ASPETTI SOCIO-ECONOMICI E DI MERCATO
Abbiamo visto i pro ed i contro del sistema di tassazione proporzionale, almeno quelli che più sono stati evidenziati dalla stampa, più o meno specialistica; ma se si vuole inquadrare bene il problema occorre soffermarsi anche su altri aspetti, alcuni molto tecnici ma che si cercherà di approfondire.
Da qui una serie di considerazioni: una prima analisi va fatta con riferimento ai dati quantitativi riportati (secondo articolo) quando si sono rappresentate le motivazioni che sostengono la tesi contraria alla tassazione proporzionale; il calcolo su riportato si basa sul mero confronto delle aliquote, mentre occorre tener presente che la posizione debitoria fiscale del contribuente è la risultante del totale dei redditi percepiti al netto di tutti gli oneri detraibili e/o deducibili, per cui il contribuente presenta di fatto una posizione fiscale netta. Ciò detto da una semplice analisi dei dati tratti dal dipartimento delle entrate del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) si evince - dal dato macroeconomico complessivo che pone a rapporto l’imposta netta (pertanto al netto delle detrazioni IRPEF) con l’ammontare del reddito complessivo (al netto della cedolare secca) - che l’aliquota media IRPEF è del 18,77%, pertanto una percentuale ben lontana da quella calcolata sull’ipotesi di reddito da lavoro dipendente di 50.000 euro (che calcola un’aliquota media del 28,8%). Inoltre si consideri che il reddito medio da lavoro dipendente è pari a circa 20.700 euro, pertanto meno della metà di 50.000 euro (rappresenta precisamente il 41,4%) su cui si è impostato il confronto. Ora la forte differenza tra il sistema progressivo IRPEF e la flat tax che presenta un’aliquota del 15% su cui riflettere è dovuta al fatto che i contribuenti che scelgono tale imposizione, in mancanza di altri redditi da assoggettare ad IREF, non avranno diritto ad alcuna deduzione/detrazione dal reddito, in quanto la flat tax si presenta come imposta sostitutiva. Quindi per essi l’aliquota sarà unica ed effettivamente del 15%, laddove per i lavoratori dipendenti, pur avendo un’aliquota media che può aggirarsi intorno al 27% (aliquota media IRPEF che spesso viene utilizzata nelle relazioni tecniche governative) si è visto che l’aliquota effettiva media scende al 18,77%.
- un approccio di natura economico/fiscale porta a dover considerare il peso delle imposte e degli oneri sociali (c.d. cuneo fiscale) che grava sui redditi da lavoro dipendente il cui dato medio se diviso per 13 mensilità porta ad un valore mensile di circa 1600 euro di reddito netto disponibile (da uno studio del sole 24ore del 18 giugno 2021 si evidenzia che una famiglia composta da genitori e due figli che vive in una grande città del nord è considerata povera se non riesce a guadagnare complessivamente almeno 1.680 euro al mese). Pertanto si rende necessario un ripensamento della fiscalità personale complessiva, così come si rende necessaria una profonda riflessione sul reddito di cittadinanza che va riconosciuto dietro stringente verifica dei requisiti che ne stabiliscono il diritto, altrimenti si cade nella trappola per cui diviene più conveniente percepire il sussidio senza alcuno sforzo lavorativo (e magari lavorando in nero) rispetto ad andare a lavorare per percepire uno stipendio netto disponibile di poco superiore al sussidio stesso (e comunque applicando uno sforzo e delle conoscenze che non vengono adeguatamente remunerate).
- L’attuale società italiana ha visto, nell’ultimo ventennio un profondo cambiamento nel mercato del lavoro dove sempre più, ai lavoratori di prima occupazione, viene chiesto di aprire la partita IVA per poter lavorare; ciò rappresenta un notevole risparmio per il datore di lavoro, mentre il lavoratore deve accollarsi una serie di oneri relativi ai contributi previdenziali ed assistenziali, alle spese amministrative di gestione, a varie forme di assicurazione professionale, nonché alle eventuali perdite per malattia e gravidanza che vanno direttamente a gravare sul lavoratore.
- Da ciò consegue che i lavoratori autonomi, specialmente all’inizio della loro attività professionale, artigianale, o imprenditoriale, devono saper far fronte al rischio d’impresa, al rischio incertezza del mercato, devono avere le capacità personali e professionali di penetrare il mercato (che peraltro con la globalizzazione presenta sempre più barriere all’entrata) e per tali motivi, almeno nei primi anni lavorativi, percepiscono redditi molto bassi. Tali aspetti pesano molto di più sul lavoratore autonomo che su quello dipendente.
- La presenza di molti lavoratori comunitari ed extra comunitari che spesso lavorano senza aprire alcuna partita IVA e che quindi, oltre ad incrementare il lavoro sommerso spingono il mercato verso il basso. Questo aspetto induce, a sua volta, i nostri giovani a guardare fuori dall’Italia per cercare mercati del lavoro più competitivi e più meritori; da qui il problema della c.d. fuga dei cervelli.
Questi solo alcuni aspetti sociali ed economico/finanziari che possono aiutare a delineare un’idea personale su quanto sia giusta o meno l’introduzione della flat tax per i contribuenti minimi. A voi l’ardua sentenza. Nel prossimo articolo vi fornirò il mio punto di vista che, è evidente, potrete del tutto ignorare in quanto avete ora a disposizione degli strumenti per poter ragionare e prendere una vostra posizione.
Alessandra Di Giovambattista