20 luglio 2024 

PRATICHE SLEALI, COLDIRETTI: MAI SOTTO COSTI DI PRODUZIONE E OBBLIGO ETICHETTATURA IN EUROPA PER FILIERE EQUE

Alla nuova Commissione chiediamo un cambio di passo sulle politiche del cibo, su Nutriscore e direttiva packaging

 

Dall’Unione Europea è necessario un impegno per rafforzare le misure contro le pratiche sleali e tutelare così i produttori agricoli. Non solo, bisogna lavorare per filiere più eque che passi dall’obbligo di etichettatura su tutti gli alimenti in Europa, senza dimenticare di intervenire sul nutriscore e sulla direttiva packaging. Per l’occasione è stata allestita una mostra per toccare con mano le principali minacce che gravano sulla filiera agroalimentare nazionale e che rischiano si stravolgere in peggio in modelli di consumo e la dieta degli italiani.

Fermare le pratiche sleali. Coldiretti è stata l’unica organizzazione ad avere il coraggio di denunciare un colosso come Lactalis, perché aveva modificato unilateralmente gli accordi e non aveva pagato il prezzo del latte pattuito agli allevatori, costretti sino ad oggi a subire le decisioni dell’industria senza poterle contestare per paura di ritorsioni. Un impegno che va esteso a tutti i settori, poiché il cibo prodotto dai nostri agricoltori non può essere trattato come una commodity alla mercé di poche multinazionali.

Modificare il codice doganale sull’origine dei cibi. L’Europa deve inoltre modificare la norma dell’ultima trasformazione prevista dall’attuale codice doganale sull’origine dei cibi che permette ai prodotti esteri di diventare 100% italiani con lavorazioni anche minime.

L’invito alla nuova Commissione è quello di assicurare maggiore trasparenza sui prodotti alimentari in commercio all’interno dell’Unione, sostenendo la proposta di legge europea promossa dalla Coldiretti per introdurre l’obbligo dell’indicazione del Paese di origine in etichetta su tutti i cibi. Grazie alla ventennale battaglia della Coldiretti la provenienza è stata estesa a livello nazionale, anche se resta anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini senza dimenticare la carne o il pesce venduti nei ristoranti.

Stop al Nutriscore che mette a rischio 13 mld di Made in Italy. Inoltre, spiega Coldiretti, va fermata la diffusione dell’etichetta a semaforo che mette a rischio 13 miliardi di euro di esportazioni di prodotti italiani che finirebbero bollati sugli scaffali europei con valutazioni negative, a partire da quelli Dop e Igp, dando la falsa sensazione ai consumatori che molte delle più note eccellenze del Made in Italy a tavola facciano male alla salute. In questo modo una merendina artificiale diventa sempre preferibile a un pezzo di parmigiano reggiano o di grana padano.

Tra i vari dossier sul tavolo del prossimo esecutivo uno dei più pericolosi per l’agricoltura tricolore e la salute dei cittadini è, infatti, quello legato al Nutriscore, il sistema di etichettatura che “recensisce” i prodotti alimentari utilizzando i colori del semaforo, giallo, rosso e verde per indicare la salubrità dell’alimento, concentrandosi solo su alcune sostanze nutritive come zucchero, grassi e sale, ma senza tener conto delle quantità assunte. Un sistema sostenuto dalle multinazionali che penalizza prodotti simbolo della Dieta Mediterranea e che è stato sino ad oggi adottato da Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, mentre il Portogallo ha fatto da poco marcia indietro, grazie anche all’azione dell’Italia.

Ma soprattutto un sistema ingannevole che marchia col bollino rosso eccellenze del made in Italy, mentre lo stesso olio extravergine d’oliva, elisir di lunga vita, “viaggia tra la “C” e la “B”. Al contrario, cibi ultraprocessati di cui spesso non è nota neppure la ricetta vengono promossi a pieni voti col bollino verde e la lettera “A”. Un evidente tentativo di un pugno di oligarchi di mettere le mani sull’alimentazione mondiale, omologandola e sostituendo specialità da secoli presenti sulle tavole con prodotti di sintesi.

Intervenire sul regolamento packaging. Un altro nodo da sciogliere è quello del regolamento packaging. Il pressing di Coldiretti e Filiera Italia ha permesso di escludere dalle restrizioni bottiglie di vino e vasi per i fiori e di aumentare la discrezionalità di applicazione da parte degli Stati nazionali. Resta però incerto il destino dell’ortofrutta di IV Gamma come insalata in busta o confezioni di pomodorini e frutta, a rischio di scomparire dagli scaffali. Potrebbe, infatti, accadere che alcuni Paesi ne autorizzino il commercio e altri no, con l’effetto che le imprese produttrici si ritroverebbero a dover differenziare il packaging a seconda della destinazione.

20 luglio 2024

UE: COLDIRETTI, AUMENTARE FONDI PAC O A RISCHIO 620 MILIARDI DEL SISTEMA AGROALIMENTARE

Prandini: “Recuperare terreno rispetto a Usa e Cina, ma risorse vadano ai veri agricoltori”

 

È essenziale che la nuova Commissione Ue faccia salire il budget per l’agricoltura per evitare che la produzione alimentare europea crolli, mettendo a rischio i 620 miliardi di euro del sistema agroalimentare italiano e favorendo le importazioni dai Paesi terzi. Servono più risorse per colmare il gap con Usa e Cina che garantiscono ai rispettivi settori molte più fondi. E’ l’appello lanciato dal presidente della Coldiretti Ettore Prandini in occasione dell’Assemblea nazionale a Roma della più grande organizzazione agricola dell’Unione, all’indomani del voto per l’elezione di Ursula Von der Leyen, confermata alla guida dell’esecutivo Ue per i prossimi cinque anni. Presenti all’appuntamento insieme alle imprese agricole provenienti da tutte le regioni italiane il segretario generale Vincenzo Gesmundo, il Presidente della Coldiretti Ettore Pradini, il vice premier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, il Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia, il Presidente dell’Ice, Matteo Zoppas e dell’Amministratore Delegato di BF Federico Vecchioni.

La Politica agricola comune in Europa vale 386 miliardi di euro in totale fino al 2027 – ricorda la Coldiretti – di cui trentacinque miliardi di euro in Italia, un ammontare che mette le aziende agricole dell’Unione in una situazione di svantaggio rispetto al resto del mondo.

