Florence Korea Film Fest
L'idea di questo reportage nasce dal desiderio di espandere la conoscenza del Festival in quanto snodo per la diffusione dei film coreani e, insieme, di diffondere l’amore per il cinema coreano, che non è un cinema acerbo né può essere considerato meramente una replica orientale di Hollywood.
Il Festival
Il Festival è occasione per poter vedere film altrimenti irreperibili in sala, perché non distribuiti in Italia o non ancora distribuiti, come nel caso delle prime, e offre anche l’opportunità di incontrare dal vivo personalità del mondo cinematografico coreano di statura indiscussa, come i registi Bong Joon-ho e Yim Soon-rye attraverso le masterclass.
Negli ultimi 10 anni si è assistito ad un deciso intensificarsi della cosiddetta onda coreana, Korean Wave o Hallyu Wave, che a partire dagli anni 2000 e dai Paesi orientali, in particolare il Giappone e la Cina, ha investito anche l'Occidente.
Di questa espansione è testimonianza anche il Festival d’Oriente di Roma, che ha previsto una sezione coreana.
Dal cinema alla musica, dalla danza alla cucina, finanche ai corsi di questa difficile lingua, assistiamo ad un fiorire di proposte a tema Corea. Sulla stessa Netflix quasi giornalmente vengono aggiunte produzioni coreane.
Il cinema ha un rapporto con questo fenomeno che è duplice, perché ne è beneficiario, ma anche lo genera, in quanto tutto ciò che può essere considerato produzione cinematografica, quindi cortometraggi, lungometraggi e serie televisive, non è solo un mezzo di intrattenimento, ma è anche un mezzo di trasporto della realtà coreana in altri Paesi. Tali produzioni, infatti, che siano di ambientazione storica o contemporanea, sono vere e proprie finestre che si aprono su una cultura e una realtà per noi molto distanti e che rischiamo facilmente di non comprendere appieno.
La società coreana è sicuramente in un momento, rispetto ai suoi trascorsi storici, che potremmo definire felice, anche grazie a questa “onda coreana”, che naturalmente ha riflessi notevoli, come si può facilmente immaginare, sulla crescita economica del Paese. Questo, tuttavia, non è a costo zero e i costi sociali e culturali della crescita in atto sono, più o meno silenziosamente, denunciati in molte delle produzioni cinematografiche.
In tal senso, con riferimento ai film in programma, “Through My Midwinter”, uno dei film premiati, verte proprio sui dissesti economici, e quindi sociali, che vivono soprattutto i giovani coreani.
Ma vi è anche un altro risvolto, più prettamente culturale, che è costantemente sotteso nei film e nelle serie coreani e che può essere colto nitidamente nel film vincitore del Festival: mi riferisco alla pressione psicologica cui sono sottoposti i giovani in Sud Corea, intrappolati tra valori etici delle generazioni precedenti e le richieste pressanti di una economia in continua rapida ascesa.
“Next Sohee”, il film premiato dalla giuria di questa edizione del Festival, nel denunciare una stortura del sistema formativo presenta senza vis polemica la condizione esistenziale dei ragazzi in età scolastica, condizione che è riportata anche in produzioni il cui focus è centrato su altro. Ad esempio, la recentissima serie Netflix “Corso accelerato sull’amore”, nonostante proponga una trama sentimentale, riporta contestualmente la realtà stressante, fortemente competitiva e con un alto tasso di suicidi in cui crescono i giovani coreani, in particolare i ragazzi, stritolati tra le aspettative familiari e la competitività impietosa di un Paese lanciato al galoppo.
Nel merito
Nel merito, il Festival del cinema coreano di Firenze, che era alla sua 21esima edizione, può essere considerato il festival interamente dedicato al cinema coreano più antico in Europa ed ha una certa diffusione nel suo ambito, grazie anche alla formula della fruizione online sul canale MyMovies di una selezione dei film in programma. Su MyMovies è stato anche possibile seguire la masterclass di Bong Joon-ho, che, come era prevedibile, ha registrato il sold out quasi subito, lasciando moltissimi nella impossibilità di partecipare se non tramite la piattaforma.
