L’ECONOMIA COME STRUMENTO DEL POTERE

di Alessandra Di Giovambattista

 

Per mettere a fuoco solo pochi aspetti di questo complesso tema, che intendo accennare senza alcuna pretesa di esaustività o di verità in quanto argomento a dire il vero molto spinoso, vorrei partire da un’affermazione del filosofo Bertrand Russel le cui osservazioni risultano un po’ datate, ma ciò è ovviamente dovuto al momento storico in cui è vissuto (contemporaneo delle ideologie totalitariste nazi fasciste e comuniste da cui prende le debite distanze); ognuno è figlio dei propri tempi! Egli affermava, dopo un’analisi delle diverse forme di potere che possono riscontrarsi in una collettività, che lo studio dell’economia come scienza separata dalla realtà rischia di fornire un’analisi irrealistica e fuorviante se presa come guida per l’attuazione di ricette applicative e formule pratiche; essa in verità è solo un elemento, sicuramente molto importante, di uno studio molto più ampio che deve ricondursi alla scienza del potere.

In questo contesto, come esempio chiarificatore, vorrei richiamarmi ad una delle teorie di un grande economista italiano, il Prof. Paolo Sylos Labini - più volte candidato al premio Nobel - che fu peraltro il mio Professore di economia politica alla Facoltà di Scienze Statistiche ed Economiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. Per giustizia ed onestà intellettuale devo tributargli la mia grande ammirazione e gratitudine, prima di tutto come uomo, per la sua disponibilità ed accoglienza che sapeva donare a chiunque, (dagli studenti ai massimi accademici di tutto il mondo), e come professore, per la chiarezza e semplicità con cui ha saputo introdurmi in un mondo sicuramente non facile da conoscere, con le sue infinite regole, teorie e modelli (non tutti peraltro condivisibili ed applicabili), fornendo pochi ma fondamentali principi. Ecco da lui voglio partire per sottolineare come l’economia sia solo un elemento di un contesto molto più ampio - dove si gioca la voglia di potere dell’uomo che se non ben calibrata rischia di diventare una forma insaziabile di cannibalismo, dove l’uomo diventa lupo all’uomo – e dove occorre prima di tutto osservare con attenzione la realtà per non cadere nella costruzione di teorie vacue, che alcune volte forniscono semplici o complessi modelli matematici inapplicabili e non verificabili e che si traducono in esercizi didattici che, se ben foraggiati ed incentivati dai centri di potere, possono rappresentare delle pseudo-teorie da far seguire per raggiungere invece dei preordinati e nebulosi obiettivi.

Il prof. Sylos Labini ha fornito una teoria nuova per interpretare l’oligopolio. In particolare gli approcci delle teorie tradizionali partivano dall’assunto secondo il quale l’analisi dei mercati vedeva come modello base, a cui doveva convergere tutto il sistema, quello della concorrenza perfetta, dove non esistono barriere all’entrata ed all’uscita, c’è libero movimento di capitali e dove i prezzi si formano dall’incontro tra domanda ed offerta di beni e servizi. Il professore formulò la sua nuova teoria, studiando in particolare il mercato petrolifero - caratterizzato da un elevato rapporto tra costi fissi e costi variabili che determina una dimensione ottimale degli impianti - dove gli ostacoli alla concorrenza provengono da fattori diversi rispetto alla sola segmentazione del mercato (suddivisione dei consumatori in gruppi omogenei in ragione dei propri desideri e bisogni), su cui si era concentrata l’attenzione dei teorici della concorrenza imperfetta.

