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Santa Maria extra moenia ed il suo Battistero ad Antrodoco.

 


 06-02-2021

                                                                                                                       Santa Maria extra moenia ed il suo Battistero ad Antrodoco

        Provenendo dalla Salaria, se si percorre la via parallela, che passa per il piccolo borgo sul Velino, dal nome appunto di Borgovelino, ci appare il maestoso complesso della chiesa di Santa Maria extra moenia ed il suo Battistero.
È situata al centro del grandioso prato con alle spalle la parte cimiteriale e le montagne dell’Appennino abruzzese con l’austero Monte Giano e Monte Nuria.
Sono evidenti i rifacimenti fatti nel passato.
       Edificata sembra nel V secolo, costituiva un punto di riferimento per i Cristiani della valle, guidati da Severo che presumibilmente fu il suo primo parroco, come ricorda Gregorio Magno nei suoi scritti.
Nella primitiva chiesa sono stati utilizzati materiali presi dagli edifici di epoca imperiale: colonne, capitelli, cornici di marmo, lastre sepolcrali; una seconda fase di lavori tra l’ottavo, il nono ed il decimo secolo, è riconoscibile grazie a frammenti scultorei, murati sia all’esterno che all’interno della chiesa. Risale invece al 1051 l’atto ufficiale della rinascita della medesima e si fa menzione della stessa in due bolle papali: l’una con Anastasio IV e la seconda col Papa Lucio Terzo. Nel frattempo, essendo costruita una nuova chiesa all’interno delle mura nell’abitato di Antrodoco, Santa Maria assume la denominazione di “extramoenia“ cioè fuori le mura per distinguerla dall’altra. La facciata è a capanna semplice, asimmetrica per la presenza del campanile; al centro di essa c’è un elegante portale proveniente forse da una chiesa aquilana, ornato di colonnine lisce e tortilì, in cima due sculture di animali ed un tralcio di uva con due uccelli che beccano gli acini.
        Al centro campeggia l’“agnus dei“ con una croce, vessillo di vittoria. Alzando gli occhi, vediamo il bel campanile con monofore centinate, bifore, trifore, con l’inserzione di mattoni rossi ed anche un eccellente affresco che ricorda la figura del Cristo “pantocrator“ sulla parete che dà sulla Via Salaria. L’abside, piccolo esempio di costruzione romanica, è ispirata ai modelli benedettini, ed è di forma semicircolare con tre monofore, ed una finestrella a forma di croce per l'illuminazione.
Le tre finestre vogliono richiamare i misteri fondamentali della fede cristiana: la Trinità e il mistero pasquale di Cristo  Nell’interno l’edificio è a tre navate; nella parte destra ci sono due porticine che facevano parte di un pulpito più ligneo che marmoreo mentre nella parte sinistra ci sono colonne sormontate da semplici blocchi di pietra.
        Gli affreschi sono molti ma ridotti in pessime condizioni: si notano figure di profeti, il Cristo giudice e salvatore, tondi con figure di pontefici e “velarium” decorato con animali e piante. Ci sono poi l’affresco con la Santa Vergine, quello di Santa Caterina d’Alessandria, quello di San Giovanni Battista, quello con il matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, quello con il Cristo in gloria e molti altri, di cui alcuni databili. Accanto alla Chiesa si trova il Battistero, un edificio a pianta esagonale, collocato nella parte destra della medesima; molti studiosi hanno rilevato una particolare originalità, sia per la collocazione sia per la struttura, sia per i suoi affreschi.
Sono rari i battisteri a pianta esagonale. Ce ne sono alcuni nella zona Nord-centro-adriatica; forse anche questo proviene da modelli adriatici arrivati dalla Salaria fino ad Antrodoco.
Il Battistero antrodocano rappresenta una rarità e potrebbe risalire all’epoca paleocristiana: forse fondato dal presbitero Severo che divenne anche Papa, anche la sua porticina laterale, ben visibile all’interno, non ha neppure traccia all’esterno, quindi è difficile datare il tutto.  Il numero dei lati va rintracciato nei testi biblici: Dio creò il mondo e l’uomo in sei giorni, anche Sant’Agostino interpreta così i brani biblici e così via.
Questo edificio divenne in seguito un oratorio frequentato dalla Confraternita di San Giovanni Battista ed, entrando, si scopre che tutte le pareti erano ricoperte di affreschi.
        I più recenti restauri hanno ripristinato gran parte delle immagini, alcune databili alla prima metà del 400, altri nel 500 come La Fuga in Egitto, La Strage degli Innocenti, Il giudizio di Erode, Le storie del Battista, Il battesimo di Cristo, Il giudizio finale, Cristo giudice, San Michele, le rappresentazioni dell’Inferno e del Paradiso, San Giovanni Battista e la pietà, l’affresco dei Santi, Santa Caterina d’Alessandria, San Martino, Santa Lucia, Santa Apollonia e Santa Margherita, San Cristoforo, San Leonardo e San Giuliano, la crocifissione e la salita al Calvario; gli altri due attribuiti a Bartolomeo Torresani, importante pittore dell'epoca.
        Al “Maestro di Antrodoco“ l’anonimo artista del Trittico si deve l’opera più importante della decorazione ad affresco del Battistero, forse commissionata dalla Confraternita di San Giovanni Battista, pertanto egli merita di essere ricordato anche se a volte emerge la sua limitata capacità nella prospettiva e nelle proporzioni. Guardando entrambi gli edifici, si nota alla sinistra del portale della Chiesa una colonna sormontata da una sfera metallica con una lapide: esse ci ricordano che ci troviamo presso l”Umbilicus Italiae”, “Centro d’Italia”, titolo attribuito dai cartografi al paese nel passato.


