L’antica Via della Seta
Il nome la Via della Seta si deve al Geografo tedesco Ferdinand Von Richthofen, (1883–1905), che nell’introduzione alla sua opera, “Tagebucher aus China”, (1877), utilizza il termine Seidenstraße, la «Via della Seta», per definire dal punto di vista storico, geografico, sociale ed economico quell’insieme di percorsi carovanieri e rotte commerciali, marittime e fluviali che congiungevano l’Asia Orientale, in particolare la Cina, al Vicino Oriente ed al bacino del Mediterraneo.
Si trattava di almeno 5 vie commerciali principali, alle quali nel corso del tempo si associarono deviazioni secondarie. Il ramo primario aveva la sua partenza dalle antiche capitali Cinesi Xi’an e Luoyang, nel bacino del Fiume Giallo, attraversava lo storico ed impervio corridoio del Gansu, raggiungendo la Cina occidentale nella regione dello Xinjiang per poi proseguire verso l’Asia Centrale e quindi l’Europa.
Dalla Cina e dall’Oriente arrivarono in Europa pietre preziose, spezie, profumi, medicinali, bestiame, porcellana, giada, oggetti in bronzo e lacca, specchi. Miglio, riso, tè, grandi invenzioni che segnarono profondamente la storia occidentale come la carta e la polvere da sparo.
Naturalmente in grandi quantità, tanto da attribuire il nome all’intero sistema delle vie di comunicazione, prodotti in Seta, la merce per eccellenza, oggetto per secoli di un vero e proprio segreto della civiltà cinese, la merce più preziosa, leggera, facile da trasportare.
UNA MERCE PAGATA A PESO D’ORO, SOPRATTUTTO IN EPOCA ROMANA, TANTO DA OBBLIGARE IL SENATO ROMANO ALL’EMANAZIONI DI EDITTI PER IMPEDIRNE L’USO AL FINE DI EVITARE PROBLEMI FINANZIARI.
In senso contrario Dall’Europa/Asia arrivarono in Cina metalli preziosi, lana, pelli di animali, tessuti di cotone, ricami in filo d’oro, bestiame cavalli, cammelli e pecore, prodotti agricoli quali il frumento, fagiolini, erba medica, sesamo, cipolle, cetrioli, carote, melograni, uva, pesche, fichi, angurie ma anche religioni e scuole di pensiero quali il Buddismo, l’Islam ed il Cristianesimo.
viaggiatori sulla via della setaLa nascita della Via della Seta può essere fatta risalirà a più di 2000 anni fa quando per volere dell’Imperatore Wudi, (156/87 a.C.), della dinastia Han, (206 a.C./220 d.C.), fu attuata una “rivoluzionaria” apertura da parte dell’allora protetta ed ancora sconosciuta economia e società Cinese, verso mercati limitrofi, aprendo rotte commerciali con l’Asia Centrale e gradualmente verso l’Europa.
La nomina del generale Zhang Qian come ambasciatore dell’Impero in Asia Centrale aprì di fatto questo momento storico che si protrasse fino al 1368 d.C. quando, con la caduta della dinastia mongola Yuan, (1279/1368), le vie di comunicazioni non risultarono vie ormai più sicure e vennero sostituite gradualmente da commerci marittimi più veloci.
ALCUNE TAPPE STORICHE DELLA VIA DELLA SETA:
1000 a.C. – Dinastia Shang, i mercanti del popolo Yuezhi del Xinjiang creano i primi percorsi commerciali lungo il cosiddetto “corridoio del Gansu”. La Seta viene portata verso la Siberia ma si ipotizza, da ritrovamenti di fibre seriche in una tomba di un faraone egizio databile intorno al 1070 a.C., che ci fossero già scambi commerciali lungo la Via della Seta meridionale;
600 a.C. – Dinastia Zhou, (1045/221 a.C.), iniziano i primi scambi commerciali con l’Europa di oro, giada e seta. Ritrovamenti di tracce di seta in una tomba in Germania risalgono già al VI secolo a.C.;
138 a.C. – Zhang Qian esplorò e rese sicure le rotte commerciali che da Xi’An si spingevano a Ovest, debellando il problema dei predoni che assalivano regolarmente le carovane;
220/581 d.C. – (Epoca dei Tre Regni) – cade la dinastia Han. Disordini sociali e scarso controllo militare determinano una brusca interruzione del commercio lungo la Via della Seta;
618/671 – Dinastia Tang. Le tribù turche che avevano preso il controllo dei mercati e di quello della seta in particolare, vengono conquistate e viene riaperto il canale commerciale diretto con l’Europa;
629 – Il monaco Xuanzang, percorre la Via della Seta fino all’India creando le condizioni per una notevole crescita delle relazioni con questa area geografica. Nasce la leggenda del “Viaggio in Occidente” uno dei classici della letteratura cinese;
1271/1368 – Il leggendario condottiero mongolo Gengis Khan conquista i vari piccoli stati dell’Asia centrale ed orientale, unificando l’intero territorio. Con il nipote Kublai Khan fonda la dinastia Yuan. La Via della Seta viene riaperta e i commerci rifioriscono.
