Le comunità energetiche verso il futuro: funzionamento, costi, benefici

di Alessandra Di Giovambattista

Continuiamo l’approfondimento sulle comunità energetiche, siano esse CER (comunità energetiche rinnovabili) oppure AC (gruppi di autoconsumo collettivo); abbiamo visto che il concetto di energia condivisa implica la possibilità di utilizzo anche da parte di soggetti che si trovano in prossimità del punto di produzione, pur non essendo essi stessi produttori di energia rinnovabile. Si evidenzia che in tal caso la direttiva comunitaria prevede anche degli incentivi. Il concetto di condivisione è definito sia da un fattore spaziale sia temporale: la contemporaneità tra produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e consumo che avviene per il tramite della rete nazionale. Oltre a AC e CER, esistono gli auto consumatori individuali a distanza, direttamente connessi tra loro o collegati dalla rete di distribuzione e le Comunità Energetiche dei cittadini (CEC) già previste dalla Direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica (Direttiva UE 2019/944).  Si tratta però di realtà al momento marginali. 

Per quanto riguarda i vantaggi derivanti dalla comunità energetiche, in qualunque forma esse si presentino, occorre evidenziare sin da subito che non può parlarsi di soli benefici economici, ma anche di tipo sociale ed ambientale. Secondo le indicazioni contenute nella direttiva UE, le comunità energetiche devono rappresentare un valore per il singolo, per la sua casa e per l’ambite circostante, proprio grazie all’uso di fonti di energia rinnovabile ed al ruolo primario della condivisione che presenta un valore educativo e sociale.

Dal punto di vista dei vantaggi economici si evidenzia che l’adesione ad una CER comporta:

- il risparmio sulla spesa energetica: chi auto produce ed auto consuma non preleva energia dalla rete ed ha quindi il massimo del risparmio; questo incentivo è definito premio di ritorno ed ha lo scopo di incentivare i partecipanti a spostare i loro consumi in sincronia con la produzione. Ogni ora il Gestore dei servizi elettrici (GSE) valuta l’energia condivisa a cui corrisponde un premio di ritorno che varia, al massimo, tra i 10 ed i 14 € per KWh a seconda delle caratteristiche della comunità. Ovviamente il premio di ritorno è nullo qualora non si produca energia (nel caso del fotovoltaico è dopo in tramonto e fino all’alba). E’ il GSE che mensilmente produce i calcoli sommando i premi orari e versa la somma totale al referente della Comunità; da sottolineare che la rete ed i contatori rimangono in mano esclusivamente al distributore locale per cui i consumatori pagheranno al venditore i consumi in bolletta come in precedenza, salvo poi il GSE fare i conteggi ed inviare, a posteriori, gli incentivi.

- La remunerazione per l’energia immessa in rete e non consumata o non condivisa con i partecipanti alla CER; essa prende il nome di incentivo per la vendita diretta. L’energia prodotta in eccesso viene ceduta al GSE che è obbligato a comprarla, ma ad un prezzo che è ben minore (dalla metà ad un terzo) del prezzo al quale viene venduta l’energia ai consumatori. Il GSE registra l’energia in eccesso immessa in rete dai membri attivi e poi, fatti i conteggi mensili, versa periodicamente alla Comunità il ricavo della vendita. In teoria la Comunità potrebbe vendere ad altri l’energia immessa in rete, ma questa soluzione non è ancora praticamente perseguibile.

- un incentivo calcolato in favore di tutti i partecipanti alla CER basato sull’energia condivisa e sul tipo di contratto sottoscritto dai partecipanti; in questo tipo di incentivo si comprende anche il compenso per la riduzione delle perdite in rete grazie al fatto che l’energia condivisa alleggerisce il carico della rete.

I vantaggi sociali, che pertanto riguardano la collettività nel suo insieme, risiedono proprio nella forma collaborativa di gestione e valorizzazione dell'energia. Quest'ultima diventa un bene comune, condiviso, in grado di creare un valore economico che sarà redistribuito tra i membri della comunità che vi partecipano: privati, pubbliche amministrazioni e imprese.

Le pubbliche amministrazioni, in particolare, oltre a risparmiare sul costo per l’energia, avranno un ulteriore vantaggio: potranno sfruttare la loro presenza territoriale per fungere da aggregatori sociali, con l’ulteriore specificità di utilizzare un valido supporto per combattere la povertà energetica. Un tema, quest'ultimo, che è stato a lungo oggetto di dibattito proprio per la sua ricaduta sulla società grazie alla capacità di innescare vere e proprie forme c.d. di “sharing economy”, cioè modelli di produzione e consumo che si fondano sulla condivisione.

I vantaggi ambientali possono riassumersi in ricadute positive sulle emissioni; le CER sono state indicate dalla UE come un valido strumento per l’incremento delle fonti rinnovabili a cui si affianca un modello operativo/gestionale capace di sviluppare un consapevole ed efficiente utilizzo delle fonti energetiche, che ha quale obiettivo la diminuzione delle emissioni, e di imprimere un valore educativo e formativo nei soggetti coinvolti.

Dal punto di vista più strettamente operativo il primo passo è quello della costituzione del soggetto giuridico; sottolineiamo che i condomini non hanno bisogno di costituzione essendo essi stessi dei soggetti giuridici già esistenti. Negli altri casi occorrerà:

  • costituire il soggetto giuridico: ad oggi non c’è una definizione univoca di quale sia la migliore forma giuridica per costituire le CER; indubbiamente quella che più si presta è la forma della cooperativa. In ogni caso si tratta di un contratto privato tra diversi partecipanti che sono liberi di ripartire gli oneri, gli incentivi ed i guadagni in ragione di diversi parametri.

  • Prevedere una fase di avvio che implica la progettazione e la costituzione della CER secondo gli adempimenti prevista dal GSE, e che termina con l’installazione degli impianti.

  • Organizzare la gestione dell’impianto che prevederà sia la manutenzione, sia la gestione amministrativa, il controllo economico ed il monitoraggio della redistribuzione di tutti i benefit riconosciuti in favore dei soggetti aderenti alla CER.

  • Ottimizzare l’uso dell’energia condivisa implementando eventuali sistemi di stoccaggio ed istituendo sistemi c.d. di “load management” per la redistribuzione e l’utilizzo efficiente dei carichi.

