prossimi programmi  

 A.  Conferenza del Card. Walter Kasper  (20 min ca.)

 prevista per la metà di aprile, inizi di maggio 2022 sul tema        

   

                      Le vie della solidarietà 

 

B.  Breve presentazione (30 min.) 

di due volumi sulla solidarietà in Walter Kasper, Henri de Lubac, Papa Francesco, con un testo inedito di Joseph Ratzinger su de Lubac.

 

  Con la partecipazione di:

  • Professor Mauro Ceruti (Università di Bergamo)
  • Card. Gianfranco
  • Card. Francesco Coccopalmerio
  • Antonio Palmisano (Università del Salento)
  • Antonio Russo (Università di Trieste)

 

  C. Presentazione (15 min.)

  di un Consorzio interuniversitario (si veda l’allegato) sugli stessi  temi in fase di avanzata costruzione con il supporto e la collaborazione del Dipartimento Education di Confindustria

  (prof. Sciolari)  

 

TITOLO: Antiche e moderne vie della solidarietà. Da Maurice Blondel a Papa Francesco

 

PROFILO DEL LIBRO

Il testo, nel 30 anniversario della morte e nel 125 anniversario della nascita di Henri de Lubac (1896-1991), ripercorre a partire dalla posizioni di Maurice Blondel fino ad arrivare a Papa Francesco alcune delle principali vicende dell’idea di solidarietà in ambito europeo. Si tratta di una linea di pensiero, che, nei suoi tratti essenzialissimi, si è snodata come un unico filo di Arianna,  Il cui influsso ha segnato in maniera duratura la cultura cattolica del secolo scorso, dando  un decisivo impulso verso una nuova determinazione del ruolo e della presenza del cattolicesimo nel mondo contemporaneo, facendoci prendere coscienza della sua dimensione storica e sociale.  Gli autori presi in considerazione ed analizzati sono stati, oltre a Blondel e de Lubac, Yves der Montcheuil, Walter Kasper, Papa Francesco, Tommaso Federici, Stefano Rodotà. Sono autori in gran parte strettamente correlati tra di loro, per un motivo o l’altro. Il sagggio su Rodotà vuole essere, sulle stesse tematiche, un tentativo di dialogo con l’autore che ebbe inizio quando Rodotà era ancora in vita. In appendice vengono presentati al pubblico per la prima volta:  un inedito dell’allora Card. Joseph Ratzinger del 1996; due scritti giovanili di Henri de Lubac e alcune lettere di Maurice Blondel allo stesso de Lubac, in versione originale e traduzione italiana a fronte. 

 

 

Antonio Russo

E’ nato a Castroregio (Cosenza). Si è laureato in Filosofia presso l'Università di Roma "La Sapienza", nel 1978, con M. M. Olivetti e M. Simonetti, alla presenza, del tutto eccezionale, del prof. Ugo Spirito.  Ha studiato, dal 1974 al 1977 Teologia liturgica presso l’ Istituto Liturgico di Sant'Anselmo (Roma). Dal 1977 al 1982 ha studiato teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, conseguendo nel 1982 il grado di Licenza in S. Teologia. Il 1989 ha ottenuto a Tubinga, in Germania, il grado accademico di Doktor der Theologie. E’ stato Coordinatore nazionale del PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) 2009 - 2013. Nel 2011 ha fatto parte del gruppo di experts, come external advisor, della Wellcome Trust (Londra, UK). E’ stato  Visiting Professor per alcuni mesi, all’Università di Oxford, negli anni 2007 e 2008 (Campion Hall). Dal 2016 al 2018 è stato Presidente della Commissione Nazionale ASN, per il settore scientifico disciplinare 11/C3, Filosofia morale. A partire dal 2000 è professore ordinario di Filosofia morale presso l'Università di Trieste. Ha organizzato, assieme al Card. Walter Kasper, nei giorni 4-5 febbraio 2020, nel Castello di Miramare di Trieste un incontro interdisciplinare, tenendovi anche una relazione.

