LE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI

di Alessandra Di Giovambattista

 23-12-2024

Il panorama delle forme giuridiche attraverso le quali può oggi esercitarsi una professione protetta (svolta da medici, architetti, ingegneri, commercialisti, avvocati, biologi, ecc), che implica cioè l’iscrizione presso albi professionali e che si basa sulle capacità individuali e personali dei soggetti che esercitano l’attività (c.d. “intuitu pernsonae”), prevede la possibilità di costituire società, oltre che di persone, anche di capitali, nella forma delle società a responsabilità limitata (Srl), società per azioni (Spa) e società in accomandita per azioni (Sapa). Ma non è stato sempre così; anzi in Italia è stata molto forte la resistenza verso queste forme di organizzazioni tra professionisti. L’avversione verso queste modalità di esercizio dell’attività professionale, sfociata nel totale divieto di costituzione di aggregazioni societarie, risale alla legge del Regno d’Italia del 23 novembre 1939, n. 1815; in essa era chiaro il vincolo che si fondava sulla presunta incapacità di coordinare le regole del diritto societario con l’attività professionale del prestatore d’opera. Questo in particolare si evidenziava nello stridore della costituzione delle società per azioni considerate del tutto inconciliabili con i profili di responsabilità personale riconducibili all’esecuzione delle prestazioni professionali. Tuttavia nel 1976, da parte della Corte Costituzionale, cominciarono ad emergere le prime tesi circa la possibilità del riconoscimento della costituzione di società per l’esercizio di attività professionali. Si andava quindi rafforzando la convinzione che nuove forme organizzative delle professioni avrebbero potuto apportare vantaggi competitivi sia organizzativi sia finanziari, ma soprattutto avrebbero potuto consentire di sviluppare sinergie tra professionisti. Ma l’impulso definitivo venne dalla lettera della Banca centrale europea del 5 agosto del 2011 che richiedeva con maggiore insistenza una complessiva e radicale riforma in Italia di diversi settori, sia pubblici sia privati, tra i quali contemplava anche quello dei servizi professionali.

È così che, con l’articolo 10 della legge n. 183 del 12 novembre 2011, si arrivò ad eliminare il divieto dell’esercizio delle professioni attraverso le forme societarie e a consentirne la costituzione mediante una delle forme commerciali previste dal vigente codice civile. Lasciò tuttavia sorpresi il fatto che tale normativa fosse introdotta mediante un emendamento alla legge di stabilità per il 2012 (quindi facendo immaginare un provvedimento di urgenza ed approssimativo il cui obiettivo sembrava essere solo l’eliminazione del divieto contenuto nella legge del 1939), senza quindi costruire una regolamentazione omogenea e complessiva capace di gettare i presupposti per la creazione di forme nuove di aggregazione societaria appositamente costituite per le attività professionali, ed ignorando problematiche di natura fiscale e previdenziale di importanza nevralgica circa l’analisi della scelta di convenienza di tali forme organizzative (ad esempio non è indifferente sapere se il reddito prodotto ha natura di reddito d’impresa o piuttosto di lavoro autonomo). Così l’articolo 10 della legge n. 183 del 2011 fu immediatamente modificato dall’articolo 9-bis del decreto legge n. 1 del 24 gennaio 2012 che disciplinò le società tra professionisti prevedendone la costituzione secondo una delle forme già esistenti, ma per l’operatività delle disposizioni rimandò ad un regolamento congiunto del Ministero della giustizia e del Ministero dello sviluppo economico che fu emanato l’8 febbraio 2013, con il n. 34 ed entrò in vigore il 22 aprile 2013. Quest’ultimo, tuttavia, andandosi ad inserire in un contesto di normativa non esaustiva e abbastanza approssimativa, lasciò irrisolte alcune questioni applicative e incrementò diversi dubbi che non permisero un immediato decollo delle novità legislative; a mero titolo di esempio si può ricordare la problematica relativa alla responsabilità limitata del socio di società di capitali e quella illimitata del professionista, la natura dell’utile conseguito, l’iscrizione nei registri degli ordini.

