L’ECONOMIA ITALIANA DEL POST COVID19

di Alessandra Di Giovambattista

15-09-2023 

Dopo il picco della pandemia da malattia identificata con la sigla COVID19 tutte le analisi di mercato sono state aggiornate, con riferimento alle previsioni sulla crescita economica per il 2020, verso un forte ribasso. In Italia, la crisi sanitaria è succeduta ad una fase in cui l’economia già dava segni di rallentamento. In estrema sintesi possiamo ricordare che la crisi del 2010, dei mutui c.d. subprime e del fallimento della banca Lehman Brothers aveva trascinato verso il basso il PIL italiano; successivamente mentre si avevano dei modesti segnali di crescita, si è presentata la crisi dell’euro e dello spread che ha fatto registrare una seconda recessione proseguita fino nel 2013. Negli anni successivi la crescita è stata molto lenta ed il PIL nel 2018 e 2019 è aumentato rispettivamente dello 0,8% e dello 0,5%. A ridosso di tale precaria situazione economica le misure anti Covid del 2020 sono state così stringenti che hanno prodotto un shock pesante per il nostro mercato già fragile, tanto da indurre il Fondo monetario internazionale a stimare un calo del PIL italiano nel 2020 pari al -9,1% (a consuntivo si è attestato al -9%) a fronte di una media dell’area europea del -7,5%. In generale si può dire che è ormai da più di un decennio che l’Italia viaggia sui valori più bassi del PIL registrati nell’area dell’eurozona.

Le misure di distanziamento sociale introdotte nel nostro Paese sono state severe, forse tra le più severe, ed hanno riguardato prima la chiusura delle scuole e la sospensione di eventi pubblici, poi a partire dal 9 marzo 2020 si è assistito all’introduzione di diverse limitazioni alla libera circolazione di persone anche all’interno dei confini nazionali e finanche dei confini comunali. Dopo il 28 marzo si sono fermate le attività in diversi settori produttivi ritenuti non essenziali e si è iniziato ad implementare il lavoro da remoto (c.d. smart working). Poi le restrizioni sono state lentamente rimosse a partire dal 4 maggio del 2020. 

Quindi, gli effetti del lockdown, in aggiunta alla già precaria situazione economica, sono apparsi subito molto pesanti per il nostro Paese; le previsioni sulle prospettive economiche rese note dalle istituzioni internazionali hanno mostrato delle ricadute della crisi molto più forti in Italia rispetto a quanto stimato per le altre economie sviluppate ed in particolare quelle dell’eurozona. Ciò è dipeso da vari fattori in particolare legati al maggior prolungamento del distanziamento sociale rispetto ad altri Paesi, che ha impattato negativamente sulle attività dei settori in cui si è imposto il fermo produttivo ed ha generato un deterioramento delle relazioni intersettoriali. Inoltre la dura politica sociale che ha previsto la perdita del lavoro a fronte della scelta di non voler effettuare la vaccinazione senza offrire una valida attività lavorativa alternativa, ove possibile, da poter svolgere da remoto, ha creato sfiducia ed incertezza che si sono tradotti, in ultima analisi, in diminuzione del reddito disponibile e pertanto in un calo dei consumi. In più l’economia italiana che si caratterizza per la forte vocazione turistico alberghiera, la quale con tutto l’indotto contribuisce al PIL per una quota superiore al 13% (dato del 2017), è stata più duramente colpita e provata dalle misure di chiusura dei flussi internazionali, ed anche nazionali, del turismo, rispetto ad altre nazioni. Questo implica che gli effetti della pandemia sul terzo settore si sentiranno più intensamente e per un periodo più lungo rispetto a settori come quello primario (agricoltura e allevamento) e secondario (industriale). L’Italia è poi un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni e anche dalle importazioni di materie prime; questo ultimo aspetto è peraltro venuto marcatamente fuori con la recente e tutt’ora in atto guerra russo-ucraina. A ridosso della pandemia da COVID19 il calo del commercio internazionale ha contribuito in modo rilevante al crollo del PIL in Italia.

Il clima di sfiducia, anche verso le istituzioni, derivante dalla crisi sanitaria, ha avuto conseguenze sociali che in Italia sono state più rilevanti rispetto agli altri Paesi europei; un’indagine pubblicata nel 2020 (promossa dall’osservatorio dell’Istituto Toniolo e dal Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia) ha evidenziato che tra i giovani italiani in età compresa tra i 18 ed i 34 anni, circa il 60% di essi ritiene che l’emergenza sanitaria segnerà negativamente i propri piani e progetti futuri a fronte del 46% e del 42% dei giovani rispettivamente francesi e tedeschi a cui è stato rivolto il medesimo questionario. In particolare è emerso che i giovani italiani dichiarano di dover rinunciare ai propri progetti, mentre i ragazzi europei affermano di dover solo posticipare i propri progetti.