 

 

 

 

 

 

 

      Solidarietà: vie e frontiere

           Da Maurice Blondel a Papa Francesco

         

 

Parte I 

Maurice Blondel 

 

Introduzione

 

  • Maurice Blondel e l’idea di solidarietà

 

1.1.   Blondel e le science positive

    • L’azione come vincolo sociale
    • Gli equivoci del personalismo
    • La solidarietà sociale
    • Lotta per la civiltà
    • Il nazismo e i “sedicenti regimi di libertà »
    • La patria e le patrie

 

Parte II

Il « trionfo di Blondel » in teologia : 

Henri de Lubac

 

  • Il problema del vinculum
  • Il vinculum e la chiesa
  • Unione mistica e solidarietà
  • Apologetica e teologia
  • Gli aspetti sociali del dogma
  • Gli aspetti sociali del Cattolicesimo
  • Solidarietà e alterità: il paradosso dell’uomo
  • Testimonianza sociale: resistenza all’antisemitismo 
  • Rottura della solidarietà: l’umanesimo ateo
  • Antropologia solidale 
  • La “nuova teologia”
  • Risposta ai critici
  • La fede vivente e sociale
  • La zizzania cresce 

 

Parte III

Henri de Lubac e Papa Francesco

Il lascito di Henri de Lubac

 

  • La riabilitazione
  • L'amicizia con mons. Karol Wojtyla
  • Dopo il Vaticano II 
  • Un paradigma di Cattolicesimo sociale
  • Chiesa-mondo contemporaneo: Papa Francesco

 

 

 

Parte IV

Nel solco di de Lubac:  Walter Kasper e la misericordia

 

  • Teologia e Chiesa solidale
  • Opzione prioritaria per i poveri
  • La solidarietà della Chiesa
  • La misericordia 
  • In cammino con Papa Francesco 
  • Papa Francesco e la «mondanità spirituale»

 

 

  Parte V

  Henri de Lubac inedito: Joseph Ratzinger

 

  • Henri de Lubac a cent’anni dalla nascita

 

   

   

  La carità nella Bibbia e nella liturgia

  Tommaso Federici (1927-2002)

  Testi inediti di Henri de Lubac

  Lettere inedite di Maurice Blondel ad Henri de Lubac                                     

  Stefano Rodotà (1933 - 2017) e la solidarietà

 


 

