COME SI FA GREENWASHING E COME LO SI CONTRASTA: I C.D. SETTE PECCATI CAPITALI
di Alessandra Di Giovambattista
 
Il fenomeno del grennwashing, traducibile in italiano con il termine di “ecologismo di facciata”, fa riferimento ad una strategia di comunicazione che ha lo scopo di costruire un’immagine tanto positiva quanto falsa di un’azienda rispetto al suo reale impatto ambientale. Diviene pertanto importante, al fine di contrastare tale pratica ingannevole, cercare di capire come le aziende inducano in errore i consumatori; secondo una ricerca condotta da “Terrachoice Environmental Marketing inc.” (società canadese di marketing ambientale) vi sono sette elementi da considerare (definiti “sette peccati capitali”):
1) omessa informazione: la strategia si basa sull’omissione di informazioni che bisognerebbe conoscere al fine di poter ben valutare l’impatto ambientale dei prodotti/servizi commercializzati; in tal modo le aziende non dicono il falso, si limitano (semplicemente !!!) ad omettere l’informazione. Così non viene dichiarata la provenienza delle  materie prime, le modalità con cui sono lavorate, il rispetto delle normative degli Stati dalle quali provengono, la politica di trasporto e di distribuzione, le modalità di imballaggio, le strategie di riciclo delle materie prime, quanta CO2 viene immessa nell’ambiente attraverso la filiera produttiva. Queste informazioni sarebbero importanti per un consumatore consapevole e con la volontà di premiare le aziende più meritorie. L’omissione delle informazioni genera così l’inganno del consumatore al quale, forse, viene sottolineato solo qualche aspetto marginale del problema ambientale. Il fenomeno lo si può riscontrare anche quando alcune aziende delocalizzano la propria produzione trasferendosi in Stati in cui è meno stringente il controllo normativo, potendo così dichiarare che non sono state violate disposizioni ambientaliste, ma ciò in realtà è vero solo perché non hanno prodotto in Italia o nel proprio paese d’origine! Questa pratica ingannevole è stata riscontrata per il 73% dei casi negli USA e per il 98% dei casi nel Regno Unito.
2) Mancanza di prove: in definitiva le aziende dichiarano delle caratteristiche green del prodotto senza che queste vengano supportate da chiare e riconosciute certificazioni da parte di enti terzi a ciò preposti. Ovviamente fanno forza sul fatto che il consumatore, ingannato anche dal nome dell’azienda, spesso multinazionale, non riesce a verificare quanto viene dichiarato. Questo aspetto coinvolge circa il 59% delle aziende statunitensi.
3) Vaghezza: questo aspetto riconduce ad indefinite e imprecisate informazioni sui prodotti che non consentono assolutamente di fare chiarezza circa gli ingredienti utilizzati, la loro provenienza, il processo produttivo impiegato, ma piuttosto usano affermazioni come: “prodotto con ingredienti naturali”, “fatto come da tradizione”, ecc. Anche in tal caso circa il 56% delle aziende statunitensi utilizza questi metodi per abbagliare il consumatore e indurlo a credere che stia acquistando un prodotto rispettoso dell’ambiente.
4) False etichette: le aziende in tal caso utilizzano etichette per i loro prodotti che riportano certificazioni e autorizzazioni che in realtà non hanno acquisito o che sono totalmente false (in un ambito diverso si vuol ricordare il caso, di qualche tempo fa,  del marchio CE che si pensava fosse riferito alla provenienza Comunitaria dei beni, ma che in realtà significava “China Export”, cioè prodotto di esportazione cinese!). L’inganno per il consumatore consiste nel considerare le etichette apposte sul prodotto come veritiere e garantiste di un bene prodotto secondo pratiche ecologiche; in realtà si rischia di utilizzare un prodotto che potrebbe essere assolutamente non rispettoso dell’ambiente ed anzi in alcuni casi anche nocivo. Circa il 24% delle aziende statunitensi approfitta della disattenzione e dell’ignoranza dei consumatori in questo ambito.
