23-05-2020


                                                                                                                    Buccio di Ranallo: il Castaldato di Antrodoco e l'alleanza con l'Aquila
                                                                                                                                                               A.D. 1228 - 137  Centro d’Italia

      L'Aquila, Amatrice, Antrodoco e Rieti sono nel mezzo della penisola italiana, dal punto di vista geografico. Con un lungo passato archeologico alle spalle in corso di studi lungo al Salaria, era luogo abitato sin dall'epoca romana. Decaduto l’Impero romano d’Occidente, le città si spopolano a causa delle invasioni dei Longobardi e vengono costruiti castelli all’interno dei quali vivere protetti.
Nel Medio Evo questi centri situati sugli Appennini vissero quindi un periodo di grande tranquillità con la costruzione di grandi castelli, a difesa dei nemici, di cui vi sono tante testimonianze ancora oggi intorno a l'Aquila, facilmente visibili dall'antica strada Cecilia romana che si snoda verso Sud fino a Pescara.
Il Medio Evo è considerato un periodo difficile per la grande povertà, la fame e le carestie. Ma non è solamente così. Esso rappresenta un'epoca di passaggio, che ha lasciato molto a noi e dal quale dobbiamo tanto ancora imparare, compresa la lingua italiana che è nata proprio agli inizi del Medioevo.
        Il Castello dell'Aquila era una rocca abbastanza grande, che prevedeva anche l'abitazione della castellana, esso era imprendibile per la sua posizione strategica rispetto alle vie di comunicazione allora in uso, ma anche per il fatto di stare sulla cima di una collina, che scendeva a picco sul fiume da una parte e sulla terra ferma dall'altra.
Ma lasciamo parlare Buccio di Ranallo in persona, poeta e scrittore italiano in lingua volgare, per alcuni anche giullare, conosciuto principalmente come precursore del filone letterario delle cronache aquilane, che ebbe un notevole seguito grazie a una folta schiera di suoi epigoni e imitatori: “Sono nato nel Medioevo, nel XIII secolo, Anno domini 1294 o 1295, non si è mai scoperto. Non è che ci fossero le banche-dati o qualcuno che segnasse qualcosa; il parroco, quando battezzava, lo scriveva su un libro e se eri fortunato questo documento passava i secoli, altrimenti andava disperso nel primo incendio, nel primo saccheggio o semplicemente venduto come carta da macero.
        Sono morto intorno al 1362 di peste; anche Antrodoco subì tantissime vittime durante la grande peste, il grande morbo del 1362.
Sono stato un soldato. Ho combattuto contro Amatrice nel 1318 e contro Rieti nel 1320. I Reatini, infatti, avevano preso una campana di palazzo, l'hanno portata a Rieti e l'hanno chiamata Aquilanella. Siamo arrivati ed abbiamo distrutto Rieti fino alle fondamenta, abbiamo riportato la campana a L'Aquila e da quel momento suona sul palazzo e la chiamiamo Reatinella.
Non che non fossimo una grande armata, all'epoca L'Aquila - di cui porto i simboli - L'Aquila bianca in campo rosso, L'Aquila di Federico, L'Aquila degli Svevi - aveva una grossa armata e riuscì a mettere in campo almeno 6.000 stadi, che per l'epoca era qualcosa d'importante. C'era il richiamo dei quattro quarti, perché anche noi eravamo divisi in quattro quarti. I quarti de L'Aquila, legati in parte con i locali degli antichi castelli - la leggenda vuole fossero 99 - vennero suddivisi nel 1276, e sono ancora oggi il San Giorgio o Santa Giusta, Santa Maria, San Pietro e San Giovanni d'Amiterno o anche San Marciano.
Santa Maria Paganica e San Pietro, il mio quarto, adesso si chiama San Pietro di Pontida, all'epoca era Popletum, dal nome dei pioppi che circondavano il paese., Era una vecchia fortificazione, che era sorta sul fiume Averno e aveva partecipato, insieme a Pagano, a San Giovanni e a San Giorgio, alla fondazione della città de L'Aquila. Lo stesso che fece di Antrodoco un pezzo della provincia di Rieti, togliendola a quella che era la provincia madre.
       Non sono molto importante nella storia medievale, lo sono nella storia locale de L'Aquila, di Amatrice, di Rieti e di Antrodoco, perché tutte le volte che abbiamo marciato contro i miei cari amici abbiamo avuto una rocca, un paese, ancorché piccolo, che ci ha fatto un sacco di danni. Ogni volta che ci siamo scontrati con le milizie antrodocane, siamo stati costretti e per settimane assediati. Non so perché diavolo ci avete dato tutto questo fastidio, però ce l'avete dato e questo ha portato a due cose: un grande rispetto fra Aquilani ed Antrodocani, perché se passi anni a scannarti, alla fine ti rispetti ed una certa forma di odio e amore civico ancora oggi si prova.
