LE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI

di Alessandra Di Giovambattista

 

Il panorama delle forme giuridiche attraverso le quali può oggi esercitarsi una professione protetta (svolta da medici, architetti, ingegneri, commercialisti, avvocati, biologi, ecc), che implica cioè l’iscrizione presso albi professionali e che si basa sulle capacità individuali e personali dei soggetti che esercitano l’attività (c.d. “intuitu pernsonae”), prevede la possibilità di costituire società, oltre che di persone, anche di capitali, nella forma delle società a responsabilità limitata (Srl), società per azioni (Spa) e società in accomandita per azioni (Sapa). Ma non è stato sempre così; anzi in Italia è stata molto forte la resistenza verso queste forme di organizzazioni tra professionisti. L’avversione verso queste modalità di esercizio dell’attività professionale, sfociata nel totale divieto di costituzione di aggregazioni societarie, risale alla legge del Regno d’Italia del 23 novembre 1939, n. 1815; in essa era chiaro il vincolo che si fondava sulla presunta incapacità di coordinare le regole del diritto societario con l’attività professionale del prestatore d’opera. Questo in particolare si evidenziava nello stridore della costituzione delle società per azioni considerate del tutto inconciliabili con i profili di responsabilità personale riconducibili all’esecuzione delle prestazioni professionali. Tuttavia nel 1976, da parte della Corte Costituzionale, cominciarono ad emergere le prime tesi circa la possibilità del riconoscimento della costituzione di società per l’esercizio di attività professionali. Si andava quindi rafforzando la convinzione che nuove forme organizzative delle professioni avrebbero potuto apportare vantaggi competitivi sia organizzativi sia finanziari, ma soprattutto avrebbero potuto consentire di sviluppare sinergie tra professionisti. Ma l’impulso definitivo venne dalla lettera della Banca centrale europea del 5 agosto del 2011 che richiedeva con maggiore insistenza una complessiva e radicale riforma in Italia di diversi settori, sia pubblici sia privati, tra i quali contemplava anche quello dei servizi professionali.

È così che, con l’articolo 10 della legge n. 183 del 12 novembre 2011, si arrivò ad eliminare il divieto dell’esercizio delle professioni attraverso le forme societarie e a consentirne la costituzione mediante una delle forme commerciali previste dal vigente codice civile. Lasciò tuttavia sorpresi il fatto che tale normativa fosse introdotta mediante un emendamento alla legge di stabilità per il 2012 (quindi facendo immaginare un provvedimento di urgenza ed approssimativo il cui obiettivo sembrava essere solo l’eliminazione del divieto contenuto nella legge del 1939), senza quindi costruire una regolamentazione omogenea e complessiva capace di gettare i presupposti per la creazione di forme nuove di aggregazione societaria appositamente costituite per le attività professionali, ed ignorando problematiche di natura fiscale e previdenziale di importanza nevralgica circa l’analisi della scelta di convenienza di tali forme organizzative (ad esempio non è indifferente sapere se il reddito prodotto ha natura di reddito d’impresa o piuttosto di lavoro autonomo). Così l’articolo 10 della legge n. 183 del 2011 fu immediatamente modificato dall’articolo 9-bis del decreto legge n. 1 del 24 gennaio 2012 che disciplinò le società tra professionisti prevedendone la costituzione secondo una delle forme già esistenti, ma per l’operatività delle disposizioni rimandò ad un regolamento congiunto del Ministero della giustizia e del Ministero dello sviluppo economico che fu emanato l’8 febbraio 2013, con il n. 34 ed entrò in vigore il 22 aprile 2013. Quest’ultimo, tuttavia, andandosi ad inserire in un contesto di normativa non esaustiva e abbastanza approssimativa, lasciò irrisolte alcune questioni applicative e incrementò diversi dubbi che non permisero un immediato decollo delle novità legislative; a mero titolo di esempio si può ricordare la problematica relativa alla responsabilità limitata del socio di società di capitali e quella illimitata del professionista, la natura dell’utile conseguito, l’iscrizione nei registri degli ordini.

Ad oggi le tipologie di società che possono costituirsi sono le società di persone nella forma delle società in nome collettivo (snc) e le società in accomandita semplice (sas), le società di capitali, come la società a responsabilità limitata (srl) e la società per azioni (spa) e le società cooperative. Le vigenti norme prevedono che almeno i due terzi dei soci debbano essere professionisti iscritti agli albi di riferimento mentre il restante terzo può essere composto da soci che conferiscono capitale (i c.d. soci finanziatori) o soggetti che apportano il proprio lavoro ma non hanno un albo di riferimento a cui iscriversi. E’ necessario che il socio che entra a far parte della società tra professionisti sia in possesso dei requisiti di onorabilità, non abbia riportato condanne definitive per reati dolosi o colposi e non sia stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinari. L’atto costitutivo deve contenere l’oggetto sociale che deve descrivere la tipologia di attività che la società intende svolgere; infatti è possibile creare società mono disciplinari, in cui viene svolta una sola attività professionale come ad esempio una società tra architetti o avvocati, oppure multi disciplinare, nel caso in cui vengano svolte più attività professionali, come nel caso di società tra avvocati e commercialisti, o medici e biologi. Nell’atto costitutivo dovranno essere ben individuati i soci ed inoltre dovrà essere indicato e ben dettagliato l’esercizio esclusivo dell’attività esercitata da ogni singolo socio professionista in quanto vige il divieto di partecipare a più società per evitare il conflitto di interessi. Dopo la costituzione della società tra professionisti è d’obbligo l’iscrizione presso una sezione speciale del registro delle imprese tenuto presso le camere di commercio, nonché l’iscrizione presso l’albo o gli albi professionali a cui i singoli soci professionisti appartengono. È inoltre obbligatoria la sottoscrizione di polizze assicurative per la copertura dei danni provocati dall’attività svolta dai professionisti nei confronti dei propri clienti.