Emanuela Scarponi

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06 Febbraio 2021

Gonarezliou National park in Zimbabwe

 


24-01-2021                                                                                                                          Gonarezliou National Park, the elephant refuge in Zimbabwe 

 

           In Eland kingdom, about 150 kilometres from Mutare, near Chimanimani village, along the slopes of the Nyamzure hill (commonly called Pork Pie Hill, Hill of the Pie Pie), there is the Chimanimani Eland Sanctuary & Nyamzure, where many specimens of alkine antelope are used to live. Extraordinary powerful and majestic animal, the eland is the largest antelope in Africa: it has a light brown coat, can weigh up to 600 kilograms and 2 meters tall. The park, 8 square kilometres large, is also inhabited by jumping antelopes, duikers, swamp cobe, zebras and baboons and is also a paradise for botanists, with giant ferns, orchids and six varieties of proteins.
Gonarezliou National Park is the elephant refuge.
           The name means "elephant refuge", because more than 7,000 pachyderms lived in the 5,000 square kilometres Gonarezliou National Park, covered by trees and savannah. The connection with the etymology may not be so evident. Starting from the 70s, in fact, the delicate and precious ecosystem of the park was tested and largely compromised by the reckless action of unscrupulous people: by the Mozambican guerrillas, for example, who used it as a source of fresh meat supply, or by the groups of poachers, looking for ivory, the white gold paid at a very high price.
           Between 1990 and 1994, a terrible drought swept the country: a lot of Loxodonta Africana - whose this area was so populated that Harare government did not subscribe the international ivory bloc- died of thirst and destroyed the few areas with water and food. It was only with Ele-evacuation - operation availed of a loan of $ 20,000, the surviving specimens could be saved: the 750 surviving elephants were asleep and transferred to protected areas (essentially converted farms to wild conditions).The park was then reopened in the late 1990s and the elephants today are among the largest number in Africa.

Emanuela Scarponi

 

 

 


Traduzione

Nel regno degli Eland

A circa 150 chilometri da Mutare, nelle immediate vicinanze del paesino di Chimanimani, lungo i versanti dell'altura Nyamzure (chiamata comunemente Pork Pie Hill, Collina del Pasticcio di Maiale), si apre il Chimanimani Eland Sanc tuary & Nyamzure, dove vivono numerosi esemplari di antilope alcina. Straordinario animale, possente e maestoso, l'eland è l'antilope più grande di tutta l'Africa: ha il mantello marrone chiaro, può raggiungere i 600 chilogrammi di peso e i 2 metri di altezza. Il parco, che si estende per 18 chilometri quadrati, è abitato inoltre da antilopi saltatrici, duiker, cobi di palude, zebre e babbuini e costituisce un paradiso anche per i botanici, con felci giganti, orchidee e sei varietà di protee.
Il Gonarezliou National Park è il rifugio degli elefanti. Il suo nome significa “rifugio degli elefanti”, perché nei 5.000 chilometri quadrati di alberi e savana del Gonarezliou National Park vivevano fino alla metà del secolo scorso più di 7000 pachidermi. A dire il vero, però, a leggere la sua storia negli ultimi decenni, il collegamento con l'etimologia può non risultare così evidente. A cominciare dagli anni 70, infatti, il delicato e prezioso ecosistema del parco venne messo alla prova ed in gran parte compromesso dall'agire sconsiderato di gente senza scrupoli: dai guerriglieri mozambicani, ad esempio, che lo utilizzarono come fonte di approvvigionamento di carne fresca, o dai gruppi di bracconieri affamati di avorio, l'oro bianco tanto ricercato e pagato ad un prezzo salatissimo. A questo si aggiunse, tra il 1990 e il 1994, una terribile siccità in tutto il paese: i Loxodonta Africana, questo è il nome della razza che contava nel paese numerosissimi esemplari talmente numerosi che il governo di Harare non reputò necessario aderire al blocco internazionale dell'avorio - in gran parte morirono di sete e distrussero le poche aree che offrivano acqua e cibo. Fu solo con quella che venne definita l'operazione Eieevacuazione, avvalsasi di un finanziamento di 20.000 dollari, che gli esemplari superstiti poterono essere salvati: i 750 elefanti sopravvissuti vennero addormentati e trasferiti in aree protette (essenzialmente fattorie riconvertite a condizioni di natura selvaggia). Il parco venne poi riaperto alla fine degli anni Novanta e gli elefanti che oggi lo abitano sono fra i più grandi dell'Africa.

 

 

 

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24 Gennaio 2021

Diritti umani in Africa

 

