LE REGIONI A STATUTO SPECIALE: QUESTIONI STORICHE
di Alessandra Di Giovambattista
Le Regioni a statuto speciale presenti in Italia rappresentano una innovazione della Costituzione Repubblicana del 1948 rispetto allo Statuto Albertino che non le contemplava. Dette Regioni sono le realtà locali più importanti nella struttura territoriale dello Stato che si presenta come un unicum suddiviso in Regioni a statuto ordinario.
Le Regioni a statuto speciale godono tutte del medesimo livello di autonomia rispetto allo Stato centrale e l’articolo 116 della Costituzione ne prevede cinque: il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo (per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige occorre sottolineare che negli anni settanta si è deciso di frazionare il territorio regionale in due Province autonome, quella di Trento e quella di Bolzano), e la Valle d’Aosta. Esse dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, ognuna secondo le norme contenute nei rispettivi Statuti speciali che vengono adottati con legge costituzionale. In particolare le competenze legislative ed amministrative, nonché l’ordinamento e l’organizzazione finanziaria sono disciplinati dallo statuto speciale e dalle sue norme di attuazione.
Per approfondire si specifica che la legge costituzionale è un particolare atto normativo che ha un rango analogo a quello della Carta Costituzionale il cui procedimento di approvazione è definito dall’articolo 138 della Costituzione stessa con una procedura che viene definita aggravata in quanto prevede passaggi più complessi rispetto a quelli previsti per l’emanazione delle leggi ordinarie. Nello specifico la Costituzione dispone che le leggi costituzionali debbono essere adottate da ciascuna Camera (Senato e Camera dei Deputati) con due deliberazioni successive che intercorrono a distanza di almeno tre mesi e sono previste maggioranze assolute dei componenti.
Mentre le Regioni a statuto ordinario con semplice legge regionale provvedono a disciplinare determinati argomenti nel contesto dell’ordinamento generale delle Regioni (articolo 123 della Costituzione), gli statuti delle Regioni ad autonomia differenziata provvedono a definire in regime autonomo ed anche in deroga alle norme costituzionali – però solo in determinati casi specifici in quanto vanno comunque salvaguardati i principi fondamentali della Costituzione Italiana - sulle quali prevalgono per effetto del principio di specialità. In sostanza l’autonomia differenziata di queste porzioni di territorio italiano è rappresentata dal fatto che vengono riconosciuti dei margini di autonomia maggiori nei confronti dello Stato, rispetto alle altre Regioni ordinarie (a queste ultime, ad esempio viene preclusa la capacità normativa in materia di autonomia finanziaria dallo Stato che invece viene autorizzata per le Regioni a statuto speciale).
Ci si domanda tuttavia quando e perché fu opportuno istituire tali realtà geo-politiche che da alcuni sono considerate oggi anacronistiche e generatrici di disuguaglianze territoriali che si traducono di fatto in maggior ricchezza in questi territori autonomi rispetto alle regioni a statuto ordinario. La necessità è di natura storica ed è riconducibile al periodo della ricostruzione dopo la conclusione della seconda guerra mondiale; inizialmente i territori a cui si decise di riconoscere delle forme di autonomia governativa furono solo quattro; non era incluso il Friuli-Venezia Giulia che fu invece aggiunto con legge costituzionale nel 1963. Ognuno di questi territori aveva delle storie peculiari in cui si ritrovano le ragioni della scelta di forme di autogoverno.
In generale, il riconoscimento dell’autonomia speciale fu dovuto alla presenza di numerosi movimenti separatisti nei territori come la Valle d’Aosta , il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia dove la presenza di minoranze linguistiche, che parlano idiomi diversi da quello italiano, avrebbero potuto compromettere la coesione nazionale. Nello specifico in Valle d’Aosta si parla il francese, in Trentino-Alto Adige il tedesco ed il ladino, mentre in Friuli-Venezia Giulia lo sloveno. Il compromesso trovato dall’assemblea Costituente fu quindi l’istituzione dell’autonomia speciale che ha permesso allo Stato italiano di mantenere inalterati i confini geo-politici, ma concedendo più indipendenza a territori caratterizzati da elementi di peculiarità rispetto al altri.
L’autonomia concessa al Trentino-Alto Adige/sud Tirolo fu riconosciuta in quanto tale territorio già godeva di una lunga tradizione di autogoverno, in più occorreva dominare ed imbrigliare le forti spinte separatiste che volevano un ricongiungimento con la vicina Austria. Si decise quindi di tutelare la minoranza Altoatesina di lingua tedesca per garantirne l’evoluzione e la convivenza socio culturale ed economica con il gruppo linguistico italiano presente nel territorio del Trentino.