Ad oggi le tipologie di società che possono costituirsi sono le società di persone nella forma delle società in nome collettivo (snc) e le società in accomandita semplice (sas), le società di capitali, come la società a responsabilità limitata (srl) e la società per azioni (spa) e le società cooperative. Le vigenti norme prevedono che almeno i due terzi dei soci debbano essere professionisti iscritti agli albi di riferimento mentre il restante terzo può essere composto da soci che conferiscono capitale (i c.d. soci finanziatori) o soggetti che apportano il proprio lavoro ma non hanno un albo di riferimento a cui iscriversi. E’ necessario che il socio che entra a far parte della società tra professionisti sia in possesso dei requisiti di onorabilità, non abbia riportato condanne definitive per reati dolosi o colposi e non sia stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinari. L’atto costitutivo deve contenere l’oggetto sociale che deve descrivere la tipologia di attività che la società intende svolgere; infatti è possibile creare società mono disciplinari, in cui viene svolta una sola attività professionale come ad esempio una società tra architetti o avvocati, oppure multi disciplinare, nel caso in cui vengano svolte più attività professionali, come nel caso di società tra avvocati e commercialisti, o medici e biologi. Nell’atto costitutivo dovranno essere ben individuati i soci ed inoltre dovrà essere indicato e ben dettagliato l’esercizio esclusivo dell’attività esercitata da ogni singolo socio professionista in quanto vige il divieto di partecipare a più società per evitare il conflitto di interessi. Dopo la costituzione della società tra professionisti è d’obbligo l’iscrizione presso una sezione speciale del registro delle imprese tenuto presso le camere di commercio, nonché l’iscrizione presso l’albo o gli albi professionali a cui i singoli soci professionisti appartengono. È inoltre obbligatoria la sottoscrizione di polizze assicurative per la copertura dei danni provocati dall’attività svolta dai professionisti nei confronti dei propri clienti.

Per quanto riguarda le problematiche di natura fiscale occorre sottolineare che la norma istitutiva delle società tra professionisti non aveva indicato in modo chiaro ed esaustivo né la natura del reddito prodotto dalle società, né il trattamento fiscale dei compensi percepiti dai soci. All’inizio, in mancanza di una qualificazione fiscale normativa chiara e precisa, la ricostruzione per analogia portò a risultati tra loro contrapposti sia nel caso in cui si fosse scelto di privilegiare il soggetto che produceva il reddito (la società per l’appunto) sia qualora l’attenzione fosse stata posta sul presupposto oggettivo, ossia la natura dell’attività svolta (quindi l’attività professionale). Si registrava una forte differenza tra la natura commerciale dell’attività svolta da una delle società costituite secondo la vigente normativa - per cui il reddito prodotto da tali soggetti era riconducibile al redito d’impresa - e la natura essenzialmente professionale svolta dai singoli soci per cui il reddito era riconducibile alla categoria del reddito di lavoro autonomo. Si dovette attendere in realtà la modifica apportata con la legge n. 124 del 4 agosto 2017 in cui, consentendo l’esercizio della professione in forma societaria a società di persone, di capitali, o cooperative, acquisiva prevalente rilevanza la veste giuridica assunta dal soggetto società, invece dell’effettiva attività professionale svolta, con ciò indicando chiaramente che il reddito prodotto, almeno per le società di capitali e le cooperative, era da incardinarsi nella categoria dei redditi di impresa (chiarificatrice in questo senso è la risoluzione del 7 maggio 2018, n. 35/E dell’Agenzia delle entrate). Tuttavia a dirimere ogni ulteriore dubbio ed incertezza interpretativa intervennero due risposte ad interpelli (la risposta del 12 dicembre 2018, n. 107 e quella del 27 dicembre 2018, n. 12871) in cui l’Agenzia delle entrate sottolineò che le società tra professionisti costituite nella forma di società commerciali producono reddito qualificato come reddito d’impresa.

Oggi, con il decreto legislativo n. 192 del 13 dicembre 2024, attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 aprile 2024, si riapre la questione con la finalità di porre ancora più ordine alla disciplina esistente. In particolare le nuove disposizioni regolamentano le questioni che erano ancora irrisolte circa le eventuali forme di riorganizzazione (ad esempio passaggio da una associazione tra professionisti ad una società di capitale) o di aggregazione (è il caso delle fusioni o conferimenti di società tra professionisti) prevedendone la neutralità fiscale. Si sottolinea che sarebbe auspicabile che le nuove norme siano applicate con trasparenza e semplicità per garantire l’effettiva neutralità fiscale in tutti i casi di operazioni straordinarie, siano esse operate da società tra professionisti, siano esse operate da società di natura commerciale svolgenti attività professionale (casi presenti oggi, per esempio, per le società tra ingegneri ed odontoiatri).

A conclusione si vuol sottolineare che l’opportunità di creare società tra professionisti, mossa da uno spirito di miglioramento e di agevolazione del lavoro collettivo ed in sinergia tra professionisti per aumentare l’efficienza dell’attività ed ampliare i servizi offerti ai clienti, abbia di fatto incontrato molti ostacoli. Si noti che dal lontano 2011 le società tra professionisti hanno avuto serie difficoltà circa l’effettiva possibilità di operare; ed infatti in uno studio condotto sulle aggregazioni professionali dei commercialisti (rapporto 2021 pubblicato dall’Albo nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili anni 2020-2022 pubblicato nel novembre 2023) risulta che le forme societarie esistenti sono di ridotte dimensioni e sono numericamente poche anche se in realtà producono maggior reddito e migliori risultati. Dalla breve disamina dell’iter di regolamentazione delle società tra professionisti risulta che la poca chiarezza della normativa iniziale, ma anche di quella successiva, ha di fatto compromesso la possibilità che tali nuove forme di aggregazione prendessero vita in tempi rapidi; questo spesso significa legare al palo attività che invece potrebbero esprimere, specialmente attraverso i giovani professionisti, potenziali elevati di efficienza ed efficacia professionale sia a livello nazionale sia internazionale. Non ultimo queste forme societarie aiutano anche il passaggio generazionale con il prezioso trasferimento delle conoscenze e delle esperienze dei professionisti più maturi a favore di quelli più giovani che possono apportare nuove idee e applicazioni soprattutto con l’utilizzo di supporti informatici.