20-01-2021


                                                                                                                                                       Diritti umani in Africa

        L'Africa è diventata di attualità in Italia a causa dell'immigrazione clandestina improvvisa che ha suscitato molteplici problematiche in tutto il Paese e in tutta Europa. È un fenomeno assolutamente nuovo rispetto agli anni in cui tutti noi ci interessavamo di questo Continente per motivi di studi.
        Tra i vari diritti non meno importante degli altri è il diritto all'informazione, senza il quale non si riesce ad avere contezza di quello che questo Continente porta con sé. Questo diritto all’informazione deve essere quindi considerato pienamente un importante filone che la stampa deve promuovere e sviluppare per dare voce all'Africa.
         L'Africa è gigantesca. E la carta geografica che ci accompagna sempre ne dà conto con tutti i suoi confini politici e fisici. In questa maniera riusciamo ad avere un'idea anche dell’immensità di questa terra e della piccola Italia situata nel Mediterraneo, in contatto con tutto il Nord Africa, e quindi punto di approdo per molteplici persone che scappano e fuggono da molti Paesi in guerra. Ecco l'importanza di riportare le problematiche di questi Paesi ma al contempo di evidenziare i valori positivi che questi Paesi portano con se'.
         Purtroppo non arrivano notizie positive da questo Continente che, in realtà, agli occhi di coloro che lo conoscono offre grandissime bellezze, oltre che naturali anche storiche, che appartengono alla storia dell'Uomo. Sappiamo tutti che l'Uomo nasce in Africa dai ritrovamenti paletnologici effettuati. Sappiamo che nell'antichità esisteva la cultura afro-romana e la conoscenza e la cultura mescolatesi hanno dato vita ad una nuova cultura mista. Questo è alla base di tutti gli incontri/scontri nella storia del mondo. Da qui la decisione di cominciare a scrivere su queste tematiche.
        Quanto al tema di oggi, che tratta dei diritti umani in Africa, ecco appunto il collegamento con la stampa: da molti Paesi non riceviamo informazioni. Da qui l'esigenza di individuare persone provenienti da vari Paesi dell'Africa, che possano fornirci informazioni dirette di quanto succede realmente. A tale iniziativa debbono essere affiancate conferenze che possano dare l'opportunità di comprendere a fondo il perché di tanti accadimenti, per esempio del perché esiste il fenomeno dell'immigrazione clandestina, del perché le persone rischiano la vita, attraversando prima il deserto del Sahara, poi cavalcandole onde del Mar Mediterraneo su mezzi di fortuna, che spesso causano terribili naufragi e la morte di questi disperati, pur di arrivare in quella che considerano la terra promessa, cioè l'Europa, dove c'è la ricchezza e dove si può vivere bene.
        Arriviamo quindi a trattare il tema dei diritti umani in Africa: il problema della fame, delle guerre, della distruzione di massa e così via.
      Nella scuola italiana si studia la storia della schiavitù. Ho fatto un punto fermo sulle date in cui questi fenomeni nel mondo hanno fine: la schiavitù finisce in America nel lontano 1865, ed è veramente folle pensare che fino a 150 anni fa ci fossero persone che venivano incatenate e trasportate per farne degli schiavi.
      Ovviamente questi uomini, nati schiavi, si sono poi riscattati e successivamente sono diventati uomini liberi, fino ad arrivare al grande momento in cui il Presidente degli Stati Uniti d'America è un nero, un uomo di origine africana. Penso che questo sia stato un grandioso momento nella storia dell'umanità. Gli Stati Uniti sono arrivati a questo importantissimo evento, che resterà sui libri come il più grande momento della storia americana e mondiale.
     Questa è la motivazione per cui nasce la rivista scientifica Africanpeople, che conta sull'ausilio di appassionati ed esperti d'Africa, per cercare proprio di garantire informazione, che non deve essere di parte. Anche grazie ai mezzi informatici, oggi è, infatti, possibile garantire notizie.
      Quindi credo che questo sia il momento di invertire il punto di vista e di voltare il nostro sguardo verso il Mar Mediterraneo per comunicare con persone in grado di gestirsi. Ci sono stati dei momenti in cui i diritti umani sono stati violati perché appunto era difficile raggiungere questi Paesi, per motivi naturali (cioè per gli ostacoli naturali come il deserto, la foresta pluviale, eccetera), ma soprattutto per assenza di collegamenti per cui l'Africa è stata considerata da sempre "terra di nessuno".
     Oggi vi è la globalizzazione che vede tutti collegati tramite Internet: questo è un mezzo di comunicazione che, se usato bene, ha dell'incredibile e ti conduce dall'altra parte del mondo nel giro di un secondo. Questo permette la comunicazione anche in Africa.
Per cui credo che sia opportuno che l'Italia si metta a guardare l'Africa positivamente per creare un ponte, o rapporti culturali e di cooperazione allo sviluppo in questi Paesi, che chiedono solo di essere ascoltati. In Italia non tutti parliamo la lingua inglese, ma in questi Stati tutti comunicano in doppia lingua, sia quella degli ex colonizzatori che la loro. Quindi è arrivato il tempo di superare il pregiudizio e cambiare l'idea che abbiamo di questo Continente.
Emanuela Scarponi

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20 Gennaio 2021

La Dama bianca della Namibia

 