I requisiti richiesti perché si possa attivare una CER, oltre alla tipologia di soggetti che possono parteciparvi - e che ricordiamo essere privati, enti pubblici, associazioni, piccole e medie imprese (purché per queste ultime la partecipazione alla CER non rappresenti l’attività commerciale o industriale principale) - sono:

  • titolarità di un POD, cioè di un punto di prelievo di energia dalla rete;

  • adesione di almeno due soggetti: il prosumer ed il consumer che devono essere forniti dalla stessa cabina primaria;

  • installazione di nuovi impianti con una potenza complessiva inferiore ad 1 MW; tuttavia nelle CER possono partecipare anche impianti già esistenti purché non superino il 30% della potenza complessiva;

  • L’energia deve essere condivisa utilizzando la rete nazionale di distribuzione.

Un aspetto importante da approfondire riguarda i costi per l’organizzazione delle comunità energetiche; i fattori determinanti risiedono nei soggetti che finanziano gli impianti fotovoltaici, i quali rappresentano la voce di costo più consistente, nonché le modalità di organizzazione e lo scopo finale. Esistono, ad esempio, Comunità Energetiche promosse da enti pubblici con la finalità di valorizzare le fonti rinnovabili e combattere la povertà energetica che non richiedono alcun contributo economico ai singoli cittadini. Inoltre è possibile ricevere contributi dedicati a promuovere lo sviluppo delle CER erogati sia da soggetti pubblici - mediante partecipazione a bandi regionali o utilizzando i fondi per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR approvato il 13 luglio 2021) - sia da soggetti privati - tra cui anche le fondazioni bancarie le quali erogano gli aiuti nel rispetto di determinate condizioni che le comunità devono possedere – i quali contribuiscono al sostenimento dei costi per la progettazione e la messa in esercizio degli impianti.

Dal 2020, in Italia le Comunità Energetiche hanno acquisito caratteristiche proprie e ben definite e i progetti presentati hanno attirato l’interesse crescente dei media; tuttavia viene accusato un ritardo nel decollo di tali realtà, in considerazione della complessità del processo normativo, che ha implicato una fase sperimentale durata circa due anni. In questo periodo, pertanto, i progetti realizzati sul territorio nazionale sono stati un numero ridotto: secondo Legambiente (nel suo ultimo report di maggio 2022) le realtà operative in Italia sono 35, mentre 41 sono in fase di progettazione. Ci si attende però una crescita con il perfezionamento del quadro normativo.

Dal punto di vista normativo si rammenta che solo di recente l'Italia ha recepito la Direttiva europea, peraltro in più riprese, a partire dall'emendamento al Decreto Milleproroghe, convertito nella legge n. 8 del 28 febbraio 2020, che di fatto ha aperto la strada alla costituzione di Comunità Energetiche fissandone anche i limiti di potenza.

Dal punto di vista regolatorio si è invece mossa l’Autorità per l’energia (ARERA) con delibera 318/2020/R/eel ed il Ministero dello sviluppo economico con il DM 16 settembre 2020; mediante tali atti si sono regolati gli aspetti economici per il ritiro dell’energia e fissata la tariffa incentivante per l’auto consumo elettrico collettivo, alternativa agli incentivi attualmente previsti e/o al meccanismo dello scambio sul posto. Le regole tecniche per accedervi sono state fissate in un documento del GSE pubblicato il 22 dicembre 2020, contestualmente alla guida per l’invio delle istanze preliminari di accesso tramite l’apposito portale predisposto sempre dal GSE.

Infine la direttiva UE 2018/2001 è stata portata a compimento con il decreto legislativo n. 199 dell’8 novembre 2021 che ha anche ampliato il limite di potenza degli impianti e l’orizzonte geografico. Dal punto di vista della disponibilità delle risorse finanziarie si evidenzia che il PNRR ha destinato oltre 2 mld di euro allo sviluppo delle CER, riconoscendone il valore di strumento atto ad aumentare la produzione complessiva di energia rinnovabile.

Ora poniamoci la domanda se può convenire o meno istituire una comunità energetica in una delle forme suddette: il primo passo è costruire, nel modo più verosimile possibile, un progetto tecnico-economico che valuti l’ammontare degli investimenti necessari ed i costi di gestione al fine di quantificare i tempi di recupero degli investimenti. Prima di tutto occorre dare una valutazione sull’energia producibile dall’impianto e il conseguente ricavo derivante dalla vendita al GSE. Sarà poi importante valutare anche l’incentivo di ritorno che dipenderà dal comportamento dei consumatori di energia con riferimento alle ore di produzione; in tal senso sarà d’aiuto l’uso delle moderne metodiche della domotica in quanto saranno programmate le azioni più efficaci e rapide in termini di utilizzo dell’energia prodotta. Si sottolinea in questo contesto che nel caso dei condomini bisognerà valutare adeguatamente la disponibilità dei residenti a spostare i propri consumi nelle ore più convenienti, quelle in cui la comunità produce l’energia. Secondo analisi effettuate da centri specializzati è molto probabile recuperare un investimento in circa 6 - 8 anni.

Se però si approfondisce l’argomento ci si accorge che le comunità energetiche sembrano non ancora ben normate per consentire loro di cogliere le opportunità dello sviluppo delle energie rinnovabili; infatti il mercato dell’energia a monte delle CER si presenta con prezzi vincolati che esprimono una grande forza da parte dei distributori di energia, a fronte di un mercato di utenti non adeguatamente protetto. Tale condizione potrebbe implicare un controllo ed un’invasione di competenze, da parte dei grandi colossi della distribuzione, nei confronti del mercato a valle, degli utenti/produttori, ostacolando ogni innovazione suscettibile di dare anche un potere concorrenziale al mercato formato dalle CER. E’ facile ipotizzare che i protagonisti del mercato dei contatori e della distribuzione faranno l’impossibile per presidiare e controllare in tutti i modi il mercato degli utenti, agendo su strategie che daranno loro ancora più potere e meno libertà, per le CER, di innovare anche il mercato della distribuzione.

