LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA, UN MODO PER CONTRASTARE LE DISUGUAGLIANZE
di Alessandra Di Giovambattista
La responsabilità sociale dell’impresa è oggi un approccio sempre più presente all’interno delle modalità di scelta e di gestione delle strategie aziendali. Viene definita nel mondo anglosassone come Corporate Social Responsability (CSR) e si basa sull’impegno da parte delle imprese di scegliere comportamenti etici che siano in grado di contribuire a garantire la sostenibilità dell’azienda nel lungo termine e contestualmente a sviluppare il livello di benessere della società. Infatti da un lato si assiste ad un miglioramento della reputazione dell’impresa, dall’altro alla costruzione di un clima e di un ambiente lavorativo più sostenibile e meno ostile a vantaggio di tutti i portatori di interessi aziendali (i c.d. stakeholders): dai lavoratori, ai fornitori, ai clienti, agli investitori, alla collettività nel suo complesso. La responsabilità sociale d’impresa è la filosofia che muove il nuovo sistema di sviluppo sociale ed ambientale del tessuto imprenditoriale (definito dai parametri relativi all’ambiente, all’impatto sociale e ai principi di governo aziendale, meglio conosciuti come sistema ESG: Environmental, Social e Governance), che permette alle aziende di coniugare obiettivi di massimizzazione del profitto con quelli di rispetto delle esigenze sociali ed ambientali della comunità su cui agisce l’azienda. L’obiettivo principale è la sostenibilità economica che implica non solo il rispetto di condizioni economico-finanziarie, ma soprattutto di standards qualitativi di vita che permettano di garantire performances ambientali, sociali e di governo aziendale alla luce anche degli obiettivi indicati nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite. Quest’ultima è un programma che comprende diversi obiettivi di sviluppo comuni, che quindi riguardano tutti i Paesi, e tra i più impegnativi ricordiamo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico.
Già da queste brevi note si evidenzia l’attenzione di tale approccio alle concrete ricadute delle azioni aziendali sul territorio e sulle persone. In particolare l’analisi va esplicitata: con riferimento all’ambiente, considerato come il territorio in cui l’impresa opera e che deve essere preservato e difeso da azioni di depauperamento incontrollato ed inefficiente delle risorse, dall’inquinamento del terreno e delle falde acquifere – con una particolare attenzione alla gestione del ciclo dei rifiuti e del loro processo di riciclo - dalla deforestazione e dall’inquinamento dell’aria. Con riferimento alle ricadute sociali, intese sia come relazioni tra lavoratori all’interno dell’azienda (nel rispetto dei diritti e dei doveri, della politica retributiva e di garanzia delle singole peculiarità senza disparità di genere e cercando di attuare modalità di inclusione, della sicurezza e della salute degli ambienti lavorativi) e tra tutti gli stakeholders sia come relazioni tra l’azienda e il contesto sociale in cui si trova (rispetto della legislazione vigente in un determinato territorio, delle tradizioni, della cultura, dell’equità e della giustizia sociale, dei diritti umani). Con riferimento alla gestione del governo aziendale, della sua organizzazione dirigenziale e delle strategie che devono essere rispettose della legalità normativa, deontologica ed etica (contrasto della corruzione, delle connivenze di tipo malavitoso, delle pratiche di concorrenza sleale, adeguatezza delle retribuzioni, ecc.), basata comunque sull’analisi continua dei risultati economico-finanziari per garantire il più alto grado di efficacia ed efficienza possibili (alla ricerca delle migliori pratiche e performances in un determinato ambito che vengono comunemente definite come best practises).
