IL LIVELLO DI POVERTÀ DOPO LA PANDEMIA DA COVID-19

di Alessandra Di Giovambattista

 12-09-2023 

Prima dell’avvento della pandemia causata dalla malattia Covid - 19, di cui ancora si sa molto poco, l’economia mondiale nel biennio 2017-2018 era cresciuta - utilizzando come riferimento il valore del prodotto interno lordo (PIL) - in media del +3% annuo, con punte che in Cina hanno superato il +5%, e negli USA il +2,3%. Successivamente alla crisi sanitaria, utilizzando i dati diramati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) il 26 gennaio 2021, la contrazione del PIL nell’anno 2020 si è attestata intorno al - 3,5%. E’ sicuramente uno degli eventi che più hanno scosso il mondo dal punto di vista sociale, sanitario ed economico negli ultimi 40 anni, e le conseguenze le risentiremo ancora per diverso tempo, specialmente dal punto di vista umano e psicologico e si presenteranno in maniera eterogenea a seconda delle situazioni e della solidità economico/sociale antecedenti la pandemia e le modalità di contrasto implementate. L’impatto negativo della recessione del 2020 ha interessato quasi tutti gli Stati del mondo, lasciando solo la Cina con una crescita dimezzata, ma con il segno comunque positivo (+2,3%).

Tra gli effetti del periodo post Covid - 19 si è riscontrato anche un aumento della tendenza sperequativa della distribuzione della ricchezza; infatti le 500 persone più ricche al mondo, secondo l’indice Bloomberg Billioners, hanno incrementato i propri patrimoni del 31% in più rispetto al 2019, facendo arrivare le proprie ricchezze ad un valore di 7.600 miliardi di dollari (pari ad una volta e mezzo il PIL del Giappone); in particolare quattro dei cinque personaggi più facoltosi al mondo sono statunitensi e sono proprietari delle principali aziende tecnologiche, mentre il quinto  è europeo ed è nel campo dei prodotti del lusso (moda e prodotti enologici). Nell’ordine si trovano: Elon R. Musk (marchio Tesla), Jeff Bezos (marchio Amazon), Bill Gates (marchio Microsoft), Bernard Arnault (marchi Luis Vuitton e Moët Hennessy), infine Mark Zuckerberg (marchio Facebook). Si è evidenziato che il tasso di crescita del loro patrimonio è il più elevato degli ultimi 8 anni, cioè da quando è stato costruito l’indice suddetto.

Nel senso opposto la Banca Mondiale nel suo monitoraggio della povertà globale ha rilevato che la popolazione in condizioni di estrema povertà è diminuita in modo continuativo, ed ha subito una consistente riduzione negli ultimi decenni passando dal 60,1% del 1970, al 9,2% del 2017. Tuttavia la crisi pandemica ha interrotto questo trend migliorativo innescando un’inversione di tendenza; infatti gli effetti del post COVID19 si sono sentiti specialmente sulle fasce più povere e deboli della popolazione ed hanno colpito le nazioni più vulnerabili, con ciò aumentando il rischio di incremento delle disuguaglianze. Dopo vent’anni la riduzione del numero di persone in povertà estrema si è arrestata e tra le possibili indicazioni volte ad aiutare le economie più fragili vi è il sostegno finanziario internazionale ed il progresso delle campagne di vaccinazione finalizzati alla creazione dei presupposti per uscire dalla crisi, ridurre l’incertezza economica e tornare alla crescita. Prima della COVID19 l’unico aumento della povertà era stato indotto dalla crisi finanziaria asiatica di fine millennio che aveva incrementato la povertà di 18 milioni di persone nel 1997 e di altri 47 milioni nel 1998; successivamente, dal 1999 al 2019 il numero di persone che vivevano in estrema povertà nel mondo è diminuito, sempre secondo le statistiche della Banca Mondiale, di oltre 1 miliardo di persone, con una media di circa 50 milioni l’anno. Pertanto la Banca Mondiale sottolinea che parte del successo nella lotta alla povertà raggiunto negli ultimi decenni, potrebbe essere del tutto annullato dagli effetti della pandemia da COVID19, anche perché gli effetti negativi si trascineranno anche negli anni successivi al 2020, nonostante la ripresa economica che, a onor del vero, non ha rispettato le percentuali attese e sperate. Il timore è che, se da un lato, l’economia lentamente inizierà a riprendere la crescita, dall’altro il numero di poveri continuerà ad aumentare, a testimonianza del carattere non inclusivo e strettamente egoistico delle dinamiche che governano l’economia globalizzata, fortemente neoliberiste. Oltre agli strascichi derivanti dalla pandemia ci si attende un incremento della soglia di povertà anche per effetto dei cambiamenti climatici e dagli effetti derivanti dai conflitti presenti in diverse aree del mondo (essenzialmente medio Oriente e Nord Africa). Molti dei nuovi poveri sono poi concentrati in contesti urbani dove è presente un accentuato accentramento, come le bidonville e le favelas e sono sottooccupati, non regolarmente denunciati agli organi preposti al controllo ed alla regolamentazione del lavoro, e spesso assoldati dalla malavita e pertanto non raggiungibili dagli ammortizzatori sociali esistenti.