Il grande potenziale economico per le CER è rappresentato sia dagli aspetti energetici, sia da quelli economici di recupero/remunerazione; in diversi paesi si stanno preparando piattaforme digitali per consentire alle CER di partecipare anche ai mercati accessori della capacità, della flessibilità, del controllo della tensione e della frequenza, finalizzati al miglior utilizzo dell’energia prodotta. Negli USA, ad esempio, sono state emanate delle disposizioni che impongono al mercato elettrico l’apertura totale nei confronti di queste aggregazioni, rimuovendo le barriere che limitano le loro azioni. La finalità va verso l’incentivazione della ricerca ed innovazione a vantaggio degli utenti, evitando di limitare le convenienze economiche e lo sviluppo delle forme di energia rinnovabile.

Pertanto possiamo concludere evidenziando la necessità di una normativa interna che esalti tali realtà e le affranchi dalle aggregazioni più consolidate e presenti sul mercato che rischiano di invadere spazi economici e produttivi delle CER, impedendo loro di entrare ad armi pari sul mercato delle risorse energetiche. Il nostro paese sembra fermo alla strenua difesa della esclusività delle concessioni ai distributori, la cui salute economica va certamente salvaguardata, ma senza penalizzare irragionevolmente gli utenti. Solo la politica e l’innovazione normativa di settore potrà migliorare il rapporto di forza tra il mercato odierno fatto di poche grandi realtà oligopolistiche e le nuove realtà delle CER fatte da utenti che hanno a cuore sia l’aspetto economico sia quello ecologico.

Roma 5 giugno ’23

Il giorno 8 aprile u.s. la dottoressa Emanuela Scarponi ha intervistato il dottor Andrea Pandolfi, ricercatore di studi comportamentali, Università Roma tre.



Andrea Pandolfi con uno studio condotto sui San, detti anche Khwe, Basarwa o Boscimani mette in luce

la lingua click parlata dagli abitanti nel deserto dei Kalahari. Le consonanti clic o click sono delle consonanti non dai polmoni ma con piena sonorità e diversi movimenti sono prodotte facendo schioccare la lingua sul palato o contro i denti. Dopo aver chiuso il cavo orale con la lingua o con le labbra aspirano l’aria nei polmoni e la rilasciano immediatamente. Questi suoni vengono solitamente trascritti in simboli non alfabetici come ad esempio un punto esclamativo.

Sono presenti in lingue africane della famiglia khoisan, dette appunto “lingue clic”. Il minore phylum linguistico africano.

Il ricercatore parla del suo lavoro: il perché è fondamentale per rispondere a domande del chi siamo e che cosa facciamo, perché la terra: è un pianeta diverso dagli altri. Per comprendere il linguaggio, la semantica, le neuro scienze e la biologia.

Non sempre quello che ci riporta la scienza ufficiale è di aiuto, pur dandoci dei riferimenti convenzionali.

La scienza di confine può dare altro.

Ho avuto modo di entrare nella conoscenza di questo popolo particolare, cerco spiegare perché particolare.

La lingua dei San è strutturata in codice.

In una pubblicazione del 2011, si attesta che migliaia di lingue ed altrettanti dialetti sono originari dall’Africa. La lingua è di 50.000 anni fa. (Focus.it 19 aprile 2011).

La lingua originaria sembrerebbe proprio il linguaggio parlato dai San.

Dall’inizio fu un click. Le lingue ancestrali scoperte dai ricercatori e tutte con una strana lettera.

Gli abitanti del deserto dei Kalahari usano un linguaggio articolato che è dai primissimi millenni dell’umanità.

In un’altra pubblicazione del 2006 l’archeologa norvegese Sheila Coulson pubblica le prove del culto del pitone dei San, che veniva compiuto 70.000 anni fa.

Apparentemente questo studio centra poco con il linguaggio, in tal modo consideriamo il comunicare che risale da 70.000 anni e non da 50.000.

Sheila Coulson mentre stava studiando l’antico gruppo etnico dei San, allocati nella regione Ngamiland, acquisisce prove che gli esseri umani, gli homo Sapiens compivano ritualità sette millenni di anni orsono.

All’interno del deserto del Kalahari, denominate le colline del Tsodilo, vi sono innumerevoli incisioni rupestri. Le colline di Tsodilo rappresentano un luogo sacro per i San, che le denominarono “le montagne degli dei” o “la montagna che bisbiglia”.

Il rito considerato dalla Coulson riguarda il pitone, che avrebbe generato gli esseri umani, nati dalle uova che il serpente portava con sé, in un sacco.

I suoni emessi dai San sono un messaggio nel messaggio, sono sette e raccontano la storia del pitone.

La scienza ufficiale fa un po' d’acqua, la scienza di confine dà una estensione.

Consideriamo i codici genetici. Noi conteniamo una gamma di informazioni.

Osserviamo questa popolazione, dai tratti caratteristici: corpi esili, pelle non scura, diversa struttura e lineamenti hanno le donne che per il ricercatore discendono dall’uomo di Neanderthal, mentre gli uomini sembra provengano dalla Siberia.

La scienza ortodossa ci dice che ci sono dei legami tra i due.

Certamente la scienza ufficiale non attesta che noi umani siano la parte terminale degli esperimenti prodotti dai sette suoni della lingua dei San.

Ritornando alla lingua dei sette suoni. Un linguaggio codice. Il numero sette è un numero ricorrente.

Sette sono i giorni della settimana, le meraviglie del mondo, lo troviamo scritto nella Bibbia è il numero della perfezione e sette per sette, quarantanove: il divino.

La sequenza genetica recepisce agisce e retroagisce.

Secondo un rabbino, mentre noi parliamo facciamo danno ai noi stessi e a chi ci ascolta.

La voce dà degli effetti per chi ascolta.

Sentendo i San, la sonorità si riflette sul codice genetico. Comportamento e codice genetico vanno a braccetto.

Il suono della lingua degli abitanti dei San imposta l’abc dei nostri codici genetici, ci dice lo studioso.

Secondo il mito del pitone, sembra che una matrice aliena ha generato una forza lavoro.

Certi siti archeologici, presenti alcuni in Egitto, sono punti di osservatori astronomici di alcune costellazioni e durante le stagioni è possibile vederli: il Toro, il Drago, le Pleiadi che sono sette, Orione e il Cane. Sono i riferimenti delle matrici.



Dall’antico Egitto sono partite due matrici. Hanno iniziato un percorso di colonizzazione di tutto il resto.

I San sono portatori dei codici delle matrici delle costellazioni. Con particolare riferimento a quattro costellazioni: Toro, Drago, Orione e Cane.

