Il 21 dicembre AfricanPeople ong dedicherà questa giornata a due eventi femminili, improntati sulla lotta contro la violenza sulla donna.
La nostra ong e solita affrontare tematiche inerenti il continente africano, e quest’oggi ospiterà la mostra di caratttere ktmnernazionele della associazione il tempo delle done e, che ricomprende opere d’arte - fotografie e dipinti / di donne di differenti paesi che sono approdate in Italia.
Sono madrina dell’evento e quindi ho pensato opportuno ospitarle nella autorevole sede dell’Unar che ci accoglie tutti, indipendentemente dal sesso, dalla coloraizone della pelle, o dalla religione.
Ebbene sì: africnapeoplenews ospiterà il 21 dicembre le vincitrici del concorso indetto da questa associazione a cura di Rita Valenzuela che oltre che ritrattista ha curato questo concorso e quindi interverrà per presentare le vincitrici concorrenti presenti con le loro opere su cavalletto.
Successivamente io, presidente della ong AfricanPeople, interverrò per parlare della donna in Italia ed in Africa.
In Italia, paese ormai moderno e civile, le donne sono tutelate dalla costituzione e sono considerate almeno apparentemente uguali agli uomini in tutto e per tutto.
Ed io direi che ci stiamo riuscendo edo ad importci con le nostre capacità intelletto sensibilità e forza di carattere.
Purtroppo ancora in verità il mondo è molto maschilista e purtroppo le stesse donne che vanno a rappresentare il mondo
Femminile sono ancora il risultato di una selezione artificiale tipo quota rosa che a solo sentirne parlare fa venire i brividi.
Ma se non si fa così si rischia di perdere punti. Quindi tra il meno ed il peggio forse è il caso ancora di scegliere la strada di leggi che regolamentano la scelta in base al sesso.
E così in politica avviene lo stesso fenomeno.
La rappresentanza politica e nella maggior parte dei casi rappresentata da maschi, uomini. E poche sono le donne. He riescono ad imporsi.
Le ultime di passate generazioni contano la presenza della ormai storica Emma bonino.
Insomma le donne che possono far lustro al nostro paese sono davvero poche.
Si contano sulle dita di una mano.
E così andando avanti la situazione sociale dal punto ddo vista sociologico continua a peggiorare sembrerebbe.
Uno di questi fenomeni è rappresentato dal femmknicidio sempre più frequente nella nostra società.
E ben si, si sente molto parlare di questi fenomeni, ultimi dei quali è rappresentato da Giulia, la laureanda padovana, che viene uccisa a colpi d coltello dal fidanzato geloso e impaurito dalla sua laurea, e dal fatto che sarebbe fuggita da lui.
Purtroppo spesso si parla anche di stampa sbagliata. Cioè i mass media ancora oggi utilizzano termini non appropriati per descrivere questi accadimenti, specie quando si deve descrivere l’uomo che ha commesso il delitto.
Quindi l’educazione ancora deve dare molto in tal senso.
Ancora oggi in tutti gli strati sociali la situazione è alle solite.
Le donne vengono ancora considerate un passo indietro rispetto agli uomini. E vengono considerate ancora come oggetto.
Ebbene sì, troppo ancora deve essere fatto perché le donne si sentano libere di muoversi e di coniugare ckn serenita la carriera con la famiglia, con i figli, insomma tutti quegli adempimenti tipici del sesso femminile.
Siamo qui per rappresentare donne all’avanguardia che nno. Hanno potuto fare a meno di esprimere la propria femminilità attraverso l’arte.
Grazie Rita per intervenire
Grazie Emanuela per intervenire
Grazie Lily Scarponi per intervenire
Il potere economico e il primo mezzo di sussistenza che permette alle donne di liberalizzarli dal proprio entourage.
In Africa il problema della donna e diversificato a seconda dei passi.
Ad esempio in Namibia e nel sud dell’Africa le popolazioni himba sono popolazioni femminsite dove la donna svolge il ruolo di discendenza della famiglia.
Ma nel paesi più a nord di stampo musulmano la purtroppo la donna subisce lo stesso trattamento dei paesi musulmani del medio oriente dove la donna di fatto non conta alcunché e viene trattata davvero come un oggetto.
Ho avuto modo in Egitto di fotografarmi insmee ad una donna col burka per vicinanza psicologica e fisica… sedeva vicino a me. Era del lontano Bahrein. E mi ha offerto con la sua teiera del deserto arabico caffè e liquirizia.
Un vero incanto, sogno di una notte desertica del medio oriente
Eppure suo marito era la’ col suo furbante, calmo, al suo posto di fronte alle due mogli.
Eh si altri mondi lontani che cozzano con noi, col il mondo occidentale che di fatto impedisce il connubio con più donne allo stesso momento.