In termini di zone geografiche più interessate dall’aumento della povertà si trovano i paesi già caratterizzati da una elevata quota di poveri, tuttavia il fenomeno dell’incremento, nel corso del 2020, ha interessato anche una parte dei paesi a reddito intermedio, nei quali, una percentuale di popolazione è scesa al di sotto della soglia di povertà estrema. Tale fenomeno è stato letto con attenzione e si è osservato che gli effetti della crisi economico-sociale, hanno inciso maggiormente nei paesi in fase di sviluppo (America Latina con il -7,2%, India con il -8%, ASEAN-5, cioè: Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine e Vietnam con il -3,7%) e più integrati nel sistema economico globale, rispetto a quelli meno sviluppati, ancorati ancora a sistemi e modelli economici più localizzati e tradizionali (si pensi ai paesi dell’Africa sub-Sahariana con economia basata su agricoltura familiare di sussistenza che hanno fatto registrare un -2,6%). Ciò potrebbe spiegarsi, a modesto parere, considerando che laddove l’economia globalizzata può avere il potere di catalizzare e far crescere tutti i paesi in essa integrati, anche se a ritmi differenti, essa ha anche il potere di trascinare più rapidamente gli stessi paesi verso la crisi economica, finendo per amplificare le fluttuazioni e le distorsioni del mercato a causa dell’attuale modello di capitalismo estremo che vede i sistemi economici legati in modo esasperato ed esclusivo all’aspetto finanziario. Questa caratteristica conferisce un maggior grado di incertezza circa i modi ed i tempi in cui le economie più fragili riusciranno ad uscire dalla crisi e ad invertire il trend di crescita della povertà. Quindi una delle conclusioni dell’osservazione porta ad affermare che la crisi economica dovuta alla pandemia ha colpito maggiormente i Paesi integrati e interconnessi nel sistema economico globalizzato, in particolare quelli dell’Asia meridionale e del Sud est asiatico, in via di sviluppo e a reddito intermedio, laddove per i paesi a reddito elevato la percentuale di crescita dei poveri scivolati sotto la soglia di povertà è oscillata dallo 0,6%, all’1,3% (sempre secondo le stime della Banca Mondiale).

Se è ormai consolidato che la crisi post pandemica da COVID-19 ha fatto crescere il tasso di povertà, tuttavia c’è anche da evidenziare che la stessa Banca Mondiale aveva già rilevato un rallentamento del trend di riduzione dello  stesso indicatore di povertà anche prima della pandemia. Questo ci induce a ritenere verosimile che in tutte le economie sia presente comunque una percentuale fisiologica di soggetti in povertà, così come nelle stesse società è presente un tasso fisiologico di disoccupazione (tasso naturale di disoccupazione) ed un tasso di inflazione (al di sotto del quale non sarebbe mai bene scendere, che si attesta al 2%, secondo stime della Bce).

