IL VALORE AGGIUNTO DELLE RACCOMANDAZIONI DELL’OCSE SULLA LEGGE ITALIANA SUL LOBBISMO

 

di Alessandra Di Giovambattista

 04-09-2023

Sul testo unificato della legge sul lobbismo, che ha ottenuto il suo primo sì presso la Camera dei Deputati il giorno 12 gennaio 2022, è stato necessario acquisire anche il parere dell’Ufficio per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico della cooperazione (OCSE) per le istituzioni democratiche ed i diritti dell’uomo, che è stato espresso nel settembre 2021. Con esso l’ufficio dell’OCSE ha sollevato questioni sulle aree di criticità della bozza proposta.

È interessante il preambolo del parere in cui si sottolinea che la regolamentazione delle attività di lobbying si inserisce in un contesto in cui si incrocia da una parte la salvaguardia del diritto alla libertà di associazione ed il diritto alla partecipazione dei singoli alle attività politiche e dall’altro l’eliminazione delle situazioni in cui potrebbero emergere atteggiamenti e fattispecie riconducibili al reato di corruzione. “Il lobbying è un atto legittimo di partecipazione politica, un mezzo importante per promuovere il pluralismo e, in ultima analisi, uno strumento per contribuire al miglioramento del processo decisionale nel settore pubblico”. Nel termine lobbying rientra anche l’attività di “advocacy”, ossia di attivismo sostenuta da organizzazioni della società civile o da gruppi senza scopo di lucro; tuttavia l’accesso non trasparente e legato a conoscenze e clientele ha portato il lobbying ad essere percepito come l’influenza sul processo decisionale da parte di soggetti portatori di interessi potenti.

La definizione proposta dal Consiglio d’Europa (CM/Rec del 2017) per “lobbying” è la seguente: “la promozione di interessi specifici attraverso la comunicazione con un funzionario pubblico nell’ambito di un’azione strutturata ed organizzata volta a influenzare il processo decisionale pubblico”. Può rappresentare pertanto uno strumento efficace per esercitare il diritto di partecipazione pubblica all’attività politica. Nell’ambito dell’OCSE gli Stati partecipanti si sono impegnati a “garantire che agli individui sia consentito l’esercizio del diritto di associazione, compreso il diritto di formare, aderire e partecipare con efficacia a organizzazioni non governative” (documento di Copenaghen del 1990) e quindi di “rafforzare le modalità di contatto e di scambio di opinioni tra le ONG e le autorità nazionali competenti e le istituzioni governative” (Documento di Mosca del 1991). Tuttavia, pur considerando il lobbying anche nell’accezione di attivismo, al fine di contrastare l’influenza sproporzionata da parte di gruppi finanziariamente e politicamente potenti, e di garantire la trasparenza del processo di formazione delle scelte di politica e di politica economico/finanziaria, le attività di rappresentanza di interessi sono assoggettate ad attente regolamentazioni e devono presentare dei requisiti di trasparenza ed integrità per garantire la responsabilità dei soggetti partecipanti all’attività di lobbying e l’inclusione nel processo decisionale. La questione della normazione presenta un elevato grado di delicatezza in quanto le regole poste a tutela dei diritti democratici di espressione della volontà e di controllo dell’operato pubblico da una parte non devono violare il diritto dei singoli, anche organizzati collettivamente, di esprimere liberamente le proprie opinioni e di presentare interrogazioni agli attori della pubblica amministrazione e dall’altra devono poter promuovere campagne a favore di modifiche normative e socio/economiche. Per contro la stessa legislazione deve agire sul lato della corruzione impedendone lo sviluppo e contrastandone le diverse forme di connivenza. Il gruppo di stati presenti nel Consiglio d’Europa che agisce contro le forme di corruzione ha esaminato anche le norme in materia di lobbying presentate dalle autorità italiane e ne ha fornito apposito documento che contiene al suo interno diverse raccomandazioni che il parere dell’OCSE, qui all’esame, tiene in debita considerazione.

Il parere formulato dall’Ocse contiene quindi diverse indicazioni circa il miglioramento e le correzioni da apportare alla proposta italiana, in più indica delle raccomandazioni, che sono così sintetizzabili:

  • Raccomandazione A: la sintesi della prima raccomandazione si basa sul fatto che la proposta di legge sul lobbying presentata dall’Italia sarebbe più efficace se si basasse su un approccio più equilibrato circa gli obblighi assunti dalle due parti, cioè lo Stato ed i suoi rappresentanti da una parte ed i lobbisti dall’altra, siano essi soggetti privati, aziende, o organizzazioni della società civile. In particolare la proposta di legge non sembra porre particolare attenzione agli obblighi ed ai vincoli che dovrebbero esser posti anche in capo agli operatori pubblici (politici e funzionari), soffermandosi essenzialmente sui vincoli gravanti sui lobbisti; nello specifico la responsabilità della trasparenza delle decisioni prese dovrebbe essere suddivisa equamente tra lobbisti e decisori pubblici, con la considerazione che sono poi questi ultimi a dover rendere conto delle loro scelte e decisioni alla società, che si sostanzia, in ultima analisi, nel corpo elettorale. Prevedere le responsabilità ed i vincoli alla sola parte dei portatori di interesse, rischia di lasciare aperte scappatoie e spazi per la corruzione; per contro vincolare i soli lobbisti potrebbe soffocare la partecipazione politica e pubblica e limitare le forme di associazione in difesa di specifiche richieste formulate da categorie e/o gruppi di interesse. Pertanto entrambe le parti devono agire in modo appropriato e responsabile l’una nei confronti dell’altra (per approfondimenti si veda quanto scritto dal Gruppo di stati contro la corruzione – GRECO); in particolare i principi dell’OCSE per la trasparenza e l’integrità del lobbying affermano che “i Paesi devono promuovere una cultura dell’integrità nelle organizzazioni pubbliche e nel processo decisionale, delineando regole e linee di condotta chiare per i funzionari pubblici”.