“A chi dice che la Politica agricola comune pesi troppo sul bilancio europeo serve ricordare che negli Usa il Farm bill vale 1400 miliardi di dollari in dieci anni, mentre la Cina con molto più sostegno pubblico attualmente produce il 70% in più dell’intera produzione agricola dell’Unione Europea – ha sottolineato Prandini -.  Per stare al passo con la sfida geopolitica servono quindi più risorse per la Pac. Alla nuova Commissione europea chiediamo di accompagnare lo sviluppo del settore, investendo concretamente su innovazione e sostenibilità ma anche destinando una volta per tutte i fondi solo ai veri agricoltori, non ad esempio agli aeroporti con terreni”.

 

Produzione messa a rischio da cambiamenti climatici e tensioni internazionali. Fondi necessari per sostenere la produzione agricola – sottolinea Coldiretti - messa sempre più a rischio dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalle tensioni internazionali che fanno esplodere i costi di produzione abbassando il reddito degli agricoltori, con il rischio di un crollo della produzione alimentare che andrebbe a danneggiare in primis le fasce più deboli della popolazione. L’aumento della dipendenza dell’estero porterebbe un netto trasferimento di ricchezza fuori dai confini dell’Unione, tagliando risorse preziose per le misure a favore del settore produttivo e dei cittadini, a partire da quelli più poveri. Le politiche sul cibo sono strettamente dipendenti dal livello di sovranità alimentare del Paese e non è un caso che lo stesso Farm bill americano destini parte delle risorse all’acquisto di buoni alimentari per gli indigenti.

 

Semplificazione burocratica per non gravare su aziende. Al tema delle risorse si abbina quello della semplificazione burocratica e del rispetto del principio di reciprocità. Dopo le manifestazioni pacifiche della Coldiretti a Bruxelles la Commissione ha compiuto un primo importante passo verso l’alleggerimento degli adempimenti a carico delle aziende agricole. Un passo che va ora rafforzato con una semplificazione ancora più profonda di tutte le regole della Pac che gravano su tutte le aziende, a prescindere dalla loro dimensione, considerato che oggi un agricoltore spende un terzo del suo tempo per riempire moduli e carte burocratiche. Ma anche con politiche “verdi” che valorizzino il ruolo dell’agricoltore nella tutela dell’ambiente, rispetto alle follie estremiste che hanno sino ad oggi caratterizzato l’applicazione del green deal.

 

Principio di reciprocità per evitare pratiche sleali. Ma in Europa – rileva Coldiretti – deve imporsi anche il principio di reciprocità: le regole imposte ai produttori europei devono valere per chi vuole vendere nell’Ue. Se così non accade si traduce in concorrenza sleale. Il tema del caporalato di cui si dibatte molto è strettamente connesso a questa emergenza.  E occorre anche cambiare il codice doganale sull’origine dei cibi che consente oggi di spacciare per cibo italiano quello che italiano non è. Una battaglia che ha portato oltre diecimila agricoltori della Coldiretti alle frontiere, dal Brennero ai porti, per chiedere un cambio di passo, con l’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del Paese d’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea.

 

 

++CON EMBARGO ORE 10.30 DI VENERDI’ 19 LUGLIO++

 

 

PRATICHE SLEALI, COLDIRETTI: MAI SOTTO COSTI DI PRODUZIONE E OBBLIGO ETICHETTATURA IN EUROPA PER FILIERE EQUE

Alla nuova Commissione chiediamo un cambio di passo sulle politiche del cibo, su Nutriscore e direttiva packaging

 

Dall’Unione Europea è necessario un impegno per rafforzare le misure contro le pratiche sleali e tutelare così i produttori agricoli. Non solo, bisogna lavorare per filiere più eque che passi dall’obbligo di etichettatura su tutti gli alimenti in Europa, senza dimenticare di intervenire sul nutriscore e sulla direttiva packaging. Per l’occasione è stata allestita una mostra per toccare con mano le principali minacce che gravano sulla filiera agroalimentare nazionale e che rischiano si stravolgere in peggio in modelli di consumo e la dieta degli italiani.

Fermare le pratiche sleali. Coldiretti è stata l’unica organizzazione ad avere il coraggio di denunciare un colosso come Lactalis, perché aveva modificato unilateralmente gli accordi e non aveva pagato il prezzo del latte pattuito agli allevatori, costretti sino ad oggi a subire le decisioni dell’industria senza poterle contestare per paura di ritorsioni. Un impegno che va esteso a tutti i settori, poiché il cibo prodotto dai nostri agricoltori non può essere trattato come una commodity alla mercé di poche multinazionali.

 

Modificare il codice doganale sull’origine dei cibi. L’Europa deve inoltre modificare la norma dell’ultima trasformazione prevista dall’attuale codice doganale sull’origine dei cibi che permette ai prodotti esteri di diventare 100% italiani con lavorazioni anche minime.

L’invito alla nuova Commissione è quello di assicurare maggiore trasparenza sui prodotti alimentari in commercio all’interno dell’Unione, sostenendo la proposta di legge europea promossa dalla Coldiretti per introdurre l’obbligo dell’indicazione del Paese di origine in etichetta su tutti i cibi. Grazie alla ventennale battaglia della Coldiretti la provenienza è stata estesa a livello nazionale, anche se resta anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini senza dimenticare la carne o il pesce venduti nei ristoranti.

 

Stop al Nutriscore che mette a rischio 13 mld di Made in Italy. Inoltre, spiega Coldiretti, va fermata la diffusione dell’etichetta a semaforo che mette a rischio 13 miliardi di euro di esportazioni di prodotti italiani che finirebbero bollati sugli scaffali europei con valutazioni negative, a partire da quelli Dop e Igp, dando la falsa sensazione ai consumatori che molte delle più note eccellenze del Made in Italy a tavola facciano male alla salute. In questo modo una merendina artificiale diventa sempre preferibile a un pezzo di parmigiano reggiano o di grana padano.

 

Tra i vari dossier sul tavolo del prossimo esecutivo uno dei più pericolosi per l’agricoltura tricolore e la salute dei cittadini è, infatti, quello legato al Nutriscore, il sistema di etichettatura che “recensisce” i prodotti alimentari utilizzando i colori del semaforo, giallo, rosso e verde per indicare la salubrità dell’alimento, concentrandosi solo su alcune sostanze nutritive come zucchero, grassi e sale, ma senza tener conto delle quantità assunte. Un sistema sostenuto dalle multinazionali che penalizza prodotti simbolo della Dieta Mediterranea e che è stato sino ad oggi adottato da Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, mentre il Portogallo ha fatto da poco marcia indietro, grazie anche all’azione dell’Italia.