marco polo vie commerciali
1269 –Marco Polo (1254/1324), “Quivi si fa molta seta” con queste parole Marco Polo descrive nel Milione l’economia della provincia cinese del Catai. Leggendari i suoi lasciapassare emessi dal governo Tuan che gli permettono di spostarsi liberamente in queste regioni in un momento storico nei quali i commerci ebbero il loro massimo splendore: pietre preziose, spezie, profumi, medicinali, bestiame, schiavi ed in grandi quantità prodotti in Seta;
1368/1644 – Cade l’impero Tuan e nasce quello Ming. La tecnica della produzione di seta si era ormai diffusa nell’Europa, prima in Italia e intorno al 1400 anche in Francia nel distretto di Lione. L’impero Ming sceglie una politica di estrema chiusura e gli scambi sulla Via della Seta definitivamente interrotti
Già in epoca romana questo lunghissimo itinerario attraversava tutta l’Asia, dalla sua estremità più orientale, fino ai confini con il continente europeo.
I mercanti cinesi
Per centinaia e centinaia di anni, i mercanti cinesi che commerciavano con l’Occidente, cioè con l’Europa, dovevano percorrere l’antica Via della Seta.
Erano 8 000 chilometri di pianure senza fine, alte montagne, passi pericolosi da attraversare, su cammelli e con carri trainati da cavalli, dall’Oceano Pacifico al Mar Mediterraneo. Le difficoltà erano molte: mesi o anche anni lontano da casa, fatica, cattivo tempo e banditi sempre in agguato. Ma i mercanti che si affrontavano questi rischi riuscivano poi a ottenere grandi guadagni.
Tappe importanti erano Samarcanda (oggi in Uzbekistan) e Bisanzio (poi Costantinopoli, l’attuale Istanbul, in Turchia).
Giunti al Mediterraneo i mercanti percorrevano, a volte via mare a volte via terra, gli ultimi chilometri per arrivare a Roma e in altre città importanti dell’impero romano. Potevano così finalmente vendere i propri preziosi prodotti, primo fra tutti la seta. Infatti, mentre la produzione di seta dai bozzoli dei bachi era già conosciuta in Cina dal 3000 a.C., in Europa l’origine di questo bellissimo tessuto era ancora sconosciuta. Ma i patrizi romani erano innamorati di questa stoffa tanto morbida e luminosa…
I mercanti europei
Durante il Medioevo alcuni mercanti europei percorsero la Via della Seta al contrario, ma solo una spedizione veneziana, che comprendeva il giovanissimo Marco Polo (quando partì aveva 17 anni, ma quando tornò ne aveva più di 40), riuscì ad arrivare fino in Cina. Il racconto della sua lunga visita in questo Paese, descritta nel libro Il Milione, restò a lungo per gli europei la base della conoscenza della civiltà cinese.
Commercio e scambio di idee
L’importanza della Via della Seta non era infatti solo commerciale, perché permise soprattutto l’incontro di uomini e di culture. Popoli diversissimi tra loro entrarono in contatto e cominciarono a conoscersi. Si scambiarono così anche usi, costumi, scoperte e invenzioni. Si comunicarono idee legate alla matematica, all’astronomia, alla tecnica, alla religione.
Le nuove Vie della Seta
Oggi il governo cinese sta dando una nuova vita a questa antica via di comunicazione.
