LE CURE PALLIATIVE COME POSSIBILE ALTERNATIVA ALL’EUTANASIA
di Alessandra Di Giovambattista

Il suicidio assistito come tecnica utilizzata per procurare anticipatamente la morte di un malato che non ha possibilità di guarigione, e che pertanto si trova di fronte ad una patologia irreversibile, non è regolamentato nello Stato italiano. Ad oggi non esiste una legge nazionale bensì solo una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 242 del 2019) che ha dichiarato non punibile colui che agevola la richiesta di suicidio assistito, ma solo nel caso ricorrano quattro condizioni: che il soggetto sia capace di formulare in modo consapevole, autonomo e libero il proposito di suicidarsi, che il malato sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e sia affetto da patologia irreversibile, che tale stato sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che il malato reputa intollerabili, e che le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale (SSN), previo parere del Comitato etico territorialmente competente.
Occorre sottolineare che, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, il SSN così come i Comitati etici territoriali spesso non sono in grado di fornire risposte immediate alle richieste di morte volontaria assistita ed impiegano mesi prima di verificare la presenza delle quattro condizioni. Per tali motivi alcune regioni hanno ritenuto che, in presenza della citata sentenza e vista la difficoltà di operatività nazionale, la disciplina possa passare alla competenza della normativa regionale; così sono 12 le Regioni che hanno iniziato l’iter di leggi regionali ad iniziativa popolare che predispongano la richiesta di suicidio assistito e garantiscano tempi adeguati affinché i controlli necessari vengano svolti dai soggetti competenti.
Secondo l’Associazione “Luca Coscioni”, che porta avanti la battaglia per il diritto al suicidio assistito, nel 2023 sono state tre le persone che hanno avuto accesso alla pratica della morte volontaria assistita nelle regioni Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Toscana. Invece altri tre malati si sono recati in Svizzera per la pratica dell’eutanasia. E’ di questi giorni, tuttavia, la notizia che in Veneto la legge sul fine vita, spaccando il voto dei rappresentanti di centro destra contrari alla norma, non sia stata approvata mancando il quorum della maggioranza assoluta.
Questa in sintesi la situazione in Italia; si potrebbe dire una situazione di stallo che dovrebbe per conseguenza, predisporre ad un’apertura e ad un incentivo verso l’organizzazione ed il finanziamento di forme di cure palliative che si potrebbero porre come valido sostituto alle pratiche dell’eutanasia. Queste ultime presentano sicuramente un impatto psicologico, etico e medico molto dirompente e sicuramente difficile da accettare da parte dei diversi attori coinvolti in questa pratica estrema, primo fra tutti il malato.
Vediamo nello specifico: in Italia il diritto fondamentale alla tutela della salute è garantito dall’articolo 32 della Carta Costituzionale. La legge n. 38 del 2010, sulla scia di tale norma e delle sollecitazioni formulate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha sottolineato il diritto ad accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore, modalità di cura spesso fornite da Enti del terzo settore e da varie realtà associative, che hanno come obiettivi sia il sollievo dal dolore sia di evitare nella maniera più efficace, inutili sofferenze. In tale legge le cure palliative non sono associate al momento prossimo alla fine della vita, ma sono concepite prima di tutto come cure iniziali di malattie inguaribili con evoluzione infausta al fine di accompagnare sin da subito il paziente, anche pediatrico, ed i propri familiari in un percorso di terapia, affiancata a quella più strettamente medica e specialistica. Questo percorso dovrebbe consentire di affrontare in modo più sereno e condiviso il decorso della patologia, anche in coerenza con lo sviluppo della ricerca scientifica e la crescente disponibilità di farmaci che siano in grado di permettere un prolungamento dell’aspettativa di vita in condizioni umane dignitose. Le cure palliative sono da intendersi nell’accezione più ampia del termine dove, pur nella consapevolezza che molte situazioni croniche non possono essere guarite, si cerca di lenirle e curarle non solo negli ultimi momenti di vita, ma anche durante percorsi di durata pluriennale.