Invece in Sicilia il movimento separatista aveva dei precedenti storici ben radicati e dopo lo sbarco alleato del 1943 scoppiò la scintilla indipendentista già presente prima della prima guerra mondiale. In particolare lo slogan all’epoca era: “la Sicilia ai siciliani” e nel luglio del 1943 con un proclama ufficiale la Sicilia preannunciava la secessione dall’Italia e chiedeva controllo ed aiuto a livello internazionale. In quel periodo la volontà era di fare della Sicilia uno stato indipendente; da qui la necessità per il nuovo Stato italiano repubblicano di riconoscere l’autonomia alla più grande isola del Mediterraneo, ed infatti con il riconoscimento dello statuto speciale siciliano emanato il 15 maggio del 1946 decrebbe rapidamente l’interesse al secessionismo da parte della popolazione isolana.
Anche in Sardegna il movimento secessionista era forte; in particolare l’isola riuniva popolazioni diverse per lingua e cultura che l’Italia dei primi del novecento non era riuscita a far convivere. In particolare le masse popolari si opposero ai governi di Giolitti e furono recuperate le spinte indipendentiste che restituivano valore alla storia ed alla cultura isolana (con particolare riferimento alla civiltà nuragica e a quella giudicale). Lo stesso Antonio Gramsci che era vissuto diversi anni a Cagliari era convinto che bisognasse lottare per l’indipendenza nazionale della Sardegna. Questo movimento fu sostenuto fino al 1913, ma con lo scoppio delle due grandi guerre il problema della secessione passò in secondo piano; tuttavia con la conclusione della seconda guerra mondiale venne approvato lo Statuto speciale di autonomia della Sardegna, il 31 gennaio 1948 e promulgato il 26 febbraio del 1948, che ne assicurò un certo grado di indipendenza e di autogoverno.
In val d’Aosta, con lo scoppio dell’ultimo conflitto mondiale, si crearono forti movimenti anti nazifascisti e nella regione si organizzarono gruppi di partigiani che diedero vita alla resistenza valdostana. Ciò che caratterizzò la lotta di liberazione era il fatto che tali gruppi si basassero essenzialmente sulle forze autoctone cercando di evitare di chiedere aiuti a forze partigiane italiane e ciò perché l’obiettivo politico non si limitava all’eliminazione del nazifascismo, ma si estendeva al recupero delle forme di autonomia che avevano caratterizzato la storia della regione. In tale contesto si sviluppò la prospettiva del secessionismo e dell’annessione alla vicina Francia, cosa che l’Italia scongiurò prevedendo l’autonomia speciale della regione Valle d’Aosta.
Anche la storia separatista del Friuli-Venezia Giulia ha origini antiche; dopo la disfatta di Caporetto del 1917 i rappresentanti friulani presso il Parlamento di Vienna iniziarono una campagna politica per l’autonomia del Friuli orientale (con capoluogo Gorizia) appoggiata anche dal Partito cattolico popolare del Friuli. Nel 1918 tali territori ottennero la piena libertà di autodeterminazione grazie ad un proclama di Carlo I (ultimo imperatore d’Austria). Successivamente, durante il periodo fascista, il Friuli subì un processo di assimilazione culturale a scapito delle popolazioni di lingua slovena e tedesca; si innescarono anche movimenti che premevano sulla comunità friulana affinché si contrapponesse alla comunità slava. Dopo la seconda guerra mondiale, e precisamente nel 1945, nacque ad Udine l’Associazione per l’autonomia friulana che aveva come obiettivo quello di sostenere che il Friuli possedeva cultura e tradizioni nettamente distinte dalle limitrofe regioni del Veneto e della Giuliana e pertanto era naturale che avesse la più ampia autonomia politico-amministrativa ed economica nell’ambito dello Stato italiano. Nel 1947 si sviluppò anche il radicale Movimento popolare Friulano con l’intento di ottenere la più ampia autonomia dal potere politico-amministrativo italiano. Ma solo negli anni 60 si iniziò a discutere sulla creazione della Regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia, una realtà territoriale di confine con un territorio comunista (ex Jugoslavia) che limitava lo sviluppo economico della Regione a causa della guerra fredda, e con un elevato tasso di emigrazione. In questa situazione nacquero e si consolidarono delle tendenze separatiste e anti-italiane che spinsero il governo al riconoscimento dell’autonomia speciale di questa regione.