La forma di oligopolio concentrato analizzata da Sylos Labini nasce proprio dall’osservazione generalizzata della presenza di barriere all’entrata (che, ad esempio, nel mercato petrolifero si esprimono con un elevato costo degli impianti, quindi con un’elevata e perfezionata tecnologia e conseguente ingente investimento di capitali) che escludono la libera concorrenza perfetta. In tal modo la teoria dell’oligopolio diviene una teoria generale delle forme di mercato dove concorrenza e monopolio sono invece due situazioni estreme; la prima è priva di barriere all’entrata, la seconda presenta barriere all’entrata insormontabili. Pertanto dall’osservazione sul campo arriva a determinare la teoria delle forme di mercato dove diviene necessario studiare natura dei fattori e valori che influiscono sulla dimensione ottimale di impresa e che permettono di superare le barriere all’entrata, che pur esistendo sono superabili pagandone un determinato costo, anche se elevato. Quindi sarà la dimensione degli impianti, più in generale la tecnologia, che provoca la difficoltà di entrata da parte dei concorrenti i quali dovranno approntare grandi e più efficienti impianti per cercare di conquistare fette di mercato in quanto il loro ingresso produrrà un sensibile aumento dell’offerta con caduta verso il basso dei prezzi. Si sottolinea, per completezza, che la teoria definisce le barriere all’entrata che dipendono: dall’ampiezza del mercato (che può fornire un’idea del potenziale assorbimento dei prodotti), dalla dimensione degli impianti tecnologicamente efficienti (che fornisce una misura degli investimenti iniziali, ma anche del costo dell’innovazione e della loro sostituzione), dall’elasticità della domanda (che indica di quanto potrebbe scendere il prezzo per effetto dell’incremento della produzione) e dal tasso di crescita del mercato (che permette di ipotizzare la durata nel tempo della flessione dei prezzi fino al ritorno alla loro stabilità iniziale).

Ciò offre una visione dinamica della teoria dove le forze in gioco sono legate al potere degli oligopolisti di voler tener fuori potenziali concorrenti; infatti sempre secondo Sylos Labini le imprese già presenti sul mercato non adottano un comportamento “accomodante” di fronte all’ingresso di nuovi concorrenti, per evitare di dover diminuire il prezzo dei beni, perdere fette di mercato e ridurre il margine di profitto (c.d mark-up) o garantirne il livello raggiunto attraverso una maggiore efficienza della tecnologia o una diversa distribuzione del reddito (diviso tra i differenti fattori della produzione: salari, stipendi, profitti). Questa impostazione non accomodante da parte degli oligopolisti di fronte a possibili nuovi concorrenti non è altro che il frutto delle osservazioni della realtà. Se invece il problema si fosse voluto risolvere teoricamente, non partendo dall’osservazione dei fatti, ma basandosi sul dilemma delle scelte secondo lo strumento della teoria dei giochi (molto usata per le scelte di convenienza nel mercato oligopolista), la convenienza si sarebbe trovata nel comportamento accomodante (quindi la soluzione sarebbe stata l’opposta rispetto all’osservazione della realtà), dove con la riduzione delle quantità prodotte, derivante da un accordo tra produttori, si sarebbe potuto mantenere inalterato il prezzo e quindi anche il mark-up(in questo caso sarebbe stato risolto il dilemma secondo l’enunciato dell’economista John Nash per cui il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo, secondo la teoria delle dinamiche dominanti). Lo stesso Sylos Labini ha evidenziato che le sue conclusioni sulle scelte degli oligopolisti nascono da un’osservazione del comportamento usuale degli imprenditori che non conoscendo il numero delle possibili mosse dei loro competitori non possono applicare con sicurezza la teoria dei giochi, pertanto la strategia migliore sarà l’intransigenza nello scontro concorrenziale.

L’esempio dello studio del mercato oligopolistico permette di fornire delle riflessioni sull’economia come strumento di potere; intanto la prima osservazione che possiamo fare è quella secondo cui è necessario studiare i fenomeni economici calati nella realtà socio politica in cui essi si presentano; l’applicazione di teorie spesso complesse rischia di fornire un’analisi irreale e fuorviante del problema (così come si è espresso Bertrand Russel) ed anzi può complicarne la soluzione. La riflessione è: che tali complicazioni siano espressione di potere, volute in modo da rendere i problemi più complessi e nebulosi a vantaggio di scelte e soluzioni a favore di pochi interessati soggetti?