Sarebbe quindi auspicabile, da una parte, l’effettiva rimozione di tutti gli impedimenti finora visti e, dall’altra, la ricerca e la creazione di strumenti di incentivazione e di promozione all’aggregazione che amplino concretamente le possibilità di crescita dei professionisti e contribuiscano anche a far emergere materia imponibile attraverso una fiscalità equa e chiara ed un’applicazione della normativa tributaria semplice ed immediata.

 

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Venerdì 20 dicembre alle ore 17:30 si è svolto l’incontro organizzato dall’ANPA – Accademia Nazionale Professioni Alberghiere, dal 1993 prima Scuola-Albergo d’Italia, nella persona della sua Presidente Dottoressa Cristina Ciferri, presso l’Hotel The Brand in Via degli Aldobrandeschi 295, per celebrare la consegna degli Attestati di Qualifica Professionale attestati a vari allievi dei corsi di formazione dedicati alle diverse professioni alberghiere e brindare al Natale e al nuovo Anno.

Gli studenti di svariate nazionalità tra cui africana, brasiliana, greca ed italiana, sono stati felici di ricevere questo riconoscimento e si sono resi orgogliosi della loro conquista e dei bei voti ottenuti.

Sono state spiegate le modalità di partecipazione ai corsi professionali e manageriali dell’Istituto di varia durata che permettono a giovani e adulti, inoccupati e disoccupati, italiani e stranieri, come anche a operatori del settore motivati alla carriera, d’introdursi nel mondo del lavoro turistico, dagli hotels alla ristorazione a qualunque altro luogo di accoglienza – oggi la principale voce industriale a Roma con l’avvento del Giubileo, ed in Italia, Paese di ricchezze culturali, paesaggistiche e marittime.

 

Sappiamo tutti che la voce turismo è tra le più importanti in Italia per i ricavi economici provenienti dai turisti stranieri e quindi è assolutamente necessario valorizzare questo settore e sensibilizzare lo Stato italiano a promuovere questo tipo di iniziative, anche private ed imprenditoriali, che permettono l’impiego di giovani che conoscono le lingue straniere in un settore imprenditoriale culturale e variopinto.

 

La pandemia - è stato osservato dal Dott. Fabrizio Bratoli docente dei corsi dell’Accademia e General Manager dell’Hotel The Brand, uno degli hotels partner del progetto ANPA Scuola-Albergo che ha ospitato i festeggiamenti natalizi dell’Istituto - è stato un momento drammatico del settore turistico. Tutti gli hotel sono stati chiusi nel periodo pandemico ed il lavoro è andato scemando fino a chiudere definitivamente. In questo periodo di cassa integrazione gli stessi direttori degli hotel si sono tirati su le maniche e non si sono lasciati andare. E’ stato anzi un momento per progettare nuove strategie e iniziative imprenditoriali per la ripartenza degli Hotel post pandemia e dar vita anche insieme all’ANPA a nuovi corsi di formazione per preparare le risorse a nuove mansioni e creare ulteriori opportunità occupazionali.

 

Il settore del turismo - ripeto - deve essere considerato tra i più importanti nel settore del bilancio dello Stato italiano e deve assolutamente essere promosso in quanto il turismo sarà quello che darà al nostro Paese maggiori introiti nei prossimi anni. Si definisce pertanto industria turistica che porterà a Roma in particolare da gennaio in poi per tutto il Giubileo fonte di grande guadagno per tutti.

Quindi si auspica un maggiore coinvolgimento delle istituzioni nello sviluppo del dicastero del turismo, che non è mai stato potenziato e valorizzato all’interno dell’apparato governativo, settore che va oltre i partiti. Esso tocca infatti vari aspetti della cultura italiana, che non è e non può essere di parte.

Gli studenti dell’ANPA che hanno partecipato a questi corsi sono di varie nazionalità e la conoscenza delle lingue straniere ha dato un input maggiore nel loro know-how per offrire servizi sempre più accurati e variegati ai turisti stranieri che non conoscono la lingua e la cultura italiana.