Il Fondo monetario internazionale, in un report del 29 ottobre del 2020, ha invece posto in risalto come l’impatto della crisi economica derivante dalla pandemia abbia aggravato la dinamica delle disuguaglianze, un trend già in atto da diversi decenni a seguito delle politiche neoliberiste ormai presenti nei paesi più sviluppati. In esso si legge che la crisi da COVID19 colpirà soprattutto i lavoratori più vulnerabili e le donne; nelle aree delle economie potenti e consolidate la disparità della distribuzione del reddito fra le fasce sociali subirà un aumento (di circa il 6%) ma gli effetti peggiori si avranno nei paesi a più basso reddito, cioè quelli meno sviluppati.

Un paese solido dal punto di vista economico e sociale, deve presentare un grado di inclusione sociale e di benessere che tenga conto della riduzione della povertà e delle disuguaglianze di reddito; l’obiettivo è quello che viene stimato con l’indicatore della prosperità condivisa che, dopo la pandemia, ha visto ridurre il suo livello. Le motivazioni di tale trend negativo risiedono, a modesto avviso, nel grado di incertezza e di paura generato dalla crisi sanitaria che ha implicato anche un aggravamento del sentimento di egoismo e di attenzione al proprio esclusivo particolare, allontanandosi così da uno schema di benessere condiviso e di altruismo. L’attenzione verso il più debole ed il più fragile, oltre a rappresentare uno dei principi cardine di un sentire religioso e morale, di fatto dovrebbe essere percepita anche come obiettivo razionale che dovrebbe interessare tutta la collettività; perché quando si è in situazioni di difficoltà e di incertezza chiudersi in ambiti egoistici, dove non si è portati a collaborare e ad aiutare, non può che incrementare il rischio che ognuno di noi possa scivolare, da un momento all’altro e nella più completa solitudine e disinteresse, nella profondità della soglia di povertà estrema e di indigenza. Ulteriore riflesso socio politico derivante dal principio individualistico ed egoistico è l’affievolimento ed il depotenziamento dei principi su cui si basa il sistema politico democratico. Tutto questo potrebbe tradursi in instabilità sociale che non potrà far altro che incrementare il rischio di povertà economica, umana e spirituale, e la paura, in una sorta di spirale verso il basso, fino a degenerare e ad aprire le porte verso forme di totalitarismo e di schiavitù.

Una visione solidaristica, che però purtroppo confligge con lo schema attuale dove si preferisce un modello di governo economico oligarchico ed un modello politico monocratico, potrebbe portare all’inclusione ed alla condivisione della ricchezza ed al benessere della maggior parte delle persone. Con molta umiltà forse bisognerebbe riconoscere che ognuno ha diritto al suo, che ognuno ha un posto nell’ambiente in cui vive e che forse molti dovrebbero smettere di comportarsi come super potenti con diritto di vita e di morte sulla maggior parte della popolazione mondiale e sull’ambiente visto solo come una riserva di beni produttivi da sfruttare, oggi e subito, e non anche da condividere, specialmente con le generazioni future. 

 

 

IL 31 agosto Salotto Tevere SOTTO PONTE CESTIO  ha ospitato ancora una volta Salotto Tevere iniziato a giugno e terminato  a settembre inoltrato  in questo ambito ha avuto luogo la presentazione del libro sul Nepal di Emanuela Scarponi e e è stato proiettato il documentario  sul Nepal. molti i giornalisti presenti: Emanuela DE Zompo ha presentato l'autrice;  

Hanno partecipato al dibattito il giornalista RAI Giorgio Fabretti, iVincenzo Floritto, Emanuela Del Zompo, Gio Di Sarno sempre presente a coordinare la serata. 

la location del lungo Tevere è sempre meravigliosa: la nostra città di notte suona magicamente come un flauto in un sogno di mezza estate.

tutto  di improvviso prende forma.

ci si dimentica del traffico pazzesco in superficie e ci si addentra nella profonditi del fiume Tevere, il nostro bel fiume cittadino.