 

Ma soprattutto un sistema ingannevole che marchia col bollino rosso eccellenze del made in Italy, mentre lo stesso olio extravergine d’oliva, elisir di lunga vita, “viaggia tra la “C” e la “B”. Al contrario, cibi ultraprocessati di cui spesso non è nota neppure la ricetta vengono promossi a pieni voti col bollino verde e la lettera “A”. Un evidente tentativo di un pugno di oligarchi di mettere le mani sull’alimentazione mondiale, omologandola e sostituendo specialità da secoli presenti sulle tavole con prodotti di sintesi.

 

Intervenire sul regolamento packaging. Un altro nodo da sciogliere è quello del regolamento packaging. Il pressing di Coldiretti e Filiera Italia ha permesso di escludere dalle restrizioni bottiglie di vino e vasi per i fiori e di aumentare la discrezionalità di applicazione da parte degli Stati nazionali. Resta però incerto il destino dell’ortofrutta di IV Gamma come insalata in busta o confezioni di pomodorini e frutta, a rischio di scomparire dagli scaffali. Potrebbe, infatti, accadere che alcuni Paesi ne autorizzino il commercio e altri no, con l’effetto che le imprese produttrici si ritroverebbero a dover differenziare il packaging a seconda della destinazione.

 

 

L’ECONOMIA COME STRUMENTO DEL POTERE

di Alessandra Di Giovambattista

 15-07-2024

Per mettere a fuoco solo pochi aspetti di questo complesso tema, che intendo accennare senza alcuna pretesa di esaustività o di verità in quanto argomento a dire il vero molto spinoso, vorrei partire da un’affermazione del filosofo Bertrand Russel le cui osservazioni risultano un po’ datate, ma ciò è ovviamente dovuto al momento storico in cui è vissuto (contemporaneo delle ideologie totalitariste nazi fasciste e comuniste da cui prende le debite distanze); ognuno è figlio dei propri tempi! Egli affermava, dopo un’analisi delle diverse forme di potere che possono riscontrarsi in una collettività, che lo studio dell’economia come scienza separata dalla realtà rischia di fornire un’analisi irrealistica e fuorviante se presa come guida per l’attuazione di ricette applicative e formule pratiche; essa in verità è solo un elemento, sicuramente molto importante, di uno studio molto più ampio che deve ricondursi alla scienza del potere.

In questo contesto, come esempio chiarificatore, vorrei richiamarmi ad una delle teorie di un grande economista italiano, il Prof. Paolo Sylos Labini - più volte candidato al premio Nobel - che fu peraltro il mio Professore di economia politica alla Facoltà di Scienze Statistiche ed Economiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. Per giustizia ed onestà intellettuale devo tributargli la mia grande ammirazione e gratitudine, prima di tutto come uomo, per la sua disponibilità ed accoglienza che sapeva donare a chiunque, (dagli studenti ai massimi accademici di tutto il mondo), e come professore, per la chiarezza e semplicità con cui ha saputo introdurmi in un mondo sicuramente non facile da conoscere, con le sue infinite regole, teorie e modelli (non tutti peraltro condivisibili ed applicabili), fornendo pochi ma fondamentali principi. Ecco da lui voglio partire per sottolineare come l’economia sia solo un elemento di un contesto molto più ampio - dove si gioca la voglia di potere dell’uomo che se non ben calibrata rischia di diventare una forma insaziabile di cannibalismo, dove l’uomo diventa lupo all’uomo – e dove occorre prima di tutto osservare con attenzione la realtà per non cadere nella costruzione di teorie vacue, che alcune volte forniscono semplici o complessi modelli matematici inapplicabili e non verificabili e che si traducono in esercizi didattici che, se ben foraggiati ed incentivati dai centri di potere, possono rappresentare delle pseudo-teorie da far seguire per raggiungere invece dei preordinati e nebulosi obiettivi.

Il prof. Sylos Labini ha fornito una teoria nuova per interpretare l’oligopolio. In particolare gli approcci delle teorie tradizionali partivano dall’assunto secondo il quale l’analisi dei mercati vedeva come modello base, a cui doveva convergere tutto il sistema, quello della concorrenza perfetta, dove non esistono barriere all’entrata ed all’uscita, c’è libero movimento di capitali e dove i prezzi si formano dall’incontro tra domanda ed offerta di beni e servizi. Il professore formulò la sua nuova teoria, studiando in particolare il mercato petrolifero - caratterizzato da un elevato rapporto tra costi fissi e costi variabili che determina una dimensione ottimale degli impianti - dove gli ostacoli alla concorrenza provengono da fattori diversi rispetto alla sola segmentazione del mercato (suddivisione dei consumatori in gruppi omogenei in ragione dei propri desideri e bisogni), su cui si era concentrata l’attenzione dei teorici della concorrenza imperfetta.

La forma di oligopolio concentrato analizzata da Sylos Labini nasce proprio dall’osservazione generalizzata della presenza di barriere all’entrata (che, ad esempio, nel mercato petrolifero si esprimono con un elevato costo degli impianti, quindi con un’elevata e perfezionata tecnologia e conseguente ingente investimento di capitali) che escludono la libera concorrenza perfetta. In tal modo la teoria dell’oligopolio diviene una teoria generale delle forme di mercato dove concorrenza e monopolio sono invece due situazioni estreme; la prima è priva di barriere all’entrata, la seconda presenta barriere all’entrata insormontabili. Pertanto dall’osservazione sul campo arriva a determinare la teoria delle forme di mercato dove diviene necessario studiare natura dei fattori e valori che influiscono sulla dimensione ottimale di impresa e che permettono di superare le barriere all’entrata, che pur esistendo sono superabili pagandone un determinato costo, anche se elevato. Quindi sarà la dimensione degli impianti, più in generale la tecnologia, che provoca la difficoltà di entrata da parte dei concorrenti i quali dovranno approntare grandi e più efficienti impianti per cercare di conquistare fette di mercato in quanto il loro ingresso produrrà un sensibile aumento dell’offerta con caduta verso il basso dei prezzi. Si sottolinea, per completezza, che la teoria definisce le barriere all’entrata che dipendono: dall’ampiezza del mercato (che può fornire un’idea del potenziale assorbimento dei prodotti), dalla dimensione degli impianti tecnologicamente efficienti (che fornisce una misura degli investimenti iniziali, ma anche del costo dell’innovazione e della loro sostituzione), dall’elasticità della domanda (che indica di quanto potrebbe scendere il prezzo per effetto dell’incremento della produzione) e dal tasso di crescita del mercato (che permette di ipotizzare la durata nel tempo della flessione dei prezzi fino al ritorno alla loro stabilità iniziale).

