch’esso dopo breve tempo provocando un forte aumento del tasso di disoccupazione e un crollo del livello dei redditi. E’ facile intuire quali furono le vittime, che ancora oggi ne pagano le conseguenze, mentre rimane un dubbio su coloro che si sono arricchiti da questa crisi….Forse viene subito in mente una considerazione: si potrebbe essere arricchito tutto il sottobosco dell’economia malavitosa che potendo contare su un altissimo grado di liquidità ha potuto acquistare patrimoni immobiliari a prezzi davvero stracciati, e acquisire la proprietà di aziende ormai costrette quasi al collasso? E’ d’obbligo una profonda riflessione.
20 luglio 2024
UE: COLDIRETTI, AUMENTARE FONDI PAC O A RISCHIO 620 MILIARDI DEL SISTEMA AGROALIMENTARE
Prandini: “Recuperare terreno rispetto a Usa e Cina, ma risorse vadano ai veri agricoltori”
È essenziale che la nuova Commissione Ue faccia salire il budget per l’agricoltura per evitare che la produzione alimentare europea crolli, mettendo a rischio i 620 miliardi di euro del sistema agroalimentare italiano e favorendo le importazioni dai Paesi terzi. Servono più risorse per colmare il gap con Usa e Cina che garantiscono ai rispettivi settori molte più fondi. E’ l’appello lanciato dal presidente della Coldiretti Ettore Prandini in occasione dell’Assemblea nazionale a Roma della più grande organizzazione agricola dell’Unione, all’indomani del voto per l’elezione di Ursula Von der Leyen, confermata alla guida dell’esecutivo Ue per i prossimi cinque anni. Presenti all’appuntamento insieme alle imprese agricole provenienti da tutte le regioni italiane il segretario generale Vincenzo Gesmundo, il Presidente della Coldiretti Ettore Pradini, il vice premier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, il Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia, il Presidente dell’Ice, Matteo Zoppas e dell’Amministratore Delegato di BF Federico Vecchioni.
La Politica agricola comune in Europa vale 386 miliardi di euro in totale fino al 2027 – ricorda la Coldiretti – di cui trentacinque miliardi di euro in Italia, un ammontare che mette le aziende agricole dell’Unione in una situazione di svantaggio rispetto al resto del mondo.
“A chi dice che la Politica agricola comune pesi troppo sul bilancio europeo serve ricordare che negli Usa il Farm bill vale 1400 miliardi di dollari in dieci anni, mentre la Cina con molto più sostegno pubblico attualmente produce il 70% in più dell’intera produzione agricola dell’Unione Europea – ha sottolineato Prandini -. Per stare al passo con la sfida geopolitica servono quindi più risorse per la Pac. Alla nuova Commissione europea chiediamo di accompagnare lo sviluppo del settore, investendo concretamente su innovazione e sostenibilità ma anche destinando una volta per tutte i fondi solo ai veri agricoltori, non ad esempio agli aeroporti con terreni”.
Produzione messa a rischio da cambiamenti climatici e tensioni internazionali. Fondi necessari per sostenere la produzione agricola – sottolinea Coldiretti - messa sempre più a rischio dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalle tensioni internazionali che fanno esplodere i costi di produzione abbassando il reddito degli agricoltori, con il rischio di un crollo della produzione alimentare che andrebbe a danneggiare in primis le fasce più deboli della popolazione. L’aumento della dipendenza dell’estero porterebbe un netto trasferimento di ricchezza fuori dai confini dell’Unione, tagliando risorse preziose per le misure a favore del settore produttivo e dei cittadini, a partire da quelli più poveri. Le politiche sul cibo sono strettamente dipendenti dal livello di sovranità alimentare del Paese e non è un caso che lo stesso Farm bill americano destini parte delle risorse all’acquisto di buoni alimentari per gli indigenti.
Semplificazione burocratica per non gravare su aziende. Al tema delle risorse si abbina quello della semplificazione burocratica e del rispetto del principio di reciprocità. Dopo le manifestazioni pacifiche della Coldiretti a Bruxelles la Commissione ha compiuto un primo importante passo verso l’alleggerimento degli adempimenti a carico delle aziende agricole. Un passo che va ora rafforzato con una semplificazione ancora più profonda di tutte le regole della Pac che gravano su tutte le aziende, a prescindere dalla loro dimensione, considerato che oggi un agricoltore spende un terzo del suo tempo per riempire moduli e carte burocratiche. Ma anche con politiche “verdi” che valorizzino il ruolo dell’agricoltore nella tutela dell’ambiente, rispetto alle follie estremiste che hanno sino ad oggi caratterizzato l’applicazione del green deal.
Principio di reciprocità per evitare pratiche sleali. Ma in Europa – rileva Coldiretti – deve imporsi anche il principio di reciprocità: le regole imposte ai produttori europei devono valere per chi vuole vendere nell’Ue. Se così non accade si traduce in concorrenza sleale. Il tema del caporalato di cui si dibatte molto è strettamente connesso a questa emergenza. E occorre anche cambiare il codice doganale sull’origine dei cibi che consente oggi di spacciare per cibo italiano quello che italiano non è. Una battaglia che ha portato oltre diecimila agricoltori della Coldiretti alle frontiere, dal Brennero ai porti, per chiedere un cambio di passo, con l’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del Paese d’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea.
