GLI SPIN OFF UNIVERSITARI UN NUOVO MODO DI FARE IMPRESA

di Alessandra Di Giovambattista

19-12-2024

Il termine spin off, di chiara origine anglosassone, può essere tradotto nella nostra lingua in derivato o derivativo, cioè un qualcosa che nasce da un’entità originaria e se ne distacca; ed in effetti in ambito economico-finanziario la traduzione descrive bene la situazione sottostante allo spin off la cui sostanza ci avvicina alla scissione o scorporazione di ramo o settore aziendale. Infatti quando un’organizzazione, una sezione, un ramo d’azienda si separa dall’azienda madre, si crea un realtà nuova, autonoma ed indipendente capace di camminare da sola ed avere prospettive di successo, pur potendo mantenere un legame ed una connessione con la società originaria non solo dal punto di vista produttivo ma anche dal punto di vista della proprietà, attraverso le partecipazioni azionarie. Da quanto detto appare superfluo sottolineare che questa operazione straordinaria di riorganizzazione aziendale richiede attenta valutazione e pianificazione al fine di permettere alla neo struttura di poter operare con economicità, quindi con efficienza ed efficacia, per presentarsi solida sul mercato ed essere competitiva rispetto alle altre realtà presenti nel settore di attività. La scissione può essere regolata in diversi modi: o attraverso la distribuzione ai precedenti azionisti di azioni dell’azienda di nuova costituzione, in modo da diversificare il loro investimento ed ampliare le possibilità di guadagno, oppure mediante la vendita delle azioni della nuova impresa, oppure attraverso la vendita ad un acquirente esterno all’azienda stessa.

Le motivazioni che inducono ad una tale operazione straordinaria sono diverse e si va dall’ottimizzazione delle risorse utilizzate alla creazione di maggior valore a favore degli azionisti, dal desiderio di volersi concentrare in uno specifico settore al voler penetrare un mercato estero con beni e/o servizi innovativi. È tuttavia indubbio che gli obiettivi cardine riguardino la volontà di aumentare il valore delle quote di proprietà degli azionisti, nonché la diversificazione del portafoglio posseduto, attraverso la creazione di un’azienda che svolga attività specifica con un elevato potenziale di crescita e di remunerazione rispetto all’azienda madre; in tal modo attraverso un’unica operazione si dà più respiro e possibilità di sviluppo ad un’azienda nuova, mentre alla casa madre si dà l’opportunità di concentrarsi di più sulle attività originarie, diminuendo la propria esposizione debitoria e recuperando in termini di economicità aziendale. Questo lo si può meglio comprendere con un esempio che può calzare bene per le aziende farmaceutiche (in tale settore diversi sono stati i casi di spin off, tra tutti ricordiamo la separazione di Sandoz da Novartis o di Opella da Sanofi) in cui il settore è assoggettato a forte e costosa innovazione tecnologica e scientifica e dove un processo di scissione conferisce alla nuova entità maggiore flessibilità e focalizzazione rispetto alle soluzioni e ai prodotti fortemente innovativi presenti nel settore farmaceutico e derivanti da attività di ricerca e sviluppo i cui costi sono notevoli e dove si registrano pressioni anche da parte dei rappresentanti politici e delle potenti lobby farmaceutiche.

Tuttavia le operazioni di spin off possono anche essere rischiose; in particolare sempre guardando dal lato dei soggetti finanziatori la scissione potrebbe comportare una diminuzione del valore delle azioni dell’azienda madre, che potrebbe non riuscire a garantire gli stessi risultati registrati prima della separazione - potrebbero ad esempio venire a mancare delle sinergie - oppure la nuova azienda nata dalla scorporazione potrebbe non raggiungere gli obiettivi prefissati. In ambedue i casi il valore complessivo della proprietà aziendale in mano agli azionisti diminuirebbe.