  • Raccomandazione B: in tale raccomandazione l’OCSE sottolinea l’importanza di introdurre nella legge di regolamentazione del lobbying, il percorso di formazione, l’ausilio di guide e di materiale tanto per i lobbisti quanto per i decisori pubblici. In effetti la proposta di legge è carente nella parte riguardante le modalità di formazione e conoscenza dei contenuti dell’attuale disegno di legge che un domani diverrà norma nazionale; è pertanto importante prevedere modalità e percorsi per far sì che gli attori di questo incontro di volontà/interessi possano conoscere in modo approfondito le finalità delle disposizioni stesse al fine di costruire le capacità, la sensibilità e le competenze per il confronto tra lobbisti e politici, al fine di evitare incomprensioni, o mancata applicazione dei principi contenuti nel disegno di legge stesso.

  • Raccomandazione C: l’ufficio preposto ai pareri dell’OCSE suggerisce di chiarire che tutte le forme di contatto sono contemplate, indipendentemente dal fatto che avvengano di persona, per iscritto o attraverso strumenti di comunicazione digitale. In tal senso infatti si è vista la complessità crescente del lobbying in termini di utilizzo dei canali e meccanismi tecnologici al fine di influenzare le decisioni di politica pubblica. La mancanza di un’accezione ampia potrebbe aprire il varco ad attività illecite e a rischio di corruzione, in quanto lascerebbe sguarnite attività di contatto riconducibili a metodologie informatiche di più recente generazione; si pensi a tutto il fenomeno degli influencers e delle strategie utilizzate dai social media per informare, disinformare e alterare la percezione delle problematiche da parte del pubblico. Pertanto l’OCSE auspica che le definizioni contenute nella proposta di legge vengano migliorate per aumentarne la chiarezza e la prevedibilità nonché per ampliarne l’accezione circa le modalità di contatto tra gli attori del lobbying al fine di rendere le disposizioni le più efficaci possibile. Inoltre il parere sottolinea il fatto che la legge deve essere redatta con maggior cura per evitare che non tutte le attività di attivismo (advocacy) e sensibilizzazione siano riconducibili al fenomeno del lobbying indiretto. Infatti la norma si esprime in maniera generica facendo rientrare nel lobbying lo “svolgimento di qualsiasi altra attività diretta a concorrere alla formazione delle decisioni pubbliche”; in tal modo qualsiasi azione di attivismo rischierebbe di essere soffocata a discapito dell’impegno di alcune organizzazioni/ONG in ambito sociale e civile.

  • Raccomandazione D: l’attenzione da parte dell’ufficio dell’OCSE preposto al parere cade sulla definizione di decisore pubblico che la proposta individua in modo alquanto ristretto. Si rende necessario che tale definizione sia la più ampia possibile e contempli al suo interno anche le figure riconducibili a tutti i funzionari pubblici che possono diventare destinatari del lobbying, fornendo una descrizione semplice e completa del soggetto identificabile come decisore pubblico su ogni livello e in linea con i documenti di orientamento internazionali. In particolare il parere sottolinea che indicare nella proposta di legge come funzionari pubblici comunali destinatari delle disposizioni, quelli che gestiscono Comuni con un numero minimo di abitanti (pari o superiori a 300.000 abitanti) escluderebbe dalla normativa, volta a regolare il lobbying, quelle piccole realtà dove forse più che in altri luoghi si potrebbero perpetrare accordi e influenze indebite con ricadute negative per il territorio in termini di collusione e corruzione. In ragione di ciò auspica l’eliminazione di ogni riferimento numerico in termini di abitanti presenti nei Comuni al fine di individuare i funzionari pubblici destinatari delle norme in discorso. Inoltre specifica che il lobbista può operare anche senza compenso e senza un’organizzazione professionale alle spalle; pertanto dovrebbe essere eliminata la qualifica di attività organizzata “professionalmente” che implicherebbe sia dei compensi, sia una struttura amministrativa efficiente ed organizzata, caratteristiche che di fatto potrebbero non essere presenti.

