09-09-2019

                                                            Articolazione delle tematiche in rapporto alle singole opere di Wole Soyinka

Soyinka esordisce, nelle sue primissime opere, risalenti agli anni a cavallo del 1960, affrontando un tema ricorrente in molti autori, non soltanto nigeriani, di quel periodo, cioè la contrapposizione tra tradizione e progresso. E' chiaro che questo problema era molto sentito, in quanto l'indipendenza non era stata ancora conquistata; il rapporto tra bianchi e neri era ancora da risolvere e sussisteva pure il problema dell'asservimento alla cultura occidentale da parte di tutta quella tradizione africana, considerata primitiva o addirittura inesistente dagli Europei.
Capisce bene, Soyinka, che soprattutto l'assenza di autonomia culturale diventava forza politica e sociale indirizzata verso un'affermazione sempre più massiccia del potere occidentale in Africa; per questo, egli proclama proprio l'indipendenza culturale come prerequisito di ogni altro tipo di indipendenza. Egli agisce dunque contro tali prevaricazioni rivalutando quel retroterra culturale della popolazione nigeriana, che si materializza nelle opere più svariate, della cultura Yoruba e che gli permette di contrapporsi coscientemente e orgogliosamente a quelle idee di falso progresso e di facili ricchezze insite nella cultura occidentale.
Il nostro autore, nello stesso tempo, si rende conto che le imposizioni non vengono solo dall'esterno; noi possiamo diventare schiavi del progresso tecnologico tanto da non riuscire più ad usarlo né ad esserne padroni, ma l'imposizione e il ristagno intellettuale nascono anche dall'accettazione passiva di una religione ormai bigotta e superficiale, come quella descritta nel villaggio di The Swamp-Dwellers.
Soyinka, insomma, vuole insegnare ai Nigeriani ad essere critici e a ragionare. Questo obiettivo riguarda ovviamente non solo la suddetta opera, composta all'inizio della sua carriera; tutta la sua strada, fino ad oggi, è infatti un continuo stimolo per i lettori e conoscitori della sua produzione a porsi criticamente di fronte ai problemi, ed eventualmente a farsi essi stessi portatori di tali consapevolezze. La conquista di un'autonoma coscienza della tradizione e del progresso rappresentata in modo chiaro proprio in The Swamp-Dwellers. L'opera fu messa in scena per la prima volta a Londra nel 1958, con l'autore stesso nel ruolo dell'eroe Igwezu. Costui, recatosi in città, contrariamente al fratello, torna nel villaggio in un momento ben preciso: la stagione del raccolto.
Sebbene ritornato perché insoddisfatto della realtà cittadina, si rende tuttavia conto delle incongruenze insite nella vita del villaggio, e si rende altresì consapevole dell'impossibilità di reintegrarsi negli schemi del passato, soprattutto in riferimento a quel tradizionale senso religioso, diventato solo un'imposizione esteriore e priva di significati. Infatti, ritrovatosi a vivere nel villaggio, attacca ed accusa il ben piazzato e soddisfatto Kadije, capo religioso del villaggio:
... why are you so fat, Kadije? I think perhaps you did not slay the fatted calf... you lie upon the land, Kadije, and choke it in the folds of your flesh.
Il giovane Igwezu, così, con il suo atto di coraggio, dà la possibilità agli abitanti del villaggio di crescere spiritualmente, di riflettere sulla loro fede religiosa e di capirne i limiti. Igwezu, insomma, rappresenta l'individuo che sacrifica se stesso per la sua società, un eroe che rischia la sua libertà in nome del gruppo a cui appartiene. Ma il gruppo è esiguo ed egli non può rimanere a coltivare il suo seme. L'opera, infatti, si conclude con la fuga di Igwezu, costretto a scappare dal villaggio per sfuggire alla vendetta di Kadije.
Vagliando il cammino spirituale di Igwezu, notiamo già la consapevolezza del giovane Soyinka sull'insoddisfazione dell'uomo, costantemente alla ricerca di qualcosa che non riesce a trovare; alle sue domande non c'è risposta né nel villaggio né nella città. Il conflitto illustrato in The Swamp-Dwellers viene nuovamente riproposto in The Lion and The Jewel, dove l'autore manifesta tuttavia una maggiore condiscendenza verso le forme della tradizione.
Il tema viene sviluppato tramite l'agilità ed il brio delle commedie, così che il clima in cui i personaggi si muovono è scherzoso e divertente. Le forme che discendono dalla tradizione yoruba esplodono a tratti sulla scena in mimiche, mascherate rappresentazioni dentro la rappresentazione, frantumando ogni differenza tra passato e presente - almeno nella tecnica - e dando una corposità, uno spessore speciale alla comunicazione.
