28-09-2020


                                                                                                                                                               Dante e l’Oriente
      Il nostro viaggio ha inizio presso la caotica Varanasi, con i riti indu attentamente riprodotti nelle mie fotografie e nei video, strappati alla sacralità religiosa: è meta ultima di tutti gli uomini dell’India, ed il Gange punto d’approdo e di partenza delle anime erranti: con le sue rive sembra di entrare letteralmente nel Canto Terzo della Divina Commedia di Dante Alighieri (1304-1321), dove Caronte traghetta le anime erranti da una riva all’altra del fiume Acheronte.
Più vado avanti e più mi imbatto in altri, grandi critici letterari, questi sì, che hanno studiato il rapporto tra Dante e l’India. Ecco i versi danteschi del Purgatorio XXVII, 1-5”...Sì come quando i primi raggi vibra - là dove il suo fattor lo sangue sparse - cadendo libero sotto l’alta Libra - e, l’onde in Gange da nona riarse, - sì stava il sole...”.
     Dante quindi conosceva il Gange, secondo questi studiosi leggendo gli scritti di Alessandro Magno, ma nessun accenno si fa alla cremazione che ha luogo sul fiume Gange. Ora pare improbabile che Dante non fosse venuto a conoscenza dei riti religiosi praticati su questo fiume. Da notare inoltre le date di composizione e pubblicazione delle due opere. Ne nasce una riflessione sui rapporti tra Buddhismo e Occidente.
L’ipotesi più accreditata è che la fonte delle sue conoscenze sull’argomento fosse Alessandro Magno. In Europa le prime notizie sugli usi e costumi degli indiani dell’India e sulla religione buddhista giunsero al tempo delle conquiste di Alessandro Magno (326-323 a.C.), il quale era rimasto molto colpito dall’ascetismo indu. Il periodo d’oro dei contatti tra Oriente e Occidente si realizza, pur in mezzo a terribili crociate, nel XIII secolo: dal francescano Giovanni da Pian del Carpine, che scrisse una Storia dei Mongoli, trattando con molto rispetto i Buddhisti, a Guglielmo di Rubruck, inviato dal re di Francia, sino al famoso Marco Polo, inviato da Venezia, che nel Milione esprime la sua ammirazione per la figura del Buddha.
Ma è talmente forte la verosimiglianza che tutti cerchiamo di darne una spiegazione razionale ed ipotizziamo che il nostro Dante Alighieri si sia invero ispirato a racconti pur traslati dai menestrelli nei castelli medievali di viaggiatori erranti; a notizie ed a testimonianze incredibili, raccolte di villaggio in villaggio legate al viaggio di Marco Polo (1254-1324) in Asia.
Ecco quanto emerge dagli approfondimenti sull’argomento: dopo il primo viaggio del padre Niccolò e dello zio Matteo, durante il quale giunsero alla Corte del Gran Khan, Marco Polo adolescente giunse in Cina con loro, percorrendo la famosa “Via della Seta”. Rimasero in Cina 17 anni, onorati ed investiti di cariche governative. Marco in particolare per le sue missioni ufficiali si spinse nello Yunnan, nel Tibet, in Birmania, in India, lungo tragitti che ancora oggi presentano difficoltà per nulla lievi, anche prescindendo dalle condizioni politiche.
      Il 7 settembre 1298 ritroviamo Marco Polo su una delle 90 navi veneziane sconfitte nella Battaglia di Curzola dai Genovesi. Durante la sua prigionia a Genova, le cronache del viaggio e della permanenza in Asia furono quasi certamente trascritte in francese da Rustichello da Pisa che le raccolse sotto il titolo Devisiment dou monde, poi divenuto noto come “il Milione”.
Come avrebbe fatto Dante a venire in contatto con Rustichello da Pisa e con il Milione di Marco Polo? Forse a Verona?
“...E’ notorio che Cangrande della Scala, come prima suo zio Mastino, acquistò quel nome “Cane” grazie alla notorietà di Kublai Khan e del Gran Khan, potentissimi signori del lontano Estremo Oriente. E’ notorio che ciò avvenne grazie alla diffusione del “Milione” che Marco Polo dettò al novelliere Rustichello da Pisa suo compagno di carcere a Genova e personaggio dal destino ignoto. E’ pure notorio che Cangrande della Scala aprì la propria casa a poeti e artisti, tra cui Dante, e fondò una università di corte dove insegnavano i maggiori letterati dell’epoca...”.
      Non si parla molto della permanenza di Dante a Verona. Eppure fu la sua prima destinazione dopo l'esilio da Firenze. Vi rimase almeno sette anni, scrivendovi parte della Divina Commedia nella quale sono molti i riferimenti alla città e ai suoi personaggi storici dal 1303 al 1304, ospitato da Bartolomeo della Scala, fratello di Cangrande, e dal 1312 al 1318, ospitato dallo stesso Cangrande. In pratica trascorse a Verona quasi la metà degli anni dell'esilio...
Ma forse è solo una suggestione di noi viaggiatori...

Emanuela Scarponi