13-12-2020


                                                                                                                                                 La Dama bianca della Namibia


       La Namibia, che ha recentemente raggiunto l'indipendenza, non può essere trattata distintamente dal Sud Africa, da un punto di vista storico, geografico ed etnico. Particolarmente attraente e misteriosa appare la cosiddetta White Lady, una delle più affascinanti pitture rupestri dei San, conosciuti da noi come Boscimani, la più antica popolazione dell'Africa australe. In passato, la Dama Bianca ha suscitato molte controversie e sono state formulate numerose teorie contrastanti per spiegare la sua presenza nel Brandberg. Tra le figure umane emerge chiaramente differente una figura umana di pelle bianca, che 1.800 anni fa, data cui sembra risalire la pittura rupestre, non era possibile riscontrare nell'area. Nel Brandberg si contano circa un migliaio di pareti rocciose dipinte, per un totale di oltre 45.000 figure, soprattutto di uomini e animali. Il complesso pittorico della Dama Bianca si trova in una grotta chiamata "Maack Shelter" ("rifugio di Maack") dal nome del cartografo che per primo trovò il dipinto in epoca coloniale tedesca. Il complesso pittorico della Dama Bianca comprende numerosi soggetti, sia umani che animali (probabilmente orici) e misura approssimativamente 5,5 x 1,5 m. La Dama Bianca (in inglese The White Lady, in tedesco Weisse Dame) è un celebre dipinto rupestre situato in Namibia, sui monti Brandberg, nella zona del Damaraland. L'archeologia moderna attribuisce in genere il dipinto ai Boscimani (San), ma altri dettagli della sua origine non sono noti.
        Il dipinto si trova nel cuore del Brandberg, grosso modo sulla strada fra Khorixas e Henties Bay, nei pressi della cittadina di Uis. Il sito è raggiungibile solo a piedi, al termine di un percorso di circa 40 minuti che segue una stretta valle nota come Gola di Tsisab (Tsisab Gorge. Il dipinto venne scoperto nel 1918 dall'esploratore e topografo tedesco Reinhard Maack, che stava cartografando il Brandberg per conto delle autorità coloniali tedesche. Maack fu impressionato dal disegno, e ne fece diverse copie, che in seguito inviò in Europa. Egli descrisse la figura con l'arco come un "guerriero", e annotò nei suoi appunti che "lo stile mediterraneo ed egizio di queste figure è sorprendente". Nel 1929, gli appunti di Maack giunsero nelle mani dell'abate francese Henri Breuil, antropologo e archeologo (ricordato tra l'altro per i suoi ritrovamenti nelle grotte di Lascaux), che era in visita a Città del Capo.
Sulla base dei disegni di Maack, Breuil osservò che il dipinto aveva forti analogie con alcune figure di atleti ritrovate a Cnosso, e suggerì che potesse essere opera di un gruppo di coloni provenienti dal Mediterraneo orientale. Fu ancora Breuil a interpretare il soggetto del dipinto come "dama", lettura da cui deriva il nome attuale con cui l'opera è nota. Breuil riuscì a visitare il sito nel 1945, e negli anni successivi pubblicò le sue osservazioni e congetture prima in Sudafrica e poi in Europa.
        Il lavoro di Breuil diede origine a una serie di teorie che attribuivano il dipinto a una misteriosa presenza di popoli di origine europea o mediorientale in Namibia in tempi antichi. Alcuni autori sostennero in particolare che esso poteva risalire a un'antica colonia fenicia, teoria che è stata ripresa anche da autori recenti come lo storico zulu Credo Mutwa. Nella seconda metà del XX secolo la maggior parte delle teorie sulle influenze mediterranee nello sviluppo dell'Africa subsahariana vennero gradualmente abbandonate. La paternità del dipinto della Dama Bianca venne quindi attribuita più semplicemente ai boscimani (che popolavano l'area fin dalla preistoria, e a cui erano già stati attribuiti in modo meno controverso gli altri dipinti del Brandberg e l'arte rupestre presente in altri siti del Damaraland, come Twyfelfontein).
Alle diverse teorie sulla paternità dell'opera sono state associate nel tempo ipotesi molto diverse sulla sua datazione. L'analisi cromatografica ha determinato che il dipinto non può avere meno di 1800 anni, in quanto risulta totalmente privo delle proteine originariamente presenti nei pigmenti utilizzati per dipingerlo. Si ritiene che il gruppo della Dama Bianca rappresenti complessivamente una danza rituale, e che la figura predominante - la "Dama" - sia in realtà uno sciamano.
Lo sciamano indossa coperture decorative alle braccia, ai gomiti, alle ginocchia, al bacino e al petto, e forse anche un indumento decorativo al pene. In una mano regge un arco, e nell'altra quello che potrebbe essere un sonaglio o una specie di calice. Tutte le altre figure umane indossano qualche tipo di calzatura, e uno degli orici è stato rappresentato con gambe evidentemente umane. Un'altra interpretazione è che la Dama sia un giovane col corpo cosparso d'argilla bianca secondo una procedura rituale, forse connessa alla circoncisione.
       I materiali usati per realizzare il dipinto sono probabilmente quelli tipici della pittura boscimane, ovvero principalmente polveri di pietra ferrosa ed ematite, ocra, carbone, manganese, e carbonato di calcio, miscelati con bianco d'uovo e altri liquidi di origine organica come aggreganti. Tutto il complesso pittorico ha subìto un notevole deterioramento dai tempi del suo ritrovamento. In passato, i turisti talvolta bagnavano la roccia per far risaltare meglio i colori nelle fotografie, e l'immagine si è rapidamente sbiadita. Oggi l'intero sito è un'area protetta, con lo status di "patrimonio nazionale" della Namibia, e può essere visitato solo insieme a guide autorizzate.
Emanuela Scarponi

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13 Dicembre 2020

La danza e la marimba

02-12-2020
                                                                                                                                               La danza e la marimba
     Attualmente vi sono molti complessi africani che trasferiscono anche sui palcoscenici di città di tutto il mondo le proprie esperienze musicali, anche se la tradizione continua, inalterata e genuina, in tutti i Paesi del grande continente africano. I Namib Marimbas sono un gruppo musicale della Namibia. Tutti i componenti del gruppo dei Marimbas provengono dall'Odjupa Art-Creation & Music CC. Alcuni di loro sono ancora studenti: provengono da Walvis Bay e Swakopmund, altri studiano o lavorano a Windhoek, la capitale della Namibia. I Marimbas namibiani operano nel Dipartimento musicale statale sotto la direzione di Ferdinand Hengombe e del suo assistente, Anrich Geingob.
     Nelle tradizioni popolari di tutti i Paesi e popolazioni del mondo la danza, così come il canto, rappresentano un momento importante di socializzazione e di celebrazione. Danza e canto, a loro volta, sono intimamente legati all'uso degli strumenti musicali. In Africa, fin dai tempi più remoti, la danza, insieme alle altre espressioni di musicalità dei popoli africani, ha avuto molte funzioni: da quella di accompagnare cerimonie religiose a quella di festeggiare particolari avvenimenti (matrimoni, nascite, cerimonie di iniziazione, feste per il raccolto, conflitti eccetera) ed è stata praticata anche nei villaggi più sperduti e nascosti tra le immense foreste o gli altipiani. La musica gioiosa è piena di energia prodotta dalla marimba infatti ha le sue radici nella musica dello Zimbabwe e del Sud Africa.
    I modelli ripetitivi caratteristici producono melodie e ritmi che insieme evocano emozione e divertimento nel cantarli. Lo studio di questo unico stile di musica offre molti benefici, ivi incluso una forte focalizzazione del ritmo, della capacità di ascolto e di riproduzione. Le basi sono facili da imparare, quando le bacchette sono grandi e sono battute da un martello di legno. Una volta che le conoscenze di base sono apprese, i pezzi possono essere abbelliti ed arricchiti per creare ritmi interscambiabili, melodie che rendono divertente suonare, riprodurre e ascoltare la musica. Mentre si studia questa musica, si prende coscienza di una cultura e del suo popolo. Alcuni pezzi suonati con la marimba sono basati sulla musica mbira. Questo strumento è molto antico e appartiene alla tradizione Shona. È composto di una tavola di legno sonante che si tiene mano alla quale sono attaccate bacchette di metallo, ed è suonata dentro una grande zucca per l'amplificazione. Molta della musica suonata con questo strumento è stata a lungo utilizzata nelle cerimonie tradizionali. Recentemente è stata utilizzata anche per intrattenimento, e molti pezzi tradizionali sono stati arrangiati per la marimba o altri strumenti. I ritmi tendono ad essere complessi, ed il sentimento dei canti va dal meditativo e triste in crescendo fino all'esuberante.
Emanuela Scarponi

