GLI SPIN OFF UNIVERSITARI UN NUOVO MODO DI FARE IMPRESA
di Alessandra Di Giovambattista
Il termine spin off, di chiara origine anglosassone, può essere tradotto nella nostra lingua in derivato o derivativo, cioè un qualcosa che nasce da un’entità originaria e se ne distacca; ed in effetti in ambito economico-finanziario la traduzione descrive bene la situazione sottostante allo spin off la cui sostanza ci avvicina alla scissione o scorporazione di ramo o settore aziendale. Infatti quando un’organizzazione, una sezione, un ramo d’azienda si separa dall’azienda madre, si crea un realtà nuova, autonoma ed indipendente capace di camminare da sola ed avere prospettive di successo, pur potendo mantenere un legame ed una connessione con la società originaria non solo dal punto di vista produttivo ma anche dal punto di vista della proprietà, attraverso le partecipazioni azionarie. Da quanto detto appare superfluo sottolineare che questa operazione straordinaria di riorganizzazione aziendale richiede attenta valutazione e pianificazione al fine di permettere alla neo struttura di poter operare con economicità, quindi con efficienza ed efficacia, per presentarsi solida sul mercato ed essere competitiva rispetto alle altre realtà presenti nel settore di attività. La scissione può essere regolata in diversi modi: o attraverso la distribuzione ai precedenti azionisti di azioni dell’azienda di nuova costituzione, in modo da diversificare il loro investimento ed ampliare le possibilità di guadagno, oppure mediante la vendita delle azioni della nuova impresa, oppure attraverso la vendita ad un acquirente esterno all’azienda stessa.
Le motivazioni che inducono ad una tale operazione straordinaria sono diverse e si va dall’ottimizzazione delle risorse utilizzate alla creazione di maggior valore a favore degli azionisti, dal desiderio di volersi concentrare in uno specifico settore al voler penetrare un mercato estero con beni e/o servizi innovativi. È tuttavia indubbio che gli obiettivi cardine riguardino la volontà di aumentare il valore delle quote di proprietà degli azionisti, nonché la diversificazione del portafoglio posseduto, attraverso la creazione di un’azienda che svolga attività specifica con un elevato potenziale di crescita e di remunerazione rispetto all’azienda madre; in tal modo attraverso un’unica operazione si dà più respiro e possibilità di sviluppo ad un’azienda nuova, mentre alla casa madre si dà l’opportunità di concentrarsi di più sulle attività originarie, diminuendo la propria esposizione debitoria e recuperando in termini di economicità aziendale. Questo lo si può meglio comprendere con un esempio che può calzare bene per le aziende farmaceutiche (in tale settore diversi sono stati i casi di spin off, tra tutti ricordiamo la separazione di Sandoz da Novartis o di Opella da Sanofi) in cui il settore è assoggettato a forte e costosa innovazione tecnologica e scientifica e dove un processo di scissione conferisce alla nuova entità maggiore flessibilità e focalizzazione rispetto alle soluzioni e ai prodotti fortemente innovativi presenti nel settore farmaceutico e derivanti da attività di ricerca e sviluppo i cui costi sono notevoli e dove si registrano pressioni anche da parte dei rappresentanti politici e delle potenti lobby farmaceutiche.
Tuttavia le operazioni di spin off possono anche essere rischiose; in particolare sempre guardando dal lato dei soggetti finanziatori la scissione potrebbe comportare una diminuzione del valore delle azioni dell’azienda madre, che potrebbe non riuscire a garantire gli stessi risultati registrati prima della separazione - potrebbero ad esempio venire a mancare delle sinergie - oppure la nuova azienda nata dalla scorporazione potrebbe non raggiungere gli obiettivi prefissati. In ambedue i casi il valore complessivo della proprietà aziendale in mano agli azionisti diminuirebbe.