Nonostante la bontà dei presupposti, il capitolo sulla responsabilità d’impresa è rimasto finora inattuato dalla gran parte delle aziende; il grande problema in tale ambito lo si può riscontrare nel fatto che l’insieme dei programmi e degli obiettivi, nonché le modalità sul come raggiungerli, sono in realtà criteri e pratiche di tipo volontaristico, per le quali non sono state previste sanzioni qualora non si seguano le indicazioni fornite. Tuttavia la responsabilità d’impresa nasce come un impegno necessario e pressante a cui tutte le aziende non dovrebbero sottrarsi almeno in ragione di un obbligo derivante da un contratto sociale, da una sorta di dovere sia etico sia funzionale che restituisce il giusto peso e la giusta collocazione alle aziende incardinate in un contesto di economia a servizio dell’uomo, che deve veder garantito il diritto al futuro per sé e per le prossime generazioni.
Negli anni passati l’Unione Europea si era limitata a varare dei piani mentre, di recente, il 24 maggio del corrente anno, ha formalmente adottato una direttiva – in attesa di firma e pubblicazione - ultima tappa di un lungo processo decisionale, concernente il dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. In particolare l’atto si rivolge alle aziende di grandi dimensioni a tutela dei diritti umani e di protezione dell’ambiente al fine di arginare gli impatti negativi delle politiche di produzione e prevedere delle forme di responsabilità. L’impegno ed i doveri si estendono non solo all’azienda specifica ma anche alle sue affiliate e comunque ai soggetti inseriti nella rete di attività complessiva. Dovranno pertanto essere implementati sistemi di indicatori (che verifichino i parametri visti sopra e indicati come ESG che sono già contemplati dalla direttiva sulla definizione del sistema di indicatori per verificare la sostenibilità aziendale, cioè la CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive) che monitoreranno, anche attraverso la rendicontazione, l’impatto delle aziende sull’ambiente, sui diritti umani e sugli standard sociali. Questi sistemi di indicatori basati sul controllo delle azioni aziendali, affinché non si peggiori la situazione ambientale esistente, permetteranno di monitorare, prevenire ed eventualmente sanare le violazioni dei diritti umani o i danni ecologici prodotti. Nel caso di trasgressioni le imprese dovranno adottare misure atte a mitigare, arrestare o prevenire impatti negativi e potranno essere ritenute responsabili dei danni causati e conseguentemente chiamate al risarcimento.
In tale ampio contesto, si vuole qui approfondire un aspetto che si reputa basilare per la buona riuscita degli intenti che si desiderano raggiungere con tali direttive; in particolare ci si vuole interrogare su come l’attività d’impresa - agendo sul livello di diseguaglianza tra soggetti, ma anche con riferimento all’ambiente in termini di utilizzo di risorse e ricadute negative – possa, se ben manovrata, contrastare le disparità. In particolare risulta interessante indagare su come il governo di impresa rappresenti un tema di approfondimento in termini di giustizia sociale. Questo aspetto rischia però di essere incompreso qualora si consideri il governo aziendale esclusivamente basato sul concetto di efficienza (e non anche sul concetto di efficacia che per sua natura abbraccia temi che vanno ben oltre il semplice utilitarismo economico-finanziario) dove non possono trovare posto i presupposti su cui si basa la giustizia sociale.
Cerchiamo di fare chiarezza: un sistema aziendale, in quanto presente su un determinato territorio, si incardina in uno specifico contesto ambientale, giuridico, sociale; quindi una delle prime analisi che l’azienda effettua nella fase iniziale previsionale, in fase cioè di business plan, è sicuramente l’esame del territorio e delle normative alla ricerca del miglior rapporto tra opportunità, diseconomie e rendimento del capitale. Quindi un esame preventivo circa la libertà di accesso alle risorse espresse in termini di disponibilità di capitale finanziario, umano, sociale, di diritti di proprietà e di uso. Tali elementi di analisi prodromica sono alla base delle concrete possibilità di svolgimento dell’attività da parte dell’azienda in quanto la distribuzione del reddito tra i diversi fattori della produzione, dipende anche e soprattutto dalle condizioni socio-politiche, organizzative e di mercato presenti su un determinato territorio ed in un determinato momento. Pertanto le condizioni presenti definiscono ed influiscono sulle scelte strategiche aziendali; il tutto, se ci si sofferma un attimo, ci aiuta a comprendere il fenomeno delle delocalizzazioni aziendali verso Paesi in via di sviluppo dove, essendo spesso del tutto inesistente ogni forma di garanzia dei diritti, le aziende possono muoversi liberamente ed in modo spregiudicato.