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02 Dicembre 2020

Il Festival dell'Oriente di Roma


04-11-2020

                                                                                                                                                                                                                  Il Festival dell'Oriente di Roma

      Il Festival dell'Oriente di Roma si tiene ormai per tradizione presso la Nuova Fiera di Roma ed ormai la sua fama è diffusa in tutta Europa. E' organizzato da Federico Nicolini. L'avventura inizia nel 2017 e si rinnova negli anni, fino ad inizio pandemia. Ormai e un appuntamento fisso nel mese di aprile e si allarga sempre più, ampliando sempre di più padiglioni e mondi da rappresentare.
      Il Festival dell'Oriente, ricco di molteplici realtà, culture e tradizioni variegate, ha luogo presso i padiglioni della Nuova Fiera di Roma. All'interno dei padiglioni sono situate le sale conferenze 1 e 2, atte a divulgare molteplici materie e sono messe a disposizione dei conferenzieri, esperti d'Oriente. Il Festival, per addetti ai lavori, presenta comunque molte attrattive anche per i non esperti, ed ospita molteplici e meravigliosi balletti folcloristici orientali, danze e spettacoli di attori e danzatori che si esibiscono sul palco.                L'accesso agli spettacoli è gratuito. Si trascorre una giornata intera immersi nel mondo d'Oriente, con sapori, colori, tessuti, profumi, racconti e filosofie, totalmente differenti dai nostri.
Si percepisce che è per addetti perché gli standisti parlano solo inglese e non hanno biglietti da visita o riferimenti vari. Quindi il Festival d'Oriente, tipo l'Expo, schiude una porta verso nuovi mondi, che cominciano ad aprirsi ai nostri mercati occidentali. Vi fanno da padrone Cina, India e Giappone che sovrastano la scena nello spazio antistante dell'enorme padiglione che il visitatore si trova davanti. Molti sono i visitatori ma si circola facilmente all'interno, percorrendo lunghi e grandi viali, sospesi da terra, che li collegano gli uni agli altri, come in una moderna città occidentale.
      Ancora al suo esordio, il Festival dell'Oriente si sta mano a mano sviluppando, arricchendosi di aspetti culturali e folcloristici. Malgrado sia ancora di nicchia e relegato ad un angolo della città di Roma, l'auspicio è che presto possa tornare a rappresentare con estrema freschezza e spontaneità gli aspetti più variopinti del mondo orientale e non solo.

Emanuela Scarponi

 

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04 Novembre 2020

Incontro con i San nel deserto del Kalahari

 