Roma, 29 ottobre 2021
 
La quarta isola del mondo: ll Madagascar.
Morfologia del Territorio
Il Madagascar è un’isola, estesa oltre 1.500 km. In lunghezza, 600 km. in larghezza, per 590 km2 circa, quarta isola al mondo, è uno Stato insulare nell’oceano indiano, al largo della costa meridionale dell’Africa di fronte al Mozambico.
Beneficia del doppio respiro dell’influenza africana e indiana, per la sua naturale posizione geografica e per la fascinazione per gli usi e costumi.
Scrigno della natura e della bio-diversità. Elemento essenziale dell’impatto con l’uomo e natura e enfasi della natura con l’uomo. Per le essenze e i fiori dai colori vivaci è chiamata l’isola dei profumi.
Nei tempi antichi il governo dell’isola era nelle mani di poche persone, vi erano dei mercanti di arte e le tradizioni erano molto seguite: non si andava a caccia di elefanti e di cammelli, il paese offriva la possibilità delle coltivazioni e la terra veniva curata per la raccolta dei frutti.
Proprio in considerazione della particolare situazione naturalistica in cui è il Madagascar, a difesa della sua biosfera ed atmosfera, nasce un ponte di collegamento con l’Italia e la stessa. Si cerca di cooperare da sempre e periodicamente, per la conservazione del sistema naturale e di quello umano.
Si attuano progetti di elaborazione degli eco-sistemi, come luoghi di attività a beneficio del pianeta.
Hot spots forests con 1.500 piante tropicali e sei specie endemiche di baobab, punto di vascolarizzazione contro la distruzione endemica, per la protezione di una grande area naturale e piccole aree connesse.
Individuare eco-regioni con priority places, per frenare la distruzione degli eco-sistemi sostenibili.
Loss of forests convert, come programma di investimento, per impedire il devastamento continuo, della vita delle foreste.
Il legno del palissandro, ad esempio, è destinato ad usi diversi, fino al depauperamento degli alberi.
Le miniere del Madagascar sono ricche di rame, bauxite, nichel, cobalto nelle aree di montagna, tantissime pietre preziose vengono estratte dalle spiagge sabbiose ed il petrolio è lungo la costa, tutti questi minerali sono finalizzati allo sfruttamento.
L’isola è pianeggiante in particolare lungo le coste occidentali, la catena montuosa dell’altipiano è nella parte centrale, comprende le regioni di Fianarantsoa e Antananarivo, caratterizzato da colline e montagne, ed i fiumi scorrono lungo le valli.  
A  nord si erge il massiccio dei Tsarantanana dove la vetta più alta è il Maromokotro di 3.000 metri.
Questo paese dà una forte opportunità di sviluppo e cooperazione, si cerca di pianificare la progettazione che tuteli i minerali del sottosuolo.
I Malgasci hanno numerosi siti archeologici, testimonianza storica dalle remote origini.    
Oggigiorno, migliaia di specie animali, come i lemuri, duecento cinquanta specie di rane e i camaleonti vivono il loro abitat naturale.
Il territorio è interamente circondato dal mare, all’interno gli altipiani centrali sono lungo un percorso di oltre 1.000 metri. La loro altezza parte da 800 ed arriva 2.700 nel Massiccio dell’Andringitra.
Una terra piena di tradizioni in continua trasformazione e di storia, nelle colline e nelle valli il paesaggio è prevalentemente agricolo, con le coltivazioni di riso, verdure e frutta.    
Parti dell’isola sono aree naturali protette, come i principali parchi nazionali, (Andohahela, Masoala, Ankarana ) alcuni di questi sono stati considerati come patrimonio dell’Umanità, dall’Unesco dal 2007.      
Popolazione                                                
L’isola è popolata da popoli provenienti, in maggior parte, dai porti dell’arcipelago indonesiano, dai migranti dell’Africa Orientale e del nord, compresi i paesi arabi.
Gli abitanti accomunano molti tratti culturali, considerando che le varie lingue parlate da questi popoli, sono strettamente legate fra loro, al punto da essere talvolta classificate non propriamente, come dialetti.
La lingua malgascia è quella scritta, dai giornali ed insegnata nelle scuole.
A tutt’oggi nello stato del Madagascar esistono diciotto etnie, per esemplificazione dette: “le diciotto tribù”.
Le origini del popolo sono eterogenee e le varie tribù sono dislocate sui vari punti del territorio.
Le diciotto tribù vengono così denominate:
Antaifasy: quelli della sabbia lungo la costa sud-orientale, sulle spiagge sabbiose,
Antemoro: quelli della costa, lungo la costa sud-orientale,
Antaiska: quelli provenienti dai Sakalava, a nord di Fort Dauphin,
Antakarana: quelli delle rupi, a nord dell’isola,
Antambohoaka: quelli della comunità, sono nella regione di Manajary,
Antanosy: quelli che sono nelle vicinanze di Fort Dauphin
Antandroy: quelli che abitano nelle spine e vivono nella punta estrema del sud,
Bara: quelli degli altopiani centrali,
Betsileo: gli invincibili, a sud degli altipiani centrali,
Betsimisaraka: gli inseparabili della costa Orientale,
Bezanozano: quelli delle trecce lungo il fiume Mangoro,
Mahafaly: con i loro tabù a sud dell’isola,
Merina: quelli degli altipiani, nei dintorni della capitale,
Sakalava: dalle valli lunghe ad ovest del territorio, i Vezo sono un sottogruppo dei Sakalava, conoscitori
del mare,
Sihanaka: dalle paludi, attorno al lago di Aloatra,
Tanala: abitano la foresta, vicino a Ranomafana, dai lunghi capelli, nella zona centro settentrionale dell’isola,
Vazimba: abitano gli altipiani, non nelle aree centrali, di cui non si conosce l’origine, se sono una tribù estinta, o se siano Malgasci primitivi o se provengano dalle lontane isole del Pacifico.
 