  • Raccomandazione E: l’OCSE impone di inserire dei requisiti di trasparenza ed accountability specialmente nei casi di incontri tra privati, di natura non pubblica. In effetti le linee guida internazionali individuano solo due categorie di eccezioni alle leggi sul lobbying: 1) le interazioni tra cittadini privati e funzionari pubblici in merito ai loro affari privati, salvo qualora questi riguardino interessi economici individuali aventi però una rilevanza e una dimensione che possano coinvolgere un più ampio ambito; 2) il caso di funzionari pubblici, diplomatici e partiti politici che agiscono nelle vesti ufficiali. Invece la proposta italiana individua una lunga lista di eccezioni all’applicabilità delle disposizioni di regolamentazione del lobbying, esentando anche incontri di natura non pubblica che però potrebbero ricadere per importanza e complessità nell’ambito delle relazioni di interessi. Tale aspetto, se non ben chiarito nelle norme, potrebbe di fatto aumentare i rischi di corruzione in quanto rimarrebbero fuori dal controllo interventi ed interazioni che sostanzialmente sarebbero riconducibili a vere e proprie attività di lobbying. Allo stesso modo, le disposizioni internazionali danno un significato ampio all’attività di lobbying, mentre la proposta italiana esclude dall’applicazione normativa anche “l’attività di rappresentanza svolta nell’ambito di processi decisionali che si concludono mediante protocolli d’intesa o altri strumenti di concertazione”; con riferimento a ciò il parere sottolinea che non essendo chiara la portata normativa, di fatto potrebbero simularsi azioni esenti dalla legge di regolamentazione del lobbying che sarebbero invece da ricondurre proprio nell’alveo della gestione di interessi privati in ambito pubblico i quali, in mancanza di controllo e regolamentazione, potrebbero sfociare in fattispecie riconducibili alla corruzione o alla connivenza.

  • Raccomandazione F: la predisposizione di un codice deontologico presuppone una guida che specifichi ed approfondisca le disposizioni contenute nella proposta di legge al fine di condurre facilmente sia i lobbisti che i decisori pubblici ad azioni che rispondano agli obblighi contenuti nelle norme. Con tale significato il codice deontologico dovrebbe costantemente far riferimento alle disposizioni contenute nella proposta di legge in modo da individuare le singole violazioni ed assoggettarle a specifiche sanzioni. In particolare il parere fa notare che nella proposta le norme del codice deontologico, peraltro non ancora elaborate e pubblicate, sono imposte ai soli “rappresentanti di interessi” e non anche ai “decisori”, con ciò conferendo a questi ultimi un potere contrattuale maggiore e per di più non sanzionabile. Si fa notare che un codice di tale natura dovrebbe essere destinato a tutti gli attori delle relazioni, siano essi lobbisti o decisori pubblici, con la finalità di guidare e fornire informazioni affinché il loro operato si svolga secondo una condotta appropriata, che garantisca che tutte le parti rispettino i principi deontologici di buona attività.

  • Raccomandazione G: conseguenza di quanto espresso prima è la raccomandazione in esame; in essa si specifica che l’imposizione di sanzioni sia adeguata e proporzionale alle inosservanze delle specifiche norme e che le sanzioni stesse siano irrogate non solo ai rappresentanti di interessi ma anche ai detentori di interessi e ai decisori pubblici.

  • Un altro aspetto importante individuato nel parere, che però non ha dato luogo ad una specifica raccomandazione, risiede nella norma che esclude compensi ai rappresentanti del Governo o ai partiti; in particolare la proposta italiana specifica che “i rappresentanti di interessi non possono corrispondere, a titolo di liberalità, alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti a rappresentanti del Governo o a partiti, movimenti e gruppi politici, a loro esponenti o a intermediari di questi ultimi”. L’ufficio specifica che gli strumenti giuridici internazionali previsti contro la corruzione hanno una connotazione molto più ampia specificando che proibiscono di “offrire, promettere o fornire qualsiasi vantaggio indebito", esulando in tal modo dal più ristretto divieto indicato dalla norma di corrispondere “alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti", che di fatto non esclude il rischio di corruzione durante le attività di lobbying. Acquista così rilievo anche la mancanza, nella proposta italiana, di qualsiasi riferimento normativo sulla necessità di relazionare circa le informazioni riguardanti eventuali vantaggi offerti, promessi o concessi a persone, gruppi o enti, che consentirebbe di valutare se tali tipi di ricompensa siano riconducibili a forme di vantaggio indebito.

In conclusione il parere dell’OCSE fa riflettere circa la limitazione delle disposizioni contenute nella proposta italiana che si presenta davvero ad uno stadio embrionale; le correzioni da apportare sono tante e tutte condivisibili in quanto aiutano a specificare il campo di azione e consentono una definizione più ampia dei fenomeni e delle situazioni riconducibili alle attività di lobbying. L’ampliamento delle definizioni ricondurrebbe nell’alveo della regolamentazione molte situazioni che invece, utilizzando la proposta italiana, rimarrebbero fuori dal controllo, impedendo una valutazione efficace ed effettiva dell’operato dei portatori di interesse e dei soggetti pubblici.

Una siffatta correzione aiuterebbe quindi ad individuare meglio le responsabilità dei singoli, definirne le eventuali colpe, irrogare le conseguenti sanzioni con il risultato di offrire una visione condivisibile, consapevole e garantista dell’operato dei soggetti pubblici. In mancanza di ciò, molto probabilmente, i varchi e le falle a favore delle situazioni di corruzione e collusione saranno tanti e sfuggiranno al controllo ed alle sanzioni. Sarebbe auspicabile poter contare su una legislazione chiara ed efficace che, per un argomento così delicato, faccia assumere le dovute responsabilità agli operatori pubblici e privati i quali, qualora non si comportino secondo onestà e deontologia, sarebbero chiamati a rifondere personalmente i danni che lo Stato subirebbe per effetto delle loro condotte illegali.