Con riferimento invece alla tipologia di soggetti che intendono effettuare un’operazione di scissione si possono individuare gli spin off aziendali (riguardanti propriamente le aziende pubbliche o private) e gli spin offaccademici (così definiti se fra i soci della nuova realtà produttiva partecipa un ente universitario anche conferendo beni in natura), o anche universitari (così individuati qualora l’università non parteci in qualità di socio all’interno della proprietà). Nel caso delle scissioni aziendali sono coinvolte realtà imprenditoriali, pubbliche o private, mentre nelle operazioni di scorporo accademico o universitario le nuove iniziative produttive nascono negli atenei e negli istituti di ricerca in essi presenti. In tale ultimo caso si creano aziende che provengono dagli studi e dalle conoscenze prodotte nel mondo universitario ed i cui fini sono quelli di valorizzare i ricercatori stessi ed i risultati delle loro analisi, dare delle possibilità ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro e perfezionarsi nella formazione, favorire i contatti tra il mondo della ricerca e della didattica ed il mondo produttivo per sostenere e potenziare i settori che si basano sullo sviluppo e l’innovazione. Il capitale degli spin off universitari è costituito essenzialmente da professori e ricercatori (capitale umano e professionale), dai contributi conferiti da personale tecnico-amministrativo degli atenei, dai collaboratori e anche dagli studenti che intendono parteciparvi e non ultimo dai finanziamenti che l’Unione Europea mette a disposizione attraverso programmi e bandi dedicati. Pertanto i nuovi prodotti e servizi che possono nascere dai risultati della ricerca all’interno del mondo accademico provengono da lavori collettivi svolti da professori, ricercatori universitari, dottorandi di ricerca e titolari di assegni di ricerca.

Possono poi acquisire la caratteristica di spin off anche le società definibili come start up innovative presentandone le caratteristiche e solo qualora prevedano che possano far parte della compagine sociale anche i professori, i ricercatori universitari o l’università stessa. In ogni caso le relazioni istituzionali e commerciali tra le Università e le imprese nate da spin off sono regolate da apposite convenzioni che disciplinano l’uso di eventuali spazi ed attrezzature, la richiesta di collaborazione del personale universitario, il trasferimento di rischi e le modalità per fronteggiarli attraverso la sottoscrizione di apposite clausole o assicurazioni, il diritto di utilizzo o di trasferimento di tecnologie, ed eventuali compensi per il supporto di personale e l’uso di beni universitari. Naturalmente tutto questo nel rispetto della trasparenza e dei diritti di natura commerciale (come il diritto all’uso delle opere dell’ingegno, dei brevetti, degli spazi), escludendo conflitti di interesse o posizioni di vantaggio, dirette o indirette, di alcuni soci rispetto agli altri.

Negli ultimi anni si è assistito ad un sempre crescente livello di innovazione e ricerca che ha portato all’aumento delle invenzioni, specialmente in ambito tecnologico, provenienti dagli studi scientifici prodotti nelle università che hanno poi trovato sbocco direttamente sul mercato produttivo. Pertanto lo spin off universitario si presenta come un prodotto della ricerca scientifica accademica che compie un passo verso il mercato, creando impresa sotto una forma giuridica indipendente dall’ateneo. Tuttavia è stato il decreto legislativo n. 297 del 1999 a definire i soggetti, le modalità, gli strumenti, e le tipologie di attività che possono essere finanziate con la finalità di sostenere l’utilizzo in ambito industriale di ricerche e studi accademici condotti da professori e ricercatori universitari, da dottorandi, e da soggetti beneficiari di assegni per la ricerca. È così che ogni università ha potuto dotarsi di appositi regolamenti atti a disciplinare i rapporti di natura soggettiva o oggettiva che possono instaurarsi tra enti universitari e gruppi di studiosi, incentivando così la creazione di aziende spin off che si staccano dalla casa madre ma che comunque mantengono una stretta collaborazione con il mondo accademico. Al decreto legislativo che ha creato una cornice di norme a supporto degli spin off universitari si sono aggiunti dei provvedimenti applicativi quali il decreto del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca n. 593 del 2000 che provvede a rendere operative le modalità di concessione delle agevolazioni finanziarie previste per queste tipologie di operazioni straordinarie; lo strumento scelto dal legislatore è stata l’emanazione di un testo unico che ha riunito tutte le disposizioni già esistenti (legge n. 46 del 1982, legge n. 488 del 1992, legge n. 488 del 1992, legge n. 346 del 1988, legge n. 196 del 1997, legge n. 449 del 1997) in tema di agevolazioni dirette alle imprese che investono in ricerca e sviluppo. E’ poi seguita la legge n. 240 del 2010, in materia di organizzazione delle università, del personale accademico e del suo reclutamento e contiene al suo interno anche la delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario, ed il decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 168 del 2011 che definisce i modi attraverso i quali i professori universitari ed i ricercatori possono assumere responsabilità nell’ambito di società che hanno le caratteristiche di spin off o start up.