Usi e costumi
Nell’isola la confluenza delle diverse origini culturali e tradizionali ha contribuito
a dare sia nella danza, che nella musica, il senso creativo del popolo.
La musica è con ritmi indonesiani ed africani, unita al suono dei flauti e chitarre accompagna le cerimonie.
Circa metà della popolazione conserva le credenze tradizionali, la religione cristiana è praticata per buona parte, il Pontefice ha compiuto un viaggio nell’isola nel 2019, una certa minoranza è anche musulmana.
Le storie e le vicende che hanno caratterizzato le diciotto tribù vengono tramandate oralmente di generazione in generazione.
Il vintana è una credenza di provenienza araba, diffusa presso gli Antemoro.
Si crede nel vintana, e che determini quale sia il momento più indicato per compiere un’attività, come costruire una casa o arare la terra. Ogni giorno della settimana ha la propria caratteristica il sabato è associato alle celebrazioni. I malgasci per essere certi di scegliere la data certa e favorevole consultano l’astrologo.
Emblema nazionale sono gli zebù che per i malgasci simboleggiano la forza.
Appunti di viaggio
Dal diario viaggio di una italiana che cercava un posto dove pescare e riposare, affiorano
i ricordi dell’isola.
Il clima mite, il verde che ondeggia dal vento, l’aria pulita e verso sera il tramonto il cielo tinto di arancio e di blu, danno sensazioni uniche.
Nella città di Manina, ci sono le criticità, lungo la costa è inevitabile imbattersi in un villaggio di capanne, di tre metri curvate dal vento, spesso con pareti di falafa ed il tetto di ravinala ed  altre costruite con lamine arrugginite, dove ci sono bambini costretti a lavorare, portando fascine d’erbe e secchi d’acqua o al pascolo gli zebù.
Le bambine provvedono ad accudire i fratelli minori e preparano da mangiare.
Al disagio di questi minori, si aggiunge la malaria, che incide anche negli adulti, che svolgono lavori di bassa manovalanza.
Abitazioni malsane, condizioni igieniche scarse, difficoltà nel seguire l’istruzione con gli insegnamenti
scolastici rappresentano problemi.
Prodigare cure, cercare di dare una istruzione e di migliorare la loro condizione di vita è l’opera pregevole che alcune persone hanno potuto svolgere.
 