Connesso a tali aspetti c’è poi quello relativo all’imposizione fiscale, anche essa rappresenta una delle variabili che determinano le scelte strategiche dell’impresa. Quest’ultima in particolare è molto sensibile alle politiche di redistribuzione reddituale in quanto è attraverso la politica fiscale che si attuano le modalità di tassazione dei contribuenti e si garantiscono le misure di benessere sociale attraverso sussidi e trasferimenti. In ultima istanza una delle variabili più attenzionate sarà il reddito effettivo netto, cioè disponibile dopo l’imposizione, che residua per ogni singolo contribuente che sia consumatore e quindi elemento della componente aggregata della domanda di beni e servizi, sia produttore e pertanto componente dell’offerta di beni e servizi.
L’approccio della responsabilità aziendale si presenta quindi necessario, in questa fitta rete di connessioni, per indagare sulla filiera produttiva e sulle sue ricadute in termini ambientali, sulle politiche sociali e retributive poste in atto dall’impresa per escludere comportamenti che violino il giusto compenso retributivo, attraverso pratiche di sfruttamento dei singoli addetti, e le norme di diritto sindacale e del lavoro necessarie per garantire la sicurezza e l’igiene dell’ambiente lavorativo, per verificare la tutela del diritto dei minori a non essere utilizzati come forza lavoro, e per contrastare ogni forma di emarginazione di genere, di etnia, di religione, di inclinazione sessuale. Sarà inoltre importante vigilare sul rispetto delle norme sulla concorrenza del mercato per evitare comportamenti che utilizzino politiche dei prezzi aggressive, sfruttamento sotto costo di materie prime e pratiche di corruzione per ottenere vantaggi e benefici amministrativi e/o politici.
In sintesi si auspica che il controllo della responsabilità sociale dell’impresa possa essere un primo passo per provare a coniugare l’attività aziendale con la giustizia sociale, provando cioè ad uscire da un mero concetto utilitaristico di efficienza (con tutte le ricadute negative in termini di incontrollato sfruttamento dei fattori della produzione) e cercando di ampliare lo sguardo e l’analisi verso forme di ampia efficacia che permettano cioè il raggiungimento di fini sociali, ambientali, giuridici, politici, basati sull’equità sociale. Posto in questo ambito risulta abbastanza evidente come il governo di impresa, attraverso questa nuova prospettiva, possa divenire oggetto di indagine e di concreta garanzia di politiche per la giustizia sociale e l’equità che tendano a contrastare le disuguaglianze pur nel rispetto delle strategie di efficacia aziendale.
A ben vedere questa impostazione non fa altro che potenziare i principi già esistenti nel concetto di economicità aziendale per i quali l’azienda, come organismo vivente complesso, costituito essenzialmente da esseri umani, ha come finalità l’equilibrio di tutte le risorse impiegate e la loro equa retribuzione e distribuzione, per poter garantire la sua sopravvivenza nel tempo. Ma ci si domanda: di fronte allo sfruttamento incontrollato di persone, materie prime ed ambiente potrà l’azienda sopravvivere nel futuro, nel tempo? E gli esseri umani in questo contesto, dove di collocano? La partita si gioca su una riflessione molto più ampia dove fare impresa non è un processo fine a sé stesso, ma è piuttosto una modalità attraverso la quale si esprime la creatività, la tenacia, la capacità umana che deve avere come primo presupposto il benessere condiviso e la speranza di futuro, per tutti.