21-10-2020


                                                                                                                                  Incontro con i San nel deserto del Kalahari
        Prima colazione e partenza verso la più grande massa di sabbia della Terra, il Kalahari Desert. I Boscimani lo chiamano Anima del Mondo, un modo caloroso ed emotivo per descrivere queste terre sconfinate abitate da una varietà incredibile di antilopi, piccoli mammiferi, insetti e rettili che rendono il deserto del Kalahari un ecosistema speciale e unico. Pranzo in corso di viaggio, cena e pernottamento al Aoub Lodge; serata tranquilla: assistiamo ad una matrimonio tra due coloured...si chiamano così gli appartenenti ad una etnia mista, tra i misti! Un'altra etnia, una via di mezzo tra bianchi e neri....e sì che sono strani....
Al mattino, arrivo e trasferimento allo Zebra lodge. I compagni di viaggio partono ed io, che non ho resistito al fascino dell'Africa, resto nel deserto del Kalahari per incontrare i San.... !!!
     I componenti del gruppo scendono dal camion per un ultimo saluto prima di ripartire. Io ed il cameraman, veniamo prelevati da una jeep per scomparire dopo breve dietro un cancello del nulla, situato nel mezzo della sabbia rossa del deserto del Kalahari e  scomparire.....dietro la collina.
      Il richiamo per me è troppo forte....voglio incontrare quelli che sembra siano i più antichi Uomini del mondo...e presto accadrà. Una volta depositate le valigie in questo splendido lodge, mi precipito per incontrare i pochi uomini San rimasti vivi al mondo...
Improvvisamente dal nulla appaiono sei giovani San, ricoperti solo da una gonnellino poggiata sui fianchi fatta di pelle di antilope.... resto esterrefatta....
Sono veloci, istintivi, attenti, intelligenti, muniti di un bastone con cui solo soliti cacciare..... raggiungono il lodge..... Assieme a loro il traduttore di lingua click-inglese!!! Salutano, parlano, si presentano.....non so più cosa fanno: ....cantano, parlano, suonano, guardano.....perdo il senso della razionalità.... mi emoziono...li guardo esterrefatta!
     Non so più se guardarli o ascoltarli...resto immobile a guardare i loro volti...simili ed al contempo diversi dal mio di donna moderna......ma c'è di più... Sono creature meravigliose...non sono molto alti; anzi.. Sono uomini in miniatura e vivono di caccia, come l'Uomo viveva in natura; sono dotati di una saggezza antica, tesa alla sopravvivenza nel deserto, e così di padre in figlio oralmente hanno tramandato la loro cultura, e miracolosamente sono arrivati fino a noi, mantenendo un aspetto arcaico, un po' differente dal nostro.
     Infatti, al nostro incontro ridono....perché la differenza non è poca. Inoltre sanno di sembrare molto più giovani di quello che in realtà sono... sembrano avere il dono della giovinezza. Sembrano tutti adolescenti. Mentre non è così ed il loro capo di 34 anni ha il volto triste. Poi gli chiedo il perché di un tatuaggio che prontamente fotografo sul suo braccio: ha lasciato sua moglie e suo figlio al villaggio e ne sente la mancanza. Così ha si è fatto il tatuaggio ed ha portato sua moglie con sé.
     Io ho imparato a parlare con lui con il mimo. Ho messo la mano sul cuore mostrando il battito....per esprimere il sentimento di amore e ho indicato la statura di un bambino.... ha capito perfettamente il mio mimo.... e mi ha sorriso....ebbene si!
Sono riuscita ad entrare in contatto con loro e ad avere il loro rispetto....ora possiamo interagire alla pari.... Talmente emozionata, ho immortalato con più scatti che potevo le loro voci, i loro visi, i loro gesti mentre ho lasciato la telecamera fare il suo lavoro coadiuvata dal treppiedi un po' sbilenco. Non ho mai visto niente di simile. Pongo ulteriori domande attraverso il traduttore - per la prima volta nella mia vita - e mi sembra di parlare ai miei antichi progenitori....ascolto e guardo il traduttore in attesa che i loro suoni siano tradotti in inglese. E' molto difficile ripetere i sette suoni che sono alla base della loro lingua: in un intervallare di sensazioni ed emozioni.
    Se io sono qui è grazie a loro, penso dentro di me!!! Chiedo se vogliono vivere all'Occidentale. Mi dicono che non hanno più scelta. Non possono più cacciare. Allora ne deduco che i territori sono tutti privatizzati e divenuti proprietà delle farm. Ma ho intervistato nel merito il Presidente della Repubblica Sam Nujoma il giorno successivo all'incontro ed il Ministro dell'economia del Governo della Namibia, due giorni dopo.
Pongo la medesima domanda ad entrambi: lo dovevo ai San ed agli Himba e mi sono fatta portavoce dei loro bisogni presso i loro capi politici. Entrambi sottolineano l'esigenza di mandare a scuola i bambini Himba e San come gli altri e diventare parte attiva della Namibia, in quanto loro nazione. Non devono vivere emarginati, come ora - costoro pensano - dal resto del mondo.
Esiste a sentir loro un problema di tasse! Sembra che debbano pagare le tasse per cacciare. Il Governo namibiano sta fronteggiando tale problema perché i cittadini locali ne pagano troppe!
     Questo problema l'ho già sentito...e stanno prefigurando un sistema di tipo proporzionale: le tasse verranno pagate in base al reddito!
Una fortuna per i San e per gli Himba che come reddito hanno solo le mucche e gli orici...
Onestamente, i punti di vista sono diversi e la situazione è molto complessa. Per me devono essere loro a decidere. Ma questa è la mia umile posizione.
Dono loro con semplicità il mio libro..... non sanno leggere, figuriamoci la lingua italiana, ma sanno guardare le figure....si riconoscono nelle pitture rupestri fotografate....eh sì.
     I San non lo sanno ma sono famosi nel mondo per le splendide pitture rupestri presenti in tutta l'Africa australe da oltre 6.000 anni fa disegnate dai loro antenati. Hanno scritto intere enciclopedie sul mondo animale ivi presente e sugli uomini e le loro tradizioni, abitudini e piante tanto da far diventare inquietante l'interpretazione degli antropologi della famosa Dama bianca della Namibia che ha messo in ginocchio generazioni di scienziati..... Grazie ad essi, sappiamo del processo di desertificazione che ha avuto luogo in Africa. ...non solo.... le pitture rupestri sono vere e proprie opere d'arte....
E così i San ci insegnano a cacciare, a bere, a mangiare, ad avvelenare gli animali ed a nutrirsi... Mimano, suonano, schioccano la lingua, parlano...sono un incanto! Ho registrato tutto. Seguirà un documentario solo ed esclusivamente su di loro. Non sappiamo quanto ancora queste popolazioni sopravviveranno alla civiltà occidentale.
    Mi sento davvero fortunata ad aver avuto la possibilità di incontrarli. Mi hanno detto che è molto importante che si parli delle loro tradizioni e delle loro abitudini.
E così imparano a volermi bene, anche se non sono come loro. Ho espresso il mio desiderio di imparare la loro lingua! Mi hanno risposto che ci vuole tempo e che in tal caso io dovrei vivere un po' di tempo con loro e condividere la vita in un loro villaggio!!!
    Forse un giorno.....In verità, io il salto nel vuoto non sono mai riuscita a farlo...e così inspiro tutto l'ossigeno che posso quando vivo queste realtà e lo trattengo. Sognando l'Africa, per tutto il tempo che mi separa dalla stessa, ricordo spesso tutte le sensazioni provate nel mio percorso di viaggio.
    Un ultimo brindisi al tramonto africano, in cima ad una duna rossa, dopo aver avvistato una coppia di leoni del deserto del Kalahari, mentre riposavano tra la sterpaglia: sono più spettinati degli altri.....e più selvaggi forse a causa dell'ambiente ostile.
Emanuela Scarponi

 