++CON EMBARGO ORE 10.30 DI VENERDI’ 19 LUGLIO++
PRATICHE SLEALI, COLDIRETTI: MAI SOTTO COSTI DI PRODUZIONE E OBBLIGO ETICHETTATURA IN EUROPA PER FILIERE EQUE
Alla nuova Commissione chiediamo un cambio di passo sulle politiche del cibo, su Nutriscore e direttiva packaging
Dall’Unione Europea è necessario un impegno per rafforzare le misure contro le pratiche sleali e tutelare così i produttori agricoli. Non solo, bisogna lavorare per filiere più eque che passi dall’obbligo di etichettatura su tutti gli alimenti in Europa, senza dimenticare di intervenire sul nutriscore e sulla direttiva packaging. Per l’occasione è stata allestita una mostra per toccare con mano le principali minacce che gravano sulla filiera agroalimentare nazionale e che rischiano si stravolgere in peggio in modelli di consumo e la dieta degli italiani.
Fermare le pratiche sleali. Coldiretti è stata l’unica organizzazione ad avere il coraggio di denunciare un colosso come Lactalis, perché aveva modificato unilateralmente gli accordi e non aveva pagato il prezzo del latte pattuito agli allevatori, costretti sino ad oggi a subire le decisioni dell’industria senza poterle contestare per paura di ritorsioni. Un impegno che va esteso a tutti i settori, poiché il cibo prodotto dai nostri agricoltori non può essere trattato come una commodity alla mercé di poche multinazionali.
Modificare il codice doganale sull’origine dei cibi. L’Europa deve inoltre modificare la norma dell’ultima trasformazione prevista dall’attuale codice doganale sull’origine dei cibi che permette ai prodotti esteri di diventare 100% italiani con lavorazioni anche minime.
L’invito alla nuova Commissione è quello di assicurare maggiore trasparenza sui prodotti alimentari in commercio all’interno dell’Unione, sostenendo la proposta di legge europea promossa dalla Coldiretti per introdurre l’obbligo dell’indicazione del Paese di origine in etichetta su tutti i cibi. Grazie alla ventennale battaglia della Coldiretti la provenienza è stata estesa a livello nazionale, anche se resta anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini senza dimenticare la carne o il pesce venduti nei ristoranti.
Stop al Nutriscore che mette a rischio 13 mld di Made in Italy. Inoltre, spiega Coldiretti, va fermata la diffusione dell’etichetta a semaforo che mette a rischio 13 miliardi di euro di esportazioni di prodotti italiani che finirebbero bollati sugli scaffali europei con valutazioni negative, a partire da quelli Dop e Igp, dando la falsa sensazione ai consumatori che molte delle più note eccellenze del Made in Italy a tavola facciano male alla salute. In questo modo una merendina artificiale diventa sempre preferibile a un pezzo di parmigiano reggiano o di grana padano.
Tra i vari dossier sul tavolo del prossimo esecutivo uno dei più pericolosi per l’agricoltura tricolore e la salute dei cittadini è, infatti, quello legato al Nutriscore, il sistema di etichettatura che “recensisce” i prodotti alimentari utilizzando i colori del semaforo, giallo, rosso e verde per indicare la salubrità dell’alimento, concentrandosi solo su alcune sostanze nutritive come zucchero, grassi e sale, ma senza tener conto delle quantità assunte. Un sistema sostenuto dalle multinazionali che penalizza prodotti simbolo della Dieta Mediterranea e che è stato sino ad oggi adottato da Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, mentre il Portogallo ha fatto da poco marcia indietro, grazie anche all’azione dell’Italia.
Ma soprattutto un sistema ingannevole che marchia col bollino rosso eccellenze del made in Italy, mentre lo stesso olio extravergine d’oliva, elisir di lunga vita, “viaggia tra la “C” e la “B”. Al contrario, cibi ultraprocessati di cui spesso non è nota neppure la ricetta vengono promossi a pieni voti col bollino verde e la lettera “A”. Un evidente tentativo di un pugno di oligarchi di mettere le mani sull’alimentazione mondiale, omologandola e sostituendo specialità da secoli presenti sulle tavole con prodotti di sintesi.
Intervenire sul regolamento packaging. Un altro nodo da sciogliere è quello del regolamento packaging. Il pressing di Coldiretti e Filiera Italia ha permesso di escludere dalle restrizioni bottiglie di vino e vasi per i fiori e di aumentare la discrezionalità di applicazione da parte degli Stati nazionali. Resta però incerto il destino dell’ortofrutta di IV Gamma come insalata in busta o confezioni di pomodorini e frutta, a rischio di scomparire dagli scaffali. Potrebbe, infatti, accadere che alcuni Paesi ne autorizzino il commercio e altri no, con l’effetto che le imprese produttrici si ritroverebbero a dover differenziare il packaging a seconda della destinazione.