Anche il rinfresco offerto - preparato dagli stessi studenti della Accademia - è stata la ciliegina sulla torta della bellissima ed originale serata, fonte di riflessioni sull’ottima cucina italiana, famosa in tutto il mondo. L’atmosfera piuttosto familiare dei tecnici del settore ha visto anche la partecipazione del Centro di Ascolto Stranieri Caritas di Roma con la quale l’Accademia ha da anni degli importanti protocolli di collaborazione come con altre Associazioni Umanitarie, Cooperative Sociali e Onlus che si occupano dell’accoglienza di rifugiati politici e richiedenti asilo, ma anche di rappresentanti della FIPE Confcommercio Roma e della Confapi Turismo e Cultura con il rappresentante del comparto Guide Turistiche, accompagnatori e tour operator Dott. Francesco Cecilia e dello Skal International Roma, al fine di creare una sinergia di competenze con l’Accademia ANPA in un rapporto di reciproco interesse e sviluppo.

Sono intervenuti anche dei giornalisti che hanno detto la loro, tra cui Maria Angela Petruzzelli, che ha elencato una serie di attività, tutte correlate tra di loro, che permettono di creare sinergie tra il cibo della cucina italiana, visto che l’Accademia ricomprende anche una scuola di chef, e l’insegnamento della cucina italiana nel continente africano.

Il nostro patrimonio culturale ci permette di sviluppare ed incrementare

l’attività turistica dei nostri moderni ed accoglienti hotel in modo tale da poter

creare lavoro, guadagno a svariate professionalità.

Tale industria del turismo permette di valorizzare al contempo il nostro patrimonio culturale, architettonico, dei parchi nazionali, dell’archeologia, della storia e di tutto ciò che concerne il nostro meraviglioso Paese, ricco di bellezze naturali, artistiche, storiche e architettoniche.

Quindi nessuno più degli italiani può certamente creare questa sinergia tra varie settori per creare sviluppo economico. Quindi, senza arrendersi mai, la dottoressa Cristina Ciferri, con la sua forte personalità e presenza, è riuscita a trainare questo mondo ed a sviluppare appieno le sue competenze, creando un mondo ricco di professionalità e di sfaccettature, lasciando spazio alla creatività nella preparazione del cibo, della tavola, nelle buone maniere, riassumendo il tutto nell’ANPA, tesa alla preparazione di giovani lavoratori nell’ambito turistico internazionale.

 

Emanuela Scarponi

ALCUNI CASI DI SPIN OFF UNIVERSITARI IN ITALIA

di Alessandra Di Giovambattista

 20-12-2024

Il crescente processo innovativo e di ricerca ha portato un incremento nella costituzione di aziende private e pubbliche che producono beni o servizi altamente tecnologici ed innovativi specialmente in ambito informatico e dell’intelligenza artificiale. Quindi il mercato presenta realtà nuove, dinamiche, spesso provenienti da spin offaziendali (sono operazioni di separazione di un settore aziendale, che si rende totalmente autonomo ed indipendente, dalla azienda madre ma ne può anche rimanere collegato in modo diretto o indiretto) o da start up(imprese nuove, in via di sviluppo fortemente innovative che necessitano di finanziamenti da soggetti esterni che credono nell’innovazione presentata), create da giovani ma anche nate dagli studi e dalla ricerca universitaria. Infatti è proprio in tale ambito che nascono idee e progetti sperimentali che partono dai centri di ricerca degli atenei ed approdano sul mercato produttivo imprenditoriale. Si crea in tal modo un effetto sinergia tra soggetti tecnicamente e culturalmente diversi, con poliedriche conoscenze e competenze maturate su campi differenti e pronti a realizzare prodotti innovativi.

Ed è così che nell’ultimo ventennio sono decollate le nuove strutture degli spin off universitari nati dalla fusione delle conoscenze di ricercatori, docenti, dottorandi ma soprattutto studenti dei diversi atenei italiani. Il panorama è ricco di esperienze e, secondo un report pubblicato nel 2023 da Netval (associazione che nasce come rete tra Università nel 2002 ma che nel 2007 si apre anche a soggetti non universitari, finalizzata a valorizzare la ricerca pubblica e a dirigerla verso l’industria) ma relativo al 2021, se ne contano 1.930 su tutto il territorio nazionale. Gli spin off universitari sono in espansione soprattutto negli atenei del Mezzogiorno, tuttavia circa la metà delle realtà innovative si posiziona nel Nord Italia. Tuttavia la partita si gioca sulla necessità di superare la divisione culturale tra approccio accademico e approccio di mercato; è un problema che è stato posto in luce anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che ha stanziato 350 milioni di euro per creare 50 centri di competenza dedicati al trasferimento tecnologico. I finanziamenti previsti dovranno essere erogati in ragione dell’effettivo impatto in termini di passaggio di competenze tecnologiche tra università e mondo produttivo, predisponendo anche dei meccanismi premiali, per i professionisti impegnati nelle attività di studio e ricerca, anche attraverso sgravi e contributi fiscali.