Eh si
Mondo che si incontrano e si scontrano proprio in questi giorni, dove palestinesi ed israeliani rappresentano il mondo dei musulmani e quello degli occidentali, per lo più cristiani.
Ma le donne vengono uccise anche dai musulmani wiando non obbediscono. Un esempio di brutale violenza è stata l’uccisione della giovane del Bangladesh che ha rifiutato di contrarre un matrimonio organizzato dalla famiglia nel suo paese d’origine a cui aveva preferito un ragazzo musulmano come lei ma che viveva in Italia.
Sempre protagonista di scena macabre resta la donna, nella sua essenza femminile, cancellata a colpi di ascia e violenze inaudite per non rispettare la legge degli uomini. (Mutilazioni genitali ad esempio).
E noi siamo qui a ribadire ancora una volta che così non deve e non può essere. E chiediamo un inasprimento delle pene per chi si fa fautore di tali crimini umani.
Grazie a tutti
Emanuela Scarponi
LA CULTURA COME VALORE PER L’UMANITA’: UNA RIFLESSIONE
di Alessandra Di Giovambattista
06-12-2023
Italia: la nazione che più fa pensare al trionfo della cultura. Il suo passato basato sulle tradizioni, sul pensiero e sulle conoscenze degli etruschi, dei greci, dei latini, è testimoniato in ogni angolo del territorio italico, nei suoi splendidi musei ricchi di inestimabili bellezze e nelle chiese che oltre al patrimonio interno sono veri e propri gioielli di architetture di diverse epoche storiche.
Ma nel nostro sentire quotidiano, cosa vuol dire cultura? È una parola complessa e piena di sinergie: deriva dal latino, “colere” participio passato di cultus, cioè coltivare. Ed effettivamente una persona colta è una persona ricca di esperienze di studio e di vita, capace di elaborare le nozioni, comprenderne fino in fondo il significato, essere critico ed applicare le esperienze acquisite in tutte le situazioni: praticamente coltivare il proprio terreno esistenziale, nutrirlo con la spiritualità, le arti, il gusto per il bello, il luminoso, il trasparente, per far fiorire una vita ricca di saggezza, educazione, morale, etica, pazienza, attenzione ed accoglienza verso l’altro. Si può quindi dire che la cultura riesce a plasmare l’uomo con tutto il suo bagaglio di esperienze rendendolo anima sensibile e superiore rispetto a tutto le forme di vita del Creato.
Quindi sarebbe importante esplorare il concetto di cultura come approfondimento della vita degli esseri umani nello scambio antropologico di esperienze, nei modi di pensare, comportarsi ed esprimersi nella società e nei singoli rapporti interpersonali. Il processo culturale nasce con gli esseri umani ed è un concetto costantemente mutevole. I latini, come già visto, fanno derivare il termine dalla parola “coltivare” in una sorta di rapporto imprescindibile e sinergico tra uomo e natura, dove l’uomo è visto come terreno fertile su cui far crescere qualunque tipo di esperienza e conoscenza che possa far sviluppare anima, mente e corpo, mediante una serie di processi di apprendimento tra loro interconnessi. L’anima va nutrita e coltivata come il terreno affinché l’essere umano impari a convivere in società organizzate; quindi il concetto richiama anche l’attenzione affinché tutto si presenti curato, ordinato, ben lavorato e gestito, escludendo quindi situazioni di caos, disordine e mancanza di cura. Proprio per gli svariati ambiti in cui può esprimersi il valore della cultura riconosciamo nella terminologia comune la cultura letteraria, quella scientifica, religiosa, artistica, musicale, gastronomica, e via dicendo.
Nei tempi più recenti il termine cultura è stato associato al processo di formazione della personalità umana e della sua capacità di sviluppo, quindi ben al di là dal semplice procedimento di acquisizione e accumulo di dati, informazioni e notizie. Quest’ultimo forse lo si può riferire più appropriatamente ad una macchina capace di incamerare infiniti files in memorie sterili e meccaniche senza possibilità di elaborazione, critica, etica, morale, compassione e umanità (la c.c. intelligenza artificiale). Ecco perché è estremamente fuorviante pensare che più si è eruditi e più si è colti; la cultura non è solo conoscenza di nozioni e teorie, ma è in più, e maggiormente, conoscenza di vita, capacità di osservazione critica ed esperienziale. Dire che oggi il livello di scolarizzazione rende più colti i giovani contemporanei rispetto a quelli del passato è un’affermazione sviante se non errata. Piuttosto l’umanità si è retta ed evoluta attraverso processi sperimentali dettati da curiosità antropologica e scientifica indotti dalla necessità di miglioramento delle proprie condizioni di vita in un processo in cui le scelte sono state fatte in modo ponderato, cercando di non sbagliare, ma dove anche l’errore e le capacità di saperlo accettare e correggere rappresentano un valore aggiunto ed un ottimo indicatore del livello culturale acquisito.