Dal punto di vista operativo occorre prima di tutto costruire un piano previsionale di lavoro (c.d. business plan) che definisca obiettivi, modalità, investimenti, finanziamenti, mercato, personale, in pratica è uno strumento che illustra l’attività imprenditoriale che si intende intraprendere. Il Consiglio di amministrazione dell’ateneo porrà all’esame il piano preventivo che dovrà essere autorizzato dal Senato accademico; l’analisi del progetto pone particolare attenzione all’assunzione ed alla limitazione del rischio di impresa da parte dell’università mediante l’apposizione di specifiche clausole. Una clausola generale è quella che pone un vincolo alla partecipazione al capitale da parte dell’Ateneo che non può essere superiore al 10% - peraltro il capitale non è rappresentato quasi mai dal denaro, bensì dal conferimento di beni in natura, quali locali, attrezzature, conoscenze - che però può essere derogato qualora il progetto si presenti particolarmente proficuo e conveniente; in più l’ente universitario delibera anche in merito alla distribuzione di eventuali perdite derivanti dal rischio imprenditoriale tutelandosi sia nel caso di riduzione del capitale sia nel caso di liquidazione dell’azienda. A maggior tutela le università mantengono anche parte della proprietà delle conoscenze acquisite (know how) e dispongono di un diritto di prelazione e di gradimento nei casi di trasferimento della partecipazione ad altri soci; in tal modo l’ateneo rimane agganciato alle attività di ricerca ed innovazione garantendosi un posto di preferenza rispetto a soggetti terzi. Infine un aspetto interessante, ma se vogliamo anche logico, riguarda l’obbligo che le attività svolte dagli spin offuniversitari non siano in conflitto di interessi con l’ateneo che partecipa al capitale; è in tal caso che i rappresentanti universitari si appelleranno al diritto di veto in tutte le delibere che presenteranno aspetti rischiosi o problematiche di sovrapposizione o di sostituzione di interessi pubblici con quelli di altri soggetti privati.

Queste nuove vivaci realtà produttive che coniugano ricerca universitaria e mercato si sono sviluppate di fatto a partire dall’inizio del secolo XXI, nonostante le prime normative possano ricondursi all’inizio del 1980; pertanto si è assistito ad un ritardo applicativo di circa 20 anni, con conseguente perdita di finanziamenti messi a disposizione dall’Europa e dispendio di energie ed opportunità lavorative. Pertanto una riflessione è necessaria: perché è stata sottovalutata per tanto tempo questa opportunità? Una prima ragione sembra ritrovarsi nel timore da parte degli atenei che queste iniziative produttive di tipo privatistico avrebbero potuto distrarre il personale docente e scientifico dai propri incarichi istituzionali trascurando così la didattica. Tuttavia solo all’inizio del nuovo millennio si è vista la svolta di impostazione, soprattutto culturale: le idee innovative create in ambito accademico possono competere sul mercato ed anzi esserne fattore trainante producendo risultati positivi per la collettività tutta, a partire dai giovani studiosi e ricercatori che, se ben incentivati, potrebbero decidere di rimanere nel nostro Paese arginando il fenomeno, ormai drammatico, della c.d. fuga dei cervelli!