Una tale situazione denota, a modesto avviso, una sensazione di sfiducia causata da una percezione di abbandono da parte delle istituzioni che ormai poco curano la scuola, e più in generale le politiche giovanili per il lavoro, lo sport ed il tempo libero. In più si aggiunga che assistiamo ad un rapido crollo dei valori socio familiari che invece di proporre sicurezza e stabilità, si basano sempre più su modelli egoistici ed effimeri.

Le ricadute molto pesanti sul mercato del lavoro, sebbene siano stati erogati gli ammortizzatori sociali implementati dal Governo (che purtroppo hanno generato, a causa del mancato controllo, anche situazioni di frode), si sono concretizzate in una diminuzione delle ore lavorate e del numero degli occupati; la perdita si è concentrata soprattutto tra i lavoratori autonomi e tra quelli con contratto a termine, con una particolare penalizzazione di giovani e donne. Ciò ha prodotto una compressione del livello dei consumi, nonostante la politica fortemente espansiva da parte dello Stato, che ha portato con sé anche una crescita della povertà assoluta in Italia.

Nel termine di povertà assoluta si fanno rientrare le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta, cioè quella legata alle necessità fisiologiche di base e si ricollega quindi al concetto di mancanza di beni e servizi primari, a prescindere dal livello socio economico del contesto in cui le famiglie stesse vivono. I dati ISTAT ci dicono che nel 2020, si contano oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un’incidenza che passa dal 6,4% nel 2019 al 7,7% ne 2020, concentrate numericamente più nel nord che nel centro e nel mezzogiorno; tuttavia molte famiglie, pur scivolando nell’area della povertà assoluta, hanno comunque mantenuto una spesa per consumi prossima ad essa, grazie alle misure pubbliche di sostegno. La povertà assoluta è sostanzialmente cresciuta per  le famiglie con una persona di riferimento produttrice di reddito in età lavorativa, mentre nelle famiglie con la persona di riferimento percettrice di reddito da pensione l’incidenza è stata notevolmente minore, essendo i redditi da pensione garantiti e protetti molto più dei redditi da lavoro. A ciò si aggiunga la già ricordata discutibile misura di escludere dal lavoro, anche part time, i soggetti non vaccinati che ha contribuito ad innalzare tale indicatore e ha indotto i soggetti a situazioni di sottoccupazione e di lavoro sommerso. Inoltre la povertà assoluta è salita molto di più nei nuclei composti da stranieri e nei nuclei più numerosi ed è cresciuta per tutte le classi di età; tuttavia c’è da sottolineare che sono oltre 1 milione i minori in povertà assoluta.

Complessivamente si è assistito soprattutto ad un elevato disagio economico che, esaminando le variabili e considerando gli aiuti ed i sostegni erogati, non è tanto da imputare a condizioni economiche degradate, quanto piuttosto al senso si incertezza legato alla consapevolezza del carattere temporaneo dei sostegni, oltre che al permanere di rischi sui tempi ed i modi con i quali è stata affrontata l’emergenza sanitaria. Il tutto amplificato dai media che, se da un lato hanno contribuito fortemente ad allineare le persone a favore delle misure sanitarie decise dal Governo, dall’altro hanno aumentato la psicosi sulla mancanza di cure adeguate, ed hanno giocato sulla pressante informazione negativa senza fare distinzioni chiarificatrici di tipo statistico sanitario circa, ad esempio, le incidenze dei morti da COVID19 rispetto ai soggetti malati. Inoltre ha pesato psicologicamente il venire meno di elementi di benessere e di svago impraticabili durante la pandemia.

Altri fattori che sono emersi nell’analisi dell’aumento della povertà hanno riguardato l’età ed il titolo di studio: la fascia di età lavorativa più avanzata ed il titolo di studio più elevato hanno prodotto un effetto barriera protettivo nei confronti della crisi. Indubbiamente un altro elemento fortemente determinante è stato anche il settore economico di attività in quanto i lavoratori più penalizzati sono stati quelli legati al commercio, all’agricoltura ed all’industria, tutti settori dove più forte si è sentito il peso della sospensione e della discontinuità dell’attività.