La Capitale
La Capitale è Antananarivo, si trova nel centro dell’isola, con bellezze naturali ed architettoniche
Al centro sud della città a forma di cuore, si trova il lago  Anosy, dove gli alberi Jacaranda, fioriti di colore viola, da ottobre a novembre, gli fanno da cornice.,
La capitale è situata a circa 1.400 metri, sull’altipiano di Imerina, in una zona a clima temperato.
L’abitato si estende su di un gruppo di colline rocciose. Nella parte più elevata delle colline venne costruito il palazzo della Regina qui ci sono anche i principali palazzi pubblici.
La regina Ranavalona ordinò di edificare il palazzo (1868-1883) e venne in origine costruito in legno successivamente nel 1872 venne riedificato in pietra.
Nel 1995 subì un incendio all’interno e non molte cose preziose riuscirono ad essere portate in salvo.
A distanza di 25 anni il Rova di Antananarivo viene riaperto al pubblico, con l’idea di far visitare il palazzo storico dell’ottocento sede dei sovrani dell’epoca e diffondere le origini e la cultura del paese.
Le costruzioni delle case
L’architettura nel Madagascar è esclusiva di questa isola e ricorda molto quella del Borneo meridionale, dal quale si crede ebbero inizio, le prime emigrazioni. 
Le case sono generalmente a forma rettangolare, alzate su pile con il tetto sostenuto da un pilastro centrale, le travi a capanna sono incrociate da formare degli spunzoni, per sostenere il tetto, e per essere intagliati in modo decorativo.
I Merina, abitanti gli altipiani centrali, ricordano molto i loro antenati:”I Kalimantan” vivono nelle tradizionali case in legno dell’aristocrazia, impiantate da un pilastro centrale che alza il tetto a volte decorato.
In origine
Nel sud-est del Madagascar , le corna degli zebù, animale simbolo, erano appese ai frontoni delle case.
La zona notte, per tradizione era nella parte sud-est, a sud del pilastro era posta la cucina, a nord il focolare della casa, riservato ai figli maschi della prole ed agli ospiti, a sud vi erano le donne, generalmente si occupavano della cucina con loro stavano i bambini e persone considerate di rango inferiore.
A nord-est della abitazione si pregava e si porgevano le offerte per gli antenati.
Per le costruzioni con elementi vegetali, si trovano nelle parti costiere, solitamente ad un piano, con il tetto a punta, su palafitte.
Queste case sono molto simili a quelle che sono in alcune parti dell’Indonesia.
I materiali comunemente usati sonno canne, giunchi, legno e foglie di papiro.
Lungo la costa orientale del Madagascar, punto limite con l’oceano indiano, le case sono su palafitte, sono protette da fronde di palma (ravinala madagascariensis).
L’economia di questo paese è prevalentemente agricola, il riso è il maggior prodotto esportato.
Alcune industrie tessili, minerarie e turistiche contribuiscono allo sviluppo ed all’autonomia del paese.
Importanti sono le risorse naturali come la silvicoltura e la pesca, l’artigianato elegante, apprezzato per la lavorazione della seta, insieme alla creazione di monili ed oggettistica in legno contribuiscono alla economia stessa.  
 
Il Madagascar e le stelle
 
E’ possibile scrutare il cielo stellare del Madagascar.
La via lattea in una nuvola bianca lunga e sottile simile ad scia luminosissima, tanto candida da contrastare il blu notte si vede la notte, nel cielo di Tsiroanomandity nell’emisfero a sud e arriva fino al mare.
Le costellazioni, sono ben visibili per il basso livello di inquinamento luminoso,
Puntando i telescopi dai punti di osservatorio dell’astroturismo, dalla parte  sud-est del Kirindi Mitea National Park e a sud dell’isola oltre a Tsaranoro Mountain Range, si possono ammirare le stelle.
 
 
 
   Breve studio sul Madagascar a cura di Claudia Polveroni 
 
Note bibliografiche: studio dalle lezioni dedicate al Madagascar, tenutesi presso il Museo Civico di Zoologia in Roma.

Il Tempo delle Donne
Ieri alle 17:25 ·
Il film dominicano partecipa al
XVI Festival Internazionale del Film di Roma
Il film dominicano “Un film sulle coppie”, diretto e scritto da Natalia Cabral e Oriol Estrada, è stato selezionato per concorrere alla Selezione Ufficiale del 16° Festival Internazionale del Film di Roma.
L'Ambasciatore della Repubblica Dominicana in Italia, Tony Raful, ha accompagnato i registi alla prima ufficiale, nella Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica di Roma. dove si sono incontrati esponenti dell'industria cinematografica italiana e internazionale.
Va notato che il film "Un film sulle coppie" ha recentemente vinto il Premio della critica francese e una menzione speciale per la performance alla 30a edizione del Festival di Biarritz.
La Repubblica Dominicana e il Messico sono gli unici paesi dell'America Latina
Nella fotografia: Ambasciatore Raful, Natalia Cabral e sua figlia,
Oriol Estrada, Louisa Auffant
rappresentati in questo Festival Internazionale, uno dei più importanti al mondo.

 

 

 

 

Critica nei confronti della "Negritudine"

Soyinka, proseguendo in quel periodo la sua critica sul ruolo dell'artista nell'Africa moderna, si pone in contrasto anche con tutto quel movimento culturale che aveva avuto origine nel quartiere latino di Parigi all'epoca delle lotte indipendentiste in Africa e il cui fondatore, Senghor, diventerà presidente della repubblica del Senegal, Soyinka condanna infatti tale corrente ideologica-letteraria, detta della "Negritudine", che proprio nella acritica glorificazione di un passato, identificato con l'immagine "coloniale" del "bon sauvage", ritrovava l'essenza negra.