Le masterclass organizzate nell’ambito del Festival sono una parte importante di questo evento, in quanto consentono di incontrare dal vivo personalità del calibro di Bong Joon-ho e di approfondire la conoscenza di questa realtà cinematografica attraverso una chiacchierata in libertà, aperta alle richieste del pubblico.
Inaugurato la sera del 30 marzo e concluso la sera del 7 aprile, il Korea Film festival si è svolto presso il cinema-teatro La Compagnia, una location molto gradevole nel centro di Firenze, con una atmosfera da sala da tè di altri tempi che ben introduce allo stile quasi da antidivo dei protagonisti del cinema coreano.
Il Festival, realizzato con il patrocinio di istituzioni italiane e coreane, è stato concepito come uno spazio di realtà coreana trasposta nel centro di Firenze, come ben significato anche dal trailer che lo promuove.
La cerimonia di apertura è stata occasione per offrire un rinfresco di piatti tipici, preparati da due chef sudcoreani presso la scuola alberghiera di Saffi, in virtù di un accordo di collaborazione stipulato con la città di Jeonju.
L’offerta culinaria è proseguita con aperitivi giornalieri a base di assaggi coreani serviti prima della proiezione di prima serata. Essa ha rappresentato la nota di colore di questa edizione, laddove nelle precedenti sono state proposte altre opportunità di contatto con la cultura coreana, come indossare l’Hanbok, l’abito tradizionale coreano, esperienza che è stata offerta anche dall’edizione 2023 del Festival d’Oriente di Roma.
Negli spazi del cinema antistanti la sala di proiezione erano presenti stands per l’assaggio del Soju, per l’offerta omaggio di noodles e la vendita di piccoli souvenirs coreani.
All’interno della cornice del Festival è stato anche presentato il saggio “Squid Game. Analisi della struttura drammaturgica della serie”, di Giuseppina De Nicola, Giorgio Glaviano e Giovanna Volpi, le cui copie erano in vendita nell’area promozionale.
Nell’ambito del festival è stato dedicato poi uno spazio al fumetto coreano, con una mostra realizzata in collaborazione con il Busàn IT Industry Promotion Agency, dal titolo “Mostra Manhwa e Webtoon: Il Futuro del Fumetto”. Essa ha messo a confronto l’opera cinematografica e la trasposizione in webtoon, i fumetti digitali pensati per essere letti su smartphone, che stanno spopolando in Corea del Sud (un coreano su tre legge regolarmente webtoons). Il tema è stato al centro della prima masterclass del festival, dal titolo “Il fumetto del futuro” con la partecipazione degli illustratori Jeong Kyu-Ah e Kim Woo-Seop.
Una impostazione più ampiamente culturale dunque, quella del Festival fiorentino, in linea con l’associazione Taegukgi – Toscana Korea Association, il cui presidente Riccardo Gelli ne cura la realizzazione. Detta associazione è stata fondata nel 2003 per promuovere la diffusione della cultura coreana a Firenze e favorire gli scambi culturali ed economici con la Repubblica di Corea ed è in tal senso molto attiva, collaborando anche con i maggiori festival cinematografici della Corea (Jinju international film festival e Busan international film festival) per inserire nel loro palinsesto rassegne dei protagonisti del cinema italiano.
Partecipare a questo Festival è una esperienza positiva, certamente per chi ama il cinema coreano in particolare, ma ancor di più per chi ama il cinema e conosce poco o per nulla quello coreano. Il festival consente infatti di calarsi in un vero e proprio mondo, con tecniche proprie, che siano di recitazione, sceneggiatura o regia, che elabora prodotti di qualità. Un mondo che, a mio parere, surclassa per certi aspetti il cinema occidentale, che negli ultimi tempi manifesta una certa stanchezza e ripetitività di contenuti.