Un altro significato di cultura è quello che si riferisce non solo alla cultura umana in generale, ma alle differenti culture presenti nelle diverse zone geografiche – che per l’appunto si sono sviluppate anche in ragione del territorio sul quale le popolazioni si trovavano a dover convivere (appunto il terreno) - che possono ricondursi alle regole che sorreggono una società e ne presiedono il comportamento concreto, nonché alla previsione di sanzioni in caso di comportamento divergente. In tal modo la cultura diviene un elemento che plasma la personalità degli individui, entra nel loro modo di vivere e di rapportarsi così che, a seconda delle culture in cui l’uomo è cresciuto, si sviluppa una differente personalità specifica dell’ambiente, definita “personalità fondamentale” rispetto alla quale i singoli rappresentano delle variazioni, dei sottoinsiemi. In tale accezione va ricercata la difficoltà con cui persone di etnia differente non riescono a ben comprendersi sulle modalità di vita e di reazione a determinate situazioni.
Sembrerà paradossale ma il problema dei conflitti culturali a mio avviso è da ricondurre a problematiche di scarsa cultura; infatti l’aspetto più importante che aiuta a comprendere lo spessore culturale di una persona e di una collettività è quello dell’accoglienza dell’altro perché tale caratteristica implica la capacità di comprensione e di dialogo che parte prima di tutto dal rispetto, ma al tempo stesso richiede reciprocità in un atteggiamento di libera espressione di pensiero. In una situazione di globalizzazione gli scontri tra culture sono inevitabili, ma il problema fondamentale è spesso rappresentato dalla non valorizzazione di un proficuo e pacifico scambio di relazioni di crescita e di miglioramento sinergico finalizzato al rispetto dell’altro. È indubbio poi che la popolazione che accoglie persone di culture diverse deve fare di tutto per integrarle offrendo lavoro e dignità, aspetti che aiutano a comprendere e a sviluppare un processo di considerazione del substrato culturale presente nel paese ospitante. La persona ospite abbandonata a sé stessa, non aiutata a comprende i valori fondanti di una società ospitante che vive in modo differente a ragione della diversa evoluzione territoriale, rimarrà isolata e maturerà un senso di ostilità verso una collettività non compresa e non inclusiva.
In tal senso sarebbe auspicabile che la persona che emigra in un territorio culturalmente distante dalle proprie abitudini di vita e di pensiero trovi strutture che l’aiutino a conoscere e a capire: andrebbero organizzati corsi di formazione di lingua, religione, educazione civica e didattica che supportino l’individuo a comprendere le differenze, senza pretendere la passiva ed immediata accettazione per obbligo o necessità. Se l’uomo si rende cosciente delle proprie scelte è ben disposto a cambiamenti ed integrazione; se non integrato consapevolmente diventa violento, con un atteggiamento di ostilità verso una collettività distante e sconosciuta. Per contro il dannoso rovescio della medaglia si trova nella società ospitante che si trova disorientata di fronte a persone che, non integrate, cercano di sovvertire il consolidato schema culturale che si è formato nel tempo, in una sorta di rivoluzione di pensiero che, come tutte le rivoluzioni, lascia sempre sul campo delle vittime: l’ospite viene percepito come un alieno che attenta ad un equilibrio culturale consolidatosi nel processo evolutivo! E in tale situazione le vittime sono i più giovani che non hanno avuto il tempo di irrobustire il proprio sentire e non hanno avuto modo di poter scegliere in maniera consapevole e si sa, dove c’è violenza la prima reazione è usare il metodo “occhio per occhio, dente per dente” innescando una spirale senza fine di rabbia e di odio interculturale.
La realtà è che oggi si assiste ad un delirio di onnipotenza, dove le uniche variabili in gioco sono il denaro ed il potere, dove la cultura - che aiuta a comprendere e ad affrontare meglio le differenze, il dolore, la sofferenza, le sconfitte - non ha più valore, o ne ha sempre molto meno, in un lento e continuo processo di marginalizzazione che conduce a società povere e fragili sotto diversi profili, non solo economici. Laddove invece si ritrovano Paesi dove la cultura e le proprie radici rappresentano un elemento fondante di costruzione della società civile si assiste a comunità ricche di valori e con livelli di qualità della vita, quindi non solo economici, elevati.