Vie della Seta
La Cina è diventata la seconda potenza economica del pianeta, dopo gli Stati Uniti, e commercia ormai con tutti i Paesi del mondo. Così, ha lanciato la “Nuova Via della Seta” che ha l’obiettivo di creare collegamenti tra Cina ed Europa, ma anche con l’Africa e il resto dell’Asia. Questo grande progetto di investimenti e cooperazione economica coinvolge decine di Paesi, due oceani e diversi mari, oltre 3 miliardi di persone e un terzo della ricchezza mondiale.
Per far viaggiare le merci e la tecnologia attraverso questa moderna Via della Seta si costruiscono nuovi porti, nuove strade, nuove ferrovie, utilizzando le più avanzate conoscenze della tecnica.
Via terra e via mare
Dovremmo in realtà parlare di Vie della Seta al plurale, perché c’è un itinerario terrestre e uno marittimo. Quest’ultimo parte dall’Oceano Pacifico per raggiungere la città di Venezia, attraversando l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo. Da Venezia, una via terrestre porta poi fino ai porti del Mare del Nord.
Come in passato, questa nuove vie dei commerci hanno all’inizio una motivazione economica, ma permettono poi anche di unire maggiormente i popoli, mettendo in contatto diverse conoscenze, modi di vivere e di pensare. Se sono fatti nel rispetto reciproco, i traffici mercantili sono un importante elemento di pace per i territori che attraversano.
Anche il commercio internazionale è uno strumento importante per raggiungere i traguardi di collaborazione tra i diversi Paesi che si è posto l’Obiettivo 17 dell’Agenda 2030.
LA NUOVA VIA DELLA SETA
La nuova Via della Seta più che un progetto rappresenta un sistema complesso attraverso il quale il governo di Pechino intende consolidare e rilanciare l’interconnessione infrastrutturale e commerciale Cinese con il continente Euroasiatico.
nuova via della seta moderna
Il progetto BRI, “Belt and Road Initiative”, corrispondente all’acronimo inglese OBOR, (One Belt, One Road), annunciato nel 2013 dal presidente Cinese Xi Jinping e promosso dal ministro Li Keqiang, denominato come “La nuova Via della Seta”, richiamando l’epopea degli scambi dove la Seta rappresentava il fulcro di un sistema in grande espansione, si pone l’obbiettivo di realizzare di fatto ciò che durante il XIX congresso del Partito comunista cinese venne definito ”The Chinese dream is a dream about history, the present and the future”
ALCUNI DATI SUI 65 PAESI COINVOLTI
63% della popolazione mondiale 4,4 miliardi di persone;
29% del Pil mondiale per 21 miliardi di Dollari;
75% delle riserve energetiche.
3 principali direttrici
Dall’Europa attraversando Kazakhstan, Russia e Polonia verso il Mar Baltico;
Ripresa della via Transiberiana;
Più a Sud più la direttrice per il Golfo Persico, toccando Islamabad, Teheran e Istanbul.
2 rotte marittime
Dal porto cinese di Fuzhou attraverso l’Oceano Indiano e il mar Rosso fino all’Africa congiungendo i porti Europei meridionali (Italia e Grecia);
Dal porto cinese di Fuzhou verso le isole del Pacifico.
Una serie di gasdotti ed oleodotti.
900 miliardi di Dollari di investimento previsto su due macro-progetti e direttrici complementari
Silk Road Economic Belt del tratto terrestre;
Maritime Silk Road tratto marittimo.
Il più grande progetto di investimento mondiale pari almeno 12 volte l’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall.
Costituzione della Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIIB )con un capitale di 100 miliardi di Dollari
Un progetto ambizioso e colossale che proprio per le sue dimensioni ed implicazioni non solo strutturali ma anche economiche e sociali è e sarà a maggior ragione oggetto di continue ridefinizioni nonché di pressioni e contrapposizioni politiche economiche e sociali da parte delle altre potenze economiche mondiali (Europa/USA/Russia/India).
Dubai, lungo la Via della Seta
Tra tutte le metropoli arabe del Golfo, quella più presente nell’immaginario collettivo è, senza dubbio, Dubai. Il suo ruolo di grande hub per i trasporti globali, le avveniristiche costruzioni, la mole di eventi che ospita (a cominciare dalla prossima edizione di Expo) sono alcuni degli aspetti che rendono la città emiratina l’esempio per eccellenza delle ambizioni dei ricchissimi sceicchi dell’area. Rispetto a Doha o Abu Dhabi, capitale nonché rivale interna negli Emirati arabi uniti, Dubai è la città che meglio è riuscita ad affrancare il proprio benessere dalla dipendenza dagli idrocarburi, diventando addirittura, nell’arco di un paio di decenni, una rinomata meta turistica.
