MATTEI ED I POTERI FORTI OCCIDENTALI
di Alessandra Di Giovambattista
Volendo far luce su quelli che furono i rapporti tra Enrico Mattei, capitano d’azienda e fondatore nel 1953 dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) e i rappresentanti delle multinazionali di idrocarburi americane possiamo iniziare leggendo alcune considerazioni dell’allora ambasciatore italiano a Washington, sua eccellenza Egidio Ortona. Nei primi anni del Dopoguerra si descriveva Enrico Mattei come un personaggio complicato ma poliedrico, combattivo e per alcuni versi cupo, ma capace anche di essere a tempo debito aperto e scherzoso, guardingo ma desideroso di dimostrare che non aveva pregiudizi nei confronti degli americani e di essere pronto alla collaborazione. Dall’altra parte gli Americani avevano un atteggiamento rilassato nei riguardi di Mattei in quanto le multinazionali petrolifere erano certe che il presidente dell’ENI non avrebbe potuto sviluppare nessun programma in assenza di finanziamenti. Invece Mattei negli anni ‘50 dimostrò al mondo di potercela fare ed i vari Governi italiani di quel periodo lo assecondarono, mentre le tensioni con gli Stati Uniti d’America aumentarono.
Nel momento in cui prese le redini dell’AGIP Mattei si convinse che l’Italia avrebbe potuto giocare un ruolo importante nel campo dell’energia e in ragione delle sue convinzioni lasciò il partito della Democrazia Cristiana (DC), di cui era esponente - peraltro osteggiato anche da alcuni suoi colleghi di partito - per seguire le sue opinioni in materia di energia e fondò l’ENI. L’elemento che ne diede la spinta propulsiva fu la scoperta di un giacimento di metano a Cortemaggiore nel 1949: sia Alcide De Gasperi che l’allora ministro delle finanze, Ezio Vanoni visitarono il luogo delle estrazioni. Occorre evidenziare che un altro illustre italiano, Luigi Einaudi, anche da Presidente della Repubblica, non vedendo con favore la liquidazione dell’AGIP (che doveva essere assorbita dalla società EDISON), fu dalla parte di Enrico Mattei nel suo intento di tenerla in vita ed in tal modo osteggiò anche il piano del Partito comunista italiano (PCI) che invece voleva nazionalizzarla. La nazionalizzazione dell’AGIP fu contrastata nettamente anche da Enrico Mattei che non credeva assolutamente a questa strategia che avrebbe portato ad un appesantimento della gestione, causato dalla burocrazia statale, considerata incompetente e farraginosa. Per contro gli furono contrari diversi politici italiani: tra i più agguerriti vi fu il fondatore del Partito popolare, Don Luigi Sturzo, il quale non perse occasione per contrastare e schernire l’operato di Mattei, come nel caso della scoperta di un giacimento di petrolio nel ragusano nel 1953, da parte della multinazionale americana Gulf Oil. In quell’occasione Luigi Sturzo disse che si doveva alle trivelle americane se si era aperta la strada per la rinascita della Sicilia, ciò che, a suo dire, “sarebbe avvenuto sicuramente anche altrove nel Sud dell’Italia, qualora ci si fosse affidati alle società statunitensi”. Tuttavia Enrico Mattei fu sostenuto da Ezio Vanoni, da Giovanni Gronchi, allora Presidente della Repubblica, da Vittorio Valletta, presidente della FIAT, da Raffaele Mattioli, Presidente della Banca Commerciale Italiana, e da Imbriani Longo, direttore della Banca Nazionale del Lavoro.