 

IL VALORE AGGIUNTO DELLE RACCOMANDAZIONI DELL’OCSE SULLA LEGGE ITALIANA SUL LOBBISMO

 

di Alessandra Di Giovambattista

 04-09-2023

Sul testo unificato della legge sul lobbismo, che ha ottenuto il suo primo sì presso la Camera dei Deputati il giorno 12 gennaio 2022, è stato necessario acquisire anche il parere dell’Ufficio per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico della cooperazione (OCSE) per le istituzioni democratiche ed i diritti dell’uomo, che è stato espresso nel settembre 2021. Con esso l’ufficio dell’OCSE ha sollevato questioni sulle aree di criticità della bozza proposta.

È interessante il preambolo del parere in cui si sottolinea che la regolamentazione delle attività di lobbying si inserisce in un contesto in cui si incrocia da una parte la salvaguardia del diritto alla libertà di associazione ed il diritto alla partecipazione dei singoli alle attività politiche e dall’altro l’eliminazione delle situazioni in cui potrebbero emergere atteggiamenti e fattispecie riconducibili al reato di corruzione. “Il lobbying è un atto legittimo di partecipazione politica, un mezzo importante per promuovere il pluralismo e, in ultima analisi, uno strumento per contribuire al miglioramento del processo decisionale nel settore pubblico”. Nel termine lobbying rientra anche l’attività di “advocacy”, ossia di attivismo sostenuta da organizzazioni della società civile o da gruppi senza scopo di lucro; tuttavia l’accesso non trasparente e legato a conoscenze e clientele ha portato il lobbying ad essere percepito come l’influenza sul processo decisionale da parte di soggetti portatori di interessi potenti.

La definizione proposta dal Consiglio d’Europa (CM/Rec del 2017) per “lobbying” è la seguente: “la promozione di interessi specifici attraverso la comunicazione con un funzionario pubblico nell’ambito di un’azione strutturata ed organizzata volta a influenzare il processo decisionale pubblico”. Può rappresentare pertanto uno strumento efficace per esercitare il diritto di partecipazione pubblica all’attività politica. Nell’ambito dell’OCSE gli Stati partecipanti si sono impegnati a “garantire che agli individui sia consentito l’esercizio del diritto di associazione, compreso il diritto di formare, aderire e partecipare con efficacia a organizzazioni non governative” (documento di Copenaghen del 1990) e quindi di “rafforzare le modalità di contatto e di scambio di opinioni tra le ONG e le autorità nazionali competenti e le istituzioni governative” (Documento di Mosca del 1991). Tuttavia, pur considerando il lobbying anche nell’accezione di attivismo, al fine di contrastare l’influenza sproporzionata da parte di gruppi finanziariamente e politicamente potenti, e di garantire la trasparenza del processo di formazione delle scelte di politica e di politica economico/finanziaria, le attività di rappresentanza di interessi sono assoggettate ad attente regolamentazioni e devono presentare dei requisiti di trasparenza ed integrità per garantire la responsabilità dei soggetti partecipanti all’attività di lobbying e l’inclusione nel processo decisionale. La questione della normazione presenta un elevato grado di delicatezza in quanto le regole poste a tutela dei diritti democratici di espressione della volontà e di controllo dell’operato pubblico da una parte non devono violare il diritto dei singoli, anche organizzati collettivamente, di esprimere liberamente le proprie opinioni e di presentare interrogazioni agli attori della pubblica amministrazione e dall’altra devono poter promuovere campagne a favore di modifiche normative e socio/economiche. Per contro la stessa legislazione deve agire sul lato della corruzione impedendone lo sviluppo e contrastandone le diverse forme di connivenza. Il gruppo di stati presenti nel Consiglio d’Europa che agisce contro le forme di corruzione ha esaminato anche le norme in materia di lobbying presentate dalle autorità italiane e ne ha fornito apposito documento che contiene al suo interno diverse raccomandazioni che il parere dell’OCSE, qui all’esame, tiene in debita considerazione.