Con i suoni della lingua click, i San portano equilibrio al nostro linguaggio parlato.

Interviene la dottoressa Emanuela Scarponi affascinata da Boscimani, molto interessata alle sculture rupestri che sono 3.500. L’enciclopedia dell’epoca, dice che questa lingua arcaica non ha ancora sviluppato le vocali.

La lingua dei San è una lingua aliena, ridimensionata come lingua arcaica.

Le vocali risponde il ricercatore sono giovani. Costantino 1.500 anni fa estrapolò dall’alfabeto ebraico, cinque consonanti e le adattò come vocali.

Il dott. Andrea Pandolfi ci spiega: tutto è suono, matrice allo stato puro, se analizziamo il Dna sembrerebbe originato da una matrice aliena.

Molti pensano che il riferimento del Dna è: il meteorite, caduto a Terra e ritrovato in un determinato luogo.



Il Dna è di matrice aliena dunque.

Non abbiamo molti studi sui Boscimani, si è studiato il Dna degli Unit, una popolazione della Groenlandia.

Gli Unuit sono un popolo dell’Artico, proveniente dalle regioni costiere artiche e subartiche dell’America

Settentrionale e dalla punta nord orientale della Siberia.

Gli Unit sembra abbiano a che fare con i San.

Aggiungendo nuovi dati all’informazione che la scienza ci ha dato, dovremmo riscrivere tutto.

Ad esempio nella Bibbia parliamo della costola di Adamo. Mentre la scienza di confine parla di doppio.

La verità un obiettivo molto difficile. Capire è determinante per giungere alla realtà.

Il ricercatore dott. A. Pandolfi parla dei San popolo antichissimo, incroci tra popolazioni tali da far perdere le tracce della provenienza.

I San che sopravvivono nel deserto del Kalahari discendono da una popolazione che ha origine dall’albero genealogico dell’umanità.

Sono arrivati a noi per esperimento di ingegneria genetica.

Portatori sani di informazioni, non sono ben visti al Nord né al Sud.

Emanuela Scarponi con il ricercatore osserva che i San sembrano più intelligenti dei Bantu, razza molto bella per altro.

Molti sono i rinvenimenti da rituali di resti umani, con corpo minuto e testa grande.

La fondazione Rockfeller nella sua mission compie studi comportamentali.

Sono attivi numerosi programmi di ricerca in svariati campi, la fondazione nasce nel 1913.

Nel 1938 con studi compiuti ha coniato il termine lavori: bio-molecolari.

Royal Society ha origini ancora più antiche, si costituisce nel 1662. Curò l’incremento delle scienze fisico- matematiche per la promozione degli studi comportamentali e del linguaggio.

Le due fondazioni sono consultate per interessi nazionali da autorità pubbliche e private.

Il popolo San è in via di estinzione in Namibia. Portatori del famoso codice x per l’influsso di una delle costellazioni.

Quattro i riferimenti delle costellazioni Toro e Drago, Orione e Cane.

Orione lascia Cane e si unisce alle altre due, portando il codice della matrice che aveva originato con la costellazione precedente.

La dottoressa Scarponi parla della terra dove vivono i Boscimani, che oggi è stata privatizzata, per essere coltivata. I Boscimani nomadi da tempo, non possono molto circolare ed è stata richiesta una istruzione scolastica. Al momento la loro vita resta complicata.

Tutto ciò che l’Africa è in grado di preservare, riuscirà a sopravvivere.

Nel documentario che Emanuela Scarponi ha girato durante il viaggio in Namibia possiamo ammirare la bellezza del deserto del Kalahari e la presenza dei San che si esprimono con la lingua dei suoni.

Noi quello che abbiamo sul nostro pianeta non è negli altri pianeti. Discute il dottore Andrea Pandolfi, educatore bio-comportamentale.

La diversità del nostro pianeta e sicuramente più bello ha incuriosito il ricercatore che attentamente osserva la terra: un laboratorio da cui sono stati strutturati gli esseri umani. Le matrici di specie aliene viaggiano sulle costellazioni ed hanno influssi su pianeta.

Se è vero quello di oggi e vero quello di ieri. Gli abitanti del deserto del Kalahari portatori sani di notevoli informazioni.

Con i suoni della loro lingua potrebbero essere la svolta per determinate ricerche, sono un popolo in via di estinzione e che forse potremmo salvaguardare.



Lavorando sul suono, sulle onde plastiche, ascoltando il linguaggio semplice dei San è possibile risalire ad una stirpe particolarmente antica.

L’Africa e la Siberia sono punti cardine per la provenienza.

La natura dell’Africa genera armonia, in sintonia con la forza vitale, un continente fortemente esteso difficilmente percorribile, sicuramente per le condizioni climatiche. Tutte ragioni che lo rendono poco conosciuto.

L’Africa spesso riportata sulle carte geografiche a dimensioni molto ridotte su scala.

Se fosse valorizzata nelle risorse potrebbe provvedere al sostentamento dell’intero pianeta Terra.

 

Recensione dell’intervista del dottor Andrea Pandolfi.

A cura di Claudia Polveroni Apn Publisher

Le comunità energetiche: un fenomeno recente?

di Alessandra Di Giovambattista

 

Un argomento di attualità, ancora però sconosciuto ai più, riguarda le comunità energetiche rinnovabili (CER). In particolare con il termine CER si indica un gruppo di soggetti che si organizzano per produrre e condividere localmente l'energia prodotta da fonti rinnovabili. Quindi rappresenta una vera e propria comunità costituita da enti privati, singoli cittadini, associazioni ed enti pubblici che decidono di associarsi per produrre sul loro territorio energia derivante da fonti rinnovabili (per esempio fotovoltaico ed eolico), per poi condividerla tra loro.

A Roma, la prima CER, chiamata “Le vele” è stata individuata grazie alla collaborazione tra l’Istituto Leonarda Vaccari – grazie alla sensibilità e disponibilità della nipote della fondatrice, oggi presidente dell’istituto - che si occupa di riabilitazione psico-fisica e integrazione didattica e sociale delle persone diversamente abili, la Federconsumatori Lazio ed il Municipio Roma I centro; essa si concretizza in un impianto da 90KW che produrrà circa 120 mila KWH.