Pertanto bisogna porre l’attenzione ad un’accezione di cultura che non guardi solo alla formazione della personalità umana, ma generi ricchezza e prosperità in tutta la comunità. Ad esempio la nostra nazione che ha una posizione primaria nel mondo in termini di patrimonio culturale, può usufruire di notevoli risorse, forse inesauribili, che noi, generazioni attuali, abbiamo acquisito a costo zero. Per questo andrebbe valorizzata la cultura, soprattutto attraverso adeguate politiche di formazione e di riscoperta del suo valore intrinseco che genera benessere nella società; sarebbero opportune delle misure atte a far maturare e rinascere, soprattutto nei giovani, la voglia di essere individuai curiosi, proiettati verso il futuro, etici, rispettosi, amanti della bellezza e soprattutto consapevoli delle proprie radici. Questo potrebbe forse essere il modo per cercare di recuperare una società fin troppo svilita, superficiale e buia dove non viene attribuito alcun peso alla cultura anzi, in alcuni contesti, essa sembra rappresentare sempre più un disvalore e questo in Italia come nella maggioranza dei paesi.
I nostri media, soprattutto televisivi, non programmano nei palinsesti rappresentazioni teatrali, concerti, letture di opere letterarie, pubblicità di eventi artistici, scientifici e formativi, bensì programmi in cui si vuol far vivere la vita di altri (peraltro con rappresentazioni false e costruite) fomentando giudizi e distaccando i singoli dalle responsabilità della propria esistenza, rendendoli partecipi e cooprotagonisti di vite parallele e virtuali.
Per quanto attiene all’ambito politico l’obiettivo dovrebbe essere rappresentato da politiche di potenziamento della cultura vista come un possibile fattore di investimento, prima di tutto nei giovani, ricchi di tanta forza di innovazione, fantasia e cambiamento. Occorre sostenere finanziariamente il settore culturale affinché diventi un elemento fondante della società e del processo di produzione del valore economico: la cultura stessa deve essere ripensata come vero e proprio valore, come elemento a cui tutta la popolazione, ed ognuno singolarmente, deve aspirare, perché dove c’è cultura si vive meglio nel rispetto reciproco e nella certezza del diritto. Riconosciuta come valore allora sarà più facile identificarla come guida e fattore orientante delle scelte dei singoli e della collettività e garantirà la vera libertà dell’uomo nel rispetto delle differenze.
IL VALORE DELLA CULTURA: UNO DEI MOTORI DELL’ECONOMIA ITALIANA
di Alessandra Di Giovambattista
09-12-2023
La cultura, concetto pieno di significato e riconducibile alle conoscenze, esperienze, storia, vissuto di una collettività, propulsore dello sviluppo umano, è fisicamente rappresentata e quindi resa fruibile e concreta, anche in ambito economico, dai beni culturali singoli (ogni opera d’arte) o collettivi (musei, biblioteche, pinacoteche, siti archeologici, e via dicendo) che hanno un altissimo valore, non solamente monetario. Tuttavia spesso riesce impossibile fare una stima delle opere d’arte; comunemente si usa la locuzione “non ha valore” per sottolineare l’unicità di ognuna di esse nel patrimonio dell’umanità. Ecco quindi di frequente la difficoltà di attribuire un valore ai beni che formano il patrimonio collettivo di una comunità.
Ma come viviamo oggi le nostre radici culturali? Secondo un’indagine dell’Istituto Superiore di statistica (ISTAT) gli italiani per una quota del 45,3% sono fruitori di spettacoli cinematografici, ma non tutti si recano al cinema; infatti aumenta il numero dei soggetti che vedono film via web o in TV e questa è una tendenza che si osserva da diverso tempo. Successivamente si registra una discreta propensione per la lettura, per una percentuale poco più del 41,4%, che implica però che più della metà dei soggetti, nel tempo libero, non legge neanche un libro l’anno. Seguono poi le visite presso i musei e le mostre e successivamente le visite a siti archeologici e monumenti. Il confronto con i popoli dell’Europa ci pone in netta minoranza circa le presenze a teatro, concerti e balletti classici: a fronte della nostra percentuale del 25,3% abbiamo una quota europea media del 42%, con valori pari al 32,7% in Spagna ed al 54,8% in Francia. Medesime differenze si registrano per le visite ai musei, siti archeologici e monumenti.
Ma per comprende meglio il valore della cultura possiamo essere aiutati dai contenuti di un’altra indagine individuata nel rapporto “Io sono cultura 2023”, relativo ai dati di settore registrati nel 2022, promosso dalla fondazione Symbola e da Unioncamere, in collaborazione con l’Istituto per il Credito sportivo ed il Ministero della Cultura, con il Centro studi Tagliacarne a Roma (fondazione della stessa Unioncamere) e la Fondazione Fitzcarraldo di Torino. Da tale indagine è emerso che cultura e bellezza sono aspetti ormai radicati nella società e nell’economia italiana; la forte relazione con la manifattura ha permesso di creare un robusto sodalizio produttivo: il made in Italy. Il settore culturale ha sofferto più degli altri negli anni della pandemia, ma sembra che stia rinascendo più solido anche perché ha sviluppato nuove forme di fruizione dei servizi; quindi si assiste ad una forte ripresa economica e sociale del comparto che sta creando ricchezza e posti di lavoro, confermando così il suo ruolo economico centrale.