Il parere formulato dall’Ocse contiene quindi diverse indicazioni circa il miglioramento e le correzioni da apportare alla proposta italiana, in più indica delle raccomandazioni, che sono così sintetizzabili:

  • Raccomandazione A: la sintesi della prima raccomandazione si basa sul fatto che la proposta di legge sul lobbying presentata dall’Italia sarebbe più efficace se si basasse su un approccio più equilibrato circa gli obblighi assunti dalle due parti, cioè lo Stato ed i suoi rappresentanti da una parte ed i lobbisti dall’altra, siano essi soggetti privati, aziende, o organizzazioni della società civile. In particolare la proposta di legge non sembra porre particolare attenzione agli obblighi ed ai vincoli che dovrebbero esser posti anche in capo agli operatori pubblici (politici e funzionari), soffermandosi essenzialmente sui vincoli gravanti sui lobbisti; nello specifico la responsabilità della trasparenza delle decisioni prese dovrebbe essere suddivisa equamente tra lobbisti e decisori pubblici, con la considerazione che sono poi questi ultimi a dover rendere conto delle loro scelte e decisioni alla società, che si sostanzia, in ultima analisi, nel corpo elettorale. Prevedere le responsabilità ed i vincoli alla sola parte dei portatori di interesse, rischia di lasciare aperte scappatoie e spazi per la corruzione; per contro vincolare i soli lobbisti potrebbe soffocare la partecipazione politica e pubblica e limitare le forme di associazione in difesa di specifiche richieste formulate da categorie e/o gruppi di interesse. Pertanto entrambe le parti devono agire in modo appropriato e responsabile l’una nei confronti dell’altra (per approfondimenti si veda quanto scritto dal Gruppo di stati contro la corruzione – GRECO); in particolare i principi dell’OCSE per la trasparenza e l’integrità del lobbying affermano che “i Paesi devono promuovere una cultura dell’integrità nelle organizzazioni pubbliche e nel processo decisionale, delineando regole e linee di condotta chiare per i funzionari pubblici”.

  • Raccomandazione B: in tale raccomandazione l’OCSE sottolinea l’importanza di introdurre nella legge di regolamentazione del lobbying, il percorso di formazione, l’ausilio di guide e di materiale tanto per i lobbisti quanto per i decisori pubblici. In effetti la proposta di legge è carente nella parte riguardante le modalità di formazione e conoscenza dei contenuti dell’attuale disegno di legge che un domani diverrà norma nazionale; è pertanto importante prevedere modalità e percorsi per far sì che gli attori di questo incontro di volontà/interessi possano conoscere in modo approfondito le finalità delle disposizioni stesse al fine di costruire le capacità, la sensibilità e le competenze per il confronto tra lobbisti e politici, al fine di evitare incomprensioni, o mancata applicazione dei principi contenuti nel disegno di legge stesso.

  • Raccomandazione C: l’ufficio preposto ai pareri dell’OCSE suggerisce di chiarire che tutte le forme di contatto sono contemplate, indipendentemente dal fatto che avvengano di persona, per iscritto o attraverso strumenti di comunicazione digitale. In tal senso infatti si è vista la complessità crescente del lobbying in termini di utilizzo dei canali e meccanismi tecnologici al fine di influenzare le decisioni di politica pubblica. La mancanza di un’accezione ampia potrebbe aprire il varco ad attività illecite e a rischio di corruzione, in quanto lascerebbe sguarnite attività di contatto riconducibili a metodologie informatiche di più recente generazione; si pensi a tutto il fenomeno degli influencers e delle strategie utilizzate dai social media per informare, disinformare e alterare la percezione delle problematiche da parte del pubblico. Pertanto l’OCSE auspica che le definizioni contenute nella proposta di legge vengano migliorate per aumentarne la chiarezza e la prevedibilità nonché per ampliarne l’accezione circa le modalità di contatto tra gli attori del lobbying al fine di rendere le disposizioni le più efficaci possibile. Inoltre il parere sottolinea il fatto che la legge deve essere redatta con maggior cura per evitare che non tutte le attività di attivismo (advocacy) e sensibilizzazione siano riconducibili al fenomeno del lobbying indiretto. Infatti la norma si esprime in maniera generica facendo rientrare nel lobbying lo “svolgimento di qualsiasi altra attività diretta a concorrere alla formazione delle decisioni pubbliche”; in tal modo qualsiasi azione di attivismo rischierebbe di essere soffocata a discapito dell’impegno di alcune organizzazioni/ONG in ambito sociale e civile.