Ciò offre una visione dinamica della teoria dove le forze in gioco sono legate al potere degli oligopolisti di voler tener fuori potenziali concorrenti; infatti sempre secondo Sylos Labini le imprese già presenti sul mercato non adottano un comportamento “accomodante” di fronte all’ingresso di nuovi concorrenti, per evitare di dover diminuire il prezzo dei beni, perdere fette di mercato e ridurre il margine di profitto (c.d mark-up) o garantirne il livello raggiunto attraverso una maggiore efficienza della tecnologia o una diversa distribuzione del reddito (diviso tra i differenti fattori della produzione: salari, stipendi, profitti). Questa impostazione non accomodante da parte degli oligopolisti di fronte a possibili nuovi concorrenti non è altro che il frutto delle osservazioni della realtà. Se invece il problema si fosse voluto risolvere teoricamente, non partendo dall’osservazione dei fatti, ma basandosi sul dilemma delle scelte secondo lo strumento della teoria dei giochi (molto usata per le scelte di convenienza nel mercato oligopolista), la convenienza si sarebbe trovata nel comportamento accomodante (quindi la soluzione sarebbe stata l’opposta rispetto all’osservazione della realtà), dove con la riduzione delle quantità prodotte, derivante da un accordo tra produttori, si sarebbe potuto mantenere inalterato il prezzo e quindi anche il mark-up(in questo caso sarebbe stato risolto il dilemma secondo l’enunciato dell’economista John Nash per cui il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo, secondo la teoria delle dinamiche dominanti). Lo stesso Sylos Labini ha evidenziato che le sue conclusioni sulle scelte degli oligopolisti nascono da un’osservazione del comportamento usuale degli imprenditori che non conoscendo il numero delle possibili mosse dei loro competitori non possono applicare con sicurezza la teoria dei giochi, pertanto la strategia migliore sarà l’intransigenza nello scontro concorrenziale.

L’esempio dello studio del mercato oligopolistico permette di fornire delle riflessioni sull’economia come strumento di potere; intanto la prima osservazione che possiamo fare è quella secondo cui è necessario studiare i fenomeni economici calati nella realtà socio politica in cui essi si presentano; l’applicazione di teorie spesso complesse rischia di fornire un’analisi irreale e fuorviante del problema (così come si è espresso Bertrand Russel) ed anzi può complicarne la soluzione. La riflessione è: che tali complicazioni siano espressione di potere, volute in modo da rendere i problemi più complessi e nebulosi a vantaggio di scelte e soluzioni a favore di pochi interessati soggetti?

La seconda osservazione, molto più complessa ci induce a ritenere che barriere all’entrata, anche non ti tipo squisitamente economico, in un mercato possono essere create ad arte da parte del potere dominante per tenere fuori possibili concorrenti e raggiungere scopi anche non economici. Si pensi proprio al potere che hanno guadagnato i colossi delle multinazionali petrolifere ed ai modi che utilizzano per tener fuori i potenziali competitor (in tale contesto ritorna in mente il caso mai definitivamente risolto della morte del nostro indimenticabile connazionale Enrico Mattei). Oppure più semplicemente le difficoltà di entrata su mercati che richiedono sempre più tecnologia specializzata; si pensi a tutto il mondo della produzione attraverso la robotica che ovviamente fa gioco alle grandi potenze che detengono ingenti capitali e che alzano barriere all’entrata insormontabili. Quale sarà il produttore, anche il più innovativo e fantasioso, o quello presente in mercati in via di sviluppo, che potrà competere con economie che hanno grande liquidità e che manovrano anche il credito e tutto il mercato finanziario, attraverso gli istituti bancari e le varie società di investimento?

Ormai il potere converge sempre più verso forme di governo monocratico e l’economia, che ne è solo uno strumento, segue lo schema; la globalizzazione porta a modelli aziendali pachidermici, dove chi lavora è solo un numero e dove la domanda di lavoro è sempre più concentrata in mano a pochi grandi soggetti imprenditoriali. Il potere è espressione anche di dominio sulle materie prime, sui consumi, sulle scelte, sulle tipologie di produzione, sulle libertà dei singoli e degli Stati più deboli dove non ci sarà più posto per produzioni artigianali e non sarà possibile una crescita ed uno sviluppo a misura d’uomo. Il fenomeno delle aziende innovative, c.d. start up, è figlio di questa impostazione: si cercano idee nuove, si attirano giovani con idee brillanti, si finanzia la loro attività che, se avrà successo, verrà inglobata nel buco nero dei grandi colossi e ai giovani imprenditori verrà liquidata una cospicua somma di denaro. Questi ultimi si sentiranno appagati e usciranno dal mercato risolvendo così due problemi alle multinazionali: eliminazione della concorrenza e utilizzo delle nuove produzioni a proprio esclusivo interesse senza aver subito il rischio dell’insuccesso e aver traslato il costo dell’innovazione e della ricerca su soggetti giovani che, nei più frequenti casi di idee produttive non interessanti e non vincenti, avranno disperso le proprie risorse finanziarie e si troveranno con esposizioni debitorie critiche che alcune volte rischiano di coinvolgere l’economia dell’intera famiglia di origine. E fin qui si sono tratteggiati in modo sintetico solo i danni economico-finanziari volendo sorvolare le più complesse difficoltà psicologiche e sociali che sono capaci di innescare questi processi a dir poco disumani.

L’idea di una società meritocratica basata sulle capacità e l’impegno dei singoli rischia di soffocare sotto il peso di organizzazioni di reti di potere (gestioni politiche, finanziarie, affaristiche) spesso anche non legali (organizzazioni malavitose, cordate familiari), dove il punto di partenza per i giovani in cerca di realizzazione non è lo stesso per ognuno di essi ma è assoggettato a condizioni di nascita, di sesso, di etnia, di ricchezza, di conoscenze familiari.