Percorsi del Festival
Entrando nel merito della programmazione cinematografica, il Festival si è articolato in cinque percorsi, quattro dei quali si sono intrecciati in alcune proiezioni, per un totale di oltre 60 titoli, tra cortometraggi e lungometraggi, che hanno incluso prime visioni e classici contemporanei.
Si è quindi concluso con la premiazione dei film scelti tra le varie sezioni.
Quanto ai percorsi, Corto, Corti! è stato quello dedicato ai cortometraggi, tra i quali è stato premiato “The Autumn Poem” di Park Chan-ho.
Purtroppo, la contemporaneità delle proiezioni obbligava a scegliere se seguire questa sezione o i lungometraggi.
I lungometraggi sono stati raggruppati nei restanti quattro percorsi, ovvero: Orizzonti coreani, che raccoglie i maggiori successi al botteghino sudcoreano degli ultimi mesi, film dei registi più consolidati che già sono stati proiettati ai festival europei.
A questa sezione appartengono due film premiati, “6/45” e “In Our Prime”, di cui parlerò a breve.
Indipendent Korea, che raggruppa i lavori delle giovani promesse e dei registi emergenti del cinema indipendente. I cinque film di questa sezione sono accomunati dal filo conduttore della ricerca di una vita diversa, che sia attraverso l’amore, il lavoro o il tentativo di integrarsi in un contesto estraneo. Appartiene a questa sezione il film “Through My Midwinter”, che ha ottenuto una menzione speciale dalla giuria.
Key-women, sezione introdotta quest’anno per dare spazio al cinema al femminile in considerazione del ruolo centrale della figura femminile nella società e nel cinema coreano.
In questa sezione possiamo far rientrare anche la masterclass dal titolo: “Generazioni di registe a confronto”, cui hanno partecipato le registe Yim Soon-rye, considerata in Patria autrice di spicco, della quale durante il Festival sono stati proiettati due film (“The Point Men” e “Waikiki Brothers”), e July Jung, al suo secondo lungometraggio, risultato vincitore del premio della giuria del Festival, “Next Sohee”.
La Retrospettiva, dedicata quest’anno, per la prima volta in Italia, all’attore Park Hae-il, con la proiezione di sette film significativi del suo percorso artistico. Di questi particolare menzione meritano “A Muse”, di Jung Ji-woo, del 2012, in cui l’attore, che allora aveva 35 anni, ha interpretato un poeta settantenne, “Boomerang Family”, di Song Hae-sung, per lo spaccato socio-familiare che offre, con la capacità tutta coreana di conservare senso dell’humor e non scadere in una drammaticità scontata, e il noir “Decision to Leave”, di Park Chan-wook, che ha guadagnato al regista il Prix de la mise en scène (Miglior Regia) alla 75ma edizione del Festival di Cannes e che è stato anche proiettato nelle sale italiane all’inizio di quest’anno.
Un ventaglio di ruoli che si dipana in un ventennio di professione, registrandone il processo di maturazione dell’attore e la sua indubbia versatilità.
Park Hae-il è anche protagonista del film di apertura, “Hansan: Rising Dragon Redux”, di cui dirò a breve.
A lui, insieme al regista Kim Han-Min, è stata dedicata la masterclass dal titolo “Note d’attore e regista”.
Programmazione
Nella programmazione sono stati inclusi tutti i generi, dal thriller alla commedia, dalle pellicole impegnate agli action movie, passando per il poliziesco, l’horror e il giallo, a testimonianza di una produzione variegata che si modula secondo diverse scuole e tecniche, sempre con maestria.
Di tutti i titoli in programma, alcuni sono imperdibili.