Nel progetto si evidenzia che lo scopo, oltre al beneficio ambientale, è quello di finanziare, con i risparmi ottenuti dalla produzione di energia rinnovabile e con i proventi derivanti dagli incentivi, interventi sociali a favore delle persone presenti nella comunità del Municipio e che si trovano in difficoltà e specifici progetti rivolti ai pazienti dell’istituto per rafforzare la politica di assistenza e recupero. Si noti che l’Istituto Leonarda Vaccari è stato premiato per ben quattro volte con la Medaglia d’Oro al merito della Sanità pubblica.

Se questa può sembrare un’innovazione in realtà, facendo un salto indietro nella storia, vediamo che le origini di questo nuovo mondo sono da ricercare nelle "vecchie" cooperative energetiche. Un tempo, alla fine dell'Ottocento, l'elettricità veniva prodotta da piccole centrali costruite nei pressi delle fabbriche e quella in eccesso era data al vicinato. All'epoca nessuno le chiamava comunità energetiche, perché non esistevano ancora le reti centralizzate di distribuzione. Era semplicemente la forma più diffusa di distribuzione dell’energia. Così nacquero le prime cooperative; regolate da una legge del Regno d’Italia era permesso ai soci di produrre e distribuire energia. Così queste cooperative gestivano centrali idroelettriche ed i soci, privati, industrie, enti pubblici locali, beneficiavano dell’energia prodotta. Alcune di queste realtà sopravvivono ancora oggi nel nord Italia - fra le altre a Brunico, Dobbiaco, Prato allo Stelvio, Funes, dove nessuno ha sottoscritto contratti con distributori nazionali in quanto l’energia prodotta in loco è a prezzi molto bassi, essendosi anche aggiunte, oltre all’idroelettrico, forme di produzione di energia rinnovabile quali il fotovoltaico e l’eolico – mentre nel nord Europa, ed in particolare in Germania, Belgio e Danimarca, tali organizzazioni sono sopravvissute e si sono diffuse. Sono proprio queste realtà, ed il modello che incarnano, che hanno ispirato l'idea delle comunità energetiche vere e proprie a partire dal 2010.

Ricordiamo inoltre che negli anni novanta in Italia sono nate le grandi concessionarie di distribuzione separate dalla produzione; tuttavia alle cooperative storiche è stato permesso di continuare ad operare, forse perché in nord Europa sono tanto diffuse e di grandi dimensioni. Tuttavia è ancora vietato fondarne di nuove. Il fenomeno dell’accentramento in grandi reti nazionali, secondo Brian Janous, general manager di Microsoft, era un processo inevitabile, in quanto l’unico a garantire una distribuzione a bassi costi finalizzata all’uso da parte di tutti e un servizio il più omogeneo possibile. Tali obiettivi previsti per l’energia elettrica, ora si vogliono raggiungere anche nel traffico dei dati, attività che sta curando Microsoft; tuttavia poiché la distribuzione elettrica sta incrementando l’energia solare ed eolica, si sta puntando l’attenzione sul ruolo determinante delle batterie per immagazzinarla e dell’intelligenza artificiale per gestirne al meglio consumi, picchi e potenza di calcolo.

Le comunità energetiche di cui parliamo oggi arrivano venti anni dopo, anche grazie all’avvento dei pannelli solari, con l’idea nata dal basso nelle associazioni ambientaliste e dalla federazione europea delle cooperative Rescooop. 

Ma è solo nel 2018 che viene impressa una spinta sostanziale, con la direttiva europea che sancisce il diritto all'autoconsumo energetico approvata per bloccare iniziative dei singoli stati contro il fotovoltaico. Nel 2015, infatti, il governo spagnolo di Mariano Rajoy, del Partito Popolare, aveva pubblicato il Regio Decreto 900/2015, con il quale si applicavano una serie di complicazioni amministrative, tasse e sovrattasse alle installazioni di rinnovabili per proprio consumo (venne battezzata la "tassa sul sole"). Di qui l'articolo 21 della direttiva europea (UE) 2018/2001 che dà potere ai consumatori consentendo loro un autoconsumo "senza restrizioni indebite e di essere remunerati per l'elettricità che immettono nella rete". Le fonti rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico, che per loro natura si prestano poco alla centralizzazione e molto di più alla produzione e all’uso locale, hanno fatto tornare a guardare con favore alla produzione e condivisione dell’energia nel modo delle vecchie cooperative energetiche.

La citata Direttiva UE 2018/2001 dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione sia almeno pari al 32% e la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti sia almeno pari al 14% del consumo finale in tale settore. Ogni stato membro deve fissare i contributi nazionali per conseguire collettivamente l’obiettivo vincolante del 2030 ognuno nell’ambito dei propri piani nazionali integrati per l’energia ed il clima-PNIEC. Gli obiettivi del piano che nello specifico dovrà conseguire l’Italia entro il 2030 riguardano: il raggiungimento di una percentuale di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi pari al 30%; una quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti pari al 22% dei consumi finali lordi (bisogna tener presente l’obiettivo complessivo UE si attesta sul 14%) che dovrà essere garantita dai fornitori di carburante. La direttiva regola anche i principi ed i criteri per disciplinare: il sostegno finanziario all’energia elettrica da fonti rinnovabili, l’autoconsumo dell’energia elettrica prodotta dalle rinnovabili, l’uso di tale energia nel settore del riscaldamento e raffrescamento e nel settore dei trasporti, la cooperazione tra gli stati membri e paesi terzi su progetti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la garanzia di origine dell’energia, le procedure amministrative per agevolare le fonti rinnovabili, l’informazione e la formazione su di esse. La direttiva in argomento fissa anche i criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi ed i combustibili da biomassa.

Gli stati membri sono stati obbligati a recepire nel diritto nazionale la direttiva entro il 30 giugno 2021 ed è entrata in vigore il 1 luglio dello stesso anno.