Questa dottrina, elaborata come pensiero filosofico da Senghor e dal martinicano Aime Cesaire negli anni '40 alla Sorbona, mal si adatta al pensiero più moderno e populista di Soyinka mentre tale dottrina si confronta infatti con le tecniche e, più in generale, con la mentalità globale del mondo occidentale, la dottrina soyinkiana rifiuta il paragone, attestandosi su posizioni completamente nuove ed ancorate profondamente nella filosofia africana» Mentre la "Negrìtudine" si preoccupa di rispondere alle accuse della cultura europea, trovandosi a"combattere" in campo avversario, Soyinka non accetta alcuna discussione di stampo tipicamente occidentale, riportando la disputa in terra africana. A proposito di tale posizione, è fondamentale la frase chiarificatrice dello stesso Soyinka:

"A tiger does not shout its tigritude, it acts it", da "The Writer in an African State", in Transition 

Mentre quindi la Negritudine cercava una definizione collettiva dell'identità dell'uomo nero, Soyinka ribadisce l'importanza delle culture locali (in primis la cultura yoruba), considerate non dal punto di vista esclusivamente emozionale ed anti-intellettuale, ma ben coscienti della propria dignità e della propria tradizione, cioè intellettualmente capaci. Soyinka rifiuta quindi l'immagine di Senghor che,desideroso"di affermare la sua africanità in terra europea, finisce invece per "sbiancarsi" gradualmente. Il concetto base di tale rifiuto, tipicamente radicale e rivoluzionario, permette a Soyinka di concepire l'Africa come un continente completamente autonomo, dove la colonizzazione appare solo come un momento storicamente determinato che è necessario superare. Anche per questo, quindi, egli si scontra con la "Negritudine" che, implicitamente, vede invece l'indipendenza nazionale come il giusto riconoscimento per l'apprendimento di schemi e di modi di vita tipicamente occidentali.  

In altre parole ed in un contesto socio-politico più ampio si produce, tra Soyinka e Senghor, uno scontro che deriva dal diverso modo di affrontare il problema coloniale delle due "superpotenze" dominanti nel mondo africano, la Francia e l'Inghilterra. Mentre l'una,infatti,col suo enorme bagaglio storico, filosofico e religioso, cerca di conquistare profondamente il mondo africano, inculcando le proprie idee fino a radicarle completamente nelle nazioni domi_ nate, l'altra non si propone,consapevole della propria superiorità, lo stesso risultato finale, permettendo così il mantenimento di quella carica nazionale e di quella capacità intellettuale insite in ogni popolo africano. Proseguendo ancora sul tema della "Negritudine", è opportuno ricordare un'affermazione particolarmente significativa di Soyinka:

"la Negritudine, successivamente, è diventata un tema fine a se stesso, ed i seguaci vi si sono adagia-ti senza dare spazio alla vera creatività artistica. Bisogna quindi lasciare tale retroterra, per dare una ritrovata immagine letteraria africana  (1), Tuttavia, quando si parla di immagine letteraria afri-cana, bisogna sottolineare che il problema è molto complesso e riguarda lo stesso termine di "letteratura", proveniente dà "lettera",; intesa come segno scrittoC2). Infatti, l'unica tradizione culturale scritta africana è quella dei Suahili e degli Hausa, che si era sviluppata sotto la spinta islamica. Da sempre, l'arte letteraria africana e  caratterizzata da una tradizione orale, e si manifesta quindi in forme diverse nel rispetto

(1), da "From a Common Back Cloth, di Wole Soyinka, in The American Scholar, voi. 32, giugno 1963,pag. 387-396, New York.