IL PRIMO PASSO VERSO UNA LEGGE DI REGOLAMENTAZIONE DEL LOBBISMO
di Alessandra Di Giovambattista

30-08-2023

 


Più di un anno fa, il 12 gennaio 2022, la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge recante la disciplina dell’attività di lobbying. Si rammenta che la I Commissione della Camera - Affari costituzionali, Presidenza del Consiglio e Interni – avviò nel dicembre 2019 l’esame di più proposte di legge tra loro abbinate volte a regolare l’attività di rappresentanza degli interessi ed all’istituzione di un registro pubblico dei rappresentanti di interessi. La Commissione è giunta, dopo diverse audizioni a quella dell’agosto 2021 in cui si è adottato un testo unificato delle diverse proposte di legge.
In Italia il vuoto normativo in tema di lobbying è sempre esistito; tuttavia dal 1976 sono stati presentati almeno 96 disegni di legge, tutti lasciati decadere consentendo a privati e ad organizzazioni di continuare nell’attività di rappresentanza di interessi, in un contesto privo di inquadramento giuridico che ha favorito legami non trasparenti e non etici, spesso mossi dal tornaconto personale del singolo o dei soggetti da essi rappresentati che hanno potuto influenzare il corso degli eventi politici.
Il tema è molto delicato ed è bene ricordare, secondo la descrizione dell’enciclopedia Treccani, che il termine lobbying viene utilizzato “per definire quei gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi”. In tale definizione possiamo far rientrare aziende, associazioni di categoria, privati, ordini professionali ed altre organizzazioni non meglio definite.
Alla luce del nuovo testo di disegno di legge - licenziato dalla Camera dei deputati dopo un percorso lungo ed accidentato, iniziato nel 2019 e assoggettato a modifiche mediazioni, scontri ed emendamenti ed inviato nel gennaio 2023 al Senato della Repubblica, con la speranza di un sua definitiva approvazione entro il 2023 - possiamo sottolineare sinteticamente alcuni aspetti di peculiare importanza:
• l’iscrizione al Registro nazionale per la trasparenza dell’attività di relazione per la rappresentanza di interessi, tenuto dall’Antitrust (Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM), per coloro che intendono svolgere tale attività presso i decisori pubblici; l’elenco sarà consultabile da tutti i cittadini mediante l’utilizzo di spid o carta d’identità elettronica.
• L’istituzione di un’agenda degli incontri tra i rappresentanti di interessi ed i decisori pubblici che dovrà essere aggiornata dai rappresentanti settimanalmente. Invece i decisori pubblici potranno chiedere di rimuovere i contenuti giudicati non veritieri.
• La creazione di un Comitato di sorveglianza presso l’Antitrust che si occuperà di verificare la trasparenza dei processi decisionali pubblici, di comminare sanzioni amministrative in caso di violazioni delle disposizioni normative e di adottare un codice deontologico con le modalità di comportamento che dovranno tenere i rappresentanti degli interessi nello svolgimento della loro attività di relazioni istituzionali. Le funzioni del comitato di sorveglianza sono svolte da una Commissione bicamerale composta da 5 deputati e 5 senatori.
• La non applicazione delle norme in caso di rappresentanza di interessi svolta da enti pubblici o soggetti rappresentanti di essi nonché da partiti o movimenti politici e da organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, come ad esempio Confindustria.
L’approvazione del disegno di legge, avvenuta con 339 voti favorevoli, nessun voto contrario, e 42 astenuti, tenta di colmare un vuoto normativo in materia di trasparenza e inclusività dei rapporti decisionali; spetterà ora al Senato modificare il testo o approvarlo così come votato alla Camera.
Esaminando in via sintetica il disegno di legge, si evidenzia il contenuto delle norme più importanti:
• l’oggetto dell’intervento legislativo riguarda l’attività delle relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi, intesa come contributo alla formazione delle decisioni pubbliche, svolta dai rappresentanti di interessi “particolari”, nell’osservanza della normativa vigente, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni e con obbligo di lealtà verso di esse. I principi ispiratori sono quelli di trasparenza, pubblicità, partecipazione democratica e conoscibilità dei processi ispiratori (articolo 1);
• i rappresentanti di interessi sono individuati nei soggetti che esercitano l’attività di lobbying, che si configura come ogni attività finalizzata alla rappresentanza di interessi, di rilevanza anche non generale e anche di natura non economica, nell’ambito dei processi pubblici e svolta da specifici soggetti in modo professionale. L’attività di rappresentanza di interessi viene svolta mediante molteplici modalità quali la presentazione di domande di incontro, proposte, richieste studi, ricerche, ecc. (articolo 2);
• le disposizioni emanate non trovano applicazione nei confronti di alcuni soggetti, quali i funzionari pubblici, i giornalisti, i rappresentanti dei governi e dei partiti, i movimenti e gruppi politici di Stati stranieri, i rappresentanti delle confessioni religiose riconosciute. Dal punto di vista oggettivo le disposizioni in materia di lobbying non si applicano: ai rapporti la cui pubblicità costituisce violazione delle norme sul segreto di Stato, d’ufficio, professionale o confessionale; alle attività di comunicazione istituzionale, orali o scritte, rese nell’ambito di sedute o audizioni presso gli organi parlamentari, o le commissioni; all’attività di rappresentanza svolta nell’ambito di processi decisionali che si concludono mediante protocolli d’intesa o altre modalità di decisione collettiva (articolo 3);
• l’istituzione del citato Registro per la trasparenza dell’attività dei soggetti che svolgono attività di lobbying al quale devono iscriversi tutti coloro che vogliono svolgere attività di relazione istituzionale per la rappresentanza di interessi. Il registro è tenuto presso la AGCM. Il registro, tenuto in forma digitale, è articolato in due parti: una ad accesso riservato ai soggetti iscritti e alle amministrazioni pubbliche e l’altra ad accesso pubblico, consultabile per via telematica (articolo 4);
• la creazione di un’agenda degli incontri tra lobbisti iscritti al registro e decisori pubblici; ciascun rappresentante di interessi aggiorna settimanalmente la propria agenda che è consultabile nella parte aperta del Registro alla pubblica lettura. È anche previsto un procedimento di opposizione da parte dei decisori pubblici alla pubblicazione di informazioni che risultano non veritiere (articolo 5);
• l’adozione di un codice deontologico da parte del Comitato di sorveglianza sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici, istituito presso la AGCM (articolo 6);