Considerando tutti i fattori si può sinteticamente affermare che nel 2020 i problemi di povertà derivanti dalla crisi pandemica hanno inciso sul Mezzogiorno in modo rilevante, andandosi ad aggiungere e problemi socio-economici già presenti in questa area (il 20,7% della popolazione ha avuto difficoltà economiche); i disagiati hanno raggiunto la quota del 9,5% nel Centro Italia, mentre il Nord ha registrato una percentuale di aumento della povertà del 12%. Per le stesse aree nell’anno 2019 il disagio era rappresentato dalle seguenti percentuali: 11,8%, 5% e 4,8% risultando così che il peggioramento al Nord è stato relativamente più ampio rispetto alle altre due zone d’Italia in una sorta di convergenza verso il basso.

Nel 2021 non ci sono state notevoli differenze, le famiglie in povertà assoluta sono poco più di 1,9 milioni su un totale di persone indigenti di circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni sono minorenni. Bisogna sottolineare tuttavia che a fronte di un miglioramento sanitario e di una lenta ripresa produttiva si è assistito ad un peggioramento di natura economica, dovuto all’aumento dell’inflazione che ha eroso il reddito reale delle famiglie. Differenze si colgono anche nel fatto che il Nord migliora la sua posizione rispetto alla povertà, mentre il Sud scivola sempre più verso il basso; è inoltre in ripresa la spesa per consumi delle famiglie.

I dati per il 2022 non sono ancora disponibili essendo stati modificati i criteri di stima, per cui l’ISTAT farà conoscere le rilevazioni nel prossimo mese di ottobre

IL LIVELLO DI POVERTÀ DOPO LA PANDEMIA DA COVID-19

di Alessandra Di Giovambattista

 12-09-2023 

Prima dell’avvento della pandemia causata dalla malattia Covid - 19, di cui ancora si sa molto poco, l’economia mondiale nel biennio 2017-2018 era cresciuta - utilizzando come riferimento il valore del prodotto interno lordo (PIL) - in media del +3% annuo, con punte che in Cina hanno superato il +5%, e negli USA il +2,3%. Successivamente alla crisi sanitaria, utilizzando i dati diramati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) il 26 gennaio 2021, la contrazione del PIL nell’anno 2020 si è attestata intorno al - 3,5%. E’ sicuramente uno degli eventi che più hanno scosso il mondo dal punto di vista sociale, sanitario ed economico negli ultimi 40 anni, e le conseguenze le risentiremo ancora per diverso tempo, specialmente dal punto di vista umano e psicologico e si presenteranno in maniera eterogenea a seconda delle situazioni e della solidità economico/sociale antecedenti la pandemia e le modalità di contrasto implementate. L’impatto negativo della recessione del 2020 ha interessato quasi tutti gli Stati del mondo, lasciando solo la Cina con una crescita dimezzata, ma con il segno comunque positivo (+2,3%).

Tra gli effetti del periodo post Covid - 19 si è riscontrato anche un aumento della tendenza sperequativa della distribuzione della ricchezza; infatti le 500 persone più ricche al mondo, secondo l’indice Bloomberg Billioners, hanno incrementato i propri patrimoni del 31% in più rispetto al 2019, facendo arrivare le proprie ricchezze ad un valore di 7.600 miliardi di dollari (pari ad una volta e mezzo il PIL del Giappone); in particolare quattro dei cinque personaggi più facoltosi al mondo sono statunitensi e sono proprietari delle principali aziende tecnologiche, mentre il quinto  è europeo ed è nel campo dei prodotti del lusso (moda e prodotti enologici). Nell’ordine si trovano: Elon R. Musk (marchio Tesla), Jeff Bezos (marchio Amazon), Bill Gates (marchio Microsoft), Bernard Arnault (marchi Luis Vuitton e Moët Hennessy), infine Mark Zuckerberg (marchio Facebook). Si è evidenziato che il tasso di crescita del loro patrimonio è il più elevato degli ultimi 8 anni, cioè da quando è stato costruito l’indice suddetto.