In tale ambito la carta europea dei diritti del malato del 2002 così recita: ”Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile in ogni fase della sua malattia. I servizi sanitari devono impegnarsi ad assumere tutte le misure utili a questo fine, fornendo ad esempio cure palliative e semplificando l’accesso dei pazienti ad esse”.
Ma quando sono nate le cure palliative e in cosa consistono? Si deve all’infermiera e medico Dott.ssa Cicely Saunders, di origine inglese, la nascita delle moderne cure palliative portate avanti dal movimento “hospice”. Fu promotrice di un metodo innovativo con il quale dimostrò che c’è sempre qualcosa che si può fare per alleviare il dolore del malato, a prescindere dalla speranza di vita, rispettando dignità e decoro, ma soprattutto sottolineando che fare del bene può cambiare la vita non solo di chi riceve ma anche di chi dona.
In particolare il movimento “hospice”, che ha origine nel XIX secolo a Lione (in Francia) dove per la prima volta viene utilizzato il termine Hospice, si prende cura dell’assistenza dei malati in fase terminale. Il principio su cui si basa questo movimento è quello che la persona anche se gravemente malata ed inguaribile, può comunque essere curata, cioè le possono essere somministrate delle cure che vanno aldilà delle terapie mediche fino ad arrivare ai supporti psicologici, etici e sanitari a favore del malato, dei familiari e degli amici. La Saunders fondò nel 1967 il St. Christopher hospice dopo circa venti anni di ricerche e studi; è non solo un luogo di accoglienza e assistenza ma è anche un luogo in cui la cura si connette con l’esperienza della ricerca e dell’insegnamento. Da qui parte il moderno modello di hospice che si diffonderà in Europa ed in diversi altri paesi del mondo.
In Italia le cure palliative hanno fatto il loro ingresso intorno al 1980, grazie alla spinta del Dott. Vittorio Ventafridda (fondatore della Società italiana di cure palliative) e della Fondazione Floriani (di cui il Dott. Ventafridda fu direttore scientifico); da quel momento si sono sviluppate nel nostro paese soprattutto organizzazioni non-profit che hanno provveduto, con la loro attività a colmare le lacune del servizio sanitario ospedaliero in questo ambito. Solo nel 1999 le cure palliative sonno state riconosciute ufficialmente ed inserite tra gli obiettivi del nostro SSN e da allora la crescita degli hospice è stata esponenziale. Da sottolineare che con la legge n. 12 del 2001 si è agevolata la prescrizione di farmaci oppiacei per il trattamento del dolore severo utilizzati per la terapia del dolore. Ma è grazie alla citata legge n. 38 del 2010 che si sono definite le cure palliative e la terapia del dolore come un diritto inviolabile di ogni cittadino, ampliando la tipologie di patologie su cui intervenire – non solo quelle oncologiche – e riferendosi a tutte le malattie ad andamento cronico evolutivo per le quali non vi è possibilità di guarigione.
Ma il profondo significato delle cure palliative lo si può ritrovare in un interessante passaggio dell’intervista rilasciata dal dott. Ventafridda prima della sua scomparsa nel 2008 dove riassume il senso della medicina palliativa e il suo netto contrasto all’eutanasia. “Le cure palliative guardano alla qualità della vita residua, non alla sua soppressione. Noi come medici abbiamo il dovere di capire le cause di questa richiesta e di cercare di risolverle. Il malato che chiede di essere aiutato a porre fine alla propria esistenza, nella maggior parte dei casi, è in preda al dolore, non ha supporto psicologico e spirituale, si sente di peso. Vive un’ esperienza umana disperata e insostenibile. Il lavoro di questi anni come medici palliativisti ci ha insegnato che quando si elimina la sofferenza fisica utilizzando in modo appropriato la morfina, si garantisce un’ assistenza infermieristica adeguata, si riempie il vuoto di comunicazione che si crea intorno a questi malati (la morte oggi è un tabù), la richiesta eutanasica scompare o si attenua”.
Ed è allora in questo senso le cure palliative sostengono la vita, e guardano alla morte come ad un processo naturale e non la anticipano o la pospongono ma piuttosto aiutano ad affrontare l’evento attraverso un approccio curativo sinergico. Meglio, attraverso un approccio olistico nella cura del malato dove sono coinvolti familiari e persone care nel momento più delicato dell’esistenza, quello in cui si prende coscienza che la vita sta sfuggendo via.