“Christmas Carol” di Kim Sung-soo, la storia di un ragazzo che entra in un centro di detenzione minorile per vendicare la morte del fratello. La vendetta è uno dei temi cari al cinema coreano e di solito si consuma lavorando nell’ombra e aspettando pazientemente il proprio momento. Il fatto che il film sia ambientato in una situazione di per sé violenta e difficile, rende tutto più complicato per il giovane protagonista.
Il gruppo di giovani attori che compone il cast è di una bravura sorprendente, perché riescono a tenere alta la tensione sia nelle scene di dialogo che in quelle di azione in maniera esemplare. Inoltre, non ci sono controfigure e tutte le scene di azione sono state girate dai ragazzi, con notevole coordinazione.
“Confession” di Yoon Jong-seok, è un noir, un mystery thriller ben costruito. Con una serie di flashback, piano piano si disvela la realtà in una tensione crescente. Notevole la colonna sonora, molto evocativa, composta da Mowg, autore conosciuto per la colonna sonora di “Bourning” di Lee Chang-dong.
“Hunt”, prima italiana, è un thriller di spionaggio diretto da Lee Jung-jae, attore che era stato ospite premiato della scorsa edizione del festival, e che ha raggiunto il successo mondiale nella serie Netflix “Squid Game”, qui al suo primo lungometraggio in qualità di regista.
Si tratta di un film ambientato negli anni Ottanta che racconta un momento della Corea del Sud estremamente diverso da quello attuale, un momento di politica interna molto tesa. A fianco di Lee Jung-jae, che ne è anche protagonista, troviamo Jung Woo-sung.
I due attori sono legati da un rapporto molto particolare, perché iniziarono a lavorare insieme, quando erano entrambi modelli affermati, con il film “City of the Rising Sun” (1999); si è creato da allora un rapporto di amicizia che è diventato anche professionale, quando come partner hanno fondando una loro agenzia, cui hanno aderito molti attori coreani. Questo film è stato quindi l’occasione, per due attori che avevano cominciato insieme, di presentare, una ventina di anni dopo, una nuova collaborazione al Festival di Cannes.
“A Tour Guide”, di Kwak Eun-mi, storia di una giovane dissidente nordcoreana che cerca di trovare la sua strada in Corea del Sud facendo la guida turistica.
È un film che tocca un tema ricorrente e molto sentito in Corea, che è quello dei dissidenti, dei quali sempre si denunciano le difficoltà di inserimento, nonostante il desiderio di integrarsi.
“Gyong-ah's Daughter”, di Kim Jung-eun, è un film toccante sul tema degli abusi e del modo di ognuno di affrontarli. Emerge la forza delle due protagoniste, madre e figlia, la loro relazione fatta di luci e ombre, i loro abusi a confronto e il loro modo di uscirne, insieme e da sole. È un film molto forte sulla tematica del revenge porn, sfortunatamente sempre più attuale, che fa molto riflettere, anche sull’importanza di come vengono trattate le vittime degli abusi nella comunità, di come loro si sentono trattate e di come trattano loro stesse.
Vi sono poi due film che meritano una attenzione particolare, pur non essendo stati premiati.
Il primo è il film di apertura, “Hansan: Dragon Raising Redux”, che è stato presentato dal regista Kim Han-min ed è stato proiettato in anteprima.
Questo kolossal bellico è il secondo capitolo di una trilogia sulle battaglie guidate dall’ammiraglio Yi Sun-sin, nel XVI secolo, e segue il primo film, “The Admiral: Roaring Currents”, che nel 2014 è stato campione d’incassi in Corea con un record di spettatori ancora ineguagliato.
Il film vanta un cast d’eccezione: accanto a Park Hae-il, che ha recitato in oltre 50 tra film e serie ed è stato diretto da registi quali Bong Joon-ho e Park Chan-wook, troviamo Ahn Sung-Ki, uno degli attori più rispettati del panorama coreano, e il bravissimo Byun Yo-han, famoso per la serie di successo “Mr. Sunshine”.