• l’assegnazione all’AGCM della tenuta del registro e delle funzioni di sorveglianza e controllo di cui agli articoli 5 e 6. Con riferimento all’attività parlamentare le funzioni del Comitato di sorveglianza sono svolte da una commissione parlamentare bicamerale. I componenti del comitato sono nominati dal Presidente della Repubblica ed è composto da un magistrato della Corte di Cassazione, da un magistrato della Corte dei conti, e da un membro del CNEL che svolge anche le funzioni di Presidente del Comitato (articolo 7);
• la definizione dei diritti riconosciuti ai lobbisti iscritti nel registro. In particolare essi possono presentare ai decisori pubblici domande di incontro, proposte, richieste, studi, ricerche; possono svolgere attività dirette a perseguire interessi leciti di rilevanza non generale e concorrere alla formazione delle scelte pubbliche; accedere alle sedi istituzionali dei decisori pubblici (articolo 8);
• la determinazione di obblighi a cui sono tenuti gli iscritti al registro. In particolare si stabilisce il divieto per i lobbisti di corrispondere, a titolo di liberalità, somme di denaro o altre utilità economiche di rilevante importo ai decisori pubblici, nonché l’obbligo da parte di ciascun portatore di interessi di predisporre entro il 31 gennaio di ogni anno una relazione sull’attività di rappresentanza di interessi volta nell’anno precedente. Anche il Comitato di sorveglianza è tenuto a redigere, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione annuale sull'attività dei lobbisti, nella quale possono essere segnalate eventuali criticità e formulate proposte (articolo 9);
• l’istituzione di una procedura mediante la quale ciascun decisore pubblico può indire una consultazione qualora intenda proporre o adottare un atto normativo o regolatorio di carattere generale; tale procedura di consultazione deve essere pubblicata sul registro al fine di averne la massima pubblicità ed essere di facile accesso pubblico (articolo 10);
• la definizione di una disciplina sanzionatoria in caso di violazione di obblighi stabiliti dalla legge nei confronti del lobbista. Le sanzioni sono regolate in ragione della gravità della condotta, definendo così: l’ammonizione, la censura, la sospensione dall’iscrizione nel registro, la cancellazione dal registro (articolo 11).
La proposta di legge approvata, per ora, dalla sola Camera dei deputati ha indubbiamente il merito di provare a normare un ambito che finora è rimasto fuori da ogni regolamentazione; probabilmente questa situazione di totale delegificazione è stata voluta al fine di non palesare incontri, impegni, pressioni, interessi di singoli o di gruppi di potere per rendere meno trasparente possibile la rete di conoscenze e di clientele che generano scelte e decisioni politiche di favore per pochi soggetti, alimentando al contempo forme di corruzione.
Le nuove disposizioni riconoscono un ruolo importante ai portatori di interessi con la finalità di garantire, nel modo più ampio possibile, l’espressione democratica delle necessità e delle opportunità sentite dai soggetti operanti nel contesto socio-economico e più in generale dalla società civile.
Secondo diversi osservatori il registro unico nazionale dei portatori di interessi consentirà di chiarire i soggetti che svolgono tale attività, peraltro in modo professionale, ricompattando tutte le informazioni ad oggi presenti e frammentate presso i registri tenuti dalla Camera dei deputati, e da alcuni ministeri ed enti locali. Tale registro permetterà di conoscere gli incontri e le relazioni instauratisi tra i lobbisti ed i politici e funzionari pubblici.
Tuttavia si sottolineano alcune perplessità rappresentate dagli esperti del settore: in prima analisi si evidenzia che il sistema finora ha premiato coloro che hanno già l’abitudine e l’attitudine a trattare con i decisori pubblici, escludendo tutti gli altri potenziali interlocutori; in tale contesto il dubbio della corruzione riemerge prepotentemente ed è sostenuto dalla asimmetrie informative presenti ad oggi sul mercato. Sarà quindi importante vigilare e affinare la normativa proposta affinché tutti abbiano le stesse possibilità di svolgere l’attività di rappresentanza di interessi.
Un altro aspetto da sottolineare che presenta delle criticità con riferimento al processo di trasparenza delle decisioni pubbliche, riguarda la disposizione che, ad oggi, non obbliga al rispetto della legge sul lobbismo due importanti interlocutori: i sindacati e Confindustria. La motivazione posta a questa lettura legislativa sembra essere riconducibile al fatto che tali due interlocutori rappresentano gli interessi generali. Tuttavia è stato da più parti osservato che anche associazioni mondiali come Greenpeace o Amnesty International o le varie organizzazioni non governative (ONG) sono portatori di interessi generali, o meglio di attivismo (vedremo che l’OCSE definisce tale forma di tutela di interessi generali con la parola “advocacy”) e secondo la legge in esame loro saranno obbligati a tenere traccia e a dare conto degli incontri avuti con i decisori pubblici e di rendicontare l’attività di rappresentanza svolta, mentre questo obbligo non esisterà per altri attori quali quelli già menzionati cioè i sindacati e Confindustria. Eppure proprio questi ultimi già presenti e ben radicati con i loro interessi nel nostro Paese dovrebbero, forse, più degli altri rendicontare e rendere trasparenti incontri e decisioni prese; d’altronde proprio con tali interlocutori spesso i rappresentanti politici costruiscono i loro programmi di Governo e tale forma di trasparenza forse permetterebbe agli elettori anche di svolgere un controllo e di scegliere i propri rappresentanti in modo più consapevole e democratico. Sarebbe opportuno che la società conoscesse la loro influenza sulle scelte dei decisori pubblici che poi vengono votati.
Un altro aspetto da attenzionare riguarda il tempo che deve passare prima che un rappresentante pubblico (membri del Governo o delle giunte regionali) dopo essere cessato dal proprio incarico, possa agire privatamente come un lobbista; la legge per il momento fissa questo periodo di congelamento dell’attività in un anno. Anche per tale aspetto non sono mancate critiche; infatti un così breve lasso di tempo permette a soggetti attivi nell’ambito politico di sfruttare conoscenze di persone e di fatti che altri non hanno e che oltre a dare ad essi una rendita di posizione, generando asimmetrie informative, offre il fianco a corruzioni e connivenze dovute proprio al loro ruolo che li vede in una veste privilegiata rispetto agli altri lobbisti. La soluzione che potrebbe prospettarsi e legata non solo al prolungamento del periodo di congelamento, ben oltre l’anno previsto attualmente, ma anche all’inibizione dello svolgimento di attività di lobby nel settore nel quale il soggetto ha operato in veste di attore pubblico.
Non dovrebbero essere anche queste delle finalità che la legge sul lobbismo dovrebbe perseguire a garanzia della democrazia, della trasparenza e delle conoscenze consapevoli per la società civile?