Chiariti questi primi aspetti cerchiamo di muovere i primi passi nel mondo delle comunità energetiche rinnovabili, approfondendo alcuni aspetti. Intanto le CER sono un modello di produzione e consumo nate per la gestione dell’energia da fonti rinnovabili. La normativa esistente ha cercato di favorire due modelli di costituzione di tali comunità: le CER vere e proprie, ed i gruppi di autoconsumo collettivo (AC). In ambedue le tipologie troviamo la partecipazione di soggetti diversi ed il decentramento della produzione con la finalità di generare e consumare autonomamente, nello stesso sito, energia elettrica derivante da fonti rinnovabili. Nella gran parte dei casi questo è possibile attraverso l’utilizzo di impianti fotovoltaici che possono essere installati da uno o più partecipanti alla Comunità Energetica, con una serie di benefici economici, sociali e ambientali che ricadono su tutti gli aderenti e sulla collettività. Nello specifico le CER possono essere di diverse tipologie in ragione della fonte di energia utilizzata. Nella gran parte dei casi, si basano sul fotovoltaico e sull’unione di più prosumer, cioè produttori-auto consumatori di energia, e di consumer che all’interno delle CER trovano il modo più efficace di impiegare l’energia elettrica. La costituzione delle CER è strettamente collegata alla figura del prosumer: sarà centrale l’auto produzione di energia e l’autoconsumo per soddisfare prima di tutto il proprio fabbisogno energetico. Sono pertanto delle reti virtuali tra più unità produttive e di consumo siano quest’ultime persone fisiche private, aziende, edifici pubblici o di culto, condomini; in tal modo si individua un’isola di produzione/consumo in un ambito territoriale ben definito.

Le due configurazioni presentano le seguenti caratteristiche: le CER sono rappresentate solitamente da un condominio, ma anche da parrocchie o scuole, trattate come un unico soggetto che condivide l’energia prodotta dal proprio impianto fotovoltaico anche con le singole abitazioni che lo compongono, mentre le AC sono definite come una più ampia associazione di soggetti, produttori e consumatori geograficamente vicini in modo da poter unire più impianti di energie rinnovabili (essenzialmente fotovoltaico). La direttiva UE specifica le caratteristiche principali delle “comunità di energia rinnovabile”: devono essere un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria che è autonomo e soggiace a una vicinanza dei membri agli impianti di produzione. In tale modo è abbastanza evidente l’accostamento tra queste tipologie di soggetti e la realtà giuridica delle nostre cooperative. I partecipanti sono persone fisiche, piccole e medie imprese, o autorità locali comprese le amministrazioni comunali che hanno come obiettivo quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità, direttamente ai partecipanti, o alle aree locali in cui operano. In questa visione, il principio di autoconsumo viene espanso ad un concetto più ampio: quello di energia condivisa. Non è più necessario, infatti, consumare l'energia nello stesso punto in cui questa è stata prodotta, ma può essere condivisa virtualmente con chi è in prossimità della produzione. Così si ottimizza l’auto consumo di ogni prosumer il quale potrà rivendere l’energia in eccesso a beneficio degli altri partecipanti alla comunità e presenti sul territorio (energia condivisa).

 

 

I FATTORI AMBIENTE, SOCIETA’ E GOVERNO DELLE AZIENDE - ESG: IL FUTURO PER IL MONDO?
Con il termine ESG ci si riferisce a fattori di sostenibilità ambientale ed economico-finanziaria che le aziende devono rispettare al fine di garantire al pianeta ed alla propria attività di perdurare nel tempo. Specialmente tra i più giovani questi fattori sono riconosciuti come determinanti per il futuro del pianeta e le aziende stesse comprendono che essi possono fare la differenza e garantire loro dei vantaggi strategici legati al fatto che i consumatori saranno disposti a pagare di più per beni e servizi ecosostenibili.
L’acronimo ESG si riferisce al cosiddetto Environmental: cioè fattori ambientali che riguardano l’ambiente che ci circonda e il focus si concentra su: rifiuti ed inquinamento, risorse naturali e loro esaurimento, garanzia e difesa della biodiversità, emissione dei gas serra, deforestazione, cambiamento climatico; social: cioè i fattori sociali che concernono le modalità con cui le aziende e gli Stati trattano i singoli esseri umani; pertanto un’analisi sulla relazione con i dipendenti, sulle condizioni di lavoro garantite con un’attenzione particolare sul lavoro minorile e sulle diverse forme di schiavitù, sul rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani, sull’inclusione e la diversità, sui finanziamenti di progetti o di istituzioni che devono tutelare le comunità povere e sottosviluppate, sulla salute, sicurezza e sulla gestione dei conflitti sociali; governance: cioè il sistema di conduzione e direzione dell’azienda; l’attenzione sarà sulle strutture aziendali, sulle regole e le strategie che governano le scelte aziendali e/o degli Stati, sulla politica fiscale, e sulle remunerazioni dei dirigenti, sui processi di lobbying e sulle pressioni politiche, sulla corruzione e sulle strutture di governo differenziate tra aziende private e settore pubblico.
Oggi, la direttiva CSRD - Corporate Sustainability Reporting Directive (direttiva UE n. 2022/2464 pubblicata il 16 dicembre 2022) cambia la prospettiva in materia di valutazione delle imprese basata su criteri di sostenibilità; infatti le informazioni sulla sostenibilità dell’attività aziendale diventano parte integrante della relazione finanziaria annuale annessa al bilancio delle società. Più in generale per valutare un'impresa non basta più guardare ai soli dati finanziari: i fattori ESG delle aziende, anche medio-piccole, dovranno essere leggibili, confrontabili e valutabili nella relazione sulla gestione. Per le PMI e per le aziende tutte, il rispetto dei valori legati alla sostenibilità è diventato un dovere. Nati nel 2005 dai principi per gli investimenti responsabili dell'ONU, i criteri ESG sono ormai al centro del discorso pubblico e rappresentano una bussola che orienterà le scelte di sviluppo mondiale e comporterà, nel breve periodo, l’impegno di ogni singola impresa verso uno sviluppo sostenibile.
Negli ultimi anni si è registrato un importante incremento dell’attenzione sulle informazioni societarie sulla sostenibilità anche da parte delle varie categorie di investitori che cercano di allocare le proprie risorse considerando sempre di più i rischi connessi alla sostenibilità degli investimenti finanziati.
Si percepisce in modo più approfondito la consapevolezza degli effetti che i rischi “ambientali” connessi al clima (ad esempio la perdita di biodiversità) e “sociali” (si pensi ai rischi sanitari che l’emergenza Covid ha fatto emergere) comportano per le imprese e per i relativi business.
Al momento, la rendicontazione è obbligatoria per le sole imprese di grandi dimensioni
(semplificando, le imprese con più di 500 dipendenti) ma, tenuto conto delle esigenze di sostenibilità, vi è la necessità di ampliare la platea dei soggetti impegnati a fornire tale informativa. La nuova prospettiva comunitaria è quella di annoverare tutte le imprese di grandi dimensioni e tutte le imprese quotate, anche medio-piccole (ad eccezione delle microimprese) tra i soggetti tenuti all’informativa in esame, a partire dal 2026.
È tuttavia auspicabile che anche le piccole e medie imprese non quotate considerino, con interesse, la possibilità di applicare la normativa in materia, pur considerando attentamente le caratteristiche legate alla propria dimensione al fine di evitare un inutile appesantimento delle incombenze.