  • Raccomandazione D: l’attenzione da parte dell’ufficio dell’OCSE preposto al parere cade sulla definizione di decisore pubblico che la proposta individua in modo alquanto ristretto. Si rende necessario che tale definizione sia la più ampia possibile e contempli al suo interno anche le figure riconducibili a tutti i funzionari pubblici che possono diventare destinatari del lobbying, fornendo una descrizione semplice e completa del soggetto identificabile come decisore pubblico su ogni livello e in linea con i documenti di orientamento internazionali. In particolare il parere sottolinea che indicare nella proposta di legge come funzionari pubblici comunali destinatari delle disposizioni, quelli che gestiscono Comuni con un numero minimo di abitanti (pari o superiori a 300.000 abitanti) escluderebbe dalla normativa, volta a regolare il lobbying, quelle piccole realtà dove forse più che in altri luoghi si potrebbero perpetrare accordi e influenze indebite con ricadute negative per il territorio in termini di collusione e corruzione. In ragione di ciò auspica l’eliminazione di ogni riferimento numerico in termini di abitanti presenti nei Comuni al fine di individuare i funzionari pubblici destinatari delle norme in discorso. Inoltre specifica che il lobbista può operare anche senza compenso e senza un’organizzazione professionale alle spalle; pertanto dovrebbe essere eliminata la qualifica di attività organizzata “professionalmente” che implicherebbe sia dei compensi, sia una struttura amministrativa efficiente ed organizzata, caratteristiche che di fatto potrebbero non essere presenti.

  • Raccomandazione E: l’OCSE impone di inserire dei requisiti di trasparenza ed accountability specialmente nei casi di incontri tra privati, di natura non pubblica. In effetti le linee guida internazionali individuano solo due categorie di eccezioni alle leggi sul lobbying: 1) le interazioni tra cittadini privati e funzionari pubblici in merito ai loro affari privati, salvo qualora questi riguardino interessi economici individuali aventi però una rilevanza e una dimensione che possano coinvolgere un più ampio ambito; 2) il caso di funzionari pubblici, diplomatici e partiti politici che agiscono nelle vesti ufficiali. Invece la proposta italiana individua una lunga lista di eccezioni all’applicabilità delle disposizioni di regolamentazione del lobbying, esentando anche incontri di natura non pubblica che però potrebbero ricadere per importanza e complessità nell’ambito delle relazioni di interessi. Tale aspetto, se non ben chiarito nelle norme, potrebbe di fatto aumentare i rischi di corruzione in quanto rimarrebbero fuori dal controllo interventi ed interazioni che sostanzialmente sarebbero riconducibili a vere e proprie attività di lobbying. Allo stesso modo, le disposizioni internazionali danno un significato ampio all’attività di lobbying, mentre la proposta italiana esclude dall’applicazione normativa anche “l’attività di rappresentanza svolta nell’ambito di processi decisionali che si concludono mediante protocolli d’intesa o altri strumenti di concertazione”; con riferimento a ciò il parere sottolinea che non essendo chiara la portata normativa, di fatto potrebbero simularsi azioni esenti dalla legge di regolamentazione del lobbying che sarebbero invece da ricondurre proprio nell’alveo della gestione di interessi privati in ambito pubblico i quali, in mancanza di controllo e regolamentazione, potrebbero sfociare in fattispecie riconducibili alla corruzione o alla connivenza.