 

Il processo di lobbying: storia e significato
di Alessandra Di Giovambattista

29-08-2023

L’attività di lobbying, ossia il tentativo da parte di gruppi o singoli individui di influenzare l’attività e le decisioni del Governo di una Paese, sembra abbia origine nel XVIII secolo negli attuali Stati Uniti d’America. Il termine inglese lobby traduce specificatamente la “loggia”, ossia il luogo considerato come tribuna parlamentare riservata al pubblico. I soggetti portatori di interessi propri o di gruppo, svolgono attività di influenza e pressione sul sistema politico; tale modalità di azione viene definita lobbying, in italiano lobbismo. Lobby è una parola che deriva dal tardo latino, medioevale: “laubia” con significato di loggia, portico. Secondo alcuni autori la parola lobby venne usata per la prima volta da Thomas Becon, nel seconda metà del 1500, poi sembra ripresa da William Shakespeare nell’opera Enrico IV, volendo indicare il “passaggio”, il “corridoio”. Altri fanno derivare la parola inglese lobby dall’antica lingua tedesca “lauba” (chiaramente derivata dal tardo latino, come su detto) con il significato di deposito di documenti. Tuttavia fu nel XIX secolo (intorno al 1830) che il termine lobby andò ad indicare, nella “Camera dei Comuni”, la grande anticamera in cui i membri del parlamento inglese usavano esprimere il proprio voto durante una sessione di “division”, ossia di votazione. Successivamente il termine fu usato per individuare la zona del Parlamento in cui i rappresentanti dei gruppi di pressione cercavano di contattare i membri del Parlamento per perorare i propri interessi; con il termine lobby furono quindi indicate le anticamere di fronte alle aule in cui le decisioni parlamentari venivano prese. Si iniziò così, durante il XIX secolo, ad utilizzare il termine lobbyist e lobbying per indicare rispettivamente i soggetti portatori di interessi specifici e le loro attività.
Quindi in senso lato la parola lobby indica il gruppo di pressione che si riunisce per incontrare i parlamentari e portare avanti interessi di gruppi o personali. Così il termine è approdato anche nella nostra lingua che, con terminologia essenzialmente giornalistica, indica i gruppi di potere/interesse con lobbies, i soggetti come lobbisti, e le attività di pressione in attività di lobbying. I gruppi di pressione, spesso rappresentati anche da ditte professioniste specializzate nell’offrire servizi di lobbying, sono quindi gruppi organizzati di individui o aziende che tentano, con varie strategie di influenzare le decisioni che le istituzioni intendono prendere per favorire determinati interessi; molti sono i modi e le forme in cui tali gruppi provano a condizionare il potere legislativo. Alcune volte le modalità di azione possono non essere sempre trasparenti o legali, ad esempio si possono usare pratiche di corruzione, traffico di influenze illecite per corrompere pubblici ufficiali, divulgazione di notizie propagandistiche attraverso i media con la finalità di raggiungere determinati obiettivi.
In Italia, come anche nel resto dei paesi Europei, il lavoro del lobbista non gode di buona fama, spesso viene ricondotto a scandali, alla corruzione ed alla concussione, ed i lobbisti sono considerati solo come portatori di interessi particolari, contrari a quelli generali; in particolare, l’associazione internazionale contro la corruzione - la Trasparency International Italia – ha individuato tre cause che fanno intravedere l’attività di lobbying come un’attività riconducibile a discutibili pratiche di influenza socio-politica. Una prima causa, di natura storica, è riconducibile al peso che la rivoluzione francese ed il pensiero di Rousseau hanno avuto sulle modalità di espressione della volontà popolare: quest’ultima è considerata come il prodotto della volontà dello Stato espressa unicamente attraverso l’attività legislativa e non già come possibile mediazione tra parti rappresentanti differenti interessi. Altro aspetto, riconducibile ai criteri dettati dalla Costituzione italiana, si ritrova nel fatto che i partiti politici sono visti come gli unici attori che possono intervenire e mediare con le istituzioni. Il terzo motivo risiede nella mancanza di regolamentazione e di trasparenza delle attività di rappresentanza di interessi che le fanno percepire come pratiche non lecite e negative. Indubbiamente in Italia e nel mondo non mancano scandali che contribuiscono a conferire un’alea di negatività alle attività di lobbying; si rammentano gli scandali legati ad associazioni segrete finalizzate al controllo e all’ingerenza negli appalti e negli incarichi pubblici che hanno coinvolto politici, magistrati ed imprenditori (le cosiddette logge “P3” e “P4”, fenomeni degli anni 2010/2011), o più recentemente gli scandali che hanno creato il caso di “Mafia Capitale” nel 2015, che ha evidenziato il legame tra politica e criminalità organizzata sul territorio romano.