5) Irrilevanza: questa tecnica si basa sul fornire informazioni che potrebbero sembrare a favore e a tutela dell’ambiente ma che in realtà esulano del tutto dall’argomento e non sono assolutamente rilevanti per capire se un prodotto è davvero ecologico o meno. In particolare le aziende cercano, ad esempio, di sottolineare la mancanza di alcuni componenti nel prodotto inducendo a pensare che sia una propria scelta strategica di natura ecologica, quando invece per disposizioni di legge non possono usare determinati elementi e sostanze chimiche. La realtà è che il consumatore percepisce come una buona pratica quello che l’azienda di fatto non potrebbe assolutamente fare, pena incorrere nell’illegalità.
6) Basarsi sul male minore: le aziende cercano di celare una produzione nociva indicandola come meno dannosa rispetto ad un’altra; pertanto la questione si gioca su un confronto di filiere di produzione che sono comunque inquinanti, solo che una lo è più di un’altra, e ciò si verifica quando ad esempio su di una di esse ci sono studi consolidati circa la sua nocività, rispetto all’altra. Una dimostrazione è data dalle sigarette elettroniche pubblicizzate come amiche dell’ambiente perché consentono di diminuire le coltivazioni di tabacco che inquinano i terreni e nuocciono alla salute. In realtà anche i liquidi usati per le sigarette elettroniche sono chimici ed altamente tossici e quando si fumano emettono sostanze nocive per l’ambiente e per le persone. Quindi non ci troviamo di fronte ad un prodotto ecologico, bensì di fronte ad un bene che forse è solo meno inquinante rispetto ad un altro, ma questo è tutto da dimostrare!
7) Mentire: questa tecnica è la meno seguita dalle aziende essendo comunque una pratica perseguibile giudiziariamente; in ogni caso alcune affermazioni potrebbero non essere vere e comunque difficili da verificare da parte del consumatore. In tal senso pensiamo a quando viene pubblicizzato un allevamento che non usa antibiotici o che utilizza mangimi ecosostenibili, oppure quando si indicano le emissioni di CO2 della filiera dei prodotti; per il consumatore è davvero difficile, se non impossibile, verificare il grado di verità dell’affermazione fatta dall’azienda. Questa ha tutto l’interesse a far sì che il consumatore venga indotto a credere che stia effettuando un acquisto rispettoso dell’ambiente, quando in realtà per valutare un bene/servizio o una categoria di prodotti, occorre una valutazione circa l’impatto ambientale della filiera nella sua totalità e complessità. Una modalità per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni è cercare di approfondirne la veridicità magari informandosi anche su siti di tutela dei consumatori.
Una volta chiariti gli aspetti più caratterizzanti di tale pratica ci si chiede come sia possibile verificare di fatto quando ci si trovi di fronte ad una pratica di greenwashing al fine di contrastarla e di effettuare la scelta più consona ai propri obiettivi di consumi a tutela dell’ambiente; in ambito internazionale ci si può basare sulle raccomandazioni della commissione statunitense “Federal Trade Commission” che ha individuato alcuni metodi abbastanza efficaci per evitare di incorrere in errori di valutazione e quindi per tentare di sfuggire alla possibilità di essere ingannati.
Occorre verificare che le etichette che spiegano l’impatto positivo del prodotto sull’ambiente usino un linguaggio immediato e diretto, di facile comprensione senza grandi proclami e frasi ad effetto. Il messaggio pubblicitario contenuto nella dichiarazione di marketing deve essere semplice con indicazioni esatte circa le effettive strategie utilizzate dall’azienda per raggiungere obiettivi di produzione rispettosi dell’ambiente; in particolare è bene che le singole parti del processo produttivo siano ben chiare e specifiche nella parte innovativa, consentendo di comprendere se il prodotto abbia davvero un impatto di emissioni parzialmente o totalmente compensate (quindi nel migliore dei casi pari a zero). Il linguaggio usato nelle etichette non deve essere eccessivo quindi non deve essere esageratamente enfatico, ponendo un’attenzione ad un beneficio ambientale che difficilmente, salvo prova contraria, sarebbe raggiungibile. Occorre avere delle prove abbastanza inconfutabili circa il miglioramento della linea produttiva di un’azienda rispetto ad un altro marchio concorrenziale; in questo caso si rilevano importanti i processi di ricerca e sviluppo che le grandi aziende dovrebbero incentivare e finanziare e la pubblicizzazione dei risultati e dei loro effetti sui prodotti. Preferire l’acquisto di prodotti con certificazioni effettuate da enti terzi riconosciuti ed affidabili, come ad esempio il Carbon Trust Standard; questa è un’azienda che supporta le imprese nella misurazione delle emissioni di gas ad effetto serra provenienti dalle proprie linee produttive e fornisce un logo per l’identificazione dei prodotti che sono sottoposti alla sua valutazione. La misurazione delle emissioni di CO2 permette di identificare i miglioramenti durante il processo produttivo, di approvvigionamento e di distribuzione; la verifica circa la riduzione dell’impatto ambientale avviene ogni due anni e consente di esporre i miglioramenti compiuti dall’azienda in modo trasparente ed oggettivo.