La presenza poi di incroci azionari e di interconnessioni a livello di dirigenza aziendale (c.d. interlocking directorates) - che si creano più facilmente in aziende di grandi dimensioni, e che si sostanziano in subdoli legami aziendali attraverso la scelta di un soggetto di vertice che si trova a rivestire più incarichi in più imprese - mina i principi base della trasparenza del mercato ed apre a scenari di collusione tra aziende che solo all’apparenza si presentano concorrenti ma che in realtà sono assoggettate ad un unico centro di potere, spesso ben celato, che le controlla con la connivenza di vertici molto ubbidienti e ben pagati!

FAO: COLDIRETTI, DA ACETO DI BANANA A GIN DI ALGHE, A ROMA LA BIODIVERSITA’ DEI MERCATI CONTADINI MONDIALI

 

Aceto balsamico ricavato dalla linfa di banana, gin prodotto dalle alghe, patate “tuorlo d’ovo”, sapone al latte di capra al rosmarino e menta, tuberi  dalle proprietà antitumorali. Sono solo alcuni delle centinaia di prodotti provenienti da tutto il mondo salvati dall’estinzione grazie al lavoro di generazioni di contadini di tutti i continenti ed esposti al mercato di Campgna Amica del Circo Massimo a Roma in occasione dell’Assemblea della World farmers Markets Coalition, l’associazione che riunisce i mercati contadini del pianeta. Presenti ai lavori il ministro degli Esteri Antonio Tajani, al rientro dal vertice Nato di Washington, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, assieme al presidente della Coldiretti Ettore Prandini, al segretario generale Vincenzo Gesmundo, a Richard McCarthy, presidente della World Farmers Markets Coalition, e a Carmelo Troccoli direttore della World Farmers Markets Coalition e della Fondazione Campagna Amica.

Dal Vietnam arriva un aceto balsamico prodotto con linfa di banana Laba al 100%, fermentata in botti di rovere per 12 anni, per acquisire un caratteristico colore e sapore. L’alga Dulse cresce nella Baia di Fundy, in Canada, sede delle maree più alte del mondo, durante i mesi estivi, e viene raccolta a mano durante la bassa marea, per essere essiccata ma utilizzata anche per produrre un gin tipico. La Kunzea è una pianta nativa australiano con note aromatiche sia di eucalipto che di agrumi. Viene abbinata al pomodoro per la preparazione di salse. Dalla Turchia arriva l’Adana topa?? una varietà di olive specifica della regione di Çukurova in Turchia e in particolare lungo le fertili pianure tra le catene montuose del Tauro e del Nur. Carnose e saporite, vengono consumate per lo più come olive da tavola, in insalata o soprattutto a colazione. La Raicilla messicana è una bevanda distillata di agave, proveniente da un tipo di pianta che sopravvive ancora in alcune zone rurali dello stato di Jalisco in Messico. Dalla Danimarca proviene la Æggeblomme potato, la patata "tuorlo d'uovo", dal gusto ricco e dal colore dorato, varietà storica quasi scomparsa. Ma ci sono anche la Mashua, un tubero dalle proprietà antitumorali che si coltiva nelle regioni andine come l’Ecuador, il sapone al latte di capra al rosmarino e menta piperita fatto da un allevatore di capre americano, le noci kenyote di Lamu, note per il loro valore nutrizionale, la segale coltivata in Ucraina al prezzo di mille difficoltà legate alla guerra e tante altre specialità. Prodotti che i contadini vendono nei mercati locali del mondo e che hanno – sottolinea la Coldiretti – delle caratteristiche assolutamente preziose, sapientemente custodite contro l’omologazione e la banalizzazione alimentare. La possibilità di avere infatti uno sbocco di mercato consente agli agricoltori di continuare a coltivarli e quindi di salvarli dall’estinzione. La Fao ha denunciato la riduzione della diversità delle coltivazioni e l'aumento delle razze animali a rischio d'estinzione. Su circa 6.000 specie di piante coltivate per il cibo, meno di 200 contribuiscono significativamente alla produzione globale, con solo nove che rappresentano il 66% della produzione totale.

Ma all’Assemblea della World farmers market coalition i contadini hanno portato anche le loro storie di riscatto. E’ il caso di Maria Isabel Balbuena che a Santo Domingo ha organizzato una vera e propria filiera sociale del caffè coltivato e realizzato esclusivamente da donne nelle comunità di Polo, Los Cacaos, Hondo Valle ed Elías Piña. Un’attività che ha liberato dalla miseria e dalla discriminazione le donne in campo.

In Kenya, Naserian, un'agricoltrice di Matasia e Kibiko, ha trasformato le attività agricole della sua famiglia in una fiorente attività diretta al consumatore. Nella fattoria si pratica l'agricoltura mista, c'è molta frutta e verdura di stagione e nella fattoria si trovano anche animali come polli, mucche, capre e pecore.

Ma ci sono anche giovani che hanno riscoperto mestieri tradizionali come Rich Bewley, inglese, che lavora come mugnaio nel mulino Kornby Mølle in Danimarca, a 35 km da Copenhagen, dove si coltivano e macinano grani antichi, come la varietà øland e la segale. Queste vengono utilizzate dai fornai presenti al mercato degli agricoltori Grønt Marked di cui Rich è coofondatore.

Dopo aver trascorso 23 anni nel settore della vendita al dettaglio in Francia, Cina e Paesi del Golfo e cinque anni nel settore alimentare, Jean-Charles Khairallah ha decido di mettere le competenze al servizio del suo Paese d'origine, il Libano. Qui ha lanciato un progetto agricolo chiamato Terres Gourmandes, con 3.000 metri quadrati coltivati in permacultura per il Mercato Agricolo di Badaro.

“Opportunità rese possibili grazie anche all’esperienza italiana dei mercati contadini, con la rete di Campagna Amica che si propone oggi come modello a livello mondiale per aiutare le economie dei Paesi più poveri, a sviluppare filiere alimentari “dal basso” per difendere la democraticità del cibo e riappropriarsi dei processi decisionali a vantaggio della collettività” ha dichiarato il Presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.