Tuttavia il fenomeno del lobbismo non può essere relegato e ricondotto frettolosamente alle pratiche malavitose, ci sono di fatto organizzazioni che cercano di stabilire delle regole di trasparenza e responsabilità alle attività di lobbying al fine di cooperare con la sfera politica e la società civile anche in ambiti meritori quali l’ambiente, la giustizia, l’equità e l’uguaglianza: è il caso di “The good lobby”. Quest’ultima è un’organizzazione non profit la cui missione, così come la autodefiniscono, è quella di democratizzare l’accesso alle decisioni pubbliche; cerca di realizzare l’obiettivo attraverso la sensibilizzazione dei cittadini, dei movimenti, dei gruppi e delle organizzazioni del terzo settore sull’importanza di occuparsi della politica economica, al fine di influenzare le scelte dei decisori pubblici verso le migliori opportunità. Sottolinea ancora che la loro attività è in primis rivolta alla formazione dei soggetti che seppur portatori di interessi condivisi faticano ad essere coinvolti nei processi decisionali o non hanno risorse e strutture per poterlo fare.
Quindi un gruppo di interesse si attiva con la finalità di influenzare le decisioni del potere legislativo ed esecutivo, delle Authority e degli enti pubblici e più in generale della pubblica amministrazione tutta. In Europa tale attività si verifica presso la Commissione europea a Bruxelles e in misura inferiore presso il Parlamento a Strasburgo; negli Stati Uniti d’America i gruppi di interesse agiscono sul Congresso e sui vertici dell’esecutivo, a cui capo troviamo il presidente degli USA. Qui i lobbisti hanno un elevato ed eterogeneo grado di istruzione - spaziando dalla formazione giuridica a quella più specifica in medicina, biologia, ingegneria, ecc – e retribuzioni molto alte; circa la metà dei parlamentari che non vengono riconfermati nelle elezioni successive diventano lobbisti, andando ad aumentare la schiera di soggetti rappresentanti di imprese, università, professioni, associazioni, enti, nazionali ed esteri (così creando il fenomeno delle “porte girevoli” evidenziato in Europa, come vedremo). Seguendo questo sistema di produzione di leggi – così come sostiene un aneddoto diffuso nel Congresso Americano – per conoscere a fondo un progetto di legge è utile ascoltare sia li lobbista a favore sia quello contrario al provvedimento!
Secondo Luigi Graziano, politologo e professore universitario, il lobbying si presenta come “libero mercato dei gruppi di pressione organizzati in competizione pura e perfetta per ottenere accoglimento dell’interesse rappresentato presso il decisore politico”; le lobbies viste finora come sinonimo di corruzione, incominciano invece a prendere il loro spazio e sono sempre più presenti nella vita dei sistemi democratici, per lo più dei sistemi politici di tipo liberal democratico, come quello degli USA in cui lo Stato ha una presenza minimale, mentre la società civile, molto attiva, presenta una maggiore articolazione degli interessi ed una grande capacità di aggregarli in finalità comuni e dai connotati socio-economici.
Pertanto oggi lo studio dei processi di lobbying assume un grande rilievo per capire il funzionamento delle democrazie moderne; soprattutto in questa epoca di globalizzazione in cui per le aziende il dialogo diretto con la compagine politica diviene anche un campo per ottenere vantaggi competitivi e sviluppare tattiche finora non sperimentate. In un contesto di buona regolamentazione le attività di pressione possono svolgere un attivo e positivo processo di sviluppo; in mancanza di regole invece questo stesso processo può divenire foriero di ingiustizie e di creazione di leggi contrarie all’interesse pubblico ed al bene sociale.
In Italia, fino a poco tempo fa, non si aveva una regolamentazione delle attività di pressione e quindi la visibilità del fenomeno era ricondotta alla suddette pratiche illegittime e poco trasparenti, con il conseguente rigetto delle figure dei lobbisti e del loro operato. Il primo serio esercizio di regolamentazione del lobbismo si ha con il regolamento della Camera dei deputati, dove i gruppi di interesse sono stati normati nel regolamento parlamentare che pur avendo perso di efficacia nel 2017, ha continuato ad essere rispettato in mancanza di altro. Si introducono diversi parametri per cercare di definire varie situazioni e soggetti: viene definita in primo luogo la figura del lobbista; si introduce un registro elettronico pubblico obbligatorio per chi vuole avere un incontro con i parlamentari; si prevede il divieto di iscrizione per coloro che sono stati condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione; si obbligano gli iscritti al registro a presentare ogni anno una relazione sull’attività di rappresentanza degli interessi. Finora quindi in Italia la regolamentazione del fenomeno delle lobbies non è completa e rigorosa in quanto manca: una legislazione nazionale, un registro nazionale per i lobbisti, una regolamentazione delle sanzioni applicabili a coloro che non rispettano le norme in materia, un codice di condotta che si applichi sia ai lobbisti sia ai parlamentari e ai funzionari governativi. Il 12 gennaio del 2022, in Italia, è stato approvato dalla Camera dei deputati un disegno di legge che regolamenta l’attività di lobbying.