20 luglio 2024
PRATICHE SLEALI, COLDIRETTI: MAI SOTTO COSTI DI PRODUZIONE E OBBLIGO ETICHETTATURA IN EUROPA PER FILIERE EQUE
Alla nuova Commissione chiediamo un cambio di passo sulle politiche del cibo, su Nutriscore e direttiva packaging
Dall’Unione Europea è necessario un impegno per rafforzare le misure contro le pratiche sleali e tutelare così i produttori agricoli. Non solo, bisogna lavorare per filiere più eque che passi dall’obbligo di etichettatura su tutti gli alimenti in Europa, senza dimenticare di intervenire sul nutriscore e sulla direttiva packaging. Per l’occasione è stata allestita una mostra per toccare con mano le principali minacce che gravano sulla filiera agroalimentare nazionale e che rischiano si stravolgere in peggio in modelli di consumo e la dieta degli italiani.
Fermare le pratiche sleali. Coldiretti è stata l’unica organizzazione ad avere il coraggio di denunciare un colosso come Lactalis, perché aveva modificato unilateralmente gli accordi e non aveva pagato il prezzo del latte pattuito agli allevatori, costretti sino ad oggi a subire le decisioni dell’industria senza poterle contestare per paura di ritorsioni. Un impegno che va esteso a tutti i settori, poiché il cibo prodotto dai nostri agricoltori non può essere trattato come una commodity alla mercé di poche multinazionali.
Modificare il codice doganale sull’origine dei cibi. L’Europa deve inoltre modificare la norma dell’ultima trasformazione prevista dall’attuale codice doganale sull’origine dei cibi che permette ai prodotti esteri di diventare 100% italiani con lavorazioni anche minime.
L’invito alla nuova Commissione è quello di assicurare maggiore trasparenza sui prodotti alimentari in commercio all’interno dell’Unione, sostenendo la proposta di legge europea promossa dalla Coldiretti per introdurre l’obbligo dell’indicazione del Paese di origine in etichetta su tutti i cibi. Grazie alla ventennale battaglia della Coldiretti la provenienza è stata estesa a livello nazionale, anche se resta anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini senza dimenticare la carne o il pesce venduti nei ristoranti.
Stop al Nutriscore che mette a rischio 13 mld di Made in Italy. Inoltre, spiega Coldiretti, va fermata la diffusione dell’etichetta a semaforo che mette a rischio 13 miliardi di euro di esportazioni di prodotti italiani che finirebbero bollati sugli scaffali europei con valutazioni negative, a partire da quelli Dop e Igp, dando la falsa sensazione ai consumatori che molte delle più note eccellenze del Made in Italy a tavola facciano male alla salute. In questo modo una merendina artificiale diventa sempre preferibile a un pezzo di parmigiano reggiano o di grana padano.
Tra i vari dossier sul tavolo del prossimo esecutivo uno dei più pericolosi per l’agricoltura tricolore e la salute dei cittadini è, infatti, quello legato al Nutriscore, il sistema di etichettatura che “recensisce” i prodotti alimentari utilizzando i colori del semaforo, giallo, rosso e verde per indicare la salubrità dell’alimento, concentrandosi solo su alcune sostanze nutritive come zucchero, grassi e sale, ma senza tener conto delle quantità assunte. Un sistema sostenuto dalle multinazionali che penalizza prodotti simbolo della Dieta Mediterranea e che è stato sino ad oggi adottato da Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, mentre il Portogallo ha fatto da poco marcia indietro, grazie anche all’azione dell’Italia.
Ma soprattutto un sistema ingannevole che marchia col bollino rosso eccellenze del made in Italy, mentre lo stesso olio extravergine d’oliva, elisir di lunga vita, “viaggia tra la “C” e la “B”. Al contrario, cibi ultraprocessati di cui spesso non è nota neppure la ricetta vengono promossi a pieni voti col bollino verde e la lettera “A”. Un evidente tentativo di un pugno di oligarchi di mettere le mani sull’alimentazione mondiale, omologandola e sostituendo specialità da secoli presenti sulle tavole con prodotti di sintesi.
Intervenire sul regolamento packaging. Un altro nodo da sciogliere è quello del regolamento packaging. Il pressing di Coldiretti e Filiera Italia ha permesso di escludere dalle restrizioni bottiglie di vino e vasi per i fiori e di aumentare la discrezionalità di applicazione da parte degli Stati nazionali. Resta però incerto il destino dell’ortofrutta di IV Gamma come insalata in busta o confezioni di pomodorini e frutta, a rischio di scomparire dagli scaffali. Potrebbe, infatti, accadere che alcuni Paesi ne autorizzino il commercio e altri no, con l’effetto che le imprese produttrici si ritroverebbero a dover differenziare il packaging a seconda della destinazione.
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IL VILLINO A ROMA
NEL PIANO REGOLATORE
E DI AMPLIAMENTO
DELLA CITTA’
1909
MAURIZIO SCARPONI
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