Nell’ambito produttivo la cultura si coniuga bene con l’innovazione e la creatività che immesse nei processi produttivi manifatturieri rappresentano dei fattori che hanno contribuito al successo di molti prodotti italiani, anche ecosostenibili. In più la cultura potenzia il settore turistico e quello enogastronomico. Il rapporto viene redatto ogni anno e quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale. Il sistema produttivo culturale e creativo si compone di tutti gli operatori economici che producono beni e servizi di natura culturale ma anche tutto l’indotto che utilizza la cultura come fattore produttivo per accrescere il valore dei prodotti e quindi la competitività sul mercato. Nel settore riconosciamo le attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico (biblioteche, emeroteche, archivi, musei) di arti visive e prestazioni artistiche (teatri, concerti, balletti) e tutto ciò che vi ruota intorno dai video giochi alla stampa, ai media radio televisivi, alla critica, all’architettura al design, alla moda.
Nel 2022 la filiera ha prodotto complessivamente un valore aggiunto pari a 95,5 miliardi di euro, in aumento del 6,8% rispetto all’anno 2021 e del 4,4% rispetto al 2019, recuperando anche i posti di lavoro che si erano persi durante il periodo della pandemia e facendo registrare un aumento del 3% rispetto ad una media nazionale dell’1,7%.
Molto interessante notare che contribuisce, in modo sostanzioso, all’incremento del valore aggiunto del settore della cultura e del suo indotto, anche il comparto dei videogiochi e dei software che rappresenta il mercato digitale delle prestazioni artistiche c.d. performing arts e delle arti visive con il quale si è creato un sodalizio con le attività di valorizzazione del patrimonio storico e artistico. A mero titolo di esempio si pensi alla realtà aumentata (AR) che permette di riprodurre attraverso appositi strumenti definiti di “realtà virtuale” - VR (virtual reality) situazioni, spettacoli ed eventi che avvenivano nell’antichità; un esempio è fornito a Roma dall’esperienza di realtà aumentata presso il Circo Massimo dove attraverso sofisticati software è possibile rivisitare il sito in tutte le sue fasi storiche e sentirsi immersi nelle varie realtà del passato.
In termini territoriali la ricerca ha evidenziato che le regioni maggiormente specializzate in beni e servizi culturali e creativi sono la Lombardia ed il Lazio; la prima genera, nel comparto, un valore aggiunto che da solo rappresenta il 27,6% dell’intera filiera, mentre la seconda, quale principale centro turistico – culturale, partecipa per il 15% all’intera produzione del settore. Ambedue le regioni mostrano, rispetto al resto d’Italia una maggiore specializzazione culturale e creativa che genera valore ed influisce positivamente sullo sviluppo del territorio, sia in termini di ricchezza sia in termini occupazionali. Subito dopo troviamo la regione Piemonte, il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto e la Toscana. Tuttavia i migliori risultati in termini di aumento del valore aggiunto rispetto ai periodi precedenti (tra il 2019 ed il 2022) si riscontrano in Liguria, in Basilicata, in Lombardia ed in Campania. Per quanto attiene invece l’aumento di occupazione le migliori performances (per lo stesso triennio di osservazione) sono date dalla Liguria, dalla Campania e dalla Puglia; mentre le regioni Trentino-Alto Adige, Umbria e Sicilia, registrano un calo occupazionale.
È utile sottolineare che fanno parte del settore non solo le imprese private, ma anche le organizzazioni non-profit, cioè aziende che operano sul mercato senza avere come obiettivo un surplus economico (reddito positivo, cioè utile), ed i soggetti pubblici; anzi occorre evidenziare come a fronte delle molte innovazioni in atto rimanga necessario il contributo delle politiche pubbliche nazionali ed europee per cercare di superare le difficoltà finanziarie dovute ai recenti shock sanitari, inflazionistici e ai purtroppo ancora attuali conflitti in Europa e nel Medio oriente.