Il film racconta di come l’ammiraglio Yi Sun-sin sia riuscito a sconfiggere la flotta principale giapponese. La battaglia dell’isola di Hansan in termini di importanza storica è, come ha fatto notare lo stesso regista, l’equivalente della nostra battaglia di Lepanto. Essa riuscì non solo a fermare la flotta nemica, ma soprattutto a rinvigorire gli animi dell’esercito coreano, che era molto scoraggiato dalle ripetute sconfitte a terra.
La narrazione è stata creata sulla base del diario dell’Ammiraglio, integrato da deduzioni e interpretazioni personali del regista.
Il lavoro per realizzare la trilogia è stato molto lungo e complesso, soprattutto per le riprese del primo film, per via delle riprese a mare. Tra il primo e il secondo film sono trascorsi otto anni, mentre, con l’evoluzione delle tecnologie si è riusciti a girare il terzo capitolo già insieme al secondo, potendo realizzarli utilizzando la computer grafica per le scene in mare.
È un film impressionante, per numero di comparse, ambientazione e realizzazione, di quelli che non si vedono più. Vale dunque assolutamente la pena vederlo, anche per conoscere qualcosa di più della storia della Corea.
Infine, “The Point Men”, della regista Yim Soon-rye, che lo ha presentato. Della produzione di questo film la regista ha parlato anche durante la masterclass cui ha partecipato.
Il film è stato in testa al box office coreano già dal primo giorno di uscita nelle sale, sia perché la regista è molto conosciuta, sia perché gli interpreti principali sono due attori che hanno un seguito notevole in Patria e all’estero: Hyun Bin, conosciuto in Italia per la serie Netflix “Crash landing on you”, e Hwuang Jung-min, molto amato in Patria. I due attori sono stati chiamati a recitare ruoli che sono diversi da quelli già usuali e questo ha richiesto a entrambi un lavoro particolare. In particolare, Hyun Bin, che è noto per ruoli sentimentali, si è impegnato molto per mostrare al pubblico una versione della sua recitazione finora inedita ed il risultato è senz’altro convincente.
Il film è ispirato a un fatto realmente accaduto in Afghanistan, ovvero il rapimento di 23 missionari coreani da parte dei talebani, e segue la trattativa tra il Governo coreano e le tribù afgane volta a liberarli.
Sotteso alla vicenda c’è, per espressa dichiarazione della regista, il tema della religione vissuta in maniera ossessiva, che porta fino alla disobbedienza civile. Non emerge solo il fanatismo talebano, ma anche la visione dei missionari, che sono entrati in Afghanistan contravvenendo la direttiva del Governo coreano, che aveva intimato ai propri cittadini di non andare in quel Paese.
Per questo motivo il rapimento dei missionari e la successiva trattativa hanno sollevato un vero e proprio dibattito in Corea, perché non era unanime ritenere che il Governo dovesse spendere i soldi dei contribuenti per salvare le persone rapite.
Il film, curato nei dettagli, è stato realizzato con un budget notevole. Ciò non ha impedito che la produzione incontrasse una serie di difficoltà.
Anzitutto le riprese, girate nel deserto giordano, sono iniziate in piena pandemia con tutte le difficoltà del caso. Ciò è stato possibile perché la Regina di Giordania, essendo una fan di Hyun Bin, ha fatto in modo che il programma di lavoro potesse essere rispettato.
Inoltre, poiché in Giordania la lingua afgana non è conosciuta e gli attori afgani sono pochissimi, la produzione ha dovuto risolvere diverse problematiche di tipo linguistico, insegnando agli attori a parlare afgano e coordinando il lavoro di un set multietnico.
Questo film testimonia non solo l’ampio spettro di recitazione dei protagonisti, ma anche la versatilità della regista, che ha diretto un action movie adrenalinico in cui appaiono quasi esclusivamente attori uomini, in condizioni ambientali ostiche, una produzione molto diversa dalla passata, quando aveva diretto film intimisti come Little Forest o musicali come Waikiki brothers.