Con riferimento invece alla tipologia di soggetti che intendono effettuare un’operazione di scissione si possono individuare gli spin off aziendali (riguardanti propriamente le aziende pubbliche o private) e gli spin offaccademici (così definiti se fra i soci della nuova realtà produttiva partecipa un ente universitario anche conferendo beni in natura), o anche universitari (così individuati qualora l’università non parteci in qualità di socio all’interno della proprietà). Nel caso delle scissioni aziendali sono coinvolte realtà imprenditoriali, pubbliche o private, mentre nelle operazioni di scorporo accademico o universitario le nuove iniziative produttive nascono negli atenei e negli istituti di ricerca in essi presenti. In tale ultimo caso si creano aziende che provengono dagli studi e dalle conoscenze prodotte nel mondo universitario ed i cui fini sono quelli di valorizzare i ricercatori stessi ed i risultati delle loro analisi, dare delle possibilità ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro e perfezionarsi nella formazione, favorire i contatti tra il mondo della ricerca e della didattica ed il mondo produttivo per sostenere e potenziare i settori che si basano sullo sviluppo e l’innovazione. Il capitale degli spin off universitari è costituito essenzialmente da professori e ricercatori (capitale umano e professionale), dai contributi conferiti da personale tecnico-amministrativo degli atenei, dai collaboratori e anche dagli studenti che intendono parteciparvi e non ultimo dai finanziamenti che l’Unione Europea mette a disposizione attraverso programmi e bandi dedicati. Pertanto i nuovi prodotti e servizi che possono nascere dai risultati della ricerca all’interno del mondo accademico provengono da lavori collettivi svolti da professori, ricercatori universitari, dottorandi di ricerca e titolari di assegni di ricerca.
Possono poi acquisire la caratteristica di spin off anche le società definibili come start up innovative presentandone le caratteristiche e solo qualora prevedano che possano far parte della compagine sociale anche i professori, i ricercatori universitari o l’università stessa. In ogni caso le relazioni istituzionali e commerciali tra le Università e le imprese nate da spin off sono regolate da apposite convenzioni che disciplinano l’uso di eventuali spazi ed attrezzature, la richiesta di collaborazione del personale universitario, il trasferimento di rischi e le modalità per fronteggiarli attraverso la sottoscrizione di apposite clausole o assicurazioni, il diritto di utilizzo o di trasferimento di tecnologie, ed eventuali compensi per il supporto di personale e l’uso di beni universitari. Naturalmente tutto questo nel rispetto della trasparenza e dei diritti di natura commerciale (come il diritto all’uso delle opere dell’ingegno, dei brevetti, degli spazi), escludendo conflitti di interesse o posizioni di vantaggio, dirette o indirette, di alcuni soci rispetto agli altri.
Negli ultimi anni si è assistito ad un sempre crescente livello di innovazione e ricerca che ha portato all’aumento delle invenzioni, specialmente in ambito tecnologico, provenienti dagli studi scientifici prodotti nelle università che hanno poi trovato sbocco direttamente sul mercato produttivo. Pertanto lo spin off universitario si presenta come un prodotto della ricerca scientifica accademica che compie un passo verso il mercato, creando impresa sotto una forma giuridica indipendente dall’ateneo. Tuttavia è stato il decreto legislativo n. 297 del 1999 a definire i soggetti, le modalità, gli strumenti, e le tipologie di attività che possono essere finanziate con la finalità di sostenere l’utilizzo in ambito industriale di ricerche e studi accademici condotti da professori e ricercatori universitari, da dottorandi, e da soggetti beneficiari di assegni per la ricerca. È così che ogni università ha potuto dotarsi di appositi regolamenti atti a disciplinare i rapporti di natura soggettiva o oggettiva che possono instaurarsi tra enti universitari e gruppi di studiosi, incentivando così la creazione di aziende spin off che si staccano dalla casa madre ma che comunque mantengono una stretta collaborazione con il mondo accademico. Al decreto legislativo che ha creato una cornice di norme a supporto degli spin off universitari si sono aggiunti dei provvedimenti applicativi quali il decreto del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca n. 593 del 2000 che provvede a rendere operative le modalità di concessione delle agevolazioni finanziarie previste per queste tipologie di operazioni straordinarie; lo strumento scelto dal legislatore è stata l’emanazione di un testo unico che ha riunito tutte le disposizioni già esistenti (legge n. 46 del 1982, legge n. 488 del 1992, legge n. 488 del 1992, legge n. 346 del 1988, legge n. 196 del 1997, legge n. 449 del 1997) in tema di agevolazioni dirette alle imprese che investono in ricerca e sviluppo. E’ poi seguita la legge n. 240 del 2010, in materia di organizzazione delle università, del personale accademico e del suo reclutamento e contiene al suo interno anche la delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario, ed il decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 168 del 2011 che definisce i modi attraverso i quali i professori universitari ed i ricercatori possono assumere responsabilità nell’ambito di società che hanno le caratteristiche di spin off o start up.