Per le imprese di grandi dimensioni si prevede che nella relazione sulla gestione vengano presentate informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’azienda sulle questioni di sostenibilità e del modo in cui le medesime questioni influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione economico-finanziaria.
Nello specifico vengono richieste informazioni, con le prospettive temporali di breve, medio e lungo periodo - in particolare però le aziende dovranno imparare a ragionare in termini di lungo periodo, ma davvero lungo, si parla anche di 30/40 anni - in tema di strategia aziendale che indichi la resilienza del modello e delle modalità di approccio alle problematiche, nonché le eventuali opportunità che l’azienda stessa potrebbe trarre, in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità; in relazione a ciò sarà necessario valutare i piani dell’impresa atti a contrastare i vari rischi connessi alla sostenibilità nonché le modalità di approccio alla soddisfazione delle esigenze di tutti i soggetti portatori di interessi (stakeholders);obiettivi temporalmente definiti e connessi alle questioni di sostenibilità individuati dall’impresa e monitorati nel tempo;ruolo degli organi di governo in tema di sostenibilità e capacità di gestione dei fattori ESG; politiche strategiche in relazione alla sostenibilità;
informazioni sull’esistenza di sistemi di incentivi per organi sociali e alta direzione che si occupa di sostenibilità; rischi connessi alle questioni ESG e modalità di gestione e contrasto dei rischi da essi nascenti.
La direttiva sarà applicata in quattro fasi, così scansionate nel tempo: - 2024 per le imprese già soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario; - 2025 per le grandi imprese; - 2026 per le PMI quotate (a eccezione delle microimprese), gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione; - 2028 per le imprese di paesi terzi che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nell'Unione europea, se hanno almeno un'impresa figlia o una succursale nell'UE che supera determinate soglie.
Con l'approvazione del Next Generation Eu, il piano per il rilancio dell’economia promosso dall’unione europea, l’impegno verso la sostenibilità diventa imprescindibile per ogni paese dell’unione. Il rispetto dei principi ESG non sarà più solo un volano di marketing da utilizzare a breve termine, bensì l’imperativo futuro per tutte le imprese.
Per ottenere le risorse economiche messe a disposizione dell’Europa, i piani nazionali devono rispettare alcuni criteri. Il 37% o più delle risorse deve essere destinato alla transizione ambientale, il 20% alla digitalizzazione e l’innovazione e il restante deve essere impiegato nella sostenibilità sociale.
Si è però visto che non è solo una questione di normative europee: negli ultimi anni anche i consumatori sono diventati sempre più sensibili rispetto alle problematiche di sostenibilità; infatti secondo una ricerca di Altroconsumo, più di un italiano su due è disposto a spendere di più per un prodotto che riconosce come sostenibile.
Nel 2015 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha sottoscritto un programma d’azione per il pianeta, le persone e la prosperità, denominato Agenda 2030, che si compone di 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Developments Goals, SDGs) e di 169 target da raggiungere in ambito economico, ambientale e sociale entro il 2030.
I 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile pongono in equilibrio i tre principi ESG e non riguardano solo la questione ambientale; l’attuazione dell’Agenda 2030 è un impegno complessivo di tutte le parti della società attraverso un approccio integrato e lo sviluppo di misure concrete, necessarie per far evolvere in modo sostenibile la crescita economica, l’inclusione sociale e la tutela ambientale.
In questo contesto, l’Italia si è impegnata nel definire cosa le SDGs rappresentino per il nostro contesto socio-economico, sviluppando un piano che evidenzia la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.
Questo piano si articola in cinque aree tematiche, dette le Cinque P dello Sviluppo Sostenibile: PERSONE, PIANETA, PROSPERITA’, PACE, PARTENARIATO.
Ad oggi, oltre 1.500 investitori si sono impegnati ufficialmente a seguire questi principi. In 3 anni le risorse gestite da fondi ESG sono raddoppiati superando i mille miliardi di dollari.
Le imprese italiane sono particolarmente interessate ai temi della sostenibilità. Secondo un sondaggio Ipsos sul tema dell'economia circolare, presentato all'EcoForum di ottobre, si legge che: “Un'azienda su quattro investe in modo convinto in sostenibilità già da tempo; altre lo fanno in modo limitato e non strutturato e alcune hanno affrontato il tema solo di recente, ma in futuro per il 56% delle aziende l'enfasi crescerà, come pure gli investimenti in comunicazione”.
Un sondaggio diverso, curato dalla Capgemini sulla sostenibilità nelle aziende, evidenzia invece che soltanto un dirigente su cinque (quindi il 20%) ritiene che la sostenibilità sia un vantaggio per la competitività aziendale, mentre il 53% ritiene che il suo costo superi i potenziali vantaggi. Tuttavia si è dimostrato vero il contrario: lo stesso studio ha evidenziato che le imprese con chiare priorità di sostenibilità stanno già superando le imprese che non si pongono tali obiettivi. La distanza è destinata ad allargarsi nel futuro prossimo per effetto dell’aumento della regolamentazione e della pressione da parte della società civile che si tradurrà in maggior controllo da parte degli investitori e dei consumatori. Quasi tutte le aziende che hanno partecipato allo studio hanno annunciato impegni per arrivare a zero emissioni nette entro il 2030 o il 2040, però meno della metà (su un totale di 668 società private e pubbliche di 12 Paesi) ha programmi concreti da attuare e sta cercando figure esperte in materia.
Infine secondo i risultati del Sustainability Leaders Survey, il 70% dei responsabili della sostenibilità aziendale non crede alla possibilità di evitare i gravi danni climatici in arrivo.
Su tale ultimo aspetto forse una riflessione va fatta: come possono essere credibili i programmi di sostenibilità se le più grandi potenze industriali (Cina, India, Usa, Russia) non si interessano ai problemi legati ai cambiamenti climatici ed alle più generali questioni degli ESG? Nessuno riflette, ad esempio, sul grado di inquinamento dovuto alle guerre in atto dove si utilizzano armi con potenziali di inquinamento elevatissimi; si pensi solo alla possibilità, più volte paventata, dell’uso di ordigni nucleari. E’ ancora vivo il ricordo dell’esperimento nell’oceano pacifico nei pressi dell’isola di Mururoa, atollo dell’arcipelago delle Tuamotu, nella Polinesia Francese, dove i francesi fecero esplodere , in pieno oceano, un ordigno nucleare….e nessuno in quell’occasione si è premurato di conoscere le ricadute in termini ambientali, per gli uomini e per tutte le altre forme di vita, di tale scellerata prova e tantomeno qualcuno si è posto oggi il problema di andare ad indagare gli eventuali strascichi derivanti dal citato evento? E chissà quanti altri esperimenti si compiono a nostra insaputa che generano processi di decadimento e di distruzione ambientale; è evidente che la sfida principale va sostenuta dai Governi e dai poteri forti; appare abbastanza fuorviante e capzioso far credere che siamo noi gli elementi più inquinanti del pianeta, attraverso le nostre scelte quotidiane. Sicuramente noi consumatori abbiamo diverse armi in mano ma non dimentichiamo che spesso le nostre scelte vengono guidate dagli interessi dei grandi potenti rappresentati dai proprietari delle multinazionali. In particolare con la crescente attenzione verso il cambiamento climatico e la sensibilità dei consumatori verso le tematiche green, la tentazione da parte delle aziende di produzione o finanziarie, di offrire un’immagine ecosostenibile per attirare clienti e decisamente molto alta; se però le dichiarazioni non corrispondono alla sostanza delle scelte effettive di gestione aziendale il rischio è quello di scivolare nella pratica del greenwashing, ossia di fornire la sola immagine di facciata di una impresa attenta all’ambienta anche se la realtà non è assolutamente così. Ormai la maggior parte di noi non vuole, o meglio non sa, più di ragionare con le proprie capacità intellettive perché spesso ci basiamo sui risultati superficiali senza approfondire le problematiche e tale atteggiamento purtroppo viene insegnato anche nelle scuole in modo da far crescere i nostri figli del tutto acritici e indottrinati. Altro esempio che rafforza questa impostazione è l’assoluto silenzio, o meglio l’atteggiamento di assoluta inattività da parte degli Stati, tutti, nei confronti della continua distruzione della foresta amazzonica…. Perché nessun Governo affronta seriamente il problema? Solo il Papa si è fatto portavoce dei più deboli, ma purtroppo è rimasto inascoltato…. Forse ci sono dietro degli interessi forti e malavitosi che nessuno vuole andare a toccare? Nessuno punta il dito contro l’inquinamento prodotto dalle aziende chimiche, di high tech, la distruzione di interi territori nei paesi del terzo mondo, spesso africani, per depredarli di materie prime utilizzando lavoro minorile e negando ogni minimo diritto umano? Questi problemi non sembrano far emergere criticità,,,,, sarà perché forse c’è il rischio di scontrarsi contro gli interessi delle grandi aziende multinazionali?
La riflessione vorrei concluderla dicendo che sicuramente ogni singola azione compiuta da ciascuno di noi produce effetti e già solo per questo dobbiamo comportarci in modo consapevole ed attento alle ricadute in termini di ecosostenibilità; però a fronte di tale considerazione cerchiamo di fare ordine. Cerchiamo di comprendere che i più grandi irrispettosi dell’ambiente sono stati finora gli Stati che hanno perseguito politiche aggressive dal punto di vista del governo economico e sociale, spesso attori principali, oppure conniventi con i poteri forti e malavitosi gestiti da pochi e potenti uomini che gestiscono, anche attraverso gli strumenti informatici, le scelte, e purtroppo sempre di più, anche le menti di ognuno di noi. La questione del rispetto della sostenibilità deve essere ricondotta prima di tutto a delle linee guida ben chiare che restituiscano ad ogni attore economico e sociale il rispettivo e adeguato livello di responsabilità. Diversamente assisteremo alla nascita di una dittatura del green, guidata dai Bill Gates e dai George Soros di turno, che eliminerà i basilari diritti dell’uomo e prostrerà la sua volontà agli interessi di pochi…. Saremo ancora liberi… Ci saranno riconosciuti i diritti di procreare, di poter professare una religione, di mangiare alimenti naturali, di muoversi, di poter socializzare e dedicarsi a passatempi, di potersi curare anche con medicine naturali, di poter riflettere e ragionare diversamente dal pensiero unico?