 

COLDIRETTI – 3927458957 - 3351038834 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - www.coldiretti.it

 

 

Medio Oriente in crisi: Israele e Palestina quali prospettive.

Il giorno di mercoledì 3 luglio u.s.. si è tenuto un dibattito molto interessante per la Fondazione Paolo Ducci Ferraro di Castiglione: Medio Oriente in crisi. Israele e Palestrina quali prospettive?

L’evento ha avuto luogo nella splendida cornice, della Sala della Promoteca, in piazza del Campidoglio, da cui si accede, dalla scalinata del Vignola.

Il Presidente della Fondazione Ducci, Paolo Ducci Ferraro di Castiglione con questo evento sottolinea il contributo degli oratori presenti in Sala per discutere delle prospettive di Israele e Palestina, in guerra

Roberto Gualtieri, Sindaco di Roma Capitale, ringrazia Il Presidente Paolo Ducci, saluta ed introduce al dibattito i relatori della conferenza: l’Onorevole Mustafa’ Barghouti, Presidente dell’iniziativa Nazionale Palestinese, l’Onorevole Shlomo Ben Ami ex ministro degli Esteri di Israele, Amb. Ferdinando Nelli Feroci Presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia della Vita,

Lucio Caracciolo Direttore della Rivista Limes, Presidente del Consiglio Scientifico della fondazione Ducci, insieme a Alan Friedman, giornalista, economista, Presidente onorario della fondazione Ducci, saranno i moderatori.

Il conflitto Israelo-Palestinese è molto complesso, ha origini remotissime.

Nasce da una questione apparentemente non difficile, da comprendere.

Due popolazioni rivendicano lo stesso territorio, accade una espulsione di insediamenti territoriali che viene ad allocarsi in un’area, oltre i confini delle due zone ed estende in questo modo il conflitto.

Si verifica una guerra, ed è indecifrabile. Sono stati versati fiumi di inchiostro ed innumerevoli ed autorevoli voci si sono elevate senza nessun ascolto.

Nessuno dei due combattenti è disposto a cedere.

Al momento non c’è una intermediazione di un processo di pace, qualsiasi offerta è stata rigettata.

Nessuno sa cosa ci sarà nel futuro prossimo.

Interessante dibattito tra i due Onorevoli, ai quali si aggiungeranno tutti gli altri interventi fino la conclusione dell’evento.

Paolo Ducci, presidente dell’omonima Fondazione ringrazia i relatori intervenuti, per i contributi dati e per i motivi di interesse all’incontro culturale per l’attuale crisi in Medio-Oriente, rivolti in questa occasione al numeroso pubblico presente, nella Sala della Promoteca del Campidoglio.

Dopo questo primo evento seguiranno altri contributi in argomento da parte dei relatori, per le prospettive di Israele e Palestina.

Israele ha una moltitudine di aree protette, bellezze naturali, tanti luoghi belli di interesse, con culture incredibilmente diverse. La Palestina ricca di storia di bellezze naturali ed artistiche uniche. Terre legate all’agricoltura.

E’ atteso il dialogo tra i due interlocutori, con i negoziati, a condizioni di reciproco rispetto, in armonia con i principi di buon governo e di amicizia tra i popoli

A cura di Claudia Polveroni Apn publisher per African People, rivista Silkstreet









 


comunicato stampa 

Coldiretti autorizza la libera e gratuita pubblicazione della foto: "I prodotti della biodiversità dai cinque continenti all'assemblea mondiale dei mercati contadini della World farmers market coalition con la Coldiretti a Roma"

12 luglio 2024

 

BIODIVERSITA’: COLDIRETTI, CONTADINI DI TUTTO IL MONDO A ROMA, DAI MERCATI UN NUOVO MODELLO DI CIBO SOSTENIBILE
Venerdì e sabato assemblea della World Farmers Markets Coalition alla presenza dei ministri Tajani e Lollobrigida

 

Con oltre 70 associazioni rappresentative da 60 paesi, 20.000 mercati coinvolti, 200.000 famiglie agricole e oltre 300 milioni di consumatori, la World Farmers Markets Coalition apre la sua assemblea che per due giorni si e' tenuta  all’interno del mercato di Campagna Amica del Circo Massimo a Roma alla presenza, tra gli altri, del ministro degli esteri Antonio Tajani, del ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida (presente nella mattinata di sabato), del sindaco di Roma Roberto Gualtieri oltre che del Presidente di Coldiretti Ettore Prandini e del Segretario Generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo.

Nata nel 2021 su impulso di Coldiretti e Campagna Amica, la WorldFMC è un'organizzazione non-profit che fa parte dei dieci progetti selezionati nell'ambito del Programma Food Coalition della Food and Agriculture Organization (Fao). In poco tempo è diventata un punto di riferimento sulle tematiche internazionali del cibo locale, anche grazie all’esperienza italiana dei mercati contadini, con la rete di Campagna Amica che si propone oggi come modello a livello mondiale per aiutare le economie dei Paesi più poveri, a sviluppare filiere alimentari “dal basso” per difendere la democraticità del cibo e riappropriarsi dei processi decisionali a vantaggio della collettività. Un esempio è il MAMi (Mediterranean African Markets Initiative), finanziato dal ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale e svolto dal Ciheam Bari con la collaborazione della World Farmers Markets Coalition e Campagna Amica, che prevede la creazione di una rete di mercati in Tunisia, Egitto, Kenya, Libano e Albania.

Mentre le catene globali controllate dalle multinazionali, che spingono i cibi ultraprocessati, sfruttano territori e risorse, la maggior parte dell'umanità è nutrita da filiere alimentari di prossimità.

Uno studio di IPES-Food, intitolato "Food from somewhere: building food security and resilience through territorial markets", rivela che oltre il 70% della popolazione mondiale è alimentata da piccoli produttori e reti di agricoltori, che utilizzano meno di un terzo delle terre agricole e delle risorse globali.

Per questo, agricoltori da tutto il mondo, istituzioni, tecnici ed esperti nel campo dell'agricoltura e dello sviluppo comunitario, condivideranno esperienze all'interno di una comunità globale di pratiche dei mercati agricoli.