Nel 1424, il principe di Capua, difensore del Regno di Napoli assegnava a L'Aquila, il titolo di migliori mercenari del regno che combattevano intorno alle mura amatriciane e urlavano:"Amatriciani: gavazzaturi e ladri, mangioni e ladri”.
Gli Antrodocani, sempre con rispetto parlando, stanno sempre in mezzo. La nostra è una grande città. Dobbiamo ricordarci perché ad un certo punto in questa piana c'è stata questa unione. Perché è nato tutto questo? Solo la coscienza della storia ce lo può dire.
Per dire basta, bisognava trovare un nuovo potente appoggio politico su cui far leva. Il XII secolo è l'epoca del contrasto forte tra impero e papato; ognuno rivendica territori, potere di scelta dei vescovi, che sono anche amministratori pubblici e nel caso dell'impero, persino dei papi.
       Se dunque c'è il desiderio di svincolarsi dal potere imperiale, rappresentato dagli Svevi, che nel frattempo hanno soppiantato i Normanni nel Regno delle due Sicilie, bisogna quindi rivolgersi al Pontefice. C'è anche un aggancio giuridico che risale ad un paio di secoli avanti: il 13 febbraio 962, infatti, Ottone I, da poco incoronato imperatore del Sacro Romano Impero, che secondo gli storici ha fatto rinascere l'impero in Europa dopo la scomparsa dell'Impero carolingio, sottoscrive il cosiddetto privilegium othonis, che è un atto con il quale l'imperatore conferma al Papa tutte le proprietà che sono state concesse ai Franchi.
In cambio però Ottone stabilisce che il Papa non può venire eletto senza il consenso dell'imperatore.
Le terre aquilane dunque, per antico editto, ricadono sotto la tutela del vescovo di Roma. Nel 1829, sul soglio di Pietro, siede Papa Gregorio IX. Non si sa che cosa sia stato scritto di preciso, poiché la lettera che arriva a Papa Gregorio IX non è mai stata né travagliata né pervenuta. Si conosce al contrario la risposta del Papa, anzi le due risposte che portano le date del 27 luglio e del 7 settembre 1229.
Leggendo queste due missive si capisce perché la popolazione delle valli delle montagne aquilane chiedono di essere liberate dal gioco feudale, che in questo momento storico ha voce, volto, autorità e arma degli Svevi. Si parla di angherie, impiccagioni, torture, persino di riduzione in servitù. Uomini e donne subiscono la rapina dei beni. A chi produce serve sempre di più produrre, mentre al contrario chi se ne appropria con forza ottiene ricchezza ulteriore, una ricchezza che viene spesa in maniera vergognosa sulle spalle di una popolazione sempre più impoverita. Ma il passaggio più interessante è quello con cui il Papa fa riferimento alle richieste di entrare a far parte delle maglie della Chiesa e di autorizzare la fondazione di una località chiamata Aquila. Il tutto in cambio di una grossa somma di denaro a favore del Vescovo di Roma.
      A ben leggere quei documenti è chiaro, sin dall'inizio del XIII secolo, la volontà degli Aquilani di liberarsi della feudalità ed assumere un'iniziativa autonoma, che possa garantire quindi la massima libertà possibile, sempre tenuto conto del contesto politico e militare. Ed è per questo che L'Aquila, nel XIII secolo e in quelli successivi, convincerà i feudatari dell'epoca, il Papa, gli Svevi, gli Angioini, i Francesi e gli Aragonesi ad agire. Trasforma la sua posizione, limite Nord del Regno delle due Sicilie, in avamposto e acquisisce una forza strategica e logistica che nessuno potrà migliorare.
Il Papa concede che la città venga costruita, ma la storia de L'Aquila non viene fondata in questo momento, all'inizio sembra cadere nel vuoto. L'Aquila sorgerà trent'anni dopo e non grazie al Papa, almeno ufficialmente, ma dai tanto odiati Svevi.
      Così nasce L'Aquila nel 1362. Nel maggio 1362 partecipai alla festa patronale di San Massimo, i cui solenni festeggiamenti chiudono la narrazione della Cronica; nel 1363 ci fu, però, una epidemia di peste, probabilmente a causa di focolai rimasti dalla peste nera del 1348, e ne rimasi vittima, morendo nella seconda metà di quell'anno.
Il mio nome sarà tramandato alla storia come Buccio di Ranallo, colui che ha scritto le cronache dell'Aquila e nell'Aquila tante volte viene citato Antrodoco ed a questi territori, che danno importanza ai nostri confini, soprattutto per l'arte della lana, posso solo dedicare la frase che chiude le mie cronache, dedicandola anche alla grande storia di Antrodoco:

"Lo cunto serrà d'Aquila, magnifica citade
et de quilli che la ficero con grande sagacitade.
Per non esser vassali cercaro la libertade
et non volere signore set non la magestade".

     Quindi Federico II, imperatore di Svevia e Re della futura Germania era innamorato dell'Italia e trascorse quasi tutta la sua vita in Italia dove è morto. Ebbe per primo l'intuito di aver capito quanto fosse importante questo posto, quanto fosse strategico possederlo ed egli stesso s'impegnò moltissimo per la ricostruzione del castello, del suo ampliamento, della fortificazione. Poi ascoltava Antrodoco per affidare al castellano grandezza e difesa del castello.
Federico II è venuto sicuramente due volte ad Antrodoco. Nel Rinascimento si farà riferimento ad una Corte. Egli non si muoveva mai da solo, era accompagnato da almeno un centinaio di persone, tutte ben vestite e ricche. Portava con sé animali rarissimi, mai visti - perlomeno ad Antrodoco - come cammelli, pavoni, tigri che spaventavano ma anche che si facevano ammirare dalla popolazione, dal volgo.
Federico II fu una persona molto colta, parlava molte lingue, era intelligentissimo e riuscì a strutturare l'organizzazione del suo grande Stato in maniera, sì, accentrata, perché il potere era il suo, ma lo affidava a persone di sua fiducia, che rispondevano personalmente all'imperatore e fu scomunicato ben tre volte dai vari Papi. Perché tutte queste scomuniche?
Si combatté moltissimo con il papato, perché tra i primi ebbe l'intuizione che il Papa, il rappresentante della religione cristiana, dovesse occuparsi delle cose dell'anima e non delle cose della terra. Quindi il potere spirituale doveva essere ben diviso dal potere temporale e questo naturalmente dai Papi non era ben visto. Quindi Federico II è stato un grande imperatore che, come dicevo, è stato un protagonista per la storia di Antrodoco e ne ha segnato le sorti per molto tempo.

      Ecco quindi spiegata l'origine di questa festa che si revoca ogni anno ad Antrodoco.
Ogni anno ormai è tradizione consolidata la sfilata in costume nel centro città, accompagnata da tamburi e sbandieratori, in occasione della quale la città di Antrodoco si fa medievale per un giorno, persino adottando le antiche monete del castaldato. Partecipano alla grande sfilata storica i Capi Rione di Antrodoco così come sono i nostri rioni: Lu Bagnu, Centro storico, San Terenziano, Rocca di corno, la Cona.

Emanuela Scarponi