Per quanto riguarda il nostro Paese il Forum per la Finanza sostenibile, svoltosi a novembre del 2022 a Milano e a Roma, ha esposto delle linee guida per contrastare il greenwashing anche in ambito di finanza sostenibile, allargando il campo di osservazione sia ai consumatori che ai potenziali investitori; nel documento si legge infatti che aziende, consumatori ed investitori possono evitare di incorrere in tale pratica ingannevole seguendo delle raccomandazioni generali relative a determinati comportamenti. In particolare le raccomandazioni per sviluppare politiche di sostenibilità efficaci e contestualmente per fornire una comunicazione esente da pratiche ingannevoli dovrebbe: identificare concreti obiettivi di sostenibilità e comunicarne in modo trasparente sia le motivazioni che hanno portato a scegliere un determinato obiettivo piuttosto che un altro, sia i principi generali a cui fanno riferimento al fine di poterne effettuare una verifica a posteriori. Cercare di dettagliare il percorso produttivo di rispetto climatico intrapreso dall’azienda esplicitando modalità, tempi e obiettivi intermedi che la stessa si pone al fine di consentire a chi legge di verificare se ciò che l’azienda ha fatto o che intende fare sia davvero sostenibile e ragionevolmente raggiungibile. Occorrerebbe cercare di dettagliare le metodologie di misurazione degli esiti ottenuti (c.d. percormance) e fornirne una chiave di lettura chiara ed univoca, al fine di rendere trasparenti i processi di sostenibilità ed i risultati conseguiti dall’azienda e permettere ai consumatori ed agli investitori di fare scelte consapevoli. Un ulteriore aspetto da curare e da approfondire si trova nel cercare di dettagliare le fonti, la tipologia dei dati e le metodologie di raccolta delle informazioni che l’azienda segue per permetterne la verifica circa il grado di affidabilità. È bene poi che la verifica degli obiettivi conseguiti sia assegnata a enti terzi certificatori che abbiano i requisititi e le autorizzazioni necessarie per svolgere tali attività in modo professionalmente trasparente e autonomo e possano così trasferire ai consumatori degli apprezzamenti indipendenti circa le politiche strategiche intraprese delle aziende produttrici. In tal modo le aziende potranno comunicare in maniera accurata le informazioni necessarie per rendere consapevoli i propri consumatori, aiutandoli nel compiere una scelta verso i prodotti più meritori e rispettosi dell’ambiente, e gli investitori, indirizzandone i finanziamenti verso le filiere più attente al rispetto climatico. La necessità di ottenere certificazioni da terze parti indipendenti rappresenta un aspetto che le aziende non dovrebbero sottovalutare e che consumatori e investitori dovrebbero potenziare; è infatti la pressione che i vari portatori di interessi hanno che consente alle imprese di comprendere l’importanza delle valutazioni esterne nella catena del valore. Esse permettono di spingere vero percorsi di sostenibilità per garantire una trasparente e veritiera aspettativa di vantaggi in ragione del potenziamento della reputazione, competitività ed efficientamento dei costi aziendali in favore di attività green ed acquisti ed investimenti consapevoli verso i beni/servizi più meritori.  
Cerchiamo, ognuno di noi, nel nostro piccolo di non cedere a false ed illusorie promesse propinateci da sbrigative ed effimere campagne pubblicitarie. Non ci fermiamo alla superficie dei problemi, cerchiamo di diventare attenti ed informati analisti delle situazioni che ci circondano!