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21 Ottobre 2020

GLI HIMBA, ICONA DELLA NAMIBIA

02-10-2020


                                                                                                                                                                GLI HIMBA, ICONA DELLA NAMIBIA

         Gli Himba sono insediati nella Namibia settentrionale tra il fiume Kunene e il Damaraland, nella regione chiamata Kaokoland, chiusa tra la Costa degli Scheletri, il fiume Kunene, il lago salato dell’Etosha e l'Ovamboland. E’ un’area deserta, in gran parte montuosa, bruciata dal sole, dove leoni, elefanti, zebre, orici, giraffe e struzzi vivono numerosi.
Di origine Bantu e di lingua Herero, scacciati nei tempi passati dagli Ovambo, gli Himba furono costretti a ritirarsi dapprima nel Kaokoland e poi, pressati a Sud dai Khoi, si rifugiarono in Angola, oltre il Kunene, costretti a elemosinare fra le tribù dei Ngambwe. Per questa loro posizione di sottomissione e di povertà furono chiamati “Himba” e cioè “mendicanti”.
Nei primi anni del Novecento, sotto la guida di Vita, figlio di un’importante famiglia Herero, trovarono una loro identità: si ribellarono, attraversarono nuovamente il Kunene e si installarono definitivamente nella parte settentrionale del Paese lasciando che gli Herero si stabilissero a Sud.
            Lasciata Sesfontein, con le donne Herero che si muovono abbigliate con le incredibili e assurde vesti ottocentesche tra gli alberi di mopane, iniziamo il viaggio verso gli Ovahimba attraverso il bosco Himba, senza sapere i chilometri da percorrere per arrivare al campo presso le Epupa Falls, le cascate che segnano il confine con l’Angola. Dopo un giorno di viaggio, al tramonto ci viene incontro un uomo con la lancia in una mano e della cacciagione nell’altra. La paura sopraggiunge, ma il cacciatore ci passa accanto senza degnarci della benché minima attenzione, sta semplicemente tornando al suo villaggio con il suo bottino di caccia.
           Si prosegue il viaggio. La luna è ormai alta nella volta stellata e nitida del cielo, tipica delle notti africane. La leggendaria Croce del Sud si erge luminosa per guidare i viaggiatori nel buio della notte. Vega é visibile bassa sopra l’Orizzonte, forse per ricordare a noi instancabili viaggiatori che non esistono confini nel ricercare la vita e l’amore, nelle molteplici forme e sembianze in cui si manifestano, sul nostro pianeta come su altri. E questo accade secondo il desiderio, innato nell’Uomo, di arrivare là dove nessun altro é mai giunto prima per ricomporre il puzzle del mistero dell’esistenza, di cui conosciamo ancora oggi solo piccoli frammenti.
D’improvviso, i fuochi rosso-scintillanti delle tribù Himba si intravedono lontani, attraverso gli alberi di mopane che fiancheggiano il letto del fiume sul quale siamo costretti a camminare. Siamo tentati di chiedere aiuto ed il permesso di montare le tende per trascorrere la notte. Ma la paura dell’ignoto è minore di quella di addentrarci a piedi nel bosco. E proseguiamo così il nostro lento cammino. A notte ormai fonda ci imbattiamo nell’ultimo kraal abitato da una famiglia di sei persone, l’ultimo accampamento prima del confine con l’Angola. Vi facciamo campo: siamo alle Epupa Falls.
Non abbiamo sbagliato strada! Altrimenti avremmo incontrato i militari angolani con i kalashnikov... a fermarci…
            Il giorno dopo incontriamo i primi Himba. Ci vengono incontro con molta cordialità una ragazzina di tredici anni e poco più in là tre donne con quattro bambini; diamo loro un po’ di farina e di zucchero e qualche presa di tabacco. Comincio a comunicare con loro a segni e gesti, dato che non parlano affatto Inglese e finiamo per capirci. Poi cominciano a ripetere le mie cantilene di bambina, fuoriuscite d’improvviso.
Amante come sono di collane e di monili dalle più strane forme, lancio occhiate furtive alla meravigliosa conchiglia di strombo che alcune donne indossano tra i seni, e alle loro collane, ai loro perizoma, al colore della loro pelle, ai loro bracciali di rame. Tento di tutto per barattarli... riesco ad ottenere una collana fatta di fango e ferro e un perizoma per bambino, composto da bossoli di fucile, quelli utilizzati nella guerra civile in Angola, ghiande e anellini in ferro, infilati lungo cinque cordoncini di cuoio, legati tra loro da una cinta. Niente conchiglia! Troppo preziosa. Solo poi capisco il suo significato!
            Il mattino seguente, lasciato il kraal, ci avviamo decisamente verso il fiume Kunene. È stupendo l’attraversamento del fondo valle di sabbia color ocra dorata tra montagne che si stagliano lucenti al sole che nasce. Ogni tanto troviamo capanne abbandonate. Non è facile incontrare gli Himba, sono pastori nomadi che si muovono in continuazione alla ricerca di nuovi pascoli per il bestiame. Ancora meno facile è incontrarne in gruppi numerosi, perché vivono divisi in nuclei famigliari indipendenti. Poco prima del Kunene abbiamo un colpo di fortuna: due uomini a un pozzo ci dicono che non molto lontano c’è un altro kraal.
Pochi chilometri ancora di sabbia e savana e finalmente arriviamo in una piana punteggiata di alberi di mopane dove si muovono un centinaio di Himba. Non abbiamo alcuna difficoltà a familiarizzare. Gli Himba che abitano la regione del Kaokoland sono qualche migliaio, forse quattro/cinquemila.
           Cerco di individuare la struttura del kraal sulla base delle informazioni che sono riuscita ad ottenere prima della partenza. Individuo qui il kraal dei vitelli, al centro, e, vicino, il piccolo kraal delle caprette: tutto l’accampamento è circondato da una siepe di rami tagliati e accatastati, con alcune aperture.A destra dell’apertura principale c’è la capanna del capo con il posto per il fuoco sacro, che non sono riuscita a vedere acceso. Ci sono poi il kraal dei buoi e quello delle capre.
Mi fermo davanti ad alcune capanne e scherzo con i bambini; le madri mi sorridono compiaciute; a gesti cerco di dire loro qualche cosa. Prendo un bambino per mano e dietro a me si forma una colonna di altri bambini che saltellano e gridano dalla gioia; alcune mamme mi seguono; incontro una ragazza che porta sulla schiena un piccolo di pochi mesi, avvolto in un pezzo di cuoio, con decorazioni in perline di ferro; mi fermo e le regalo qualche caramella.
Il sole fa appena capolino tra le montagne, le ombre sono lunghe, l’aria è ancora fredda, qua e là vengono accesi dei fuochi; le donne escono dalle capanne. Il silenzio del mattino viene rotto dalle loro voci, mentre vanno verso il kraal delle mucche per la mungitura. Incomincia la vita di tutti i giorni: la battitura del mais, la concia delle pelli, la pulizia delle capanne, i giochi dei bambini, il pascolo degli animali. La loro vita è segnata da un ritmo tranquillo e sereno; talvolta addirittura sonnolento, quando, nella stagione calda, gli ardenti raggi del sole infiammano i campi.
Seguo un gruppo di ragazzi che porta una mandria di mucche ad abbeverarsi a una pozza poco lontano; inizio con loro un lungo colloquio a segni e sorrisi: capisco che vogliono delle caramelle e prometto loro di dargliene un pacco al ritorno al villaggio. Quando rientro, gli ultimi raggi del sole si spengono lentamente; si è alzato un po’ di vento e una leggera polvere si infila fastidiosa nelle narici; le luci dei fuochi punteggiano a vividi colori il kraal; da alcune capanne arriva il canto di una donna; l’ombra di un uomo che rientra dai campi si muove nell’oscurità; la serena quiete della notte avvolge ora l’intero villaggio.
       Lasciamo il kraal al mattino presto. Sono venuti tutti a salutarci. Quando le macchine scompaiono dietro un piccolo dosso, le loro mani sono ancora alzate in segno di saluto…