LE NUOVE NORME ANTIRICICLAGGIO

di Alessandra Di Giovambattista

 11-12-2024

Lo scorso 30 maggio 2024 il Consiglio Europeo ha adottato un insieme di nuove norme antiriciclaggio che hanno lo scopo di contrastare il reimpiego di denaro proveniente da attività illecite ed il finanziamento del terrorismo; detto pacchetto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 19 giugno 2024.

Le nuove disposizioni contengono: la VI Direttiva antiriciclaggio (UE 2024/1640 del 31 maggio 2024) - che va a modificare la precedente Direttiva 2019/1937 e ad abrogare definitivamente la più remota direttiva del 2015/849 – contenente i meccanismi che gli Stati dell’Unione Europea devono introdurre al fine di escludere che nel sistema finanziario transitino operazioni di riciclaggio di denaro derivante da attività malavitose o di finanziamento del terrorismo; il regolamento antiriciclaggio (UE 2024/1624 del 31 maggio 2024) relativo alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario per i medesimi fini illeciti (regolamento antiriciclaggio single rulebook); il regolamento (UE 2024/1620 del 31 maggio 2024) istitutivo dell’Autorità per la Lotta al Riciclaggio ed al Finanziamento del Terrorismo (AMLA - Anti Money Laundering Authority).

Di fatto già dal 20 luglio del 2021 la Commissione europea aveva presentato un pacchetto di proposte legislative volte a rendere più stringenti le disposizioni comunitarie in tale ambito. Le indicazioni consistevano in: un regolamento che avrebbe istituito l’AMLA con poteri sanzionatori; un regolamento che doveva prevedere controlli sui trasferimenti di cripto attività in modo da renderne trasparenti i passaggi e completamente tracciabili i movimenti (è stato adottato nel maggio 2023); un regolamento sugli obblighi da rispettare in tema di lotta al riciclaggio in ambito privato; ed infine una direttiva che si sarebbe occupata dei meccanismi antiriciclaggio da far applicare a livello nazionale dai diversi Stati membri.

Secondo il Consiglio europeo il recente pacchetto di disposizioni varato il 30 maggio di quest’anno, armonizzerà tra loro tutte le esistenti norme antiriciclaggio che oggi si differenziano da Paese a Paese nel tentativo di eliminare scappatoie che generano ed incentivano le frodi. In particolare la VI direttiva antiriciclaggio renderà più efficienti i sistemi nazionali normativi prevedendo disposizioni più chiare e stringenti e organizzando delle modalità di collaborazione tra le autorità di vigilanza e gli organismi nazionali che raccolgono e analizzano attività finanziarie sospette tra Stati membri. I contenuti della Direttiva entrano in vigore venti giorni dopo la sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale, pertanto a decorrere dal 10 luglio 2024 gli Stati membri avranno tre anni - quindi entro il 10 luglio 2027 - per recepire le norme in essa previste.