Volendo poi dare un’impronta statistica a questa breve riflessione si sottolinea che - secondo l’indagine “I numeri della long-term care” condotta nel 2022 da Italia Longeva, Associazione nazionale per l’Invecchiamento e la longevità attiva - solo una persona su tre, malata di tumore, ha ricevuto assistenza con cure palliative; tuttavia l’offerta di cure palliative a domicilio ed in hospice ha continuato ad aumentare seppur con notevoli differenze tra sud e nord del Paese. Nel Veneto sono stati circa il 57% i pazienti che hanno ricevuto cure palliative, nell’Emilia Romagna la percentuale è stata del 53%, in Toscana del 50%, in Lombardia del 49% e a Bolzano del 47%; per contro in Calabria hanno avuto accesso a tali cure solo il 12% dei malati, in Campania il 16% e nel Lazio il 17%.
Un ulteriore aspetto - evidenziato invece nella ricerca condotta da IPSOS e dall’associazione VIDAS dal titolo “Conoscenza, percezioni, opinioni sulle cure palliative in Italia” pubblicata ad ottobre 2023 - è dato dal fatto che il 57% circa degli intervistati non sa assolutamente se questo tipo di terapie sono somministrate sul proprio territorio di residenza, mentre il 60% è però a conoscenza del fatto che tali terapie possano essere erogate sia a domicilio, sia in ospedale sia in hospice. Per la maggioranza degli intervistati il luogo di cura prescelto in questi casi è la propria casa, anche se nel 20% dei casi questo desiderio non è possibile da soddisfare.
Dal punto di vista della formazione di personale specializzato si sottolinea che, a decorrere dall’anno accademico 2021-2022, nelle università italiane è stata istituita la scuola di specializzazione in “Medicina e cure palliative” ed il corso di cure palliative pediatriche nell’ambito dei corsi obbligatori delle scuole di specializzazione in pediatria. In tal modo si è quindi riconosciuta la specificità delle conoscenze e delle abilità mediche dei professionisti che intraprendono il percorso delle cure palliative; alla disciplina possono accedere gli specialisti in ematologia, geriatria, malattie infettive e tropicali, medicina interna, neurologia, oncologia, pediatria, radioterapia, anestesiologia, rianimazione e terapia intensiva, terapia intensiva e del dolore, medicina di comunità e delle cure primarie.

Discorso della Presidente von der Leyen in occasione del vertice ItaliaAfrica
Rome, 29 gennaio 2024
Presidente La Russa,
Presidente Meloni, cara Giorgia,
Eccellenze,
Gentili colleghi,
Signore e signori,
è molto incoraggiante ascoltare oggi questi esimi oratori, perché sentiamo tutti di vivere attualmente
un momento di intensa e rinnovata cooperazione tra Africa e Europa. Perché non soltanto i nostri
destini sono allineati, ma anche i nostri interessi - oggi più che mai. L'abbiamo appena sentito:
dobbiamo passare tutti all'energia pulita e adattarci ai cambiamenti climatici. Dobbiamo formare tutti
la nostra forza lavoro ai mestieri di domani. Vogliamo fermare tutti la tragica perdita di vite umane
lungo le rotte migratorie. E vogliamo tutti offrire possibilità ai nostri giovani. Ad unirci non è quindi
soltanto la geografia, ma anche l'impegno a recare benefici reciproci a tutti i nostri cittadini - fine che
ci chiede ora di essere concreti.
Sono molto grata all'Italia per aver posto la cooperazione con l'Africa al centro della sua politica
estera e della presidenza italiana del G7. Il nuovo Piano Mattei rappresenta un importante contributo
a questa nuova fase della collaborazione che unisce i due continenti, a complemento del Global
Gateway europeo ossia -non dico nulla di nuovo- a complemento del piano di investimenti da 150
miliardi di € per l'Africa: un esempio virtuoso del funzionamento pratico di Team Europa.