Ma Mattei e la sua politica furono supportati specialmente dall’allora ministro delle finanze, Ezio Vanoni; egli sosteneva che grazie all’esperienza di quegli anni - contro l’approccio esclusivamente privatistico e capitalistico - si era dimostrata l’efficienza anche delle strutture produttive partecipate dallo Stato, quando queste ultime sono nelle mani di uomini che dedicano tutta la propria attività ed intelligenza alla tutela del bene comune. In più il 24 aprile del 1952, in occasione dell’istituzione dell’ENI, il relatore al progetto di legge - il democristiano Franco Varaldo - definì inconcepibile che lo Stato lasciasse allo sfruttamento dei privati un patrimonio che l’AGIP aveva reperito con il denaro pubblico e aveva gestito attraverso dirigenti di elevato livello qualitativo. In definitiva sembrava prossima la possibilità di conferire all’ENI il monopolio dei carotaggi nella Valle Padana e con qualche limite, anche nelle altre Regioni; invece, con l’avvento del nuovo ministro dell’industria, il liberale Guido Cortese, iniziarono i tentativi di estromettere Mattei dal mercato degli idrocarburi. Ma nel 1955 il politico, studioso ed economista Ernesto Rossi inviò il giurista Giuseppe Guarino e l’economista Paolo Sylos Labini negli Stati Uniti ed in Canada per approfondire gli allora vigenti regolamenti in materia mineraria. Di ritorno dal viaggio, sia dal punto di vista economico sia giuridico, gli studiosi consolidarono l’idea che il sistema ibrido di privatizzazione in cui l’ENI si sarebbe dovuta muovere (qualora avesse lasciato il suo carattere pubblico), in concorrenza con i privati, avrebbe spinto l’azienda ad allearsi con i gruppi monopolistici italiani e stranieri per cercare di raggiungere i propri obiettivi strategici. Ma ciò avrebbe significato allontanare ENI dal suo ruolo di azienda pubblica impedendo al Governo di usarla come strumento della sua politica nel mercato degli idrocarburi. Per continuare a garantire il carattere pubblicistico dell’azienda si sarebbe invece dovuto vietare per legge di consentirgli di associarsi con partecipazioni azionarie ai privati. È su questi principi che Enrico Mattei fondò la filosofia di gestione dell’ENI che divenne così azienda a carattere pubblico che nel 1957 ottenne il monopolio della ricerca e dello sfruttamento degli idrocarburi su tutto il territorio italiano.
In quel momento Enrico Mattei aveva l’appoggio del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il quale, in una lettera inviata al presidente degli Stati Uniti Eisenhower, propose che all’Italia fosse affidato un ruolo di primo piano nel settore degli idrocarburi nell’area mediorientale. Tale progetto fu invece contrastato dal ministro degli esteri, il liberale Gaetano Martino, che bloccò l’iniziativa intrapresa da Gronchi.
Nel corso degli anni '50 la storia documenta l’avversione che le compagnie petrolifere americane avevano nei confronti di Mattei; la Standard Oil Company del New Jersey, nel gennaio del 1951, inviò un proprio rappresentante dall’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. per dare un avvertimento sull’operato di Mattei. Dopo circa un mese fu inviato un telegramma nel quale si sottolineava che il trattamento preferenziale del Governo italiano a favore di AGIP sarebbe stato considerato dalle società americane una azione di discriminazione non consentita dai trattati sottoscritti nel 1949 tra i governi italiano e americano.
Il presidente americano Eisenhower fece capire che il governo statunitense era schierato al fianco delle sue compagnie petrolifere; ciò contribuì ad aumentare le ostilità nei confronti di Enrico Mattei sia da parte dell’Italia sia di diverse altre nazioni. Specialmente nel periodo dal 1953 al 1957 furono pubblicati diversi articoli, scritti con toni violenti contro la politica industriale di Mattei e contro la sua stessa persona, pubblicati dalle riviste “Fortune”, “Newsweek”, “Time”, “The New York Herald Tribune”. Il “New York Times” arrivò a definire un attentato alla sicurezza della libertà nel mondo la decisione di Mattei di vendere all’Unione Sovietica pompe e tubature, che in quell’occasione furono definite attrezzature di tipo strategico. A tutte queste provocazioni Mattei rispose con una modalità moderna, cercando di coinvolgere stampa, cinema, professionalità giovani ed emergenti, che fosse in grado di contrastare la campagna denigratoria organizzata nei suoi confronti. In primo luogo raccolse tutti gli articoli di giornale scritti contro di lui – che furono organizzati in 36 volumi nell’antologia “Stampa ed oro nero” pubblicata postuma alla morte - fondò la testata giornalistica “Il Giorno” e l’agenzia di stampa AGI, fece realizzare il documentario “L’Italia non è un Paese povero” e commissionò per ENI un film, completato dopo la sua morte (nel 1967), dall’allora giovane regista Bernardo Bertolucci, dal titolo “La via del petrolio”. Fu affiancato da giovani professionisti e studiosi quali, per citarne solo alcuni, Sabino Cassese, Giorgio Ruffolo, Manin Carabba, Mario Pirani. In particolare a Ruffolo ed a Pirani fu assegnato il compito di tenere i rapporti con il Fronte di liberazione nazionale algerino, durante la guerra di indipendenza.