Per quanto attiene l’Autorità per la lotta al riciclaggio ed al terrorismo (AMLA) si prevede che inizierà ad operare a metà dell’anno 2025 con sede a Francoforte; essa avrà poteri di supervisione diretta ed indiretta sui soggetti obbligati a fornire informazioni. In particolare sono stati estesi i destinatari assoggettati alle norme di controllo includendo: coloro che sono all’interno del settore delle cripto-valute; le piattaforme di raccolta di denaro per finanziare collettivamente progetti innovativi o lo sviluppo di imprese (il c.d. crowdfunding); le società e gli agenti del settore del calcio professionistico; i soggetti che commerciano in beni di lusso. Nello specifico rientrano nel novero di questi beni gli articoli di oreficeria, i gioielli e gli orologi di valore superiore a 10.000 euro, i veicoli a motore di importo superiore a 250.000 euro e gli aerei ed i natanti con valore superiore a 7,5 milioni di euro. Anche la definizione di persona politicamente esposta (c.d. PEP) viene modificata ampliandola: ai rappresentanti di autorità regionali e locali con almeno 50 mila abitanti; ai familiari delle persone politicamente esposte comprendendo anche fratelli e sorelle di Capi di stato, Capi di governo, Ministri, Sottosegretari e Viceministri; ad altre cariche pubbliche che sono di rilievo nei diversi Stati membri. È previsto inoltre un inasprimento delle norme in materia di adeguata verifica della clientela qualora gli scambi avvengano con persone molto facoltose (con patrimoni di oltre 50 milioni di euro). Viene disciplinata la titolarità effettiva (in particolare devono essere comunicati i titolari effettivi delle società a cui è riconducibile l’attività d’impresa a fini antiriciclaggio) e viene fissato a 10.000 euro il limite di contanti per i pagamenti, con la finalità di limitare i rischi derivanti dall’uso illegale di somme di denaro ingenti. Si chiederà pertanto più efficienza ai soggetti operanti sul mercato finanziario e la AMLA creerà un meccanismo integrato tra supervisori delle diverse nazioni affinché sia verificato il rispetto delle norme nel settore finanziario per evitare attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Ciò si rende indispensabile in quanto gli studi hanno evidenziato la natura transfrontaliera della criminalità finanziaria e pertanto all’Autorità sarà richiesto di coordinare le indagini internazionali per contrastare le attività illecite e per rendere l’attività repressiva la più rapida ed efficace possibile. Per conferire massima incisività a questi obiettivi è previsto che l’AMLA possa anche imporre sanzioni pecuniarie ai soggetti obbligati a fornire le informazioni per il controllo e la verifica delle attività che risultano sistematiche o ripetute e che pertanto inducono a ritenere che siano in atto delle violazioni gravi. L’autorità avrà anche un ruolo di sostegno in relazione al settore non finanziario e coordinerà e supporterà le unità di informazione finanziaria (UIF, in inglese Financial intelligence Units - FIU), già esistenti nei diversi Paesi, (in Italia sono presso la Banca d’Italia) che operano in modo indipendente ed autonomo, e sono specializzate nelle analisi finanziarie e nello scambio di informazioni. Per cogliere efficacemente questo obiettivo di supporto l’Autorità avrà anche il compito di contribuire ad armonizzare le prassi di collaborazione esistenti tra i diversi attori oggi operanti sul fronte del contrasto delle attività illecite e del finanziamento del terrorismo (le diverse UIF – FIU); in particolare l’armonizzazione cercherà di ridurre le divergenze esistenti nelle differenti legislazioni nazionali per rendere più sicuro e trasparente il mercato.

Le disposizioni prevedono anche delle modifiche del “Registro della titolarità effettiva” che dovranno essere recepite entro il 10 luglio del 2026, pertanto un anno prima rispetto alla direttiva nel suo complesso. Per tale registro, peraltro già previsto nella V direttiva antiriciclaggio, le nuove disposizioni hanno ampliato la tipologia di soggetti che possono accedere alle informazioni in esso contenute, includendo persone fisiche o giuridiche portatrici di un interesse legittimo, includendo anche la stampa e le organizzazioni che tutelano interessi collettivi o diffusi, con accesso immediato, non filtrato, diretto e gratuito. Tuttavia in Italia si è registrata un’impasse per tale registro che prevede l’obbligo per le società, fondazioni associazioni e trust di inviare alle Camere di commercio le informazioni sui soggetti a cui è realmente riconducibile l’attività degli enti citati, a fini di antiriciclaggio. È stato prima intrapreso un ricorso presso il Tribunale Amministrativo (TAR) con motivazioni di lesione della privacy a causa della comunicazione degli effettivi titolari delle imprese costituite in qualunque forma giuridica; tale ricorso è poi approdato al Consiglio di Stato che prima, con ordinanza del 15 ottobre 2024, ha sospeso le comunicazioni poi ha chiesto alla Corte di Giustizia di valutare la compatibilità della norma con i principi comunitari. Così è arrivata pochi giorni fa, il 6 dicembre 2024, la comunicazione della Corte di Giustizia europea che ha sospeso l’obbligo di comunicazione del titolare effettivo in attesa del proprio parere.