Rappresentanti di oltre 30 paesi e regioni diverse, tra cui Bangladesh, Brasile, Canada, Stati Uniti, Uganda, Vietnam, solo per citarne alcuni, uniranno le forze per supportare lo sviluppo di sistemi alimentari locali sostenibili. Questo incontro mira a colmare il divario tra le aree rurali e urbane, potenziando le economie locali, migliorando la sanità pubblica e promuovendo la biodiversità attraverso partenariati nei mercati agricoli.

Il valore del cibo di prossimità. Secondo un’analisi Coldiretti su dati Fao, gli agricoltori di piccola scala e a conduzione familiare producono l’80% dell’approvvigionamento alimentare nell’Africa sub-sahariana e Asia. In media, con il fabbisogno alimentare delle città viene fornito principalmente da un’agricoltura attiva nel raggio di 500 km. Per fare qualche esempio, che avvalora tale dato, metà della frutta e della verdura consumata in Messico è venduta nei mercati, 30 milioni di italiani acquistano direttamente dagli agricoltori, e negli ultimi tempi i mercati contadini sono quadruplicati sia in Italia che negli Stati Uniti.

La situazione in Italia. In Italia, negli ultimi cento anni, si è perso il 75% delle varietà di frutti secondo l’allarme lanciato dalla Fao. Coldiretti ha invertito la rotta, salvando 418 cibi antichi grazie ai mercati degli agricoltori e alle fattorie di Campagna Amica. Con 5.547 prodotti alimentari tradizionali censiti, 320 specialità Dop/Igp e 526 vini Dop/Igp, l'Italia è leader mondiale in biodiversità alimentare. Italia che è anche leader in Europa con quasi 80mila operatori nel biologico. Sul territorio nazionale – spiega Coldiretti – oggi ci sono 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi e 533 varietà di olive contro le 70 spagnole.

LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI NEL MONDO

di Alessandra Di Giovambattista

 

07-07-2024

Oggi si fa un gran dire di libertà e tutela dei diritti umani e tra questi, in tutte le Costituzioni dei paesi c.d. democratici, è protetto il diritto di libertà di professare la propria religione. Questa è forse una delle forme di espressione di indipendenza più importanti e così intima per la quale l’uomo dovrebbe esigere la tutela più completa e senza alcuna riserva o rinuncia.

Tuttavia si assiste a ben altri scenari: tra le religioni più perseguitate al mondo troviamo quella cristiana. Per assurdo è la religione basata sull’amore verso il prossimo e su una speranza di vita ultraterrena, eterna, che però ha sempre incontrato l’ostilità del mondo esterno. Sin dall’inizio le prime comunità cristiane, secondo quanto dichiarato negli scritti del Nuovo Testamento (i Vangeli e gli Atti degli Apostoli), hanno subito atti persecutori in principio da parte degli ebrei; ricordiamo infatti che furono le autorità ebraiche di Gerusalemme a tentare con tutti i mezzi di ostacolare la divulgazione e la predicazione del Vangelo, cioè della nuova e promettente notizia. Uno dei più grandi apostoli del Cristianesimo, Paolo di Tarso, era egli stesso, all’inizio, un membro della setta ebraica dei Farisei e come tale un fervente ed accanito persecutore della nuova Chiesa di Gesù Cristo. Le persecuzioni da parte degli ebrei sono testimoniate anche dallo storico Flavio Giuseppe in occasione della morte per lapidazione, decretata dal Sinedrio per mezzo del sommo sacerdote ebreo Anone, di San Giacomo il Maggiore.

Successivamente, intorno all’anno 64 d.c. iniziarono le persecuzioni più crude e violente da parte dell’impero romano, nella persona di Nerone - la cui testimonianza viene resa anche dallo storico e politico Tacito - che accusò i cristiani di aver appiccato l’incendio che distrusse gran parte della città di Roma. Secondo la tradizione storica i più importanti apostoli, S. Pietro e S. Paolo, trovarono la morte nella città eterna durante queste prime persecuzioni. Nel 112 iniziarono le persecuzioni da parte di Traiano e nel 250 da parte di Decio ma, sicuramente la più cruenta fu quella organizzata da Diocleziano. Con lui si verifica l’ultima sopraffazione dei cristiani che per la sua crudezza e violenza fu definita la grande persecuzione. La motivazione di questi secoli di oppressione va ricercata nella caratteristica di religione monoteista che contrastava con quella politeista della religione romana ufficiale, di cui l’imperatore era il garante, nonché nei suoi principi di base che la riconducevano più ad una devozione irrazionale, quasi magica, che l’impero intendeva contrastare fortemente, così come testimoniano gli scritti di Plinio il Giovane.

Oggi, a distanza di millenni, l’organizzazione non governativa Porte Aperte ONG (Open Doors) che aiuta e supporta i cristiani perseguitati a causa della loro fede, registra un peggioramento delle condizioni dei cristiani nel mondo a ragione del loro credo. Il triste primato spetta alla Corea del Nord, ma il più alto numero di omicidi e rapimenti si registra in Nigeria, mentre in India si procede al più alto numero di arresti. Nel suo rapporto annuale, la World Watch List 2024, i dati - presentati alla Camera dei Deputati e studiati da circa quattromila persone tra esperti e ricercatori che prendono in esame le “Chiese storiche” - parlano chiaro: sono oltre 365 milioni i cristiani nel modo che subiscono un alto livello di persecuzione a causa della religione professata. In particolare il fenomeno nella sua complessità riguarda circa il 14%, ma in Africa si sale al 20% ed in Asia a circa il 40%. Il periodo analizzato va dall’ottobre 2022 al settembre 2023 e da esso emerge il più alto tasso di persecuzione, peraltro in costante crescita, da quando 31 anni fa si iniziò l’analisi e lo studio del fenomeno da parte dell’organizzazione Open Doors che redige annualmente il report.

In valori assoluti l’aumento dei cristiani perseguitati, rispetto agli anni precedenti, si attesta su 5 milioni di soggetti per i quali la vita privata, familiare, politica, religiosa e sociale, analizzata attraverso specifici indicatori, è nettamente peggiorata, così come è peggiorato l’indicatore di violenza verso i cristiani.

In questa triste lista, la Corea del Nord è il paese in cui la persecuzione viene definita a livello estremo, e sin dal 2002 in questa nazione è praticamente impossibile professare la fede cristiana; seguono la Somalia, la Libia, l’Eritrea e lo Yemen dove i cristiani presenti se scoperti, in quanto professano nel segreto il proprio culto, rischiano la pena capitale.