La seconda osservazione, molto più complessa ci induce a ritenere che barriere all’entrata, anche non ti tipo squisitamente economico, in un mercato possono essere create ad arte da parte del potere dominante per tenere fuori possibili concorrenti e raggiungere scopi anche non economici. Si pensi proprio al potere che hanno guadagnato i colossi delle multinazionali petrolifere ed ai modi che utilizzano per tener fuori i potenziali competitor (in tale contesto ritorna in mente il caso mai definitivamente risolto della morte del nostro indimenticabile connazionale Enrico Mattei). Oppure più semplicemente le difficoltà di entrata su mercati che richiedono sempre più tecnologia specializzata; si pensi a tutto il mondo della produzione attraverso la robotica che ovviamente fa gioco alle grandi potenze che detengono ingenti capitali e che alzano barriere all’entrata insormontabili. Quale sarà il produttore, anche il più innovativo e fantasioso, o quello presente in mercati in via di sviluppo, che potrà competere con economie che hanno grande liquidità e che manovrano anche il credito e tutto il mercato finanziario, attraverso gli istituti bancari e le varie società di investimento?

Ormai il potere converge sempre più verso forme di governo monocratico e l’economia, che ne è solo uno strumento, segue lo schema; la globalizzazione porta a modelli aziendali pachidermici, dove chi lavora è solo un numero e dove la domanda di lavoro è sempre più concentrata in mano a pochi grandi soggetti imprenditoriali. Il potere è espressione anche di dominio sulle materie prime, sui consumi, sulle scelte, sulle tipologie di produzione, sulle libertà dei singoli e degli Stati più deboli dove non ci sarà più posto per produzioni artigianali e non sarà possibile una crescita ed uno sviluppo a misura d’uomo. Il fenomeno delle aziende innovative, c.d. start up, è figlio di questa impostazione: si cercano idee nuove, si attirano giovani con idee brillanti, si finanzia la loro attività che, se avrà successo, verrà inglobata nel buco nero dei grandi colossi e ai giovani imprenditori verrà liquidata una cospicua somma di denaro. Questi ultimi si sentiranno appagati e usciranno dal mercato risolvendo così due problemi alle multinazionali: eliminazione della concorrenza e utilizzo delle nuove produzioni a proprio esclusivo interesse senza aver subito il rischio dell’insuccesso e aver traslato il costo dell’innovazione e della ricerca su soggetti giovani che, nei più frequenti casi di idee produttive non interessanti e non vincenti, avranno disperso le proprie risorse finanziarie e si troveranno con esposizioni debitorie critiche che alcune volte rischiano di coinvolgere l’economia dell’intera famiglia di origine. E fin qui si sono tratteggiati in modo sintetico solo i danni economico-finanziari volendo sorvolare le più complesse difficoltà psicologiche e sociali che sono capaci di innescare questi processi a dir poco disumani.

L’idea di una società meritocratica basata sulle capacità e l’impegno dei singoli rischia di soffocare sotto il peso di organizzazioni di reti di potere (gestioni politiche, finanziarie, affaristiche) spesso anche non legali (organizzazioni malavitose, cordate familiari), dove il punto di partenza per i giovani in cerca di realizzazione non è lo stesso per ognuno di essi ma è assoggettato a condizioni di nascita, di sesso, di etnia, di ricchezza, di conoscenze familiari.

La presenza poi di incroci azionari e di interconnessioni a livello di dirigenza aziendale (c.d. interlocking directorates) - che si creano più facilmente in aziende di grandi dimensioni, e che si sostanziano in subdoli legami aziendali attraverso la scelta di un soggetto di vertice che si trova a rivestire più incarichi in più imprese - mina i principi base della trasparenza del mercato ed apre a scenari di collusione tra aziende che solo all’apparenza si presentano concorrenti ma che in realtà sono assoggettate ad un unico centro di potere, spesso ben celato, che le controlla con la connivenza di vertici molto ubbidienti e ben pagati!