Ma il settore della ricerca e dello sviluppo veicolato attraverso gli spin off universitari è una realtà in crescita; spesso l’evoluzione è la creazione di start up che vanno adeguatamente supportate con finanziamenti dedicati. Sono aziende che nascono dagli studi e dalle ricerche svolte dai docenti, dagli studenti, dai ricercatori in diversi settori all’interno dei centri di ricerca degli atenei; ed infatti per avviare uno spin off è necessario uno stretto collegamento con l’attività universitaria che conferisce valore ed approvazione al bene o al servizio innovativo prodotto. Ma occorre guardare anche al flusso di valore nel senso opposto: infatti è indispensabile che l’innovazione trovi uno sbocco nei settori produttivi altrimenti molte delle intuizioni e delle novità cadrebbero nell’oblio. Il mondo imprenditoriale ha bisogno di innovazione e indubbiamente gli ambienti universitari sono delle ottime fucine di idee dove menti giovani, fantasiose, che sanno sfruttare a pieno le sinergie, possono rappresentare un legame con il mercato che necessita di talento, dedizione ed anche di un atteggiamento coraggioso che si può sicuramente ritrovare nel mondo giovanile.

Un supporto all’instaurazione di contatti tra mondo accademico, rappresentato da giovani studenti talentuosi, ed imprese può essere facilitato anche da soggetti terzi; ci sono aziende che utilizzando il marketingdigitale - ossia l’analisi del mercato attraverso le tecnologie digitali e la predisposizione di strategie cercando di promuovere marchi, servizi e prodotti attraverso internet – pongono in contatto, attraverso rubriche dedicate per i vari settori produttivi, le aziende con gli spin off universitari che ormai rappresentano, per diversi atenei, il modo per applicare la ricerca e l’innovazione sviluppata nei propri laboratori.

Le attuali realtà di spicco nel mondo degli spin off universitari, trasformati in alcuni casi anche in start up, le troviamo in diversi atenei, tra i quali:

  • l’università di Torino con il progetto INFLANT, vincitore del primo premio nazionale per l’innovazione (PNI) nell’ambito del miglioramento della salute delle persone (Life sciences-Medtech) consegnato il 6 dicembre di quest’anno, che rappresenta una nuova frontiera per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, come ad esempio il morbo di Crohn o la colite ulcerosa che sono peraltro causa di ulteriori patologie. Il progetto nasce da una collaborazione tra l’università di Torino e quella di Pisa ed è supportata dall’incubatore di aziende 2i3T dell’università torinese. L’innovazione concerne lo sviluppo di una nuova molecola in grado di bloccare direttamente nell’intestino la proteina infiammatoria, che genera le patologie intestinali, evitando così gli effetti collaterali degli attuali farmaci utilizzati come terapia. In questo modo lo spin off riceve la giusta pubblicità e visibilità ed avvicina nuovi investitori che credono ed intendono partecipare allo sviluppo della nuova cura.

  • Il politecnico di Torino supporta, attraverso l’incubatore I3P, il progetto IDRA -della start up Deplotic - che rappresenta una rivoluzionaria metodica di manutenzione satellitare in orbita che utilizza dei bracci robotici comprimibili, dispiegabili mediante gonfiaggio e retrattili. Il nuovo prodotto si pone all’interno di un settore in crescita e che riguarda i servizi satellitari innovativi, con un’attenzione particolare alla loro sostenibilità.

  • L’università di Pisa, con lo spin-off CERNAIS, presenta un prodotto che utilizza l’intelligenza artificiale per migliorare ed innovare le terapie di contrasto delle mattie rare. Così i metodi tradizionali di ricerca vengono affiancati dal potenziale dell’intelligenza artificiale per scoprire nuove molecole che possono diventare delle innovazioni di cura di patologie neurologiche rare.

  • La scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha predisposto una mano robotica a controllo magnetico che si muove con il pensiero. L’innovazione è nata nell’istituto di biorobotica della Scuota Superiore ed è in grado di riprodurre i movimenti pensati da colui che indossa la protesi grazie a dei magneti collegati ai muscoli dell’avambraccio.

  • L’università di Firenze coordina un progetto di ricerca europeo chiamato FAMOS che sviluppa una tecnologia eco sostenibile di costruzione di isole galleggianti modulari per poter sfruttare le zone marine e affrontare il problema della crescita della popolazione mondiale.

  • L’università di Sassari ha collaborato per la messa a punto di un dispositivo che permette di misurare il grado di contrazione neuromuscolare nei soggetti affetti da spasticità: il SAS che offre una valutazione intelligente della spasticità (cioè the Smart Assesment of Spasticity). Il progetto è stato vincitore del premio Venture di Cassa Depositi e Prestiti e del premio speciale del Fondo per l’innovazione (Fund to innovate Limited) ambedue con la finalità di incentivare la crescita e lo sviluppo dell’innovazione presentata.