Dal punto di vista operativo occorre prima di tutto costruire un piano previsionale di lavoro (c.d. business plan) che definisca obiettivi, modalità, investimenti, finanziamenti, mercato, personale, in pratica è uno strumento che illustra l’attività imprenditoriale che si intende intraprendere. Il Consiglio di amministrazione dell’ateneo porrà all’esame il piano preventivo che dovrà essere autorizzato dal Senato accademico; l’analisi del progetto pone particolare attenzione all’assunzione ed alla limitazione del rischio di impresa da parte dell’università mediante l’apposizione di specifiche clausole. Una clausola generale è quella che pone un vincolo alla partecipazione al capitale da parte dell’Ateneo che non può essere superiore al 10% - peraltro il capitale non è rappresentato quasi mai dal denaro, bensì dal conferimento di beni in natura, quali locali, attrezzature, conoscenze - che però può essere derogato qualora il progetto si presenti particolarmente proficuo e conveniente; in più l’ente universitario delibera anche in merito alla distribuzione di eventuali perdite derivanti dal rischio imprenditoriale tutelandosi sia nel caso di riduzione del capitale sia nel caso di liquidazione dell’azienda. A maggior tutela le università mantengono anche parte della proprietà delle conoscenze acquisite (know how) e dispongono di un diritto di prelazione e di gradimento nei casi di trasferimento della partecipazione ad altri soci; in tal modo l’ateneo rimane agganciato alle attività di ricerca ed innovazione garantendosi un posto di preferenza rispetto a soggetti terzi. Infine un aspetto interessante, ma se vogliamo anche logico, riguarda l’obbligo che le attività svolte dagli spin offuniversitari non siano in conflitto di interessi con l’ateneo che partecipa al capitale; è in tal caso che i rappresentanti universitari si appelleranno al diritto di veto in tutte le delibere che presenteranno aspetti rischiosi o problematiche di sovrapposizione o di sostituzione di interessi pubblici con quelli di altri soggetti privati.
Queste nuove vivaci realtà produttive che coniugano ricerca universitaria e mercato si sono sviluppate di fatto a partire dall’inizio del secolo XXI, nonostante le prime normative possano ricondursi all’inizio del 1980; pertanto si è assistito ad un ritardo applicativo di circa 20 anni, con conseguente perdita di finanziamenti messi a disposizione dall’Europa e dispendio di energie ed opportunità lavorative. Pertanto una riflessione è necessaria: perché è stata sottovalutata per tanto tempo questa opportunità? Una prima ragione sembra ritrovarsi nel timore da parte degli atenei che queste iniziative produttive di tipo privatistico avrebbero potuto distrarre il personale docente e scientifico dai propri incarichi istituzionali trascurando così la didattica. Tuttavia solo all’inizio del nuovo millennio si è vista la svolta di impostazione, soprattutto culturale: le idee innovative create in ambito accademico possono competere sul mercato ed anzi esserne fattore trainante producendo risultati positivi per la collettività tutta, a partire dai giovani studiosi e ricercatori che, se ben incentivati, potrebbero decidere di rimanere nel nostro Paese arginando il fenomeno, ormai drammatico, della c.d. fuga dei cervelli!