Nello stesso periodo Mattei otteneva concessioni di ricerca petrolifera in Somalia, Egitto, Iran, Marocco, Libia, Sudan e Tunisia. Il suo accordo 75/25 (riguardante la suddivisione degli utili) provocò l’ira delle principali compagnie petrolifere mondiali nonché degli USA, almeno fino all’avvento di J.F. Kennedy. Mattei era convinto che la perdita delle colonie rendesse l’Italia un valido interlocutore con i Paesi che cercavano di affrancarsi dal dominio e dallo sfruttamento francese, inglese ed americano; inoltre sosteneva che l’esosa politica dei prezzi praticata dal trust anglo-americano non potesse continuare per molto tempo sia perché si affacciavano sul mercato operatori indipendenti, sia perché i Paesi produttori rivendicavano la sovranità dei loro territori e delle loro risorse; queste affermazioni, in particolare, incontrarono il favore dei rappresentanti del mondo arabo.
Tornando ai rapporti con gli Stati Uniti, l’iniziale ostilità durante la presidenza di Eisenhower - documentata in un rapporto della CIA in cui si evidenziava che Mattei pregiudicava i fattori economici del mercato di maggior interesse degli Stati Uniti – iniziò a stemperarsi quando divenne presidente J.F.Kennedy; da quel momento l’atteggiamento americano si modificò grazie anche alla politica del nuovo presidente nei confronti dei Paesi cosiddetti del Terzo mondo, in difesa dei diritti civili e della politica sul controllo dei prezzi dei monopoli, che rese il Presidente inviso alle grandi imprese multinazionali. Da parte sua, Enrico Mattei si mostrò disponibile ad andare negli Stati Uniti e a parlare con le compagnie petrolifere americane. L’emissario del presidente Kennedy, A.W. Harriman, quando si trovò a colloquio con il presidente dell’ENI ne riconobbe e ne sottolineò la lungimiranza e la chiarezza del suo sguardo nei confronti degli avvenimenti futuri. Nel 1962, durante una riunione del dipartimento di Stato americano (documentata negli atti declassificati del dipartimento) si discusse in merito alla possibilità di incoraggiare accordi tra le maggiori società petrolifere multinazionali ed Eni ed in particolare furono individuati la Standard Oil Company del New Jersey e la Socony-Mobil Oli Company come possibili interlocutori. Ma diversi erano i rappresentanti del mondo politico ed economico convinti che si dovesse ricomporre la frattura tra le sette sorelle e l’ENI; in particolare Vittorio Valletta e Gianni Agnelli, rispettivamente presidente e fondatore della FIAT, durante un incontro con il presidente Kennedy chiesero di avere riguardo alla persona di Mattei e questo atteggiamento di distensione nei rapporti tra USA ed ENI fu sottolineato dall’incontro tra il sottosegretario di stato americano George Ball ed Enrico Mattei del 22 maggio del 1962. Questo dialogo sottolineava il clima di distensione e rappresentava il preludio di un viaggio negli Stati Uniti per stipulare nuovi accordi tra ENI e l’amministrazione Kennedy, ma l’incontro non avvenne mai perché il 27 ottobre del 1962 esplose, sui cieli di Bascapè, l’aereo pilotato da Irnerio Bertuzzi con a bordo Enrico Mattei ed il giornalista americano William McHale.