Vorrei oggi soffermarmi su tre temi sui quali Europa e Africa hanno convenuto di collaborare e per i
quali l'impegno dell'Italia può rivelarsi determinante. Primo, energia e clima. Secondo, istruzione e
competenze. Terzo, migrazione.
Sul primo tema: energia e clima. Oggi, soltanto il 2% degli investimenti mondiali in energia pulita si
dirige verso il continente africano. È un dato estremamente deludente, considerate le enormi
potenzialità dell'Africa di porsi come forza trainante nell'energia pulita: dispone infatti di spazio,
vento, sole - e di molto altro. Le infrastrutture invece mancano, ma a questo possiamo ovviare -
insieme. Con Global Gateway puntiamo a portare energia pulita a 100 milioni di persone che
attualmente mancano di accesso all'energia. Conseguire quest'obiettivo potrà sfociare in un duplice
risultato: non soltanto l'Africa sarà in grado di produrre energia pulita in quantità sufficiente ad
alimentare il continente, ma riuscirà anche a ricavarne reddito grazie all'esportazione. Sono già
iniziate le attività preparatorie, ad esempio, per la posa del primo cavo elettrico sottomarino che
collegherà il Nord Africa all'Italia e al resto d'Europa. Altro esempio: la nuova banca dell'idrogeno
dell'Unione è ora aperta ai produttori africani. Queste iniziative si traducono in occupazione di qualità,
energia e sicurezza energetica sia per l'Africa sia per l'Europa.
Passando al secondo tema: in Global Gateway è posta fortemente in rilievo l'esigenza di sviluppare
localmente le competenze di cui l'Africa ha bisogno. Siamo già al lavoro per formare alle competenze
necessarie per la produzione di vaccini in Ruanda, in Ghana e in Senegal. In Kenya e in Namibia
formiamo la forza lavoro alla produzione di idrogeno pulito. Arrivo così al primo esempio di
complementarità con il Piano Mattei. L'Italia svolge un ruolo attivo: attualmente oltre 50 università
italiane intrattengono programmi di scambio con omologhe africane. L'Università di Parma, ad
esempio, coordina un progetto Erasmus di sviluppo delle competenze in materia di energia pulita in
Africa. Vogliamo investire in questo tipo di cooperazione. Stiamo ad esempio finanziando una
connessione dati ad alta velocità tra l'Europa meridionale e tutti i paesi del Nord Africa, dal Marocco
all'Egitto passando per l'Algeria, che collegherà università e centri dati permettendo attività
congiunte di ricerca e scambio commerciale sulle due sponde del Mediterraneo. Di questo progetto
mi piace soprattutto il fatto che non si tratti meramente d'investire nei talenti dell'Africa, ma anche
nelle persone, nell'amicizia e nella prossima generazione dei due continenti.
Arrivo così al terzo tema: la migrazione. Contro i trafficanti che commerciano in vite umane
dobbiamo intervenire con estrema severità. I trafficanti mettono in pericolo centinaia di migliaia di
vite umane: ammassano giovani uomini sui cassoni dei camion nella traversata del deserto; abusano
di giovani donne lungo il cammino; infine caricano tutti su barche sgangherate che semplicemente
non sono fatte per navigare in alto mare. Il loro cinico commercio deve finire, dobbiamo fermarlo. E il
modo migliore è unire le forze per sgominare queste reti criminali aprendo in parallelo alternative
legali alle loro rotte mortali di traffico. Dobbiamo disintegrare la ragnatela di menzogne dei
trafficanti. Negli ultimi mesi abbiamo ad esempio lavorato a stretto contatto con Costa d'Avorio,
Gambia, Guinea, Mauritania e Senegal sul nostro intento comune, che è chiaro: salvare vite umane e
creare possibilità. Offriamo maggiori possibilità di venire legalmente in Europa così che le persone
possano spostarsi, imparare e riportare nel paese d'origine le nuove competenze acquisite. La nostra
cooperazione spazia anche sul rimpatrio dei migranti irregolari perché la mobilità deve essere
regolata dalla legge, non dai trafficanti. Meglio faremo sulla migrazione legale, più saremo
convincenti nel prevenire la migrazione irregolare.