Invece il perfezionamento del “Punto unico di accesso” alle informazioni sui beni immobili slitterà di un anno ed il termine finale sarà quindi il 10 luglio 2029. Il punto unico di accesso sarà un luogo fisico da istituire in ciascuno Stato membro affinché le autorità competenti abbiano accesso immediato e diretto alle informazioni sui registri immobiliari che permetteranno l’identificazione di qualunque bene immobile e delle persone, sia fisiche che giuridiche, che lo possiedono nonché di ottenere tutte le indicazioni che consentiranno di monitorare ed analizzare le operazioni relative a detti beni. Dovranno essere istituiti anche dei meccanismi automatici centralizzati che permettano di identificare il luogo di residenza e le persone, fisiche o giuridiche, effettivamente intestatarie di conti bancari, identificati con IBAN o IBAN virtuali, compresi i conti titoli, i conti in cripto attività e le cassette di sicurezza che i soggetti residenti detengono presso un istituto di credito o altro istituto finanziario presente sul territorio. L’accesso al punto unico sarà consentito solo alle autorità di contrasto nazionali al riciclaggio e per rendere efficaci i controlli e confiscare eventuali proventi derivanti da reati la direttiva prevede anche di rendere uniforme il formato degli estratti conto al fine di agevolarne la lettura.

Alla luce di quanto esposto può sottolinearsi da una parte la necessità della emanazione di normative stringenti per rendere sicuro e trasparente il sistema finanziario, in continua evoluzione ed ormai governato da processi e strategie guidate il più delle volte dalla tecnologia informatica dell’intelligenza artificiale e dellablockchain (registro digitale che rende sicuri, verificabili e permanenti i dati in esso contenuti). Mediante normative rigorose ed armonizzate e la collaborazione tra uffici di vigilanza, il controllo sui flussi finanziari sarà più efficiente e i benefici si vedranno anche nel miglioramento della fiducia e della responsabilità tra investitori, finanziatori e mercato. Tuttavia il rovescio della medaglia evidenzia diversi aspetti: si va dall’eccessivo appesantimento di tutto il sistema, che peraltro ha mostrato delle falle come ad esempio per il problema della privacy sollevato dal Consiglio di Stato italiano, all’oggettiva esistenza di sistemi di sicurezza applicati in misura differente dai diversi Stati membri. In tal senso è risaputo che mentre alcuni Paesi, come l’Italia, applicano rigorosamente la normativa antiriciclaggio, altri Stati sono molto più blandi nel livello di accuratezza applicativa (come ad esempio il Lussemburgo o l’Irlanda dove si applicano dei regimi fiscali vantaggiosi e si ha un atteggiamento molto più permissivo sulle normative antiriciclaggio tanto da creare posizioni di vantaggio delle imprese localizzate in quei territori rispetto a quelle domestiche). Il rigore eccessivo presente in Italia di fatto costituisce un peso a svantaggio dei singoli e delle aziende italiane che si trovano invischiate in pesanti obblighi burocratici e così penalizzate in termini di competitività. Ad esempio l’obbligo di segnalare tutte gli scambi di valore ingente può creare problematiche di efficienza, soprattutto nel settore immobiliare, che possono concretizzarsi in ritardi o blocchi delle transazioni. Inoltre le aziende per rispondere alla normativa devono investire risorse in consulenze legali per il rispetto delle regole (c.d. compliance) e questo nuoce soprattutto le piccole medie imprese (PMI) che rappresentano il fulcro del tessuto economico e sociale italiano. In Germania o nei Paesi Bassi la flessibilità normativa è maggiore ed è orientata su una posizione di tutela delle imprese e dei singoli che va ben al di là della rigida applicazione delle norme antiriciclaggio in quanto le autorità di vigilanza cercano di creare meno intralcio possibile alle attività economiche. È per questo che si auspica una concreta e reale attività di coordinamento da parte dell’Autorità che non penalizzi nessuno ma che anzi applichi la normativa con il dovuto grado di buon senso, necessario in ambito economico, che non appesantisca il sistema ma lo renda flessibile e davvero sicuro e non faccia sentire i soggetti sotto accusa anche perché, soprattutto in Italia, si “bloccano i moscerini e si lasciano passare gli elefanti” mancando così l’obiettivo di sventare gli effettivi responsabili degli illeciti!