(2), da "Le solide radici yoruba di una cultura cosmo-polita" in II Mattino, 17.11.1986, di Toscano, M.

dei suoi modi di produzione e di fruizione, che sono molto più collettivi e diretti se paragonati alle tecniche della letteratura scritta, nota come letteratura d'elite, espressione del potere politico e religioso. E' pertanto l'avventura coloniale che diffonde la scrittura a caratteri latini e che fa sorgere letterature in lingua francese, inglese o locale. In conclusione, data la complessità della situazione culturale africana, e la varietà dei modelli e delle forme adottate, spontanee o imposte che siano, Soyinka ribadisce che gli scrittori africani devono operare contro la Negritudine. In tale ottica Soyinka volge la sua ironia verso i più comuni canoni estetici della critica occidentale, che si accosta alla produzione africana con un atteggiamento che egli definisce "tarzanismo" (1).

(1), da "From a Common Back Cloth, di Wole Soyinka, in The  American Scholar, voi. 32, giugno 1963, pag. 387-396, New York.

Il nostro autore afferma infatti di non credere nella creazione artificiale di un'estetica, perché all'in-terno di ogni cultura è già inserita un'estetica le-gata all'organizzazione di quella stessa cultura e quindi inseparabile da essa.

I critici occidentali sono incapaci di esaminare le culture africane, perché sono portati ad analizzarle secondo schemi e somiglianze con le culture occidentali; in ogni modo, essi non debbono far perdere di vista la specificità africana, I nostri critici sono incapaci di giudicale un'originale opera africana, perché ragionano in base ad analogie. On romanzo, secondo loro, assomiglia a Kafka, a Joyce, o a Proust; in sostanza, essi vedono nella produzione letteraria africana un frutto derivato dal mondo europeo.

   Tale critica giunge a definire "europei" gli scrittori africani, che si esprimono con vocaboli tipicamente occidentali, come aeroplano, bicicletta o treno; e giunge altresì a "consigliare" gli stessi africani di usare un linguaggio più propriamente indigeno, con equivalenti termini "folcloristici" ed "hollywoodiani" come "uccello di ferro", "cavallo d'acciaio" o "serpente fumante" (1). Si dimostra così la tendenza a giudicare un'opera non in "base ai contenuti, ma in "base all'uso dei termini linguistici, che invece sono considerati da Soyinka come semplice "involucro" struttura esterna in cui il contenuto viene forzato" (2).A proposito del contenuto e del suo significato più profondamente filosofico, Soyinka si rifà quella che egli chiama la "memoria muta", che è "più antica della memoria parlata ed ancor più della memoria"scritta" (3). Quest'ultima frase rivela, nello stesso tempo, la grandezza spirituale di Soyinka e della sua cultura.(1), da " Wole Soyinka: romanziere, poeta e drammaturgo nigeriano" di Vivan Itala in II Messaggero, 17.10.1986.

(2) da "Il mago della pioggia", di Vivan Itala,in _I1 Messaggero, 18.10.1986. (3), da "Tante Memorie", di Costantini C, in II Messaggero, 18.10

    In contrapposisione alla superficialità della critica occidentale nei confronti dell'Africa, considerata ancora come "la foresta di Tarzan, di Jein e di Cita, all'ombra del Kilimangiaro!". Per concludere comunque la discussione su questo "basilare argomento, ritengo giusto e doveroso ascoltare le parole, dure ma chiarissime, dello stesso Soyinka: Negritude was a creation by and for a small a small élite.The search for a ratial identity was conducted by and for a minuscle minority of uprooted individuals, not merely in Paris "but in the metropolis of French colonies.At the same time through the real Afric among the real populace of the african world would have revealed that these millions had never at any time had cause to question the existence of their Negritude. La negritudine fu una creazione di una sparuta élite destinata alla stessa élite.La ricerca di un'identità razziale fu condotta da e per una minuscola minoranza di individui sradicati, non solo di Parigi, ma nelle metropoli delle colonie francesi.Allo stesso tempo,fra la vera popolazione del mondo africano si sarebbe rivelato che questi milioni di persone non avevano mai assolutamente avuto motivi di porre in discussione l'esistenza della propria negritudine.

Emanuela Scarponi