Emanuela Scarponi

 

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02 Ottobre 2020

Dante e l'Oriente



28-09-2020


                                                                                                                                                               Dante e l’Oriente
      Il nostro viaggio ha inizio presso la caotica Varanasi, con i riti indu attentamente riprodotti nelle mie fotografie e nei video, strappati alla sacralità religiosa: è meta ultima di tutti gli uomini dell’India, ed il Gange punto d’approdo e di partenza delle anime erranti: con le sue rive sembra di entrare letteralmente nel Canto Terzo della Divina Commedia di Dante Alighieri (1304-1321), dove Caronte traghetta le anime erranti da una riva all’altra del fiume Acheronte.
Più vado avanti e più mi imbatto in altri, grandi critici letterari, questi sì, che hanno studiato il rapporto tra Dante e l’India. Ecco i versi danteschi del Purgatorio XXVII, 1-5”...Sì come quando i primi raggi vibra - là dove il suo fattor lo sangue sparse - cadendo libero sotto l’alta Libra - e, l’onde in Gange da nona riarse, - sì stava il sole...”.
     Dante quindi conosceva il Gange, secondo questi studiosi leggendo gli scritti di Alessandro Magno, ma nessun accenno si fa alla cremazione che ha luogo sul fiume Gange. Ora pare improbabile che Dante non fosse venuto a conoscenza dei riti religiosi praticati su questo fiume. Da notare inoltre le date di composizione e pubblicazione delle due opere. Ne nasce una riflessione sui rapporti tra Buddhismo e Occidente.
L’ipotesi più accreditata è che la fonte delle sue conoscenze sull’argomento fosse Alessandro Magno. In Europa le prime notizie sugli usi e costumi degli indiani dell’India e sulla religione buddhista giunsero al tempo delle conquiste di Alessandro Magno (326-323 a.C.), il quale era rimasto molto colpito dall’ascetismo indu. Il periodo d’oro dei contatti tra Oriente e Occidente si realizza, pur in mezzo a terribili crociate, nel XIII secolo: dal francescano Giovanni da Pian del Carpine, che scrisse una Storia dei Mongoli, trattando con molto rispetto i Buddhisti, a Guglielmo di Rubruck, inviato dal re di Francia, sino al famoso Marco Polo, inviato da Venezia, che nel Milione esprime la sua ammirazione per la figura del Buddha.
Ma è talmente forte la verosimiglianza che tutti cerchiamo di darne una spiegazione razionale ed ipotizziamo che il nostro Dante Alighieri si sia invero ispirato a racconti pur traslati dai menestrelli nei castelli medievali di viaggiatori erranti; a notizie ed a testimonianze incredibili, raccolte di villaggio in villaggio legate al viaggio di Marco Polo (1254-1324) in Asia.
Ecco quanto emerge dagli approfondimenti sull’argomento: dopo il primo viaggio del padre Niccolò e dello zio Matteo, durante il quale giunsero alla Corte del Gran Khan, Marco Polo adolescente giunse in Cina con loro, percorrendo la famosa “Via della Seta”. Rimasero in Cina 17 anni, onorati ed investiti di cariche governative. Marco in particolare per le sue missioni ufficiali si spinse nello Yunnan, nel Tibet, in Birmania, in India, lungo tragitti che ancora oggi presentano difficoltà per nulla lievi, anche prescindendo dalle condizioni politiche.
      Il 7 settembre 1298 ritroviamo Marco Polo su una delle 90 navi veneziane sconfitte nella Battaglia di Curzola dai Genovesi. Durante la sua prigionia a Genova, le cronache del viaggio e della permanenza in Asia furono quasi certamente trascritte in francese da Rustichello da Pisa che le raccolse sotto il titolo Devisiment dou monde, poi divenuto noto come “il Milione”.
Come avrebbe fatto Dante a venire in contatto con Rustichello da Pisa e con il Milione di Marco Polo? Forse a Verona?
“...E’ notorio che Cangrande della Scala, come prima suo zio Mastino, acquistò quel nome “Cane” grazie alla notorietà di Kublai Khan e del Gran Khan, potentissimi signori del lontano Estremo Oriente. E’ notorio che ciò avvenne grazie alla diffusione del “Milione” che Marco Polo dettò al novelliere Rustichello da Pisa suo compagno di carcere a Genova e personaggio dal destino ignoto. E’ pure notorio che Cangrande della Scala aprì la propria casa a poeti e artisti, tra cui Dante, e fondò una università di corte dove insegnavano i maggiori letterati dell’epoca...”.
      Non si parla molto della permanenza di Dante a Verona. Eppure fu la sua prima destinazione dopo l'esilio da Firenze. Vi rimase almeno sette anni, scrivendovi parte della Divina Commedia nella quale sono molti i riferimenti alla città e ai suoi personaggi storici dal 1303 al 1304, ospitato da Bartolomeo della Scala, fratello di Cangrande, e dal 1312 al 1318, ospitato dallo stesso Cangrande. In pratica trascorse a Verona quasi la metà degli anni dell'esilio...
Ma forse è solo una suggestione di noi viaggiatori...

Emanuela Scarponi

 

 

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28 Settembre 2020

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