Signore e signori,
Enrico Mattei era un grande italiano, un grande europeo e un amico autentico dell'Africa. Comprese
prima degli altri che la forza dell'Africa è la forza dell'Europa e viceversa. La sua eredità vive: i nostri
continenti sono oggi impegnati a costruire un autentico partenariato che sia benefico per tutti: per
l'Africa, per l'Europa, per il mondo. Stiamo lavorando bene: avanti così, c'è molto da fare.
Grazie dell'attenzione.
SPEECH/24/502

IL SUICIDIO ASSISTITO: QUANDO L’ESSERE UMANO DECIDE DI MORIRE.
di Alessandra Di Giovambattista

Da qualche tempo è arrivata la notizia che il Canada, paese dove è riconosciuto il diritto al suicidio assistito, ha deciso di consentire la pratica dell’eutanasia anche per i poveri. Quella che finora era considerata una pratica disumana ed un crimine ora viene riconosciuta come un diritto ed un’espressione di progresso. Con il termine di eutanasia si intendono azioni o omissioni che per loro natura e nelle intenzioni di chi agisce o omette di agire, procura anticipatamente la morte di un malato con lo scopo di alleviarne le sofferenze. Si può quindi definire come l’uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprime la volontà di morire o mediante l’aiuto del medico a cui si chiedono farmaci letali in auto somministrazione (suicidio assistito) o con la richiesta al medico di essere soppresso nel presente o in un momento futuro (eutanasia in senso stretto).
Da una ricerca condotta nell’Università di Oxford, ad opera del ricercatore Yuan Yu Zhu, emerge che la morte medicalmente assistita si può autorizzare in Canada anche per i pazienti che non sono più in grado di fronteggiare finanziariamente le crescenti spese mediche inducendoli a ritenere che sia meglio per loro non intraprendere cure costose e scegliere di gettare la spugna. Nel 2016 per poter accedere al suicidio assistito doveva essere presente una “ragionevole previsione” di morte naturale; dal marzo 2023, invece, con le nuove disposizioni normative è sufficiente una patologia o una disabilità, che il soggetto consideri insopportabile e quindi inaccettabile, per poter chiedere di ricorrere alla procedura di morte medicalmente assistita. Lo stesso ricercatore evidenzia che attualmente il Canada presenta, tra i paesi industrializzati, la più bassa spesa sociale, le più lunghe liste di attesa per prestazioni mediche e non finanzia e non organizza le cure palliative. Queste ultime rappresentano un approccio integrato di assistenza e cura del paziente grave o terminale, capaci di migliorare la qualità della vita del malato e delle famiglie attraverso la prevenzione ed il trattamento del dolore, e di altri problemi di diversa natura: psichici, fisici, spirituali, mediante la somministrazione di farmaci analgesici, il sostegno psicologico, la riabilitazione, il conforto religioso. In questo senso le cure palliative sostengono la vita, e guardano alla morte come ad un processo naturale e non la anticipano o la pospongono ma piuttosto aiutano ad affrontare l’evento attraverso un approccio curativo sinergico.
Detto ciò è facile immaginare come alla base di queste scelte di legittimazione dell’interruzione della vita vi sia, non ultima, la motivazione finanziaria: già nel 2020 l’ufficio parlamentare canadese di bilancio aveva evidenziato che l’eutanasia avrebbe fatto risparmiare molte risorse. Attualmente si risparmiano circa 87 milioni di dollari canadesi all’anno grazie all’induzione al suicidio assistito al posto della somministrazione di cure, magari a lungo termine, a carico dello Stato. È stato poi calcolato che dal 2023 vi sarà un ulteriore risparmio annuale di 62 milioni di dollari canadesi grazie all’ampliamento dei casi per i quali sarà concessa l’eutanasia, in particolare ai malati psichiatrici. I paesi che attualmente prevedono tale possibilità sono pochi e tra questi vi è l’Olanda dove le norme disciplinano la morte medicalmente assistita per sofferenza psichica irrimediabile.