Nel senso opposto la Banca Mondiale nel suo monitoraggio della povertà globale ha rilevato che la popolazione in condizioni di estrema povertà è diminuita in modo continuativo, ed ha subito una consistente riduzione negli ultimi decenni passando dal 60,1% del 1970, al 9,2% del 2017. Tuttavia la crisi pandemica ha interrotto questo trend migliorativo innescando un’inversione di tendenza; infatti gli effetti del post COVID19 si sono sentiti specialmente sulle fasce più povere e deboli della popolazione ed hanno colpito le nazioni più vulnerabili, con ciò aumentando il rischio di incremento delle disuguaglianze. Dopo vent’anni la riduzione del numero di persone in povertà estrema si è arrestata e tra le possibili indicazioni volte ad aiutare le economie più fragili vi è il sostegno finanziario internazionale ed il progresso delle campagne di vaccinazione finalizzati alla creazione dei presupposti per uscire dalla crisi, ridurre l’incertezza economica e tornare alla crescita. Prima della COVID19 l’unico aumento della povertà era stato indotto dalla crisi finanziaria asiatica di fine millennio che aveva incrementato la povertà di 18 milioni di persone nel 1997 e di altri 47 milioni nel 1998; successivamente, dal 1999 al 2019 il numero di persone che vivevano in estrema povertà nel mondo è diminuito, sempre secondo le statistiche della Banca Mondiale, di oltre 1 miliardo di persone, con una media di circa 50 milioni l’anno. Pertanto la Banca Mondiale sottolinea che parte del successo nella lotta alla povertà raggiunto negli ultimi decenni, potrebbe essere del tutto annullato dagli effetti della pandemia da COVID19, anche perché gli effetti negativi si trascineranno anche negli anni successivi al 2020, nonostante la ripresa economica che, a onor del vero, non ha rispettato le percentuali attese e sperate. Il timore è che, se da un lato, l’economia lentamente inizierà a riprendere la crescita, dall’altro il numero di poveri continuerà ad aumentare, a testimonianza del carattere non inclusivo e strettamente egoistico delle dinamiche che governano l’economia globalizzata, fortemente neoliberiste. Oltre agli strascichi derivanti dalla pandemia ci si attende un incremento della soglia di povertà anche per effetto dei cambiamenti climatici e dagli effetti derivanti dai conflitti presenti in diverse aree del mondo (essenzialmente medio Oriente e Nord Africa). Molti dei nuovi poveri sono poi concentrati in contesti urbani dove è presente un accentuato accentramento, come le bidonville e le favelas e sono sottooccupati, non regolarmente denunciati agli organi preposti al controllo ed alla regolamentazione del lavoro, e spesso assoldati dalla malavita e pertanto non raggiungibili dagli ammortizzatori sociali esistenti.

In termini di zone geografiche più interessate dall’aumento della povertà si trovano i paesi già caratterizzati da una elevata quota di poveri, tuttavia il fenomeno dell’incremento, nel corso del 2020, ha interessato anche una parte dei paesi a reddito intermedio, nei quali, una percentuale di popolazione è scesa al di sotto della soglia di povertà estrema. Tale fenomeno è stato letto con attenzione e si è osservato che gli effetti della crisi economico-sociale, hanno inciso maggiormente nei paesi in fase di sviluppo (America Latina con il -7,2%, India con il -8%, ASEAN-5, cioè: Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine e Vietnam con il -3,7%) e più integrati nel sistema economico globale, rispetto a quelli meno sviluppati, ancorati ancora a sistemi e modelli economici più localizzati e tradizionali (si pensi ai paesi dell’Africa sub-Sahariana con economia basata su agricoltura familiare di sussistenza che hanno fatto registrare un -2,6%). Ciò potrebbe spiegarsi, a modesto parere, considerando che laddove l’economia globalizzata può avere il potere di catalizzare e far crescere tutti i paesi in essa integrati, anche se a ritmi differenti, essa ha anche il potere di trascinare più rapidamente gli stessi paesi verso la crisi economica, finendo per amplificare le fluttuazioni e le distorsioni del mercato a causa dell’attuale modello di capitalismo estremo che vede i sistemi economici legati in modo esasperato ed esclusivo all’aspetto finanziario. Questa caratteristica conferisce un maggior grado di incertezza circa i modi ed i tempi in cui le economie più fragili riusciranno ad uscire dalla crisi e ad invertire il trend di crescita della povertà. Quindi una delle conclusioni dell’osservazione porta ad affermare che la crisi economica dovuta alla pandemia ha colpito maggiormente i Paesi integrati e interconnessi nel sistema economico globalizzato, in particolare quelli dell’Asia meridionale e del Sud est asiatico, in via di sviluppo e a reddito intermedio, laddove per i paesi a reddito elevato la percentuale di crescita dei poveri scivolati sotto la soglia di povertà è oscillata dallo 0,6%, all’1,3% (sempre secondo le stime della Banca Mondiale).