Dall’unione europea arrivano fondi per finanziare il programma nato per progettare futuri modi di vivere unendo arte, cultura, design, architettura, inclusione sociale, scienza e tecnologia, il c.d. New European Bauhaus (NEB). Con tale piano la comunità europea intende affrontare il problema della sostenibilità supportandolo con i concetti di estetica ed accessibilità, in una sorta di programma multidisciplinare orientato alla transizione ecologica indicata dal piano c.d. Next Generation EU; in due anni l’iniziativa ha creato una comunità attiva di soggetti in tutti gli Stati membri ed ha investito circa 106 milioni di euro per il 2023 ed il 2024. Se l’Italia riuscisse a produrre valore e lavoro nel settore culturale si favorirebbe un’economica più vicina alle necessità umane, più competitiva e più orientata al futuro, così come sostenuto anche nel manifesto di Assisi, e le ricadute si avrebbero in un aumento della domanda di “Italia” da parte dei consumatori provenienti dai diversi Paesi del mondo. In questo senso, un indicatore di gradimento e di attrattività per i visitatori del nostro Paese è la spesa sostenuta per consumi culturali che ha sfiorato i 35 miliardi di euro nel 2022, pari al 44,9% delle spesa turistica complessiva.
Il settore culturale si presenta quindi come un ambito strategico nei processi di trasformazione sostenibile dei modelli di sviluppo per i quali l’Italia si è impegnata a livello internazionale sottoscrivendo l’agenda ONU per il 2030 e a livello europeo con l’adesione al “Green deal” e al citato programma Next Generation EU. Gli impegni sottoscritti in Europa vengono calati nei singoli piani nazionali di ripresa e resilienza (c.d. PNRR) presentati dai differenti Paesi; si vede come la leva culturale stia progressivamente aumentando il peso nelle scelte economiche e in particolare nel comparto turistico nel rispetto della sostenibilità sul territorio e del territorio, della innovazione, del benessere individuale e collettivo e della integrazione e inclusione sociale. Il nostro Governo ha destinato al comparto risorse per circa 6,68 miliardi di euro identificando la missione “digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”; si comprende come le politiche pubbliche intendano incentivare un settore trainante per tutta l’economia nazionale, dove il marchio made in Italy gioca un ruolo fondamentale per la ripresa ed il rafforzamento del tessuto economico. In tal senso si pensi che il solo turismo rappresenta il 12% circa del PIL nazionale.
Gli obiettivi inclusi nel PNRR sono riconducibili alla sostenibilità ambientale ed alla tutela del patrimonio paesaggistico e culturale e le politiche di sviluppo coinvolgono anche le politiche occupazionali in quanto i settori del turismo e della cultura sono tra quelli che registrano una grande forza lavoro in ambito giovanile e femminile e quindi anche in tal senso riescono a cogliere gli obiettivi generazionali e di genere contenuti nel PNRR. Gli investimenti nel settore della cultura individuati nel piano di ripresa e resilienza riguarderanno tutti i siti culturali delle grandi aree metropolitane cercando anche di rigenerare aree abbandonate e periferiche, inoltre non trascureranno i piccoli borghi e le aree rurali, per creare una domanda di esperienze nuove e più legate alla terra ed alla tradizione popolare, così come terranno in debito conto il patrimonio turistico culturale delle isole minori che rimangono sempre troppo al margine delle politiche di sviluppo economico. Anche le misure contenute nella politica di coesione europea per il periodo 2021-2027 si mostrano particolarmente sensibili ai temi della cultura indicando come obiettivo specifico quello del rafforzamento del turismo sostenibile e a sfondo culturale al fine di raggiungere un più elevato livello di sviluppo economico, di inclusione e di innovazione sociale.
Il messaggio che occorre far passare è che siamo una popolazione fortunata, perché godiamo di infinita bellezza: artistica, territoriale, umana, ma non possiamo vivere di ricordi e di rendita, occorre ripensare modelli economico-culturali nuovi e ripensarci come fruitori, consumatori di cultura. Su tutto però sarà sempre indispensabile, anche con l’aiuto delle istituzioni scolastiche, continuare a nutrire l’amore e la passione per tutti gli ambiti culturali che hanno sempre caratterizzato le anime dei nostri grandi antenati italici.
PLASTIC TAX AD UN BIVIO: INTRODURLA O ELIMINARLA.
di Alessandra Di Giovambattista
02-12-2023
Il legislatore che nel 2019 ha previsto l’introduzione della plastic tax lo ha fatto con la finalità di disincentivare l’uso di imballaggi in plastica monouso (MACSI) a favore di processi virtuosi di riciclo delle materie plastiche e di utilizzo di materiali compostabili. Quindi l’imposta avrebbe dovuto pesare sulle aziende che da decenni riscuotono enormi profitti promuovendo la produzione e l’utilizzo di grandi quantità di imballaggi non sempre utili e giustificabili, penalizzando l’ambiente, e senza porsi il problema della gestione e del recupero attraverso il processo di riciclo. Ma la domanda importante da porsi è: il provvedimento sarà davvero efficace dal punto di vista ambientale? La plastic tax sarà solo una imposta da pagare in più, oppure si dimostrerà davvero come un utile strumento per disincentivare i consumi dei prodotti monouso e per incentivare comportamenti virtuosi nei produttori e nei consumatori, verso l’uso di materiali compostabili e meno inquinanti?