È evidente che i problemi, nel caso dei malati psichiatrici, risiedono nel fatto che: il paziente, in via autonoma dovrebbe essere in grado di formulare questa richiesta, la sofferenza che si subisce sia insopportabile e senza rimedio e sia valutata anche nel tempo futuro, il paziente ed il medico dovrebbero concordare che non ci sono presenti o future alternative di trattamento, tenendo in debita considerazione che in passato alcuni trattamenti potrebbero non essere stati adeguati e che invece le cure future potrebbero rappresentare una valida scelta. Ma qui sorge spontaneo un quesito: il paziente sarà in grado di valutare se il medico sta agendo per il proprio bene, secondo deontologia e retta coscienza? Oggi più che mai occorre vigilare perché nascoste motivazioni, come ad esempio quelle economiche, non prevalgano sul rispetto e la dignità della vita umana.
Ma c’è di più; da un recente sondaggio della Research Co. (società canadese di raccolta e gestione quali-quantitativa di dati) è emerso che il 30% dei canadesi sarebbero favorevoli al suicidio assistito per le persone povere o senzatetto; il Canada è uno dei pochi paesi al mondo che ha legalizzato l’eutanasia anche quando il paziente non ha una malattia terminale, ma è sufficiente che la malattia sia grave ed irrimediabile, come ad esempio nei casi delle persone disabili. Ma la cosa che più fa riflettere è che una quota di cittadini canadesi è favorevole al suicidio assistito anche quando la persona non presenta patologie: il 27% ha affermato che sarebbe favorevole a legalizzare l’accesso alla morte medicalmente assistita nei casi di povertà, il 28% ha individuato come causa sufficiente l’essere un senzatetto, ed il 20% ritiene che sia legittimo chiedere la morte medicalmente assistita senza alcuna ragione medica, pertanto per qualsiasi motivo. Infatti, è sintomatico, che in Canada il suicidio assistito possa essere approvato e somministrato dagli infermieri senza alcuna approvazione e vaglio medico. E negli ultimi anni i decessi assistiti sono andati aumentando vertiginosamente (dal 2021 al 2022 l’incremento è stato del 32,4%). Per il 43% sarebbe sufficiente anche la sola malattia mentale per attivare il processo di suicidio assistito; il Canada ha rinviato a questo anno, il 2024, la decisione nel merito e affiancherà anche la proposta per gli individui poveri ed i senzatetto; è degna di riflessione la considerazione che i più emarginati forse potrebbero avere una possibilità di rinascita qualora vi fossero adeguate politiche socio-economiche. È notizia dell’ultima ora che il governo canadese ha previsto un ulteriore rinvio della decisione in merito all’estensione del suicidio assistito per le persone affette da patologie mentali in quanto il sistema non sembra essere pronto per tale espansione in quanto non ci sono sufficienti professionisti in grado di valutare i pazienti.
Inoltre la recente legge canadese in tema di suicidio assistito - che muove i suoi passi dalla sentenza della Corte Superiore del Quebec del 2019 in cui si era stabilito che limitare il suicidio assistito alle sole persone con una morte ragionevolmente prevedibile fosse una violazione dei diritti umani – prevede che si rinunci al consenso finale da parte del paziente e che si vieti l’obiezione di coscienza dei medici. Queste due ultime circostanze sembrano rappresentare una grave lesione dei diritti: il diritto del malato di ripensare fino alla fine al compimento di un atto estremo, e il diritto per i medici ed il personale sanitario di rifiutarsi di somministrare farmaci che uccidono, invece di curare o quantomeno di alleviare le sofferenze. La privazione dell’obiezione di coscienza per il personale sanitario è contraria anche alla deontologia medica che si basa sul giuramento di Ippocrate che vieta qualunque forma di eutanasia e di somministrazione di farmaci che possano indurre la morte. Questa sorta di obbligo viola ogni forma di libertà esprimibile dal personale sanitario che, mentre non potrebbe assolutamente opporsi alle cure per i pazienti, potrebbe invece opporsi al suicidio assistito o all’eutanasia in quanto non riconosciuti come atti medici: il medico deve fare di tutto per curare, e tra le pratiche consentite non c’è assolutamente quella di aiutare il paziente a morire.