Per quanto riguarda le problematiche di natura fiscale occorre sottolineare che la norma istitutiva delle società tra professionisti non aveva indicato in modo chiaro ed esaustivo né la natura del reddito prodotto dalle società, né il trattamento fiscale dei compensi percepiti dai soci. All’inizio, in mancanza di una qualificazione fiscale normativa chiara e precisa, la ricostruzione per analogia portò a risultati tra loro contrapposti sia nel caso in cui si fosse scelto di privilegiare il soggetto che produceva il reddito (la società per l’appunto) sia qualora l’attenzione fosse stata posta sul presupposto oggettivo, ossia la natura dell’attività svolta (quindi l’attività professionale). Si registrava una forte differenza tra la natura commerciale dell’attività svolta da una delle società costituite secondo la vigente normativa - per cui il reddito prodotto da tali soggetti era riconducibile al redito d’impresa - e la natura essenzialmente professionale svolta dai singoli soci per cui il reddito era riconducibile alla categoria del reddito di lavoro autonomo. Si dovette attendere in realtà la modifica apportata con la legge n. 124 del 4 agosto 2017 in cui, consentendo l’esercizio della professione in forma societaria a società di persone, di capitali, o cooperative, acquisiva prevalente rilevanza la veste giuridica assunta dal soggetto società, invece dell’effettiva attività professionale svolta, con ciò indicando chiaramente che il reddito prodotto, almeno per le società di capitali e le cooperative, era da incardinarsi nella categoria dei redditi di impresa (chiarificatrice in questo senso è la risoluzione del 7 maggio 2018, n. 35/E dell’Agenzia delle entrate). Tuttavia a dirimere ogni ulteriore dubbio ed incertezza interpretativa intervennero due risposte ad interpelli (la risposta del 12 dicembre 2018, n. 107 e quella del 27 dicembre 2018, n. 12871) in cui l’Agenzia delle entrate sottolineò che le società tra professionisti costituite nella forma di società commerciali producono reddito qualificato come reddito d’impresa.

Oggi, con il decreto legislativo n. 192 del 13 dicembre 2024, attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 aprile 2024, si riapre la questione con la finalità di porre ancora più ordine alla disciplina esistente. In particolare le nuove disposizioni regolamentano le questioni che erano ancora irrisolte circa le eventuali forme di riorganizzazione (ad esempio passaggio da una associazione tra professionisti ad una società di capitale) o di aggregazione (è il caso delle fusioni o conferimenti di società tra professionisti) prevedendone la neutralità fiscale. Si sottolinea che sarebbe auspicabile che le nuove norme siano applicate con trasparenza e semplicità per garantire l’effettiva neutralità fiscale in tutti i casi di operazioni straordinarie, siano esse operate da società tra professionisti, siano esse operate da società di natura commerciale svolgenti attività professionale (casi presenti oggi, per esempio, per le società tra ingegneri ed odontoiatri).

A conclusione si vuol sottolineare che l’opportunità di creare società tra professionisti, mossa da uno spirito di miglioramento e di agevolazione del lavoro collettivo ed in sinergia tra professionisti per aumentare l’efficienza dell’attività ed ampliare i servizi offerti ai clienti, abbia di fatto incontrato molti ostacoli. Si noti che dal lontano 2011 le società tra professionisti hanno avuto serie difficoltà circa l’effettiva possibilità di operare; ed infatti in uno studio condotto sulle aggregazioni professionali dei commercialisti (rapporto 2021 pubblicato dall’Albo nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili anni 2020-2022 pubblicato nel novembre 2023) risulta che le forme societarie esistenti sono di ridotte dimensioni e sono numericamente poche anche se in realtà producono maggior reddito e migliori risultati. Dalla breve disamina dell’iter di regolamentazione delle società tra professionisti risulta che la poca chiarezza della normativa iniziale, ma anche di quella successiva, ha di fatto compromesso la possibilità che tali nuove forme di aggregazione prendessero vita in tempi rapidi; questo spesso significa legare al palo attività che invece potrebbero esprimere, specialmente attraverso i giovani professionisti, potenziali elevati di efficienza ed efficacia professionale sia a livello nazionale sia internazionale. Non ultimo queste forme societarie aiutano anche il passaggio generazionale con il prezioso trasferimento delle conoscenze e delle esperienze dei professionisti più maturi a favore di quelli più giovani che possono apportare nuove idee e applicazioni soprattutto con l’utilizzo di supporti informatici.

Sarebbe quindi auspicabile, da una parte, l’effettiva rimozione di tutti gli impedimenti finora visti e, dall’altra, la ricerca e la creazione di strumenti di incentivazione e di promozione all’aggregazione che amplino concretamente le possibilità di crescita dei professionisti e contribuiscano anche a far emergere materia imponibile attraverso una fiscalità equa e chiara ed un’applicazione della normativa tributaria semplice ed immediata.