Da più parti, ed in particolare in più sedi territoriali di associazioni rappresentanti il mondo produttivo, in contrapposizione al nuovo tributo si è paventata l’ipotesi che la plastic tax fosse un’imposta introdotta esclusivamente per trovare risorse finanziarie a copertura di maggiori spese pubbliche, essendo del tutto inutile, se non dannosa, per l’economia e l’ambiente. La maggiore accusa è stata quella di conformarsi come uno strumento punitivo in conflitto con provvedimenti costruttivi che andrebbero opportunamente introdotti. In particolare rappresenterebbe un ostacolo ai progetti ed agli studi mirati a ridurre l’uso della plastica, che avrebbero invece bisogno di regole certe e stabili e non di sottrazione di risorse. È stata pertanto auspicata una politica concreta finalizzata a costruire una cultura dell’ecologia. Si è voluto quindi sottolineare l’importanza degli incentivi da erogare a quelle aziende virtuose che forniscono prodotti e implementano strategie di vendita attente all’ambiente (come ad esempio i corner green dove i consumatori possono acquistare detersivi ed alimenti in contenitori personali, oppure ricevere piccoli sconti e buoni in caso di conferimento di contenitori in plastica) ed escludere del tutto politiche che penalizzino le aziende meno virtuose. Altra accusa riguarda il fatto che la plastic tax rappresenterebbe una sorta di doppia imposizione, in quanto le aziende già oggi pagano il contributo CONAI per la raccolta ed il riciclo di imballaggi in plastica, ed andrebbe ad impattare direttamente sui prezzi di beni a larghissimo consumo.
Dalla parte opposta, quindi a favore dell’imposta, leggiamo un’analisi condotta da Greenpeace Italia, dove si sottolinea che la mancata entrata in vigore della plastic tax, oltre a non aver garantito un afflusso di risorse finanziarie per l’erario, (la relazione tecnica finale parlava di più di un miliardo di euro annui) ha obbligato l’Italia a pagare circa 800 milioni di euro all’Europa a titolo di imposizione sull’uso di prodotti in plastica non riciclabili (la citata decisione europea 2020/2053). Inoltre tali posticipi hanno favorito un settore industriale che continua a realizzare grandi profitti. L’indagine ha evidenziato che il settore della plastica gode di ottima salute mentre i costi derivanti dal mancato riciclo degli imballaggi sono sostenuti dalla collettività intera; e in realtà si tratta non solo di esborsi finanziari ma soprattutto di costi in termini di salute e minor benessere! L’indagine evidenzia infine una situazione paradossale in cui il Governo, soggetto che dovrebbe tutelare i cittadini, ed il mondo industriale sembrano ambedue voler puntare sul riciclo dei MACSI ma in realtà si oppongono all’entrata in vigore della tassa che dovrebbe, in modo indiretto, incentivare il mercato dei prodotti riciclabili e lo sviluppo di tecnologie di riciclo e recupero della plastica. L’indagine si conclude con una netta accusa dell’inerzia dell’Italia circa l’introduzione della plastic tax che, secondo Greenpeace, potrebbe essere invece un utile mezzo per contribuire a ridurre l’inquinamento da plastica usa e getta.
Esposti i pareri contro e a favore dell’imposta sui MACSI proviamo a farci un’opinione personale. In prima battuta osserviamo che le aziende non sopravvivono in ambienti dove non c’è chiarezza normativa, soprattutto in ambito fiscale. Le strategie aziendali si basano anche, e soprattutto in un Paese come l’Italia con una forte pressione fiscale, sulle politiche di programmazione tributaria. L’incertezza normativa non permette di costruire piani di sviluppo concreti; chi di noi potrebbe decidere una strategia senza sapere su quali elementi basarsi? Un Paese che costantemente rinvia l’entrata in vigore di una imposta che si basa su validi presupposti socio/economici dà una pessima immagine di sé ed allontana i possibili investitori, sia nazionali sia esteri: per piacere o manteniamo la norma e l’applichiamo oppure togliamola definitivamente, una volta per sempre!