  • Raccomandazione F: la predisposizione di un codice deontologico presuppone una guida che specifichi ed approfondisca le disposizioni contenute nella proposta di legge al fine di condurre facilmente sia i lobbisti che i decisori pubblici ad azioni che rispondano agli obblighi contenuti nelle norme. Con tale significato il codice deontologico dovrebbe costantemente far riferimento alle disposizioni contenute nella proposta di legge in modo da individuare le singole violazioni ed assoggettarle a specifiche sanzioni. In particolare il parere fa notare che nella proposta le norme del codice deontologico, peraltro non ancora elaborate e pubblicate, sono imposte ai soli “rappresentanti di interessi” e non anche ai “decisori”, con ciò conferendo a questi ultimi un potere contrattuale maggiore e per di più non sanzionabile. Si fa notare che un codice di tale natura dovrebbe essere destinato a tutti gli attori delle relazioni, siano essi lobbisti o decisori pubblici, con la finalità di guidare e fornire informazioni affinché il loro operato si svolga secondo una condotta appropriata, che garantisca che tutte le parti rispettino i principi deontologici di buona attività.

  • Raccomandazione G: conseguenza di quanto espresso prima è la raccomandazione in esame; in essa si specifica che l’imposizione di sanzioni sia adeguata e proporzionale alle inosservanze delle specifiche norme e che le sanzioni stesse siano irrogate non solo ai rappresentanti di interessi ma anche ai detentori di interessi e ai decisori pubblici.

  • Un altro aspetto importante individuato nel parere, che però non ha dato luogo ad una specifica raccomandazione, risiede nella norma che esclude compensi ai rappresentanti del Governo o ai partiti; in particolare la proposta italiana specifica che “i rappresentanti di interessi non possono corrispondere, a titolo di liberalità, alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti a rappresentanti del Governo o a partiti, movimenti e gruppi politici, a loro esponenti o a intermediari di questi ultimi”. L’ufficio specifica che gli strumenti giuridici internazionali previsti contro la corruzione hanno una connotazione molto più ampia specificando che proibiscono di “offrire, promettere o fornire qualsiasi vantaggio indebito", esulando in tal modo dal più ristretto divieto indicato dalla norma di corrispondere “alcuna somma di denaro o altre utilità economicamente rilevanti", che di fatto non esclude il rischio di corruzione durante le attività di lobbying. Acquista così rilievo anche la mancanza, nella proposta italiana, di qualsiasi riferimento normativo sulla necessità di relazionare circa le informazioni riguardanti eventuali vantaggi offerti, promessi o concessi a persone, gruppi o enti, che consentirebbe di valutare se tali tipi di ricompensa siano riconducibili a forme di vantaggio indebito.

In conclusione il parere dell’OCSE fa riflettere circa la limitazione delle disposizioni contenute nella proposta italiana che si presenta davvero ad uno stadio embrionale; le correzioni da apportare sono tante e tutte condivisibili in quanto aiutano a specificare il campo di azione e consentono una definizione più ampia dei fenomeni e delle situazioni riconducibili alle attività di lobbying. L’ampliamento delle definizioni ricondurrebbe nell’alveo della regolamentazione molte situazioni che invece, utilizzando la proposta italiana, rimarrebbero fuori dal controllo, impedendo una valutazione efficace ed effettiva dell’operato dei portatori di interesse e dei soggetti pubblici.

Una siffatta correzione aiuterebbe quindi ad individuare meglio le responsabilità dei singoli, definirne le eventuali colpe, irrogare le conseguenti sanzioni con il risultato di offrire una visione condivisibile, consapevole e garantista dell’operato dei soggetti pubblici. In mancanza di ciò, molto probabilmente, i varchi e le falle a favore delle situazioni di corruzione e collusione saranno tanti e sfuggiranno al controllo ed alle sanzioni. Sarebbe auspicabile poter contare su una legislazione chiara ed efficace che, per un argomento così delicato, faccia assumere le dovute responsabilità agli operatori pubblici e privati i quali, qualora non si comportino secondo onestà e deontologia, sarebbero chiamati a rifondere personalmente i danni che lo Stato subirebbe per effetto delle loro condotte illegali.