In quest'opera, che è la seconda pubblicata da Soyinka, è analizzato ancora più chiaramente lo scontro tra i due contrapposti mondi culturali. La novità provocatoria, però, sta nella scelta definitiva di Sidi, la più bella ragazza del villaggio, che preferisce il vecchio capo di Ilujinle al giovane e moderno insegnante Lakunle, anello di congiunzione con la nuova civiltà.
Lakunle ha infatti cercato di attirare la ragazza con gli aspetti più appariscenti e fatui della società consumistica occidentale; le sue armi sono il rossetto, i tacchi a spillo e le fotografie. Tuttavia egli non risulta complessivamente uno stereotipo, o un personaggio monocorde, in quanto ha già dimostrato una propria poliedricità nella prima parte della commedia.
L'opera comunque non si risolve soltanto nello scontro tra due culture; al di là di questo, comincia infatti a delinearsi quell'interesse per il potere che si chiarirà nella successiva produzione di Wole Soyinka, il quale nel marzo del 1960 conclude The Trials of Brother Jero, un'opera satirica contro quel tipo di potere obsoleto e velatamente politico che è il falso potere profetico.
La storia si incentra infatti sulla figura di Brother Jero, il quale si presenta subito all'auditorio come un "trickster", un imbroglione celato dalle vesti del capo religioso. Jero vive infatti raggirando gli altri e, compiacendosi di ciò, ci invita personalmente ad essere testimoni di una delle sue giornate, avvertendoci, nella sua sfrontatezza, del fatto di considerare il suo lavoro come una vera e propria professione, che gli permette di condurre una vita agiata e che gli offre la possibilità di esercitare un grande potere. Questo è infatti il suo scopo: ottenere il potere tramite il denaro. Ci sono momenti in cui i suoi inganni lo mettono nei guai, ma alla fine riesce sempre ad avere la meglio. Tra i vari sistemi che adotta per incastrare la gente, Jero manifesta una grande padronanza delle tecniche linguistiche, strumento necessario per manipolare non solo la gente comune, ma anche personaggi politici.
Attraverso questa figura, compare dunque quel tipico carattere satirico di Soyinka nei confronti della religione e della politica mentre, da un punto di vista più strettamente legato ai problemi sociali della Nigeria, l'opera intende colpire il violento spirito settario tipico del popolo nigeriano. Per quanto riguarda l'aspetto politico, è invece particolarmente importante rilevare che The Trials of Brother Jero fu scritta prima dell'indipendenza nigeriana del 1960; essa rimane quindi un interessante presagio degli eventi politici che seguirono l'indipendenza.
Dopo The Trials of Brother Jero, l'atteggiamento di Soyinka ne1l'affrontare problemi politici e sociali subisce un cambiamento, che si sviluppa nel passaggio da un'analisi satirica della realtà, ad una più profonda indagine tesa allo studio dei problemi morali e spirituali connessi alla vita dell'uomo.
E' per questo che la successiva A Dance of the Forest segna un punto di fondamentale importanza nell'evoluzione artistica del nostro autore; essa è tra l'altro considerata la prima, opera drammatica di Wole Soyinka. A Dance of The Forest, oltre ad apparire come un approfondimento di The Trials of Brother Jero, presenta una simbologia e uno spessore di tematiche di gran lunga maggiore rispetto all'opera precedente. E' la prima volta, infatti, che la consapevolezza dell'inquietudine umana, esemplificata nella situazione nigeriana ed emersa come tema dominante della opera di Soyinka, viene espressa ad un livello profondamente intimo e meditativo.
Attraverso l'invenzione del raduno delle tribù Soyinka, in un'atmosfera di grande suggestione e per mezzo di una maestosa struttura in cui ogni personaggio ha una ben precisa collocazione, rappresenta i grandi temi dello scontro tra tradizione e progresso e tra vita e morte.
In questo quadro universale e possente grande parte è riservata al rapporto tra mondo umano e divino, nonché alla figura del destino nel contrasto tra mito e realtà. Sopra a tutta questa immensa costruzione emerge comunque sempre l'artista, unico protagonista capace di comprendere le spire di violenza e di orrore insite sulla natura stessa dell'uomo, sia antico che moderno. L'immediato riferimento all'opera è la celebrazione dell'indipendenza nigeriana, in occasione della quale era stata scritta; l'intento dell'autore è dunque quello di avvertire tutta la Nigeria circa le difficoltà insite nella lotta per il raggiungimento di un futuro più luminoso, troppo presto prospettato all'albore, dell'indipendenza dei capi nigeriani.