Se è ormai consolidato che la crisi post pandemica da COVID-19 ha fatto crescere il tasso di povertà, tuttavia c’è anche da evidenziare che la stessa Banca Mondiale aveva già rilevato un rallentamento del trend di riduzione dello  stesso indicatore di povertà anche prima della pandemia. Questo ci induce a ritenere verosimile che in tutte le economie sia presente comunque una percentuale fisiologica di soggetti in povertà, così come nelle stesse società è presente un tasso fisiologico di disoccupazione (tasso naturale di disoccupazione) ed un tasso di inflazione (al di sotto del quale non sarebbe mai bene scendere, che si attesta al 2%, secondo stime della Bce).

Il Fondo monetario internazionale, in un report del 29 ottobre del 2020, ha invece posto in risalto come l’impatto della crisi economica derivante dalla pandemia abbia aggravato la dinamica delle disuguaglianze, un trend già in atto da diversi decenni a seguito delle politiche neoliberiste ormai presenti nei paesi più sviluppati. In esso si legge che la crisi da COVID19 colpirà soprattutto i lavoratori più vulnerabili e le donne; nelle aree delle economie potenti e consolidate la disparità della distribuzione del reddito fra le fasce sociali subirà un aumento (di circa il 6%) ma gli effetti peggiori si avranno nei paesi a più basso reddito, cioè quelli meno sviluppati.

Un paese solido dal punto di vista economico e sociale, deve presentare un grado di inclusione sociale e di benessere che tenga conto della riduzione della povertà e delle disuguaglianze di reddito; l’obiettivo è quello che viene stimato con l’indicatore della prosperità condivisa che, dopo la pandemia, ha visto ridurre il suo livello. Le motivazioni di tale trend negativo risiedono, a modesto avviso, nel grado di incertezza e di paura generato dalla crisi sanitaria che ha implicato anche un aggravamento del sentimento di egoismo e di attenzione al proprio esclusivo particolare, allontanandosi così da uno schema di benessere condiviso e di altruismo. L’attenzione verso il più debole ed il più fragile, oltre a rappresentare uno dei principi cardine di un sentire religioso e morale, di fatto dovrebbe essere percepita anche come obiettivo razionale che dovrebbe interessare tutta la collettività; perché quando si è in situazioni di difficoltà e di incertezza chiudersi in ambiti egoistici, dove non si è portati a collaborare e ad aiutare, non può che incrementare il rischio che ognuno di noi possa scivolare, da un momento all’altro e nella più completa solitudine e disinteresse, nella profondità della soglia di povertà estrema e di indigenza. Ulteriore riflesso socio politico derivante dal principio individualistico ed egoistico è l’affievolimento ed il depotenziamento dei principi su cui si basa il sistema politico democratico. Tutto questo potrebbe tradursi in instabilità sociale che non potrà far altro che incrementare il rischio di povertà economica, umana e spirituale, e la paura, in una sorta di spirale verso il basso, fino a degenerare e ad aprire le porte verso forme di totalitarismo e di schiavitù.

Una visione solidaristica, che però purtroppo confligge con lo schema attuale dove si preferisce un modello di governo economico oligarchico ed un modello politico monocratico, potrebbe portare all’inclusione ed alla condivisione della ricchezza ed al benessere della maggior parte delle persone. Con molta umiltà forse bisognerebbe riconoscere che ognuno ha diritto al suo, che ognuno ha un posto nell’ambiente in cui vive e che forse molti dovrebbero smettere di comportarsi come super potenti con diritto di vita e di morte sulla maggior parte della popolazione mondiale e sull’ambiente visto solo come una riserva di beni produttivi da sfruttare, oggi e subito, e non anche da condividere, specialmente con le generazioni future. 

 

 

IL 31 agosto Salotto Tevere SOTTO PONTE CESTIO  ha ospitato ancora una volta Salotto Tevere iniziato a giugno e terminato  a settembre inoltrato  in questo ambito ha avuto luogo la presentazione del libro sul Nepal di Emanuela Scarponi e e è stato proiettato il documentario  sul Nepal. molti i giornalisti presenti: Emanuela DE Zompo ha presentato l'autrice;  

Hanno partecipato al dibattito il giornalista RAI Giorgio Fabretti, iVincenzo Floritto, Emanuela Del Zompo, Gio Di Sarno sempre presente a coordinare la serata. 

la location del lungo Tevere è sempre meravigliosa: la nostra città di notte suona magicamente come un flauto in un sogno di mezza estate.

tutto  di improvviso prende forma.

ci si dimentica del traffico pazzesco in superficie e ci si addentra nella profonditi del fiume Tevere, il nostro bel fiume cittadino.