Un altro aspetto da considerare è l’onestà delle scelte aziendali; purtroppo in un tessuto economico dove è molto potente la componente delle aziende multinazionali, peraltro estere, le decisioni vengono prese esclusivamente con riferimento al profitto. Il problema dell’inquinamento ambientale non rientra tra gli interessi di aziende che di fatto delocalizzano le proprie attività con l’obiettivo di trovare delle escamotages per non rispettare le norme vigenti nei propri Paesi! Ci troviamo di fronte a soggetti che non agiscono secondo deontologia e correttezza ma esclusivamente per il loro profitto. Per tali soggetti ritengo che norme rigide ed anche costose possano fare la differenza soprattutto a favore del principio per cui andrebbero premiate le aziende più virtuose che ormai non sono più quelle che rispondono solo ai classici principi di economicità, ma sono quelle che rispondono anche a principi di sopravvivenza ambientale (che di fatto dovrebbe ormai rientrare nell’accezione più ampia ed attuale di economicità). In questo senso bisognerebbe quindi prevedere un sistema circolare in cui chi più inquina più paga e le risorse ricavate vanno ad incentivare le aziende più virtuose ed innovative dello stesso settore; in questo modo forse si potrebbe innescare un processo positivo autogenerante. Il punto fondamentale da considerare è che non bisogna solo considerare l’effetto deterrente dell’imposta, ma parallelamente occorre prevedere sgravi ed incentivi per il ricorso ad alternative davvero ecologiche che si basino soprattutto sulla formazione di una nuova mentalità non consumistica che non approvi il prodotto monouso (usa e getta), di qualunque tipo esso sia. La scelta di premiare i virtuosi senza sanzionare i più inquinanti potrebbe risultare una politica non a saldo zero: di fatto potrebbe privilegiare i meno rispettosi innescando una spirale negativa e pericolosa. Da ricordare, in questo senso, tutte le aziende che hanno truffato i consumatori e danneggiato l’ambiente attraverso pratiche di greenwashing!
Andrebbe poi sottolineando che un atteggiamento altalenante circa l’introduzione di una norma espone il Paese a ricatti da parte delle imprese monopoliste; sulla questione plastic tax, la Coca-Cola Italia ha giocato un ruolo fortemente decisionista; infatti di fronte alla possibilità che anche l’Italia introducesse la plastic tax (oltre alla sugar tax) il colosso americano ha paventato licenziamenti e chiusura di stabilimenti (a Marcianise e ad Oricola), blocco di investimenti, acquisti di materie prime da altri Paesi (il caso delle arance per produrre la Fanta: l’Italia ha subito la minaccia che le arance venissero acquistate da fornitori esteri). È evidente che il sistema economico italiano è molto fragile. Dovremmo esigere più serietà e competenza dai nostri politici e manager per provare a recuperare un po’ di credibilità e dignità.
Infine sarebbe opportuna un’analisi del mercato del riciclo della plastica; il consorzio che si occupa del ritiro degli imballaggi in plastica in oltre il 90% dei Comuni in Italia è il Consorzio nazionale per la Raccolta il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica (Corepla) e garantisce l’avvio al riciclo del materiale raccolto. Ma effettivamente, quanta plastica si ricicla in Italia? Una percentuale pari a circa il solo 55,6% (in particolare vengono rinviati al riciclo 1,3 milioni circa rispetto ad un totale di imballaggi pari a circa 2,3 milioni di tonnellate), percentuale di poco superiore all’obiettivo che l’Unione europea dovrà raggiungere nel 2030 pari al 55%; tuttavia l’avvio al riciclo non significa attività di riciclo. Questo perché nella filiera produttiva quello che entra è sempre una quantità superiore a quella che ne esce. Infatti le nuove modalità di conteggio dei rifiuti riciclati, che utilizzerà l’Unione Europea per le dovute verifiche, non partiranno più dall’ammontare conferito, ma considereranno solo i materiali effettivamente riciclati in muovi prodotti o sostanze. L’applicazione di questo metodo di calcolo comporterà in media un taglio dell’8% circa (secondo i calcoli effettuati dall’Istituto Superiore per la Protezione - ISPRA) della quantità di prodotti riciclati comunicati, portando quindi l’Italia ad una percentuale del solo 47% (cioè 55,6% - 8%), pertanto fuori dall’obiettivo da raggiungere entro il 2030. Infine da sottolineare che i nostri rifiuti plastici non sono riciclati interamente in Italia; infatti solo 54 impianti dei 90 totali che trattano i nostri rifiuti sono sul nostro territorio, il resto è distribuito in 14 paesi dell’Unione Europea, più la Turchia. I settori che riciclano più plastica sono il settore degli imballaggi (c.d. packaging), seguito da quello dell’edilizia, e a ruota il settore igiene e arredo urbano, seguono il settore dei casalinghi, del mobile e arredamento, ed infine il settore agricoltura e tessile.
C’è la necessità di compiere scelte importanti e forti, non possiamo permetterci mezze misure; l’ambiente richiede rispetto e non c’è tempo da perdere, così come spesso evoca Papa Francesco: c’è in gioco la sopravvivenza del Creato! Noi, consumatori consapevoli, da che parte stiamo?