È emerso quindi che i canadesi, con l’ampliamento dei criteri del ricorso all’eutanasia, hanno trasformato quella che sarebbe dovuta essere una pratica opzionale per le persone prossime alla morte e prive di speranza, in una concreta possibilità di scelta qualora non si abbiano sufficienti risorse o si abbia un presentimento infausto sul proprio futuro. Il 36% dei canadesi ha indicato come elemento decisivo a favore della scelta del suicidio medicalmente assistito l’onere (finanziario e affettivo) sui propri familiari, sugli amici e sugli operatori sanitari, mentre il 17% degli intervistati ha individuato come componente decisiva della propria scelta l’isolamento e la solitudine.
È facile intravedere in queste norme una nuova modalità legalizzata ed accettata di esaltazione dell’eugenetica. La cosa che più stupisce e che non ci si soffermi sul fatto che, volendo andare fino in fondo, ognuno di noi, chi più chi meno, è affetto da patologie - c’è chi le ha conclamate (e quindi risulta oggettivamente definibile come malato) e chi le ha subdole presentando una predisposizione genetica ad ogni sorta di fragilità - e la morte sarà sicuramente l’ultima parola, per ognuno di noi. Ma perché individuare malati privilegiati e malati svantaggiati; come sempre chi avrà le possibilità finanziarie avrà dei canali preferenziali di cura, fino alla fine, invece chi non avrà sufficienti disponibilità potrà scegliere di farsi uccidere con il proprio consenso. È dei nostri giorni la notizia che un personaggio pubblico stia incontrando problemi per trovare degli enzimi salvavita; per lui sembra si sia mosso anche il Governo! Se si fosse trovato in Canada e se fosse stato una comunissima persona possiamo ipotizzare che gli avrebbero potuto proporre il suicidio assistito per non gravare troppo sulle finanze dello Stato?
Per contro, perché non proviamo ad approfondire quali sono le motivazioni che spingono tanti malati a lottare contro la morte in silenzio e in preghiera affidandosi anche alla parte spirituale che vibra nell’intimo? L’uomo ha per istinto la sopravvivenza; la vita è una guerra fatta di tante battaglie, ma vale la pena di combatterle perché non si può rinunciare a nessun momento che possa riempire la vita che, pur nella sofferenza, potrebbe riservare amore e felicità. Come può una madre o un padre decidere di abbandonare anche solo un momento prima i propri figli? Perché privare una coppia innamorata o delle persone giovani di giorni di vita, in cui poter sentire l’importanza della propria esistenza per sé e per gli altri e facendo della loro esperienza di sofferenza un esempio per noi tutti, in particolare per i più giovani che sembrano ormai anestetizzati ad ogni forma di dolore e di compassione?
Il malato dovrebbe essere visto come un soggetto riflesso nel nostro stesso specchio; potremmo esserci noi un domani dall’altra parte. Saremmo davvero felici di sapere che una legge possa decidere della nostra vita, al nostro posto o al posto dei nostri familiari, senza dare l’opportunità di poterci far accompagnare dai nostri cari verso il passo terreno finale e di poterci far godere fino alla fine della possibilità di essere portatori, anche se più fragili, di un’esistenza ancora densa di insegnamento, sapienza ed amore?
Piuttosto perché non si potenziano le cure palliative che rappresentano invece una forma di solidarietà e di condivisione della malattia considerata come elemento facente parte della vita? Offriamo al malato l’opportunità di poter scegliere altre terapie rispetto al suicidio assistito che il più delle volte, quando si è in preda a crisi di solitudine, potrebbe rappresentare l’unica forma di soluzione alla grande sofferenza patita. Il malato è una persona fragile al quale si deve riconoscere il massimo rispetto per le proprie scelte, ma credo sia anche importante offrire, come alternativa, una generosa e sensibile attività terapeutica, psicologica e spirituale, attraverso le cure palliative. Solo così potremo dire di aver permesso al malato di compiere serenamente e consapevolmente la scelta per lui più giusta, ma soprattutto di avergli offerto l’opportunità di valutare la possibilità di dare il massimo valore ad ogni suo attimo di vita.