Il successo di Dubai, città capitale dell’omonimo Emirato, è innanzitutto dovuto alla struttura federale degli Emirati Arabi Uniti, che ha consentito ai regnanti locali di perseguire una politica di sviluppo del tutto indipendente dal resto dello Stato e distinta rispetto all’altro grande emirato del Paese, quello di Abu Dhabi. Se per la capitale il motore dello sviluppo è rappresentato, in linea con il resto della regione, dall’esportazione di petrolio e gas naturale, Dubai si è invece concentrata sullo sviluppo del commercio globale. La competizione tra i due emirati non ha mai causato crisi all’interno dello Stato; al contrario, la loro differente natura e la mutua collaborazione hanno permesso agli Emirati Arabi Uniti di prosperare e diventare il più importante tra i Paesi arabi del Golfo dopo l’Arabia Saudita.
La ricchezza della città è seconda solo alla smisurata ambizione dei suoi governanti. Un quadro chiaro su quello che Dubai intende diventare nei prossimi decenni è stato recentemente tracciato dal suo leader, nonché primo ministro e vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohammed bin Rashid Al-Maktoum, noto a Dubai semplicemente come Big Mo. Al-Maktoum è stato tra i principali artefici del miracolo di Dubai e, in occasione dei cinquant’anni dal suo primo incarico di governo, ha voluto tracciare un percorso in 9 tappe per la crescita futura dell’Emirato. Nel primo punto del documento viene sottolineato che già oggi Dubai ospita il più grande aeroporto internazionale del mondo e che nei prossimi dieci anni è previsto che saranno un miliardo le persone che vi transiteranno. Anche sul fronte marittimo la situazione si presentata come ottimale, con collegamenti portuali con centinaia di destinazioni. Il punto nodale del documento è molto ambizioso e allude nientemeno che a un ritorno ai fasti della Via della seta nello sviluppo del commercio globale. Storicamente, infatti, una delle principali direttrici della Via delle Seta lambiva proprio le sponde arabe del Golfo Persico.
Il progetto che oggi si richiama a quel mitico percorso del passato, la Belt and Road Initiative (BRI) promossa da Pechino, prevede invece due tracciati principali: il primo, terrestre, raggiungerebbe l’Europa attraverso l’Asia Centrale, l’Iran, la Turchia e la Russia; il secondo, marittimo, passa per il Sud-Est asiatico, raggiunge i porti africani sull’Oceano Indiano ‒ costruiti con fondi cinesi ‒ per giungere infine nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. In entrambi i casi, la zona del Golfo Persico sembra non essere coinvolta dalla Belt and Road cinese. Oltre che per fattori logistici, Dubai pare essere sfavorita da fattori politici: gli Emirati Arabi Uniti sono tra i più fidati alleati degli Stati Uniti, in accesa rivalità con l’Iran, alleato storico della Cina. Nonostante queste premesse, gli Emirati Arabi Uniti, con in testa proprio Dubai, sono riusciti negli anni ad attirarsi simpatie e finanziamenti dalla Cina e a rientrare nei faraonici piani di collegamento commerciale progettati da Pechino.
La Cina costituisce il partner commerciale principale di Dubai, con un giro d’affari da 60 miliadi di dollari nel 2017. Se da un lato la Cina non può lasciarsi sfuggire la possibilità di collegare la propria Belt and Road al terzo polo d’esportazione mondiale dopo Hong Kong e Singapore, dall’altro Dubai, sempre più desiderosa di divenire snodo cruciale dei traffici globali, non può permettersi di rimanere fuori dalla rete di collegamenti cinese. Uno dei più grandi operatori portuali di Dubai, la DP World, ha non a caso annunciato una partnership con la Zhejiang Provincial Seaport Investment & Operation Group per la costruzione di una stazione logistica per la Belt and Road a Dubai, con l’obiettivo di offrire servizi adeguati al flusso di merci che transiterà nei porti della città emiratina.