Tra il 1965 al 1985 la produzione letteraria di Soyinka tratta con sempre maggior approfondimento i temi esposti in A Dance of the forest, realizzando però quella formidabile sintesi ideologico-culturale che va sotto la denominazione di "cannibalismo", e che fa di Soyinka non solo un grande letterato, ma anche un attento critico dei fatti politici ed economici del nostro tempo. In questi vent'anni vengono concepite opere del calibro di Kongi's Harvest,(1965), Madmen and Specialist, (1971), Opera Wonyosi, (1981), A Play of Giants, (1984), Requiem for a Puturologist, (1985).
Il critico G. Moore sostiene che tutte le opere del 1965 denunciano il timore delle conseguenze della violenza che i politici stessi avevano invocato per intimorire i loro oppositori. Esse mostrano la consapevolezza del grossolano materialismo che stava deteriorando i valori tradizionali, e l'indolente indulgenza con la quale venivano comunemente considerate la corruzione e la malvagità. A questo proposito è opportuno rileggere ancora una volta il diario che lo stesso Soyinka redasse segretamente dal 1967 al 1970.
In Kongi's Harvest il cannibale è il dittatore Kongi che, sebbene mostri aspetti caricaturali, richiama precise memorie di dittatori africani di quegli anni. Soyinka affronta dunque in quest'opera il problema dell'autoritarismo e della lotta per il potere fine a se stesso; egli analizza la personalità di un dittatore e del suo raccolto finale, risultato del suo comportamento, come lo stesso titolo annuncia. Kongi, con analisi sottilmente psicologica, è presentato come un isterico megalomane che sceglie di vivere da solo, su un palco, sempre isolato dal resto del mondo; egli discende tra i suoi simili solo nella scena finale, in occasione di una festa, durante la quale si aspetta di ricevere l'ossequio del vecchio capo religioso Oba. Le sue aspettative, però, vengono deluse dall'azione di due giovani oppositori che mostrano, come alternativa alla sottomissione, la possibilità di una lotta contro la dittatura. Essi indicano alla loro gente il cammino della rivolta; ma, quando cala il sipario, la vittoria finale è ancora lontana.
In Madmen and Specialist il tema del cannibalismo assume toni diversi: in quest'opera viene analizzato l'effetto corrompente del potere, ormai legalizzato e sfuggente ad ogni controllo, sulla vita di un giovane medico.Il giovane specialista ha lasciato la medicina per diventare una forza politica e tirannica, dopo essere stato a combattere sul fronte.
Non a caso, Madmen and Specialist è del 1971, dopo la guerra civile nigeriana; questa, con gli orrori e le vendette che l'hanno accompagnata, ha distrutto in molti autori nigeriani le ultime speranze nella società del dopo indipendenza; ha definitivamente spento gli entusiasmi che avevano accompagnato l'autogoverno e l'illusione del futuro, che per qualche tempo aveva relegato in secondo piano l'urgenza di gravi problemi sociali ed economici.
Per lo stesso Soyinka la guerra civile, che significa prigionia, è stato un momento rilevante e significativo che lo ha portato al rifiuto del presente e dello stato di fatto. L'opera in esame appare dunque come il frutto di un'intensa partecipazione e come il tentativo di fissare la realtà nell'intento di decifrare il bisogno di umanità che la sottende. Il presente è visto dunque come potere e conoscenza che si autogiustificano nella figura dello specialista.
Il Dottor Bero, lo specialista, aspira a dominare gli altri, a forzare i singoli, ad interpretare il mondo a suo modo con qualsiasi mezzo disponibile; anzi, mette la sua conoscenza a completa disposizione per raggiungere i massimi risultati. Egli è un cannibale, pagato per deformare le sue creature e portarle a pensare all'unisono con lo stato totalitario a cui appartengono.
Dopo il 1971, l'impegno di Soyinka si rivolge soprattutto alla narrativa e alla poesia; solo nel 1981 compare una grande nuova opera teatrale, l'"Opera Wonyosi ", in cui viene dimostrato che non solo la guerra, ma anche quella pace tipicamente occidentale, permeata da un benessere solo epidermico e futile, porta all'aberrazione e al cannibalismo.
In questo lavoro i protagonisti, tutti facenti parte di quella borghesia legata al commercio, alla politica o alla cultura, vengono trattati come dei veri e propri mendicanti, non tanto di denaro, quanto di potere. E' interessante notare l'analogia con l"Opera da tre soldi" di B. Brecht, anch'essa imperniata su questa critica tagliente alla società borghese, dalle facili aspirazioni consumistiche. In Opera Wonyosi. l'autore si diverte ad esprimere la sua ironia perfino nel titolo; esso gioca infatti sui significati della parola "opera" in lingua yoruba ed in lingua inglese.