  • L’università di Bari ha presentato il progetto AGRIDATALOG con il quale intende creare e sviluppare un’agricoltura digitale e sostenibile. Un esempio è fornito dall’utilizzo di droni e sensori avanzati monitorati e manovrati attraverso applicazioni informatiche (c.d. App).

  • L’università di Padova ha presentato la start up FINAPP nata da uno spin off accademico che ha sviluppato una tecnologia basata sui raggi cosmici per misurare costantemente la quantità di acqua immagazzinata in profondità su grandi superfici di terreno. Questa applicazione può rivelarsi utile per l’attività produttiva di diverse industrie in quanto offre soluzioni per l’agricoltura di precisione, per l’industria idroelettrica e la gestione delle risorse idriche, per la localizzazione delle perdite d’acqua nelle reti comunali, per il monitoraggio del rischio idrogeologico e per la ricerca scientifica e metereologica che necessiti di conoscenze e sviluppi nel settore. Dal punto di vista più generale si sottolinea che l’università patavina si presenta come una realtà che collabora e dialoga con i soggetti che intendono fare impresa in quanto mette a disposizione dei futuri imprenditori il know how e le conoscenze del “Settore trasferimento di tecnologia” per poter ben iniziare nel mondo imprenditoriale. Inoltre gli imprenditori innovativi possono godere anche delle competenze fornite dall’incubatore universitario d’impresa chiamato “Start Cube”.

Alla luce della rapida carrellata di poche e sicuramente non esaustive innovazioni nascenti dalla ricerca presso gli atenei italiani, si osserva che di fatto gli spin off universitari sono uno strumento che premia e incentiva tutti i soggetti che vi partecipano: le università che aumentano il proprio prestigio ma anche le proprie risorse attraverso la pubblicazione degli studi e la vendita dei brevetti sviluppati nei centri di ricerca, i professori che possono diventare imprenditori, gli studenti che potrebbero già cogliere delle opportunità lavorative dopo la laurea. Inoltre queste realtà consentono di recuperare credibilità e fiducia nell’innovazione e di incentivare attività produttive di elevato spessore tecnologico sul territorio nazionale che per decenni ha sofferto di una lenta ma costante perdita di competitività industriale e di un allontanamento della forza lavorativa giovane, intelligente, capace di creare futuro e speranza.

 

GLI SPIN OFF UNIVERSITARI UN NUOVO MODO DI FARE IMPRESA

di Alessandra Di Giovambattista

19-12-2024

Il termine spin off, di chiara origine anglosassone, può essere tradotto nella nostra lingua in derivato o derivativo, cioè un qualcosa che nasce da un’entità originaria e se ne distacca; ed in effetti in ambito economico-finanziario la traduzione descrive bene la situazione sottostante allo spin off la cui sostanza ci avvicina alla scissione o scorporazione di ramo o settore aziendale. Infatti quando un’organizzazione, una sezione, un ramo d’azienda si separa dall’azienda madre, si crea un realtà nuova, autonoma ed indipendente capace di camminare da sola ed avere prospettive di successo, pur potendo mantenere un legame ed una connessione con la società originaria non solo dal punto di vista produttivo ma anche dal punto di vista della proprietà, attraverso le partecipazioni azionarie. Da quanto detto appare superfluo sottolineare che questa operazione straordinaria di riorganizzazione aziendale richiede attenta valutazione e pianificazione al fine di permettere alla neo struttura di poter operare con economicità, quindi con efficienza ed efficacia, per presentarsi solida sul mercato ed essere competitiva rispetto alle altre realtà presenti nel settore di attività. La scissione può essere regolata in diversi modi: o attraverso la distribuzione ai precedenti azionisti di azioni dell’azienda di nuova costituzione, in modo da diversificare il loro investimento ed ampliare le possibilità di guadagno, oppure mediante la vendita delle azioni della nuova impresa, oppure attraverso la vendita ad un acquirente esterno all’azienda stessa.