Il secondo paese dove più cruenta è la persecuzione è la Nigeria dove i cristiani subiscono violenze da parte dei gruppi jihadisti; questi sono gruppi di terroristi di matrice islamista che utilizzano metodi violenti ed omicidi per imporre l’islamismo radicale. Il numero di cristiani uccisi in questa nazione, nell’anno analizzato nella ricerca, è di 4.118 cristiani rispetto ad un totale mondiale di 4.998 unità, pari quindi a circa l’82,4% del totale di vittime. Da sottolineare che il numero delle vittime cristiane è però diminuito rispetto al precedente anno in cui furono uccisi 5.621 fedeli; tuttavia secondo degli approfondimenti svolti dalla citata Porte Aperte ONG il calo si è riscontrato nel periodo antecedente le elezioni in Nigeria; in quel periodo le uccisioni si sono fermate per poi riprendere dopo il voto. In questo Paese è alto anche il numero dei rapimenti; tuttavia in tutta la fascia sub Sahariana se ne registrano numerosi a causa della presenza dei gruppi terroristi islamisti.

Segue il Pakistan che rappresenta un luogo dove i cristiani subiscono violenze, così come il Sudan e l’Iran; l’Afghanistan ha diminuito le persecuzioni poiché in gran parte i fedeli cristiani sono fuggiti e quindi è sfumata l’attenzione dei terroristi verso di loro.

Sul versante della numerosità dei cristiani arrestati a causa del proprio credo il primato spetta all’India, con un numero pari a 2.332 su un totale di 4.125 (con una percentuale pari a circa il 56,5%) seguita dall’Eritrea con 400 arresti, Cuba con 75 arresti ed il Nicaragua con 60 arresti. Quest’ultimo ha incrementato le azioni di limitazione di vita dei cristiani, attraverso l’aumento degli arresti, da quando governa Ortega. Si annoverano anche la Siria e l’Arabia Saudita tra i Paesi in cui la persecuzione ha raggiunto livelli estremi e si esprime attraverso la privazione della libertà.

Tuttavia le forme di violenza si riscontrano non solo nei confronti delle persone ma anche nei confronti dei luoghi di culto; sono stati infatti circa 15.000 gli attacchi e le profanazioni di Chiese ed aumentano le violenze personali ai ministri di culto, alle persone ed alle attività economiche. Inoltre la persecuzione può assumere molte forme, dai brutali attacchi compiuti dai già citati terroristi ed estremisti islamici ma anche dai regimi comunisti (e non mancano atti di violenza anche da parte dei seguaci dell’induismo e del buddismo), alle minacce, alle estorsioni, ai rapimenti, alle conversioni forzate, ai ricatti basati sulla negazione dei diritti e la limitazione delle libertà, ai linciaggi.

Sulla base di queste informazioni, veritiere in quanto provenienti dai vescovi e dai ministri di culto che operano ogni giorno in quei territori pericolosi, potremmo provare ad imbastire delle riflessioni. Sempre secondo i citati reports annuali presentati dalla citata ONG, i fedeli cristiani sono in netto calo in tutti i Paesi del vicino e medio oriente, ma in particolare sono in via di sparizione in Iraq. Quindi una prima conseguenza che si può rilevare è l’ondata migratoria di questi fedeli verso Paesi dove è professata la religione cristiana. Inoltre nei paesi intransigenti ed estremisti la conversione al cristianesimo da religioni diverse, principalmente quella musulmana, viene identificata come crimine di apostasia per il quale è prevista la pena di morte.

Il silenzio di tutto il mondo - ed in particolare dell’Unione Europea dove addirittura nel 2015 nella città di Göteborg in Svezia, dove è forte il reclutamento Jihadista, case e negozi dei cristiani sono state segnate con la lettera “N” di Nazareno, così come fatto anche dall’Isis e imbrattate con frasi come “convertitevi o morirete” - di fronte a tutta questa violenza gratuita è sconcertante. La religione che porta avanti la condivisione, l’amore, l’accoglienza, la fratellanza viene emarginata e diviene oggetto di offese e violenze; la conseguenza immediata ci porta a vedere che il pensiero che si sta diffondendo è quello che si traduce in una espressione di intolleranza verso l’atteggiamento pacifico in quanto si vuole infiammare il mondo con la violenza e la guerra. Questo potrebbe essere il gioco dei potenti mercanti di armi ma anche di chi vuole instaurare regimi politici di terrore e dittatoriali dove la libertà di scelta e di pensiero, capisaldi del cristianesimo, sono destabilizzanti e contrari al pensiero unico.

Tutte le forme di violenza verso l’uomo sono allora consentite per raggiungere scopi immorali e per instaurare un clima di terrore dove poter governare indisturbati, complice anche il relativismo imperante dove tutti possono fare tutto in ragione di una non ben definita e accettabile libertà di pensiero e di azione, dove il bene non esiste più e quindi neanche il suo contrario in quanto l’uomo è il dominatore dell’universo ed il suo agire libero di fare qualunque cosa, anche di compiere qualsiasi atrocità.

Ma mi domando: di quale uomo si sta parlando? Quello della rivoluzione francese, quello del fascismo e del nazismo, quello dei regimi comunisti, quello dei governi islamici, quello che ha dato ordine di sganciare la bomba atomica? Questi sono i modelli che finora è stato capace di produrre l’uomo che nel corso di tutta la storia ha seminato odio e terrore e se non fosse stato per i valori cristiani di amore e non violenza che hanno dato il fondamento alla cultura europea - che pur nelle situazioni altalenanti di bene e di male ha saputo far pendere la bilancia verso il bene, almeno se confrontata con le attuali situazioni di estrema violenza a cui assistiamo oggi – forse il nostro pianeta avrebbe già collassato in una spirale di odio senza ritorno. Vista l’indifferenza politica mondiale e della componente giovanile, la continua defezione soprattutto da parte dei paesi di tradizione cristiana come il nostro – ai cui principi dovremmo almeno riconoscere il valore della nostra cultura e della situazione sociale finora guadagnata e che invece sembrano ormai in preda ad una deriva senza alcuna razionale motivazione se non per moda o per sequela di soggetti che mirano alla proprie personali e malvagie ambizioni - ed anche il plauso da parte di alcuni sedicenti intellettuali scientisti, dobbiamo pensare di aver imboccato una strada senza ritorno?