La traduzione nel significato yoruba è:"il pazzo compra"; in inglese, invece, il termine si riferisce ad una forma molto elaborata e cara di teatro, in cui ogni parola è cantata ed accompagnata da una grande Orchestra. Il termine "wonyosi", infine indica un tipo di merletto molto costoso (costava circa 1000 $ al metro!) molto in voga a quel tempo nell'alta società nigeriana e considerato quindi qualificante.
Nel 1984 viene pubblicata A Play of Giants, un'opera esplicitamente "dedicata" a quattro grandi cannibali della moderna Africa dittatoriale. In questo scritto, in cui il cannibalismo viene inteso anche nella sua accezione più prettamente antropomorfa, Soyinka condanna senza appello, come tiranni sanguinari, i capi Idi Amin (Ugnda), Mobutu (Congo Kinshaso), Ngumo (Guinea Equatoriale) e Bokassa (Repubblica Centrale Africana). Ecco come si esprime Soyinka nei loro confronti: "Ci sono furfanti tra i re in Africa, sanguinari; i re sono dannosi, sotto il loro volto benevolo, paterno, essi sporcano chiunque. Quando scrissi Kongi's Harvest pensai che quella fosse una buona opportunità per pagare un tributo a ciò che io pensavo fosse stato il loro passato pittoresco. Molti di loro sono dei furfanti adorabili...mi mancheranno quando ci saremo liberati di loro.
Dopo A Play Of Giants, in cui l'impegno sociale di Soyinka si fa ancor più sentito e convinto, nel 1985 viene edita l'opera Requiem For a Futurologist, in cui l'attenta mente di Soyinka mette a fuoco il problema della massificazione di una società frastornata. Il problema più importante è proprio in questa incapacità decisionale dei singoli individui, facenti ormai parte di una massa informe e irragionevole. L'opera narra di un parapsicologo condannato a morire dalla convinzione della massa, succube delle parole di un falso indovino; nella descrizione della moltitudine delle persone, tutto lo studio psicologico di Soyinka emerge nel migliore dei modi.
Per concludere, ritengo opportuno soffermare l'attenzione su un concetto sottilmente, ma allo stesso tempo profondamente legato al cannibalismo, e cioè a quella particolare interpretazione del sacrificio che permea tutta l'attività di Soyinka e che lo vede impegnato in prima persona. Il sacrificio, infatti, appare dovunque nelle opere di Soyinka, sia in quelle teatrali che non; nelle poesie come nei romanzi e nei saggi, il suo appello è continuo; importante conferma è venuta anche dall'interessantissimo colloquio avuto con lui durante la stesura di questo lavoro.
A proposito di questo incontro, vorrei sottolineare la grandissima levatura morale e l'intelligenza che traspaiono sia dalle parole, sia dalla figura e dai modi del nostro autore; in un'ora di colloquio sempre estremamente interessante e serio, pur non mancando momenti più sereni e scherzosi, si è rivelato appieno quel personaggio conosciuto tramite centinaia di pagine bianche e nere e la freddezza di qualche foto sbiadita; lo scrittore e l'uomo sono emersi nella loro completezza svelando caratteristiche ed emozioni che solo un dialogo ed un incontro possono rivelare. Soyinka è insomma apparso in tutta la sua umanità, in tutta la sua fierezza e nobiltà di idee; un uomo convinto ed orgoglioso della sua vita e della sua missione; un onesto e un coraggioso segnato in viso dalle difficoltà, dalle sofferenze e dalla stanchezza, ma ancora capace di regalare un sorriso di amicizia o uno sguardo di sfida a tutti i tiranni e i falsi profeti.
Riallacciandomi, quindi, al tema più specifico del sacrificio, è proprio l'artista, cioè il sacrificato, che svolge un ruolo fondamentale per le scelte che compie, soprattutto nei momenti più significativi. Proprio una morte espiatoria è quella di Eman in The Strong Breed, in cui il solitario straniero si offre volontariamente in sacrificio, salvando cosi un idiota dal suo inconsapevole quanto inutile ruolo di capro espiatorio. Nella "bellissima figura di Eman, Soyinka raggiunge uno dei suoi massimi vertici espressivi; la grandezza del personaggio è resa infatti mirabilmente per mezzo di un isolamento da un lato divino, dall'altro drammaticamente umano. Eman è solo, perduto in un universo non suo, disperso in un mondo che capi scena da cui non è compreso. I suoi sforzi sono inutili, il suo impegno è misconosciuto, e l'unica via che gli resta è il sacrificio, la morte come espiazione. Mai come in questo caso la realtà dell'artista Soyinka si fonde con il personaggio della scena; Eman è Soyinka, che testimonia con il suo sacrificio quell'altruismo e quell'impegno a favore del suo popolo che ne fa un vero e degno rappresentante di quella parte dell'umanità che egli stesso definisce razza forte.
Emanuela Scarponi