Le motivazioni che inducono ad una tale operazione straordinaria sono diverse e si va dall’ottimizzazione delle risorse utilizzate alla creazione di maggior valore a favore degli azionisti, dal desiderio di volersi concentrare in uno specifico settore al voler penetrare un mercato estero con beni e/o servizi innovativi. È tuttavia indubbio che gli obiettivi cardine riguardino la volontà di aumentare il valore delle quote di proprietà degli azionisti, nonché la diversificazione del portafoglio posseduto, attraverso la creazione di un’azienda che svolga attività specifica con un elevato potenziale di crescita e di remunerazione rispetto all’azienda madre; in tal modo attraverso un’unica operazione si dà più respiro e possibilità di sviluppo ad un’azienda nuova, mentre alla casa madre si dà l’opportunità di concentrarsi di più sulle attività originarie, diminuendo la propria esposizione debitoria e recuperando in termini di economicità aziendale. Questo lo si può meglio comprendere con un esempio che può calzare bene per le aziende farmaceutiche (in tale settore diversi sono stati i casi di spin off, tra tutti ricordiamo la separazione di Sandoz da Novartis o di Opella da Sanofi) in cui il settore è assoggettato a forte e costosa innovazione tecnologica e scientifica e dove un processo di scissione conferisce alla nuova entità maggiore flessibilità e focalizzazione rispetto alle soluzioni e ai prodotti fortemente innovativi presenti nel settore farmaceutico e derivanti da attività di ricerca e sviluppo i cui costi sono notevoli e dove si registrano pressioni anche da parte dei rappresentanti politici e delle potenti lobby farmaceutiche.

Tuttavia le operazioni di spin off possono anche essere rischiose; in particolare sempre guardando dal lato dei soggetti finanziatori la scissione potrebbe comportare una diminuzione del valore delle azioni dell’azienda madre, che potrebbe non riuscire a garantire gli stessi risultati registrati prima della separazione - potrebbero ad esempio venire a mancare delle sinergie - oppure la nuova azienda nata dalla scorporazione potrebbe non raggiungere gli obiettivi prefissati. In ambedue i casi il valore complessivo della proprietà aziendale in mano agli azionisti diminuirebbe.

Con riferimento invece alla tipologia di soggetti che intendono effettuare un’operazione di scissione si possono individuare gli spin off aziendali (riguardanti propriamente le aziende pubbliche o private) e gli spin offaccademici (così definiti se fra i soci della nuova realtà produttiva partecipa un ente universitario anche conferendo beni in natura), o anche universitari (così individuati qualora l’università non parteci in qualità di socio all’interno della proprietà). Nel caso delle scissioni aziendali sono coinvolte realtà imprenditoriali, pubbliche o private, mentre nelle operazioni di scorporo accademico o universitario le nuove iniziative produttive nascono negli atenei e negli istituti di ricerca in essi presenti. In tale ultimo caso si creano aziende che provengono dagli studi e dalle conoscenze prodotte nel mondo universitario ed i cui fini sono quelli di valorizzare i ricercatori stessi ed i risultati delle loro analisi, dare delle possibilità ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro e perfezionarsi nella formazione, favorire i contatti tra il mondo della ricerca e della didattica ed il mondo produttivo per sostenere e potenziare i settori che si basano sullo sviluppo e l’innovazione. Il capitale degli spin off universitari è costituito essenzialmente da professori e ricercatori (capitale umano e professionale), dai contributi conferiti da personale tecnico-amministrativo degli atenei, dai collaboratori e anche dagli studenti che intendono parteciparvi e non ultimo dai finanziamenti che l’Unione Europea mette a disposizione attraverso programmi e bandi dedicati. Pertanto i nuovi prodotti e servizi che possono nascere dai risultati della ricerca all’interno del mondo accademico provengono da lavori collettivi svolti da professori, ricercatori universitari, dottorandi di ricerca e titolari di assegni di ricerca.

Possono poi acquisire la caratteristica di spin off anche le società definibili come start up innovative presentandone le caratteristiche e solo qualora prevedano che possano far parte della compagine sociale anche i professori, i ricercatori universitari o l’università stessa. In ogni caso le relazioni istituzionali e commerciali tra le Università e le imprese nate da spin off sono regolate da apposite convenzioni che disciplinano l’uso di eventuali spazi ed attrezzature, la richiesta di collaborazione del personale universitario, il trasferimento di rischi e le modalità per fronteggiarli attraverso la sottoscrizione di apposite clausole o assicurazioni, il diritto di utilizzo o di trasferimento di tecnologie, ed eventuali compensi per il supporto di personale e l’uso di beni universitari. Naturalmente tutto questo nel rispetto della trasparenza e dei diritti di natura commerciale (come il diritto all’uso delle opere dell’ingegno, dei brevetti, degli spazi), escludendo conflitti di interesse o posizioni di vantaggio, dirette o indirette, di alcuni soci rispetto agli altri.