In Europa, tuttavia le cose sono diverse; Bruxelles è la seconda capitale del lobbying dopo Washington; nel 2021 gli organi Europei hanno adottato nuove regole, redendo obbligatoria l’iscrizione dei rappresentanti d’interesse al registro per la trasparenza, nel caso intendano svolgere attività di pressione che puntino ad influenzare gli ambiti legati al processo di decisione e di creazione legislativa e di politica. L’iscrizione al registro è subordinata al rispetto di un codice di condotta comune per tutti i lobbisti, mentre i parlamentari sono obbligati a rendere pubblica la lista degli incontri con i portatori di interesse. Ovviamente non sono tutte rose e fiori; anche in un sistema regolamentato si possono avere delle falle; nel report del 2017 dell’Unione europea, si è evidenziato il problema delle cosiddette “porte girevoli”: i politici e gli ex commissari europei finito il loro mandato entrano a far parte delle organizzazioni di lobbying esprimendo così forza ed influenza nei processi di produzione delle norme, nonostante non siano stati rieletti e sfruttando le conoscenze ed il potere guadagnatosi durante i mandati. Si stima che a Bruxelles siano presenti circa 15.000 lobbisti che difendono ogni forma di interesse; il fenomeno è in costante ascesa e ciò è dovuto al fatto che la legislazione europea è sempre più presente ed invasiva nella sostanza dei procedimenti legislativi delle istituzioni parlamentari nazionali dei diversi Stati europei.
Sicuramente la regolamentazione del fenomeno del lobbismo contribuirà alla trasparenza del sistema di formazione delle leggi e delle pressioni socio/economiche da parte dei gruppi di interesse; tuttavia è innegabile che sarà necessario vigilare perché dove c’è denaro e dove si formano relazioni personali e circolano informazioni, i responsabili politici divengono molto sensibili e vulnerabili. Per sua natura l’attività di lobbying è associata ad un alto rischio di corruzione, conflitto di interessi, traffico di influenze, connivenze e scambi di favore. Gli scandali nel modo del lobbying sono sempre presenti e secondo Trasparency International i livelli di corruzione percepiti in Italia sono molto più elevati che negli altri Paesi europei e si chiede pertanto che norme etiche e trasparenti consentano un recupero di fiducia da parte dei cittadini.
Tuttavia un ruolo importante lo gioca anche l’informazione; qui si apre un altro tasto dolente. Purtroppo il nostro sistema di gestione e somministrazione delle informazioni è esso stesso spesso corrotto e asservito al potere politico-economico: in una simile situazione come si possono raccogliere informazioni trasparenti al fine di verificare la correttezza del comportamento del politico e del responsabile amministrativo? Si vede chiaramente la criticità del sistema laddove il cittadino non può essere messo in grado di conoscere il fatto puro e semplice salvo successivamente farsi un’opinione personale sulla scelta migliore da prendere escludendo dalla mercato delle informazioni ogni sedicente opinionista, il più delle volte assoldato dai poteri forti? Come possiamo noi difenderci da un’informazione malata e nel futuro sempre più controllata da forme di governo delle notizie gestite da intelligenze artificiali a cui si farà dire ciò che i poteri forti vorranno farci credere? Sono i cittadini il vero ago della bilancia che dovrebbero giudicare la correttezza del comportamento dei politici/amministratori della cosa pubblica e quindi dovrebbero poter osservare e giudicare ed avere il diritto di sapere cosa sta realmente accadendo nel processo di elaborazione delle politiche socio-economiche.
In più un sistema equo e trasparente dovrebbe prevedere anche forme di responsabilità immediatamente denunciabili da parte dei cittadini elettori che dovrebbero poter segnalare qualsiasi illecito commesso da funzionari amministrativi e politici ai competenti organi di controllo e giustizia, senza temere ripercussioni o ritorsioni personali.
In mancanza di verità e di trasparenza sui fatti realmente accaduti ed in mancanza di un robusto sistema giudiziario e sanzionatorio, che restituisca e garantisca ad ognuno il dovuto, anche quella parte di informazione pulita ed indipendente non potrà fare molto per denunciare illeciti e corruzione; l’impatto reale di un potente gruppo di interessi potrà così rimanere nascosto ed impunito agli occhi della società, tutta, impedendo una giusta e legittima reazione ad un illecito politico ed amministrativo da parte della società civile.