 

意大利罗马中国文化活动'浴佛节'
5月26日,早晨10.00,在意大利罗马华人区,via p.eugenio 中国文化活动正式拉开序幕,

罗华寺和隔壁中国文化中心,及外面广场人头攒动,有中国人的虔诚佛教徒和多个民族的嘉宾,约10.15分正式启动浴佛活动,多名身穿佛家传统衣裳的居士和师兄妹在方丈恒顺法师的引领下,举行了隆重佛家宗教仪式。


同时,在完成由意大利武术联合会武术队员表演了中国武术,包括少林拳法、虎拳、八极拳、太极拳。约下午15.00整个中国文化传播活动圆满成功结束。

On the morning of May 26th at 10.00,
In areas where Chinese people are usually concentrated in Rome, Italy, the Via p.eugenio Chinese cultural event officially kicked off. The Luohua Temple and the adjacent Chinese cultural center, as well as the square outside, were packed with Chinese devout Buddhists and guests from multiple ethnic groups. At around 10.15, the bathing Buddha event was officially launched. Several monks and sisters dressed in traditional Buddhist clothing, led by the abbot Hengshun, held a grand Buddhist religious ceremony. At the same time, Chinese martial arts were performed by members of the Italian Martial Arts Federation, including Shaolin Fist, Tiger Fist, Baji Fist, and Tai Chi. At around 15.00 pm, the entire Chinese cultural dissemination activity was successfully concluded.