Premiazione
Infine, sono stati premiati i film vincitori di questa 21esima edizione.
“Next Sohee”, di July Jung, come si è detto, è stato premiato dalla giuria come miglior film. Esso narra di una studentessa brillante e con una ricca personalità, che resta imprigionata in un sistema che la stritola, condannata dalle aspettative familiari e dalla propria etica a spegnersi, perdendo via via la sua luce.
Significativa la motivazione scritta dalla giuria per il conferimento del premio a questo film: «una immersione graduale poetica e totalizzante dentro il mistero di una vita giovane, fatta di desideri semplici. La complessiva comprensione di una voce finora soffocata da un sistema, che chiede di esserci senza esistere veramente. Con il passo dolce ed insieme fermo di chi lotta per una verità scomoda, Next Sohee ci accompagna alla consapevolezza che solo fermandosi ad ascoltare proprio dove la speranza si è persa è possibile ripartire e magari cambiare qualcosa».
Illuminante è altresì la motivazione per la menzione speciale della giuria per “Through My Midwinter”, di Oh Seong-ho, un film che racconta le difficoltà di una coppia, messa a dura prova da circostanze economico-lavorative comuni tra i giovani della realtà urbana sudcoreana. Secondo la giuria, il film «attraverso pochi, essenziali, elementi narrativi e visivi, è capace di raccontare una storia universale di sconfitta e allontanamento, rendendo le mute forze sociali evidenti e vicinissime al cuore dei due protagonisti che ne restano schiacciati. Il lavoro, la classe, l’ascesa (o la discesa) sociale, l’amore, disegnati con tratti leggeri e delicati, pur restando fortemente ancorati alla Corea, ne trascendono i confini e parlano forse della nostra condizione di uomini del XXI secolo».
“6/45”, di Park Gyu-tae, premiato quale miglior film dal pubblico, è una commedia davvero molto divertente, che tratta in maniera del tutto originale la problematica, fortemente sentita e presente in molti film coreani, della divisione Nord-Sud e dei rapporti umani tra le due parti. Un film divertente e commovente al contempo.
Il regista Park Gyu-tae, nel presentare la proiezione, ha detto di aver deciso di affrontare la questione della divisione del Paese con una commedia secondo la massima di Chaplin, per cui vista da vicino la vita è una tragedia, ma vista da lontano sembra una commedia. Ha poi spiegato di aver diretto gli attori affinché recitassero senza ricorrere al registro comico, focalizzandosi sulla situazione, con il risultato di ottenere una comicità più convincente.
Anche “In Our Prime”, di Park Dong-hoon, scelto dal pubblico online, tratta della divisione tra Nord e Sud dal punto di vista di un dissidente e della sua difficile integrazione, un tema, come abbiamo visto, ricorrente nella cinematografia coreana.
Il film riporta sullo schermo un attore sensazionale qual è Choi Min-sik, che qui accompagna un giovanissimo che ha debuttato da pochi anni.
Un incontro generazionale e un rapporto di fiducia e rispetto tra due persone molto distanti tra loro, che entrano in contatto quando il giovane si trova in difficoltà. Scoprirà allora che il dissidente nordcoreano che lavora come responsabile della sicurezza nel suo liceo è in realtà un famoso matematico.
Chiusura del Festival
Dopo la premiazione, il Festival si è concluso con la proiezione di “Life is Beautiful”, di Choi Kook-hee, un musical centrato su due attori protagonisti di mezza età, per la prima volta impegnati nel genere musicale. Ancora una volta si conferma l’originalità del cinema coreano, maestro nel fondere i registri comico e drammatico e nel sorprendere lo spettatore con colpi di scena, anche in storie strutturalmente prive di suspence.