Negli ultimi anni si è assistito ad un sempre crescente livello di innovazione e ricerca che ha portato all’aumento delle invenzioni, specialmente in ambito tecnologico, provenienti dagli studi scientifici prodotti nelle università che hanno poi trovato sbocco direttamente sul mercato produttivo. Pertanto lo spin off universitario si presenta come un prodotto della ricerca scientifica accademica che compie un passo verso il mercato, creando impresa sotto una forma giuridica indipendente dall’ateneo. Tuttavia è stato il decreto legislativo n. 297 del 1999 a definire i soggetti, le modalità, gli strumenti, e le tipologie di attività che possono essere finanziate con la finalità di sostenere l’utilizzo in ambito industriale di ricerche e studi accademici condotti da professori e ricercatori universitari, da dottorandi, e da soggetti beneficiari di assegni per la ricerca. È così che ogni università ha potuto dotarsi di appositi regolamenti atti a disciplinare i rapporti di natura soggettiva o oggettiva che possono instaurarsi tra enti universitari e gruppi di studiosi, incentivando così la creazione di aziende spin off che si staccano dalla casa madre ma che comunque mantengono una stretta collaborazione con il mondo accademico. Al decreto legislativo che ha creato una cornice di norme a supporto degli spin off universitari si sono aggiunti dei provvedimenti applicativi quali il decreto del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca n. 593 del 2000 che provvede a rendere operative le modalità di concessione delle agevolazioni finanziarie previste per queste tipologie di operazioni straordinarie; lo strumento scelto dal legislatore è stata l’emanazione di un testo unico che ha riunito tutte le disposizioni già esistenti (legge n. 46 del 1982, legge n. 488 del 1992, legge n. 488 del 1992, legge n. 346 del 1988, legge n. 196 del 1997, legge n. 449 del 1997) in tema di agevolazioni dirette alle imprese che investono in ricerca e sviluppo. E’ poi seguita la legge n. 240 del 2010, in materia di organizzazione delle università, del personale accademico e del suo reclutamento e contiene al suo interno anche la delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario, ed il decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 168 del 2011 che definisce i modi attraverso i quali i professori universitari ed i ricercatori possono assumere responsabilità nell’ambito di società che hanno le caratteristiche di spin off o start up.

Dal punto di vista operativo occorre prima di tutto costruire un piano previsionale di lavoro (c.d. business plan) che definisca obiettivi, modalità, investimenti, finanziamenti, mercato, personale, in pratica è uno strumento che illustra l’attività imprenditoriale che si intende intraprendere. Il Consiglio di amministrazione dell’ateneo porrà all’esame il piano preventivo che dovrà essere autorizzato dal Senato accademico; l’analisi del progetto pone particolare attenzione all’assunzione ed alla limitazione del rischio di impresa da parte dell’università mediante l’apposizione di specifiche clausole. Una clausola generale è quella che pone un vincolo alla partecipazione al capitale da parte dell’Ateneo che non può essere superiore al 10% - peraltro il capitale non è rappresentato quasi mai dal denaro, bensì dal conferimento di beni in natura, quali locali, attrezzature, conoscenze - che però può essere derogato qualora il progetto si presenti particolarmente proficuo e conveniente; in più l’ente universitario delibera anche in merito alla distribuzione di eventuali perdite derivanti dal rischio imprenditoriale tutelandosi sia nel caso di riduzione del capitale sia nel caso di liquidazione dell’azienda. A maggior tutela le università mantengono anche parte della proprietà delle conoscenze acquisite (know how) e dispongono di un diritto di prelazione e di gradimento nei casi di trasferimento della partecipazione ad altri soci; in tal modo l’ateneo rimane agganciato alle attività di ricerca ed innovazione garantendosi un posto di preferenza rispetto a soggetti terzi. Infine un aspetto interessante, ma se vogliamo anche logico, riguarda l’obbligo che le attività svolte dagli spin offuniversitari non siano in conflitto di interessi con l’ateneo che partecipa al capitale; è in tal caso che i rappresentanti universitari si appelleranno al diritto di veto in tutte le delibere che presenteranno aspetti rischiosi o problematiche di sovrapposizione o di sostituzione di interessi pubblici con quelli di altri soggetti privati.

Queste nuove vivaci realtà produttive che coniugano ricerca universitaria e mercato si sono sviluppate di fatto a partire dall’inizio del secolo XXI, nonostante le prime normative possano ricondursi all’inizio del 1980; pertanto si è assistito ad un ritardo applicativo di circa 20 anni, con conseguente perdita di finanziamenti messi a disposizione dall’Europa e dispendio di energie ed opportunità lavorative. Pertanto una riflessione è necessaria: perché è stata sottovalutata per tanto tempo questa opportunità? Una prima ragione sembra ritrovarsi nel timore da parte degli atenei che queste iniziative produttive di tipo privatistico avrebbero potuto distrarre il personale docente e scientifico dai propri incarichi istituzionali trascurando così la didattica. Tuttavia solo all’inizio del nuovo millennio si è vista la svolta di impostazione, soprattutto culturale: le idee innovative create in ambito accademico possono competere sul mercato ed anzi esserne fattore trainante producendo risultati positivi per la collettività tutta, a partire dai giovani studiosi e ricercatori che, se ben incentivati, potrebbero decidere di rimanere nel nostro Paese arginando il fenomeno, ormai drammatico, della c.d. fuga dei cervelli!