17-02-2021

 


                                                                                                                  La bicicletta in Africa


Il mio primo pensiero è andato al film di Bernardo Bertolucci "Il the nel deserto" del 1990, che credo abbia dato il via all'idea di girare il Nord Africa in bicicletta:" nessuno potrà mai dimenticare l'immagine dei due protagonisti, Port e Ki, che si recano in bicicletta su un'altura limitrofa, e lì ritrovano l'armonia dello stare insieme".
Pensare, però, alla bicicletta in Africa appare a prima vista arduo. Ma di certo i tempi cambiano ed oggi vediamo gli immigrati africani che giungono in Italia fare prevalentemente uso di biciclette. Nel 2018 è stata infatti istituita la Giornata mondiale della bicicletta, che ricorre ogni 3 giugno. È stata approvata, in un Risoluzione del 12 aprile 2018, come giornata ufficiale delle Nazioni unite per la consapevolezza dei benefici sociali derivante dal suo uso.
La bicicletta viene, infatti, usata dagli Africani per trasportare merce (mattoni, pacchi, animali), essendo spesso l'unico mezzo di trasporto economico, di cui possono avvalersi, sena sostenere altre spese.
Ma chi va in bicicletta in Africa? Le strade asfaltate sono pochissime e spesso si snodano nel mezzo della savana: è riuscito nell'impresa Obes Grandini, un italiano, che ha scritto un libro sul suo difficile viaggio dal titolo:“Due ruote attraverso l’Africa”. In questo libro, racconta il passaggio attraverso il continente africano iniziato il 24 maggio del 2010 da Città del Capo in Sud Africa, attraversando Sud Africa, Zambia, Malawi, Tanzania, Burundi, Ruanda, Uganda, Sudan del Sud, Sudan ed Egitto, completando il rientro passando per Giordania, Siria, Turchia, Grecia, Albania, Montenegro, Croazia e Slovenia. Il 27 maggio 2011 ha appoggiato la bicicletta al muro di casa dopo circa 20450 km percorsi.
Ci sono a ben vedere una infinità di vantaggi nel percorrere le strade su una bicicletta, si apprezza meglio il paesaggio che non passa come un film dal finestrino, si é vicini alla popolazione locale (che usa la bicicletta spesso come principale mezzo di locomozione) si ha un impatto negativo inferiore sull’ambiente. Si può ricevere un passaggio in camion, in barca, in aereo senza grossi problemi. Di contro si può spesso essere troppo “vulnerabili all’ambiente esterno”, alcune tappe risultano impossibili da realizzare in un continente come quello africano, si ha una autonomia ridotta, il clima lo si sperimenta sulla propria pelle (polvere, sabbia, sale, sole..). Il problema principale è che spesso le distanze sono notevoli e se non si ha un mezzo d’appoggio non è pensabile percorrere cosi grandi spazi a meno di ricevere un passaggio. Queste limitazioni hanno rilegato le pedalate spesso in limitate aree (Marocco, Tunisia, Togo, Benin) dove l’autonomia e le distanze sono più alla portata dei ciclisti.
Ebbene, per una viaggiatrice come me sarebbe plausibile utilizzare i propri piedi per girovagare, senza sosta, per il mondo. Ma non avrei mai immaginato che potesse esistere qualcuno in grado di attraversare l'Africa con le due ruote come mezzo di trasporto. Per me l'impresa sarebbe impossibile, ma di certo può rappresentare un modo nuovo ed economico per viaggiare, con grande tranquillità e serenità interiore, alternandolo magari all'utilizzo del treno o degli autobus in un continente enorme come l'Africa. Specialmente in terre sconfinate e senza traffico viaggiare su due ruote è effettivamente una esperienza unica. E forse oggi con l'energia solare si può pensare di utilizzare la bicicletta con meno fatica.
Ho viaggiato in bicicletta per brevi tratti in Paesi del Nord Africa ed in Medio Oriente e funziona. Anzi, il clima è perfetto per le due ruote. La sensazione più bella è quella di sentire il rumore del vento del deserto, nel totale silenzio delle terre antiche africane. In questi panorami mozzafiato, come l'altura rinvenibile nel film il “The nel deserto” del Nord Africa pensare di percorrere le strade per lo più sterrate su due ruote significa imparare ad ascoltare l'essenza della vita, della natura, significa diventare parte della stessa natura ancestrale e silente dell'Africa, il vento tra i capelli, la sabbia che assume forme diverse sotto le ruote, i versi di piccoli esseri viventi nascosti sotto un ciuffo d'erba, silenti agli occhi dei più ma pur vitali. Laddove ci si accosta in punta di piedi a questi fenomeni, essi rendono assolutamente nuovo il tutto: è come entrare in un mondo sconosciuto con la lente di ingrandimento.
In Africa il rapporto uomo-ambiente è molto più forte che da noi in Europa. È questo che gli Europei cercano quando esplorano l'Africa. Ebbene, la possibilità di avvicinarsi in punta di piedi ed entrare negli anfiteatri naturali africani, dove micromondi s'incontrano in una pace senza tempo ed in un silenzio totalizzanti, fanno il viaggio di per sé, che acquisisce così di significato filosofico.
Questo è il momento a cui l'Uomo deve tendere quando viaggia perché la mente si apra alla bellezza ed all'armonia della vita naturale. Prende vita la dimensione più profonda del nostro essere, nascosta, che nella routine quotidiana purtroppo non percepiamo più.
Emanuela Scarponi