Se c’è però un aspetto del potenziale di Dubai che interessa molto la Cina è quello che riguarda i progetti di investimento sulle energie rinnovabili. Nell’estate del 2018 il Fondo cinese per la Via della Seta ha annunciato di voler acquisire un quarto della proprietà della futura, enorme centrale solare che verrà costruita nei pressi di Dubai. L’accordo è stato siglato durante la visita di tre giorni del presidente cinese Xi Jinping negli Emirati Arabi Uniti, che ha anche portato all’annuncio di investimenti cinesi nell’area per circa 20 miliardi di dollari. Soltanto pochi mesi prima, la Shangai Electric aveva annunciato un finanziamento per la costruzione della centrale. Musica per le orecchie di Al-Maktoum, il cui piano di sviluppo energetico prevede un significativo aumento della quota proveniente da fonti rinnovabili nei prossimi anni: dal 25% nel 2030 fino al 75% nel 2050.
Al netto però dei proclami, e nonostante l’impressionante crescita conseguita in termini di potere, prestigio e ricchezza, la strada da fare per Dubai per passare dall’essere una ricca metropoli a un polo d’attrazione globale appare ancora lunga. Il report della Banca mondiale che misura, in base a diversi parametri, la forza “logistica” dei vari Paesi pone nel 2018 gli Emirati Arabi Uniti subito al di fuori della top 10 globale. Un risultato incoraggiante e in leggera crescita rispetto al 2016 ma non ottimale se si pensa che la rivale Singapore, da sola, si colloca al settimo posto.
Nel XXI secolo la logistica delle merci certamente non costituisce il solo fattore del successo per un polo economico e commerciale. Per questo uno degli articoli della carta d’intenti dello sceicco vede Dubai come futuro punto di riferimento per il commercio virtuale. L’obiettivo è creare una vera e propria città virtuale per il commercio che induca ben 100.000 imprese a operare al suo interno. Allo stato attuale tuttavia, se si prende il settore economico che più tra tutti si presta ad essere liquido e intangibile, quello finanziario, Dubai si posiziona in una situazione non troppo diversa rispetto al suo potenziale logistico. Il Global Financial Index la colloca infatti al 15esimo posto a livello globale; in crescita, ma ancora distante dai poli finanziari più importanti del pianeta.
Del resto, pur avendo saputo sfruttare a proprio vantaggio la crescita economica della regione legata al commercio degli idrocarburi, Dubai sperimenta anche i limiti di un paradigma di crescita estremamente legato alle performance dei suoi vicini. A differenza di Singapore, Dubai non può vantare una posizione realmente cruciale nei traffici commerciali del pianeta e se il Golfo non fosse tanto ricco grazie a petrolio e gas, con ogni probabilità gli investitori attratti da Dubai sarebbero molti di meno. Questo è un aspetto da affrontare nel quadro di futuri scenari “post-petroliferi”. La città sarà davvero in grado, con le sue sole forze, di conservare, se non persino ampliare, il proprio potenziale commerciale?
La diretta concorrenza di metropoli vicinissime, diverse per molti aspetti ma accomunate da una grande opulenza, è un altro aspetto potenzialmente limitante per Dubai. Tra Doha, Kuhait city, le grandi città saudite e, naturalmente, la rivale Abu Dhabi, sono molti i rischi che nel prossimo futuro Dubai, piuttosto che splendere di luce propria, possa adeguarsi a diventare solo una parte di un complesso più ampio. A questo contribuisce l’ultimo aspetto di criticità, probabilmente il più importante. Big Mo sa bene che non avendo alle spalle un grande Paese disposto a supportarne la crescita, il policy making cittadino è essenziale per vincere le sfide che ha posto alla sua creatura. Per questo ha promesso di redigere una carta programmatica della città ogni anno; una vera e propria versione in piccolo dei documenti strategici pubblicati dagli Stati.
Dubai però non è uno Stato indipendente. Nonostante la grande autonomia di cui gode, gli obiettivi della città non sono sempre coincidenti con quelli del resto del Paese, e soprattutto con quelli di Abu Dhabi, che invece è al meglio espressione delle ambizioni di tutti gli (altri) Emirati. La crisi finanziaria del 2008 pose Dubai, già al tempo proiettata nel mercato finanziario, sotto l’occhio vigile di Abu Dhabi e di tutto il Paese, nel timore che si dovesse attingere alla ricchezza ottenuta dagli idrocarburi per fare fronte alle perdite subite dalla città. Se finora Dubai ha potuto contare sul supporto di tutti gli Emirati, con il crescere delle ambizioni della città e del suo leader, potrebbe essere vista sempre più come una fonte di instabilità e di rischio.